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N. 11 - Novembre 2008 (XLII)

TARGA FLORIO
UNA CORSA LEGGENDARIA

di Simone Valtieri

 

Nel 1906, un ragazzo di ventitre anni, affascinato da quel nuovo mezzo di trasporto che era l’automobile, ideò quasi per gioco quella che diventerà tra le più celebri corse automobilistiche del mondo: la Targa Florio.


Il nome del giovane era Vincenzo, lo stesso che i suoi genitori, Ignazio Florio e Giovanna d’Ondes Trigonia, avevano dato al loro primo figlio, prematuramente scomparso all’età di tredici anni. Vincenzo nasce nel 1883 a Palermo, rampollo di una delle più influenti famiglie sici-liane dell’epoca e fratello minore di Giulia e Ignazio. Fin dalla più tenera età, si lascia incuriosire da quelle poche e rumorose carrozze senza cavalli che vedeva sfilare per le vie della sua città. Le automobili di allora erano trabiccoli lontani anni luce dai mezzi che invadono oggi le nostre strade.


Difficili da guidare, lasciavano al loro passaggio un nau-seabondo odore di benzina e olio bruciato, che però sembrava non dispiacere al giovane siciliano. Vincenzo inizia a guidare poco più che adolescente, partecipa a qualche corsa amatoriale e affianca la sua passione ai primi passi nel lavoro di armatore e di imprenditore nel settore vitivinicolo. Grazie ai facoltosi mezzi della sua famiglia, riesce addirittura ad organizzare una gara lui stesso, la Coppa Florio, disputatasi nel 1905 a Brescia. Forte dell’esperienza acquisita nel nord Italia, decide di concentrare i suoi sforzi nel progettare una manifestazione analoga per le vie della sua amata Sicilia. Fu così che dopo non più di un anno la sua ‘creatura’ prese vita. è chiaro che non poteva fare tutto da solo, si fece perciò aiutare da Henri Desgrange, un suo conoscente francese, direttore della rivista l’Auto. Raggiunse Parigi e lo convinse in poco tempo a pianificare insieme a lui tutti i dettagli della corsa.


I due disegnarono un sinuoso percorso tra i monti delle Madonie che, da Bonfornello, si snodava su strade di campagna, attraverso Cerda, Caltavuturo, Castellana, Petralia Sottana, Petralia Soprana, Geraci, Castelbuono, Isnello, Collesano e Campofelice di Roccella, con arrivo nella stazione di partenza, presso l’antico tempio imerese dedicato alla vittoria. Questo circuito prenderà più tardi il nome di Grande Circuito delle Madonie: 150 chilometri su strade pressoché impraticabili, mulattiere pericolose, non solo per il fondo sterrato, ma anche per la presenza di animali che potevano facilmente trovarsi sul percorso e per i quali l’organizzazione si era mobilitata raccomandando agli abitanti dei paesi di legare le proprie bestie durante il giorno di gara.


Il comitato organizzatore si chiamava Panormitan e contava una serie di nobiluomini locali chiamati ad essere i giudici di gara: un cronometrista inglese, Gilbert Morley, che oltre a misurare il tempo di ogni pilota era anche l’allibratore ufficiale della manifestazione, due tecnici, un fotografo e un cronista, questi ultimi due inviati francesi de l’Auto.


Il montepremi di cinquantamila lire veniva assegnato per tre quinti al vincitore, che riceveva in premio anche una Targa in stile Art Nouveau disegnata da René Lalique, e per la restante parte ai quattro piloti che sarebbero giunti alle sue spalle. La corsa era riservata alle sole automobili derivate dalla normale produzione, con motori a quattro o sei cilindri e alesaggio compreso tra 115 e 150 millimetri. Il peso non doveva scendere sotto i 1.300 chili, per le vetture da meno di ventimila lire, limite che si abbassava a 1.000 chili per quelle che non superavano il valore di quindicimila lire.


Il 6 maggio 1906, la prima edizione scatta alle sei in punto del mattino, con dieci automobili ai nastri di partenza che dovevano ripetere per tre volte il circuito madonita.


