arte
RIPERCORRENDO LA STORIA DEL
TATUAGGIO
TRA CULTURA ED ESTETICA / I
di Emanuel De Marchis
Il
termine tatuaggio, in inglese “tattoo”,
deriva dall’espressione polinesiana “tattaw”,
“incidere”, con riferimento al rumore
provocato dalle bacchette utilizzate per
eseguirlo. Nel dettaglio, tale ornamento
corporeo si ottiene iniettando nello
strato superiore della pelle alcuni
pigmenti colorati (inchiostri per
tatuaggi, certificati), imprimendovi
così un disegno o un simbolo. Quando
vediamo un tatuaggio, il disegno che
guardiamo non è dunque “superficiale”,
bensì filtrato dall’epidermide, ovvero
dal primo strato della pelle, dacché il
pigmento si posa nel derma, che è il
secondo strato della pelle, “culla”
appunto del tatuaggio. Proprio le
cellule del derma rendono inamovibile il
pigmento, perché più stabili di quelle
della pelle, facendo così del tatuaggio
un segno permanente, seppure con
dispersione minima del colore nel corso
del tempo.
Le
strumentazioni oggi utilizzate dagli
esperti nel settore sono del tutto
innocue, e gli stessi “addetti ai
lavori” devono disporre di una licenza
approvata dalla regione competente e dai
vari enti della salute, ma non sempre è
stato così. Prima di arrivare alle
odierne macchinette, dotate di aghi
monouso intercambiabili, la storia del
tatuaggio vanta infatti millenni di
interventi effettuati con vari tipi di
utensili (consistenti in genere in
rudimentali bastoncini a cui venivano
fissati primordiali tipologie di aghi).
D’altro canto, la pratica del tatuaggio
era diffusa già in epoca preistorica,
molto probabilmente con fini rituali.
Una delle prove più pertinenti ci è
giunta con il ritrovamento, sulle alture
alpine (ghiacciaio del Similaun, 1991),
di un cadavere mummificato di circa
tremila anni fa, denominato “Otzi”. A
seguire, altre prove che testimoniano
l’uso di tattoo si trovano tra le mummie
egizie.
.
Ricostruzione dei tatuaggi "preistorici"
presenti sulla schiena di Otzi
Nel
complesso, agli albori della civiltà, il
tatuaggio veniva visto non solo alla
stregua di un decoro estetico, ma anche
come uno strumento di cura, connesso a
pratiche magiche. Quanto alle
decorazioni, abbondavano quelle di
animali, diffuse per esempio presso i
celti (III-IV secolo d.C.), precursori
di quello che oggi si chiama in gergo
‘‘stile figurativo’’. Erano in
particolare i guerrieri più impavidi a
fare sfoggio di figure animali,
simboleggianti doti come il coraggio e
l’onore. Tale “vezzo” sedusse anche i
legionari romani, che spinti
dall’ammirazione per lo spirito del
guerriero celtico iniziarono a tatuarsi
con disegni simili. Tuttavia, i tattoo
non erano affatto frequenti tra la gente
comune. Nel quarto secolo, nel mondo
romano, essi erano anzi espressamente
vietati ai cittadini liberi (al fine di
non “deturpare” i loro corpi). Più in
generale, nella cultura greco-romana, i
tatuaggi riguardavano schiavi,
prigionieri e disertori, per i quali
divenivano una sorta di marchio
infamante. La vera eccezione era
costituita dai legionari, rispettati da
tutti quale vanto militare romano.
Peraltro, anche per loro rimase un
limite, derivante dalla religione
cristiana. In breve, non potevano
tatuarsi sul viso, considerato – più del
resto del corpo – una creazione fatta a
“immagine e somiglianza” di dio, da non
alterare in alcun modo.
Nel
corso dei secoli, i tatuaggi trovarono
larga diffusione tra i membri di varie
società clandestine, che li usavano per
distinguersi tra di loro, nonché in
ambito marinaresco. All’epoca delle
grandi ricognizioni navali ad ampio
raggio dell’oceano (XV-XVI secolo),
molti marinai del vecchio continente
rimasero infatti affascinati, nel corso
dei loro viaggi, dai tatuaggi che
ricoprivano i corpi di varie popolazioni
indigene incontrate. La moda del tattoo
tornò così a insinuarsi in Europa, e a
cedervi furono talvolta anche i ceti
nobili, come gesto di trasgressione.
A
proposito di viaggi, fu il grande
esploratore inglese fu James Cook
(1728-1779), di ritorno da un
tour nei mari del Sud, a far conoscere
l’espressione
tattaw
(alla base appunto della parola
tatuaggio), riportando tra l’altro
con sé un uomo ricoperto da
molteplici segni colorati sul corpo, nei
quali erano simbolicamente “racchiuse”
preziose informazioni sulla sua tribù e
sugli usi e costumi del suo popolo. A
quel tempo, un po’ ovunque i tattoo
venivano effettuati con delle bacchette
appuntite, ma nell’Ottocento si registrò
un’importante evoluzione, allorché
l’artista newyorkese Samuel O’Reilly
(1854-1909), perfezionando una
precedente invenzione di Thomas Edison
(1847-1931),
creò una penna elettrica per tatuaggi
già vagamente simile a quelle usate
oggi, dotata di un serbatoio per
l’inchiostro, un piccolo motore e,
naturalmente, aghi idonei a perforare la
pelle.
.
Disegno della macchinetta per tatuaggi
brevettata nel 1891 da Samuel O’Reilly
Egli
ottenne il brevetto per tale invenzione
nel 1891, e da quel momento la storia
del tatuaggio cominciò a entrare sempre
più nel vivo. |