N. 4 - Aprile 2008
(XXXV)
TARQUINIA. LA TOMBA DELLA CACCIA E DELLA
PESCA
ANALISI STILISTICa
- PARTE II
di Antonio
Montesanti
Datata approssimativamente al 520 a.C., il monumento
funerario rimane una pietra miliare nella storia
dell’arte, per la sua fattura arcaica dove l’uomo non è
mai stato dipinto come dominatore del suo ambiente, e
per la prospettiva che rappresenta la chiave per
capirlo: il maggiore indizio per questa composizione di
dominio/non-dominio sulla natura è giustificata da molti
autori con il rapporto tra lo spazio e le figure
naturali, per esempio gli uccelli, che sono
proporzionalmente più grandi degli uomini nell’affresco
e che a loro volta sono meno elaborate dell’essere
umano. Questa dominanza, dell’uomo sul suo ambiente non
sarà visibile di nuovo solo nei panorami mitologici
romani che si sviluppano durante il Secondo Stile
Pompeiano.
Il monumento funerario è formato da due camere congiunte
non solo da una porta di collegamento: in ognuna,
l'ordine decorativo segue lo schema standard arcaico,
con un’area superiore a fasce parallele invece di
un’intelaiatura di tipo geometrico. Un concatenarsi di
foglie e boccioli, o fiori, pende dalla fascia più bassa
nella prima camera, mentre nella seconda lo stesso
motivo trova la sua variante nella presenza di ghirlande
floreali, che a loro volta sono prodotte
dall’inserviente all’interno del timpano in cui è
raffigurato il simposio della coppia titolare.
Sempre all’interno dell’anticamera, il settore più ampio e
centrale della parete è occupato da fregi figurati,
interrotti soltanto dalle porte, mentre nella seconda
camera, da una nicchia nel settore angolare superiore
della parete di fondo.
Il mantenimento di un’alta logicità va a concatenarsi con
il piacere derivato dallo “sfruttamento” della natura,
sia come elemento ‘ludico’ che funzionale e che trova
riscontro nel piacere del godere del passatempo
medesimo. Le rappresentazioni figurate sono sostenute da
basamenti decorati, formando nell’insieme un
assemblaggio piacevole, ‘impersonificano’
magistralmente, per esecuzione ed iconografia, tra la
terra e il mare.
I piaceri del banchetto sono combinati al ballo e alla
musica, così come avviene con il tema funerario non meno
antico della caccia. Ci troviamo di fronte ad una
‘inversione logica’ che ripropone il tema del piacere
come atto finale dell’esistenza. Il banchetto non può
che essere abbinato alla danza, così come il ritorno
dalla caccia si ricollega direttamente con il motivo
dell’arte venatoria nella camera 2 o camera mortuaria.
Dopotutto sui frontoni sembra comparire il motivo ultimo
del piacere, dato contemporaneamente dal godimento dei
frutti della fatica giornaliera e dal divertimento puro.
Se il collegamento con la madre-terra ritrova negli
alberi, l’esemplare totemico attorno al quale ballare,
divertirsi e considerare la raccolta dei frutti quasi un
gioco legato al ghermire i doni che questi offrono e che
potenzialmente possono essere sostituiti da manufatti
artificiali – come nel gioco della cuccagna –, in
maniera complementare, la caccia e la pesca diventano un
divertimento, un piacere naturale.
Questo si manifesta, per esempio, nel colpire gli uccelli
‘al volo’, cosa ben diversa dalla caccia di terra
rappresentata nella prima camera in cui le ‘vittime’
sono rappresentate da quadrpedi. La pesca, invece, è
quasi uno scoprire continuo; nel guardare il fondale di
ciò che potenzialmente si pesca, ci si distrae, ci si
rilassa, ci si diverte ma anche si osserva e s’impara la
natura. Mentre alcuni pescano, altri si divertono con i
tuffi o con l’osservazione dei gesti quasi atletici,
l’illusione del volo, la meraviglia dei volteggi aerei
rimane sempre un qualcosa di estremamente affascinante
per gli antichi, che non dimenticano mai la presenza,
incosciente della forza di gravità.
Il ragazzo che si tuffa nel mare, mentre l’attende la
piccola barca di spettatori, compie un salto dall’alta
scogliera e la costa rocciosa che si riscontra solo in
pochissimi punti del litorale tirrenico: la vicinanza e
soprattutto l’abbinamento di certe rocce scoscese con un
quantitativo elevatissimo di uccelli acquatici unito
alla possibilità di pescare “a vista” ha portato ad
individuare l’area in cui si svolgono le attività nel
litorale più ripido di dell’intera Tirrenia,
insieme a quello di Populonia, e che va ricercato
nell’area del Monte Argentario, alle cui spalle è
presente una ricchissima laguna (Laguna di Orbetello).