La sfida era tra italiani e francesi, con al via cinque Itala, una Fiat, una Berlier, due Clement Bauard e una Hotchkiss. La prima edizione viene vinta dall’unica Fiat in gara guidata da Vincenzo Lancia, esperto pilota italiano, che si vede consegnare tra le mani una vittoria insperata quando, al rifornimento, le auto dei due francesi Bablot e Rigal vengono ‘erroneamente’ caricate d’acqua anziché di benzina.


Il successo in termini di pubblico di questa prima Targa Florio fu tale da deciderne la replica già l’anno successivo, sempre sullo stesso percorso.


In pochi anni divenne, per i siciliani, un appuntamento tradizionale, atteso e preparato febbrilmente dal pubblico e dai partecipanti, che iniziarono a giungere da ogni parte del mondo. I giovani di ogni contrada diventavano in quei giorni esperti ingegneri e competenti appassionati di automobilismo. Arrivavano, affrontando trasferte pionieristiche - spesso difficoltose, dormendo all’aperto o in posti di fortuna - da ogni angolo dell’isola e dell’Italia per veder sfrecciare quei bolidi tra le strade di campagna e di paese, assiepandosi ai bordi delle strade al passaggio dei piloti. Proprio questo grande consenso del pubblico fece la fortuna della manifestazione, che divenne in poco tempo la più famosa corsa italiana nel mondo.


Il tracciato della prima Targa Florio, il Grande Circuito delle Madonie, resterà invariato fino al 1911, sebbene percorso un numero di volte diverso ad ogni edizione, fino alla creazione di tracciati alternativi, quali il Medio e il Piccolo Circuito delle Madonie. Prima di questi però, nel 1912, la Targa si svolse lungo 965 chilometri perimetrali a tutta l’isola, assumendo il nome di Giro di Sicilia. Si percorreva l’intera Trinacria, in senso orario, partendo da Palermo e passando per Termini Imerese, Cefalù, Messina, Taormina, Catania, Siracusa, Noto, Ragusa, Gela, Agrigento, Sciacca, Castelvetrano, Marsala, Trapani e ancora Palermo. Così per tre anni, fino all’introduzione di un circuito più piccolo tra le Madonie. Si tornerà nel secondo dopoguerra a correre tre edizioni su questo tracciato leggermente modificato per accogliere anche le province di Enna e Caltanissetta.


Il Medio Circuito, che toccava solamente i comuni di Cerda, Catalvuturo, Petralia, Collesano e Campofelice, fu utilizzato fino al 1930, per poi passare, dopo l’edizione del 1931 - disputata sulle strade originarie - al Piccolo Circuito delle Madonie: 72 chilometri e ben novecento curve tra Cerda, Caltavuturo, Collesano e Campofelice. Su quest’ultimo si svilupperà la corsa fino al 1977, percorso ogni anno un numero mutevole di volte, compreso tra le sette e le quattordici, con sole quattro eccezioni dal 1937 al 1940, quando la corsa si disputò in una piccola pista ricavata all’interno della città di Palermo, nel Parco della Favorita.


Ventuno anni dopo la nascita della Targa vedrà i natali l’altra analoga e prestigiosa corsa italiana, la Mille Miglia che, prendendo spunto dalla tipologia di gara ideata da Vincenzo Florio, si disputerà come competizione agonistica fino ad un drammatico incidente nel 1957. è facile anche intuire il motivo per cui la Mille Miglia riscosse subito, in quegli anni, un successo pari se non maggiore a quello della Targa, realtà prestigiosa ma pur sempre legata ad un solo territorio, peraltro nell’agricolo e profondo sud italiano. Rispetto alla Targa però la Mille Miglia avrà, per quello che riguarda la sua storia di gara automobilistica, vita ben più breve, che si concluse, come detto, solo trent’anni dopo la sua nascita. Di questa corsa dal 1958, e fino ai giorni nostri, si svolgeranno solamente edizioni dimostrative, dette ‘gare di regolarità’, in cui i concorrenti si impegnano a raggiungere ogni tappa del percorso rispettando una tabella di marcia prestabilita: in pratica una sorta di sfilata. Destino diverso avrà invece la Targa, anche se, in concomitanza con il tragico incidente nella Mille Miglia del ’57, per acquietare le polemiche nate a causa della pericolosità di queste manifestazioni, si correrà per quell’anno come gara di regolarità.


