N. 67 - Luglio 2013
(XCVIII)
LA DELEGAZIONE FRANCESE A VIENNA
SULL’AZIONE DIPLOMATICA DI TALLEYRAND
di Piergiorgio Stefanucci
Aperto
ufficialmente
il 1
novembre
1814
e
conclusosi
con
la
firma
dell’atto
finale,
il 9
Giugno
1815,
il
Congresso
di
Vienna
fu
il
più
importante
e
affollato
consesso
di
sovrani
e
governanti
che
si
fosse
mai
visto
in
Europa.
I
lavori
si
svolsero
entro
una
cornice
di
grande
fasto
e
fornirono
l’occasione
per
una
lunga
serie
di
ricevimenti,
segno
tangibile
di
un
ritorno
allo
stile
e ai
modi
di
vita
che
avevano
caratterizzato
l’Ancien
Régime.
Al
Congresso
intervennero
più
di
200
delegazioni,
in
rappresentanza
di
tutti
gli
Stati
europei,
piccoli
o
grandi
che
fossero.
Le
decisioni
più
importanti,
però,
vennero
prese
all’interno
di
un
gruppo
ristretto,
di
cui
facevano
parte
i
delegati
delle
quattro
maggiori
potenze
vincitrici
la
guerra
contro
Napoleone:
il
Ministro
degli
Esteri
Castlereagh
per
la
Gran
Bretagna,
il
diplomatico
Nesselrode
e lo
Zar
Alessandro
per
l’Impero
Russo,
il
Cancelliere
Hardemberg
per
la
Prussia,
il
Ministro
degli
Esteri
Metternich
per
l’Austria.
In
questo
gruppo
riuscì
a
inserirsi
anche
il
rappresentante
della
Francia
sconfitta,
ossia
Talleyrand
che
era
stato
recentemente
nominato
Ministro
degli
Esteri
per
opera
di
Luigi
XVIII
di
Borbone,
anch’egli
da
poco
incoronato
Sovrano
di
Francia.
Talleyrand
riuscì
a
diventare
uno
dei
protagonisti
del
Congresso
sfruttando
i
contrasti
tra
i
vincitori
e,
un
po’come
era
successo
a
Parigi
qualche
mese
prima,
facendo
valere
a
vantaggio
del
suo
Paese
il
principio
di
legittimità.
In
base
a
questo,
dovevano
essere
innanzitutto
restaurati
i
diritti
“legittimi”
violati
dalla
rivoluzione
e,
dunque,
anche
quelli
dei
Borbone
di
Francia.
Ne
discendeva
che
era
dovere
delle
potenze
vincitrici
fare
della
Francia
monarchica
un
pilastro
del
nuovo
equilibrio
europeo.
Grazie
a
questo
approccio
dettato
dalla
Realpolitik,
il
Paese
d’Oltralpe
si
vide
confermato
il
trattamento
di
favore
ottenuto
dal
primo
trattato
di
Parigi
del
30
maggio
1814.
Prima
di
entrare
nel
merito
dei
lavori
svolti
dal
plenipotenziario
francese
e
dalla
delegazione
da
esso
guidata
all’interno
del
Congresso,
è
opportuno
analizzare
brevemente
il
modo
in
cui
Talleyrand
si
preparò
ad
affrontare
tale
appuntamento,
sulla
scorta
di
alcuni
carteggi
trovati
all’interno
del
suo
studio
in
Rue
Saint
Florentin,
a
Parigi.
Essi
testimoniano
un’intensa
corrispondenza
tra
il
Principe
di
Benevento
e il
Re
Luigi
XVIII.
Quando
il
Ministro
degli
Esteri
francese
fece
richiesta
al
Monarca
di
poter
rappresentare
la
Francia
al
Congresso,
il
Re
non
gli
negò
la
sua
disponibilità
ad
assecondare
questo
desiderio,
a
patto
che
gli
fosse
presentato,
prima
della
partenza,
un
progetto
contenente
l’“Agenda”
che
la
delegazione
francese
avrebbe
dovuto
seguire
al
tavolo
delle
trattative.
Tale
progetto,
senza
dubbio,
avrebbe
anche
rappresentato
lo
spirito
di
ricostruzione
del
quale
il
sovrano
francese
era
intriso
e al
quale
il
suo
capo-delegazione
si
sarebbe
dovuto
ispirare.
La
bozza
di
tali
“Istruzioni
per
gli
ambasciatori
del
Re
al
congresso”
(tale
era
il
nome
dato
al
manoscritto),
venne
realizzata
da
Talleyrand
nel
giro
di
un
mese
e
mezzo.