Questa sorta di ‘realtà virtuale’, in cui i particolari
congrui si seguono senza vincolo convenzionale
apparente, ricopre interamente la stanza. Come
nell’anticamera, dalla delimitazione superiore, 'dall’architrave'
a bande parallele, pendono corone floreali di diversi
colori. L’uso del colore trasmette gioia e allegria con
la sua varietà, in contrasto netto per esempio, con le
ambientazioni più severe e cupe della tomba degli
Auguri. L’uso del bianco rappresenta il trasparente di
un’ambientazione in cui le tinte del blu e del verde
abbondano e s’inseguono, anche il marrone è un colore
piuttosto chiaro con toni che si spingono verso il
rosso; il nero, quasi assente, si riscontra nei profili
dei soggetti variando anch’esso nel tono da un marrone
scuro ad un grigio.
Purtroppo nel corso degli studi e degli anni non si è
tenuto poco conto di del fattore diverisificativo dei
principi di composizione realizzati in queste
rappresentazioni.
I motivi nella prima camera non formano un fregio realmente
continuo; al contrario rivelano una nuova impostazione
in cui sono le metope a sopraffare l’idea, lontana a
venire, del fregio continuo. Il centro di ogni quadro, o
per dirlo alla greca, di pinax, è occupato da un
arbusto in cui i due danzatori tendono a disporsi in
maniera antitetica. L’obbiettivo è quello di raggiungere
un effetto decisamente reale ed aulico allo stesso
tempo: la continuità si riscontra nella ripetitività
degli elementi in cui il fregio della parete è composto
in maniera efficace dagli alti alberi, inseriti a
intervalli regolari, che compongono il centro
emblematico di un quadro a se stante che diviene
comprensibile e unico proprio nella ripetizione degli
elementi – inserendo ogni figura in un campo misurato ed
incorniciato a se stante – e contemporaneamente facenti
parte di un programma che agglutina positivamente
l’intera stanza.
Secondo alcuni, questa sarebbe una tendenza ornamentale
tipicamente italica che tenderebbe ad enfatizzare il 'pinax'
opponendosi decisamente alla composizione complessa 'del
fregio' e che troverebbe le sue radici nell'arte italica
nel Periodo Villanoviano. Gli accostamenti più vicini,
tuttavia, agli alberi tra i danzatori, sono stati
trovati nell’oreficeria orientalizzante dei bracciali
dorati del Vaticano e nei loro prototipi fenici: è
proprio lo ‘ionismo’ ad introdurre il fregio in pannelli
rettangolari che non sembra essere stato un metodo
greco. La Tomba della Caccia e della Pesca ghermisce
questa novità e la sfrutta, così come le colonie sicule
e magnogreche (metope di Poseidonia-Pestum e Selinunte),
la renderanno protagonista pittorica del passaggio tra
periodo arcaico e classico.
La perplessità di alcuni autori di fronte alle differenti
dimensioni che assumono i soggetti, ed in particolare la
loro dimenzionalità ridotta, si riassume nella mancata
comprensione dello schema di composizione
orientalizzante che, tuttavia, non “… spiegherebbe
un'altra caratteristica stilistica dello stesso fregio,
vale a dire, il rimpicciolimento comparativo delle
relative figure”.
Ciò che sembra sfuggire al sistema complessivo
d’importazione orientale è che non è possibile
considerare gli Etruschi come un popolo esclusivamente
ricettore e non rielaboratore. La peculiarità etrusca,
in quanto stirpe è chiara a tutti e gli artisti
etruschi, influenzati da quelli greci, sono artisti che
accumulano le esperienze, le rileggono in chiave
estetica e funzionale, rielaborandole.
L’innovazione giunge, non integrata, con le coppe dette dei
“Piccoli Maestri”, in cui le figure sono estremamente
movimentate e contemporaneamente miniaturizzate a
seconda del campo in cui queste devono essere inserite.
Sull’orlo delle stesse, le figure, semplici ma dai
movimenti complessi e non stigmatizzati, assumono
dimensioni particolarmente ridotte in cui i particolari
sono preservati in ogni loro forma.
La necessità, già greca, di riuscire a tessere una tela
usando come fili lo spazio disponibile e il desiderio di
comunicare, viene risolta con un espediente che sembra
essere ancora sconosciuto nella penisola elladica. La
risoluzione frontonale in Grecia troverà un evoluzione
lineare nell’inserimento di sezioni strutturali dei
soggetti a mano a mano che le linee diagonali si
stringevano verso l’angolo e che troveranno
consacrazione nell’apice fidiaco; in Etruria, lo spazio
frontonale non concepisce ‘sezionature’ delle figure,
preferisce piuttosto inserirle in un contesto, come
intere, lavorando non su una limitazione spaziale ma
riducendo la scala degli oggetti: ingrandendola, come
nel caso degli uccelli in volo nella camera 2, o
rimpicciolendola in base alla situazione sociale.