Dal 1958 al 1973 la Targa tornerà ad essere competitiva, per volere, soprattutto, del fondatore Vincenzo Florio, e inizierà a rivestire un’importanza capitale nel mondo delle corse automobilistiche, in quanto indosserà i panni, tra l’altro già vestiti nell’edizione del 1955, di gara titolata ai fini dei campionati mondiali di vetture Sport Prototipi e Gran Turismo. Nomi altisonanti e case costruttrici blasonate parteciperanno, negli anni d’oro della manifestazione, che si concluderanno improvvisamente nel 1973, a causa di un’edizione contrassegnata da numerosi incidenti gravi, dimostrazione di come l’anacronistico circuito delle Madonie non potesse reggere il passo con l’evoluzione motoristica e velocistica delle automobili.


Fu così che nel 1977, dopo altre tre edizioni corse senza lo status di gara internazionale, un grave incidente decretò la fine della manifestazione. Gabriele Ciuti, al volante della sua Osella motorizzata BMW, uscì di strada in un tratto misto che seguiva il rettilineo di Buonfornello, falciando alcuni spettatori e provocando due morti e tre feriti gravi. Si decise così di porre fine alla competizione, trovando però una via diversa da quella percorsa dagli organizzatori della Mille Miglia. Venne infatti deciso di trasformare la corsa, non in una gara di regolarità ma in un Rally, che prese il via l’anno successivo e che ancora oggi è la competizione fiore all’occhiello del campionato italiano assoluto.


Il fascino della Targa Florio abbracciava non soltanto il pubblico, ansioso di veder passare bolidi abitualmente impegnati in autodromi sparsi per il mondo, ma anche e soprattutto i piloti, ansiosi di cimentarsi alla guida di automobili sempre più perfezionate e potenti, su anguste stradine e saliscendi impegnativi, avvolti in un contorno di ineguagliabile bellezza quale era quello delle colline siciliane.


Durante il primo trentennio di manifestazione si alternarono e si sfidarono sulle strade siciliane le leggende dell’automobilismo italiano, tra cui Campari, Nuvolari, il conte Masetti - tragicamente scomparso in gara - Varzi, Borzacchini ed Enzo Ferrari. Negli anni del primo dopoguerra si disputarono la Targa i campioni della Formula 1 dell’epoca: Juan Manuel Fangio, Stirling Moss, Piero Taruffi, Eugenio Castellotti, Wolfgang Von Trips, Jacky Ickx, Graham Hill e Arturio Merzario, solo per citare i più noti.


Chi di loro aveva avuto occasione di partecipare sia alla Targa Florio che alla Mille Miglia, definiva quest’ultima come una passeggiata in confronto alla corsa siciliana, dove vincere rappresentava motivo di prestigio assoluto; ma il vanto era anche solo terminare una gara così selettiva senza essere uscito di strada.


Il corridore simbolo di questa corsa non era però uno dei velocissimi campioni citati, bensì l’idolo di casa, Nino Vaccarella. Alla guida di una Ferrari 275 P2, ricordata come una delle più belle automobili da corsa mai realizzate, vince la sua prima Targa nel 1965, affiancato dal compianto Lorenzo Bandini. Nino nasce nel 1933 a Collesano, rimane prematuramente orfano del padre dal quale eredita la passione per la velocità e una Fiat 1100 con la quale comincerà a correre. Dopo i primi successi riesce a comprarsi una Lancia Aurelia 2500, con la quale partecipa alla sua prima Targa Florio. A bordo di una Maserati debutta nel campionato Sport 2000, dove verrà notato da Giovanni Volpi, titolare di una prestigiosa scuderia, che gli spalancherà le porte della carriera automobilistica. Nel 1963 viene squalificato nella Targa, a causa di un impassibile giudice che lo trova sprovvisto di patente, ritiratagli qualche tempo prima a causa di un incidente stradale. Si rifarà nel 1964, vincendo il mondiale Sport Prototipi e la 24 Ore di Le Mans, e affermandosi l’anno successivo per la prima volta nella Targa. Bisserà il successo nel 1971 e nel 1975, prima di ritirarsi a vita privata.