In
una
trentina
di
pagine
di
stampa
era
contenuta
una
completa
descrizione
di
tutte
le
criticità
politico-diplomatiche
di
quel
momento,
e
per
ognuna
di
esse
erano
presentate
le
strategie
da
attuare
per
arrivare
a
una
loro
soluzione.
La
prima
questione
importante
concerneva
l’individuazione
degli
Stati
che
avrebbero
preso
parte
al
Congresso;
poi,
si
sarebbero
dovuti
fissare
gli
argomenti
che
sarebbero
stati
messi
all’ordine
del
giorno,
la
procedura
e il
metodo
con
cui
tali
questioni
sarebbero
state
discusse;
infine,
la
forma
delle
decisioni
che
sarebbero
state
prese
e il
modo
con
cui
queste
sarebbero
state,
successivamente,
implementate.
Principio
che
avrebbe
funto
da
sostrato
di
tutti
i
dibattiti,
sarebbe
stato
il
principio
di
legittimità.
La
corretta
applicazione
di
questo
avrebbe
risolto,
secondo
Talleyrand,
qualsiasi
dubbio
di
natura
operativa
che
fosse
sorto
durante
i
negoziati.
Nel
seguito
delle
sue
“Istruzioni”,
Talleyrand
toccò
brevemente
ogni
questione
percepita
come
importante
per
la
Francia:
il
futuro
equilibrio
europeo,
la
regolamentazione
del
commercio
degli
schiavi,
la
gestione
delle
colonie,
tracciando
per
ognuna
di
esse
le
linee
della
sua
politca.
Alla
fine
delle
“Linee
guida”,
il
Principe
di
Benevento
elaborò
uno
schema
dei
principali
interessi
“geopolitici”
francesi
in
quel
momento,
ossia:
-
sottrarre
il
Regno
di
Sardegna
dall’egemonia
austriaca;
-
detronizzare
Gioacchino
Murat
e
far
ritornare
Ferdinando
di
Borbone
sul
trono
del
Regno
di
Napoli;
-
evitare
che
la
Polonia
passasse
interamente
sotto
il
dominio
russo;
-
impedire
che
la
Prussia
acquistasse
tutta
la
Sassonia.
Le
“Istruzioni
per
gli
Ambasciatori
del
Re
al
Congresso”
vennero
firmate
nella
loro
versione
definitiva
(e
solo
parzialmente
modificata)
da
Luigi
XVIII,
una
settimana
prima
che
Talleyrand
si
recasse
nella
capitale
austriaca,
il
23
Settembre
1814.
Talleyrand
ottenne
dal
sovrano
la
nomina
a
capo-delegazione
e,
come
tale,
si
adoperò
per
formare
la
rappresentanza
che
lo
avrebbe
accompagnato
e
assistito
nel
corso
delle
varie
trattative
diplomatiche
a
Vienna.
La
sua
scelta
cadde
sul
duca
di
Dalberg,
il
conte
Alexis
de
Noailles
e il
marchese
de
La
Tour
du
Pin-Guvernet.
Come
detto
in
precedenza,
Talleyrand
arrivò
a
Vienna
il
23
Settembre
ripromettendosi
di
far
valere
e di
difendere
instancabilmente
due
principii:
l’uno
è
che
la
sovranità
su
un
Paese
non
può
essere
acquistata
a
seguito
di
conquista,
né
passare
al
conquistatore
se
il
sovrano
non
gliene
fa
cessione
(vedi
principio
di
sovranità
nazionale);
l’altro
è
che
nessun
titolo
di
sovranità
ha
valore
per
gli
altri
Stati
se
non
in
quanto
essi
l’hanno
riconosciuto
(il
cosiddetto
riconoscimento
internazionale).
Tutto
ciò,
praticamente,
si
tradusse
nel
fatto
che
i
Paesi
che
erano
stati
annessi
alla
Francia,
nel
corso
delle
campagne
di
espansione
rivoluzionarie
prima,
e
napoleoniche
poi,
tramite
un
atto
unilaterale,
è
come
se
non
avessero
mai
perso
la
loro
sovranità
e
dovevano
quindi
essere
restituiti
ai
legittimi
Sovrani/Governi.
Se
tale
questione
risultava
essere
abbastanza
chiara
in
linea
di
principio,
grandi
difficoltà
sorgevano,
invece,
sulle
modalità
con
cui
disporre
dei
Paesi
rimasti
senza
Sovrano
o
perché
questi
vi
aveva
rinunciato
o
perché
era
deceduto.