Nella camera 1, questo avviene in maniera quasi perfetta
nel campo dell’architrave frontonale della porta di
connessione, ma non all’interno dell’intelaiatura
costituita da alberi, che danno un'idea che sembra
estranea ai greci: un piacevole e soprattutto schematico
boschetto che non corrisponde, e non ne dà neanche
l’idea, di una foresta.
La natura da una parte è dominata, dall’altra è
assecondata. Gli arbusti sembrano essere talmente
schematici da essere stati quasi potati e lavorati, come
quelli nei giardini rinascimentali italiani, in cui
danzatori sembrano sottendere ad una scala ridotta degli
esseri umani, in divenire.
L’ambiente marino differisce da questa prima
interpretazione, quasi a confermare una sorta di stacco
cronologico evidente, poiché ci restituisce una
composizione che forma una sorta di fregio continuo e
panoramico.
L'importanza degli uccelli e dei pesci è data dalla
grandezza in funzione al piano d’uso, in relazione agli
attori. Gli uccelli in particolare aggiungono un senso
fantastico di movimento e di spazio all’intera scena.
Questa volta l’uso della scala dimensionale è
incredibilmente attuale: le dimensioni vengono adattate
in base all’esigenza, come nel caso degli uccelli che
sono abnormemente ingranditi per non dare l’idea,
terrorizzante, del vuoto, mentre le figure umane sono
ingrandite (cacciatori) o rimpicciolite in base alla
distanza: sono gli attori che implicano la distinzione
del formato, fra la gente e l'ambiente e che realmente
costituisce un aspetto di importanza
considerevole.
Considerate come irregolarità compositive dovute allo
stile, le iconografie unitarie di questa decorazione
appare “regolare” solo nell’ambito del rapporto
uomo-ambiente, dove le discrepanze effettive diventano
arte.
Solo nei frontoni la dimensionalità serve a relegare i
protagonisti all’interno dei loro ruoli su una così
ampia raffigurazione della natura e che implica
un'interpretazione della condizione umana in se. Secondo
alcuni questa interpretazione sarebbe quella
naturalistica, non solo perché gli alberi sono spesso
schematizzati in maniera naturale, o perché hanno una
funzione o una scala ridotta, ma soprattutto perché il
rapporto naturalistico si esplica in arte viva e
soprattutto vissuta; un'arte, che ha ridotto l'esistenza
umana a qualcosa di estremamente reale, la adatta e la
domina allo stesso tempo, quasi ad indicare il carattere
integratvo e non discordante della natura umana.
Invece è proprio nei due frontoncini architravati figurati
che le proporzioni sono invertite ed appaiono come una
mostruosità. I cacciatori sono rappresentati più
alti degli alberi tra i quali avanzano ed ogni figura
tende ad occupare lo spazio in verticale slanciandosi al
massimo verso l’alto sfruttando le diagonali discendenti
delle cornici superiori.
Nella scena di banchetto segue la stessa tendenza,
addirittura accentuancdola. La coppia conviviante domina
il centro tramite la loro grandezza, ricchezza,
fastosità dei mezzi. La composizione sembra puntare
sulla composizione monumentale piuttosto che nella
spazialità. Le forme pittoriche sono ampie e ricche di
colore; i tradizionali zig-zag compaiono soltanto una
volta, nel bordo verde chiaro della giacca della
domna.
Al contrario di ipotesi susseguitesi negli anni passati,
siamo oggi certi dell’appartenenza dei disegni allo
stesso ateliers; dopotutto osserviamo non due
stili distinti, ma due interpretazioni differenti dello
stesso stile, impiegati simultaneamente: uno più
convenzionale e monumentale, l'altro più naturalistico,
più variabile, per esempio, perché non codificato. Le
figure di differenti dimensioni che popolano il mare e
le scogliere mostrano gli stessi profili ed appartengono
alla stessa tipologia del grande banchetto che si trova
al di sopra; anche se all’affresco superiore, del
banchetto va attribuita un’aura di monumentalità.
Questa “anomalia naturalistico-pittorica” non è altro che
il gusto italico per l’arte in cui la natura è parte
integrante della sfera umana, anche e soprattutto la
natura animata e sopra ogni cosa il paesaggio. Le
raffigurazioni sono funzionali allo scopo che vogliono
raggiungere e soprattutto al canone estetico: la
composizione monumentale è congiunta con il
perfezionamento del particolare.
Il disegno dell’essere umano e i vasti piani cromatici sono
collegati anteriormente con le pitture nella Tomba delle
Leonesse e posteriormente alla Tomba del Auguri, in cui
l'artista può aver esportato il suo stile all’officina
postuma.