Per capire l’integrità del personaggio, basti citare un episodio risalente alla sua vittoria alla 24 Ore di Le Mans, quando si rifiutò di festeggiare per poter subito partire alla volta di Monteleone per presentarsi puntuale all’inizio delle lezioni nella scuola, dove era preside, dal giorno successivo. Il ‘preside volante’ era appunto chiamato Nino Vaccarella, idolo delle folle siciliane che seppe conquistare con le sue gesta l’affetto e l’ammirazione dell’intera isola.


Nella sua lunga storia, la Targa, come d’altronde ogni singola corsa automobilistica, ha dovuto fare i conti anche con tanti incidenti, alcuni purtroppo mortali. Molti generati non soltanto da errori dei piloti o da inconvenienti tecnici, ma dalla troppa foga e passione del pubblico che, per veder passare i loro idoli, si addensava sui marciapiedi e ai bordi delle strade, anche oltre il limite del consentito.


Si ricorda in particolare la scomparsa del conte Giulio Masetti che, nel 1926, a bordo della sua Delage, nel corso del primo giro della corsa sul Medio Circuito delle Madonie, sbandò in una curva uscendo di strada e perdendo la vita sul colpo. In quel luogo, nei pressi di Sclafani Bagni, sorge oggi un cippo che lo ricorda. L’episodio fu significativo anche per una questione cabalistica, in un mondo scaramantico come quello delle corse d’auto. Era la diciassettesima edizione della Targa e il ‘Leone delle Madonie’ - così veniva chiamato Masetti dopo l’affermazione nella Targa Florio del 1920 - portava il numero 13 sulla scocca della sua vettura. Da quel giorno, e ancora oggi, salvo sparuti casi, il numero 13 non appare su nessuna vettura da corsa, dalle categorie minori fino al campionato mondiale di Formula 1.


La Targa Florio fu, per la Sicilia, nei suoi anni di massimo splendore, un motivo di vanto e di interesse che portò all’isola non soltanto notorietà, ma anche numerosi introiti monetari, in quanto fungeva da vetrina internazionale per un territorio ricco di risorse e dal paesaggio meraviglioso. La Targa era il punto di più alto interesse all’interno della manifestazione nota come Primavera Siciliana.


Sulle famose tribune di Cerda, volute proprio da Vincenzo Florio per veder sfrecciare le automobili in tutta sicurezza, si incontravano, nei giorni della manifestazione, nobili palermitani e imprenditori da tutta la penisola, che stipulavano contratti e concludevano importanti affari.


Per quanto si possa definire una corsa, una gara, una competizione, la Targa Florio è ed è sempre stata soprattutto sinonimo di Sicilia. Ha fatto emergere agli occhi del mondo i lati positivi di una terra passionale, ricca di entusiasmo popolare, di bellezze paesaggistiche e di amore per la propria storia e tradizione, non nascondendo però i disagi sociali e i dislivelli culturali di molti dei paesani che affollavano le strade. Oggi purtroppo quell’atmosfera è svanita, le automobili sono diventate troppo potenti e veloci per poter correre in sicurezza tra le vecchie strade madonite, e il Rally che oggi si disputa è un giusto tributo a quelli che sono stati gli anni d’oro di un evento irripetibile.


Se però ci si vuole immergere nell’atmosfera dei tempi che furono, una sorta di porta aperta con il passato, basta recarsi a Collesano, centro agricolo di cinquemila abitanti alle pendici delle Madonie. Fondato grazie alla volontà di un illustre cittadino, Giacinto Gargano, vi è un bellissimo museo, dal quale emergono, in una quiete inusuale per il mondo dei motori, antichi manufatti, documenti, trofei e meravigliose fotografie di quella splendida corsa che ha rappresentato per buona parte del Novecento, il meglio della Sicilia.



 

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