[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

167 / NOVEMBRE 2021 (CXCVIII)


arte

RIPERCORRENDO LA STORIA DEL TATUAGGIO

TRA CULTURA ED ESTETICA / I

di Emanuel De Marchis

 

Il termine tatuaggio, in inglese “tattoo”, deriva dall’espressione polinesiana “tattaw”, “incidere”, con riferimento al rumore provocato dalle bacchette utilizzate per eseguirlo. Nel dettaglio, tale ornamento corporeo si ottiene iniettando nello strato superiore della pelle alcuni pigmenti colorati (inchiostri per tatuaggi, certificati), imprimendovi così un disegno o un simbolo. Quando vediamo un tatuaggio, il disegno che guardiamo non è dunque “superficiale”, bensì filtrato dall’epidermide, ovvero dal primo strato della pelle, dacché il pigmento si posa nel derma, che è il secondo strato della pelle, “culla” appunto del tatuaggio. Proprio le cellule del derma rendono inamovibile il pigmento, perché più stabili di quelle della pelle, facendo così del tatuaggio un segno permanente, seppure con dispersione minima del colore nel corso del tempo.

 

Le strumentazioni oggi utilizzate dagli esperti nel settore sono del tutto innocue, e gli stessi “addetti ai lavori” devono disporre di una licenza approvata dalla regione competente e dai vari enti della salute, ma non sempre è stato così. Prima di arrivare alle odierne macchinette, dotate di aghi monouso intercambiabili, la storia del tatuaggio vanta infatti millenni di interventi effettuati con vari tipi di utensili (consistenti in genere in rudimentali bastoncini a cui venivano fissati primordiali tipologie di aghi). D’altro canto, la pratica del tatuaggio era diffusa già in epoca preistorica, molto probabilmente con fini rituali. Una delle prove più pertinenti ci è giunta con il ritrovamento, sulle alture alpine (ghiacciaio del Similaun, 1991), di un cadavere mummificato di circa tremila anni fa, denominato “Otzi”. A seguire, altre prove che testimoniano l’uso di tattoo si trovano tra le mummie egizie.

 

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Ricostruzione dei tatuaggi "preistorici" presenti sulla schiena di Otzi

 

Nel complesso, agli albori della civiltà, il tatuaggio veniva visto non solo alla stregua di un decoro estetico, ma anche come uno strumento di cura, connesso a pratiche magiche. Quanto alle decorazioni, abbondavano quelle di animali, diffuse per esempio presso i celti (III-IV secolo d.C.), precursori di quello che oggi si chiama in gergo ‘‘stile figurativo’’. Erano in particolare i guerrieri più impavidi a fare sfoggio di figure animali, simboleggianti doti come il coraggio e l’onore. Tale “vezzo” sedusse anche i legionari romani, che spinti dall’ammirazione per lo spirito del guerriero celtico iniziarono a tatuarsi con disegni simili. Tuttavia, i tattoo non erano affatto frequenti tra la gente comune. Nel quarto secolo, nel mondo romano, essi erano anzi espressamente vietati ai cittadini liberi (al fine di non “deturpare” i loro corpi). Più in generale, nella cultura greco-romana, i tatuaggi riguardavano schiavi, prigionieri e disertori, per i quali divenivano una sorta di marchio infamante. La vera eccezione era costituita dai legionari, rispettati da tutti quale vanto militare romano. Peraltro, anche per loro rimase un limite, derivante dalla religione cristiana. In breve, non potevano tatuarsi sul viso, considerato – più del resto del corpo – una creazione fatta a “immagine e somiglianza” di dio, da non alterare in alcun modo.

 

Nel corso dei secoli, i tatuaggi trovarono larga diffusione tra i membri di varie società clandestine, che li usavano per distinguersi tra di loro, nonché in ambito marinaresco. All’epoca delle grandi ricognizioni navali ad ampio raggio dell’oceano (XV-XVI secolo), molti marinai del vecchio continente rimasero infatti affascinati, nel corso dei loro viaggi, dai tatuaggi che ricoprivano i corpi di varie popolazioni indigene incontrate. La moda del tattoo tornò così a insinuarsi in Europa, e a cedervi furono talvolta anche i ceti nobili, come gesto di trasgressione.

 

A proposito di viaggi, fu il grande esploratore inglese fu James Cook (1728-1779), di ritorno da un tour nei mari del Sud, a far conoscere l’espressione tattaw (alla base appunto della parola tatuaggio), riportando tra l’altro con sé un uomo ricoperto da molteplici segni colorati sul corpo, nei quali erano simbolicamente “racchiuse” preziose informazioni sulla sua tribù e sugli usi e costumi del suo popolo. A quel tempo, un po’ ovunque i tattoo venivano effettuati con delle bacchette appuntite, ma nell’Ottocento si registrò un’importante evoluzione, allorché l’artista newyorkese Samuel O’Reilly (1854-1909), perfezionando una precedente invenzione di Thomas Edison (1847-1931), creò una penna elettrica per tatuaggi già vagamente simile a quelle usate oggi, dotata di un serbatoio per l’inchiostro, un piccolo motore e, naturalmente, aghi idonei a perforare la pelle.

 

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Disegno della macchinetta per tatuaggi brevettata nel 1891 da Samuel O’Reilly

 

Egli ottenne il brevetto per tale invenzione nel 1891, e da quel momento la storia del tatuaggio cominciò a entrare sempre più nel vivo.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]