Necessariamente l’essere umano non si modifica all’interno
dell’equilibrio ecoambientale, ma lo usa e soprattutto
lo integra a se stesso nella vita e ora lo
scompone visibilmente nell'equilibrio con l’esterno.
La pittura, realistica, come reale è la natura, indica
senza dubbio una propensione degli etruschi
all’osservazione e allo stesso tempo alla
caratterizzazione dell’ambiente, in quanto vero ed
esistente. Che l’ambiente rappresentato esista è
evidente, dalle considerazioni di tipo geografico
esternate poco sopra, nell’habitat della bassa maremma:
l’uomo, sua moglie, i servi, sono reali e reale è la
natura, l’ambiente e la natura, almeno nella seconda
sala. E non solo. L’uomo è in quanto se stesso, la
natura è in quanto tale ma soprattutto l’uno e l’altra
possono finalmente essere rappresentati, non più
schematicamente ma finalmente contestualizzati nella
storia. Le azioni dell’uomo sono parte di essa.
Ci troviamo di fronte ad un caso quasi unico, forse perché
il primo, in cui il problema del concetto generale
tirrenico di naturalismo pervade il linguaggio figurato,
suggerisce che la vitalità raffigurata derivò
dall'osservazione diretta piuttosto che dalla
tradizione. La maggior parte di questi particolari
riportano ad una spontaneità non comune, fonte del loro
fascino. Anche se nell’arte antica è difficile
distinguere la sottile linea che separa la spontaneità
dalla convenzione, nella tomba questa sembra chiaramente
percettibile nella differenziazione d’uso delle stanze,
la prima è convenzione, la seconda (quella mortuaria) è
spontanea.
Fra le arti antropocentriche dell'antichità è piuttosto
semplice trovare precedenti di questo naturalismo
pittorico, tuttavia le variabili non riportano a
confronti completi ma limitatamente parziali. I
danzatori ed i cacciatori dei pannelli parietali devono
essere considerati fra le primissime rappresentazioni,
all’interno di una regolarizzazione del paesaggio che
realmente le contiene.
La datazione del complesso risulta piuttosto riscontrabile,
nell'ultima decade del secolo. Le posizioni ed i profili
delle figure indicano un substrato ionico, condivisibile
nella ceramografia con l'atelier delle hydriai
Caeretane e con Caere stessa, nella figura del Maestro
di Busiris mentre riscontri ancora più precisi derivano
dalle kylikes o coppe ad occhioni (eye-cups)
e dalle anfore nikosteniche in cui altre alle figure dei
danzatori si ritrova un felice incontro definitivo nella
coppa di Nikosthenes, che raffigura Enea ed
Anchise, contorniati da due occhioni che colmano lo
spazio vuoto e che si data al 525-500 a.C.
I confronti diretti con altre “creazioni artistiche” ci
lasciano piuttosto perplessi, vista la carenza da una
parte di soggetti simili e l’accostamento ben più che
casuale con l’ambiente egizio.
Le scene di caccia, rappresentate in modo totalmente
differente, vista la cronologia, vanno ad incontrarsi
con l’ambiente minoico prima e miceneo successivamente;
i rilievi assiri narrano le guerre dei re, con un uso
accennato del paesaggio e con una certa tendenza allo
schematismo nei soggetti da collocare. Gli esempi
dall'arte greca complessivamente non difettano, sono più
vicini nel tempo, ma non sono né frequenti né abbastanza
simili per essere d’aiuto nello spiegare questo
naturalismo nell’Etruria arcaica.
Ben più problematica appare un’incongruenza cronologica…
cosa accade se una tomba etrusca datata al 520/10 a.C.
trova dei riscontri piuttosto precisi in un’altra tomba
di almeno 1200 anni precedente?
Il riscontro preciso con Tomba di Nakht (1991 - 1786 a.C.)
lascia sbalorditi, in quanto non è concepibile una certa
somiglianza dei soggetti presenti, nell’uso dimensionale
degli stessi che non può far altro che lasciare dei
dubbi sulle possibili reminiscenze egiziane, liberamente
trasformate, ma con identica impostazione. Questi
riferimenti egizi, basati forse su conoscenze personali,
sembrano essere presenti nella tradizione del Maestro di
Busiris.
Le anatre, l’uso dello spazio e dei colori e soprattutto la
figura che si presenta due volte nel secondo fregio, il
cacciatore in atto su una roccia, può essere
riconosciuta come immagine modellata sulla pittura
egiziana. L'intero fregio riproduce, per quanto
liberamente, un tema del iconografia egiziana: la pesca
sul Nilo e la caccia in ambiente fluvio-lacustre. La
coincidenza non è fortuita, anche se attualmente non
possiamo verificare come questi soggetti raggiunsero
l’Etruria.
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