Poiché,
come
detto
in
precedenza,
la
conquista
non
creava
sovranità,
le
quattro
potenze
alleate
(Austria,
Russia,
Prussia,
Gran
Bretagna)
non
potevano
trasferire
a un
nuovo
Sovrano
una
sovranità
che
non
possedevano.
Ciò
voleva
dire
che
tale
sovranità
doveva
essere
creata
ex
nihilo.
Talleyrand
proponeva
una
semplice
soluzione:
la
sorte
dei
Paesi
rimasti
senza
Sovrano,
doveva
essere
decisa
da
tutti
i
Paesi
europei
invitati
a
partecipare
al
Congresso
e
non
da
un
gruppo
ristretto
di
Stati.
La
richiesta
di
Talleyrand,
però,
venne
disattesa
e,
in
pratica,
le
quattro
corti
alleate,
qualche
giorno
dopo
l’arrivo
del
capo-delegazione
francese
a
Vienna,
decisero
che
solo
esse
avrebbero
potuto
riassegnare
i
Paesi
rimasti
senza
Governo/Sovrano
dopo
la
pace
di
Parigi.
Gli
altri
Stati,
Francia
e
Spagna
escluse,
sarebbero
stati
ammessi
ai
colloqui,
potendo
intervenire
nelle
discussioni,
per
dare
il
loro
parere
e
presentare
eventuali
obiezioni,
che
sarebbero
poi
state
discusse.
Peraltro,
la
Francia
non
aveva
mezzi
per
opporsi
legittimamente
a
questo
atto
di
forza
delle
quattro
corti
vincitrici
dal
momento
che,
nel
trattato
di
Parigi
del
30
maggio,
era
stato
inserito
un
articolo
segreto
il
quale
diceva
chiaramente
che
la
disposizione
dei
territori
sarebbe
stata
regolata
al
Congresso
sulle
basi
fissate
dalle
potenze
alleate
vincitrici.
Si
addivenne
comunque
a un
compromesso,
concedendo
anche
ai
due
Paesi
precedentemente
esclusi
la
possibilità
di
partecipare
alle
discussioni
ma
solo
qualora
le
altre
parti
fossero
già
giunte
a un
accordo
di
massima
tale
da
formare
un
fronte
unito
di
fronte
al
quale,
in
pratica,
la
Francia
avrebbe
potuto
fare
ben
poco.
Il
30
settembre
1814,
Talleyrand
venne
invitato
dal
Metternich
a
una
conferenza
alla
quale
avrebbero
partecipato
anche
i
rappresentanti
di
Russia,
Gran
Bretagna
e
Prussia.
Tale
incontro
aveva
lo
scopo
di
mettere
al
corrente
i
delegati
di
Francia
e
Spagna
di
quanto
le
potenze
alleate
avevano
deciso
fino
a
quel
momento.
Austria,
Prussia,
Russia
e
Gran
Bretagna
proponevano
che
i
punti
da
regolare
da
parte
del
Congresso
dovessero
essere
distinti
in
due
tipologie:
generali
e
particolari.
Per
ciascuna
doveva
essere
costituito
un
comitato
(che
definiremmo
oggi
di
“Saggi”)
al
quale
gli
Stati
interessati
avrebbero
potuto
rivolgersi
per
esprimere
i
propri
dubbi/perplessità;
quando
i
due
comitati
avessero
compiuto
il
loro
mandato
esplorativo,
si
sarebbe
convocato
ufficialmente
il
Congresso.
Talleyrand
accolse
con
una
certa
diffidenza
tale
proposta,
dal
momento
che
essa
aveva
lo
scopo
di
rendere
le
quattro
potenze
alleate
padrone
assolute
di
tutte
le
operazioni
dell’assemblea,
lasciando
Francia
e
Spagna
ai
margini.
Per
questo
motivo,
qualche
giorno
dopo,
egli
inviò
una
nota
ai
rappresentanti
delle
cinque
potenze
(Spagna
inclusa)
in
cui
sostenne
che
solo
il
Congresso
in
sessione
plenaria
avrebbe
avuto
piena
facoltà
di
decisione,
indistintamente,
su
qualsiasi
questione.
Le
otto
potenze
firmatarie
del
trattato
del
30
maggio,
invece,
avrebbero
dovuto
avere
solo
la
qualità
di
commissione
incaricata
a
preparare
i
vari
ordini
del
giorno
da
discutere
e,
nel
caso
lo
si
fosse
ritenuto
opportuno,
di
formare
comitati
ad
hoc
per
la
trattazione
di
alcune
questioni
più
specifiche.
Essenzialmente,
il
pensiero
di
Talleyrand
a
tal
proposito
era
che
l’Europa
costituisse
un
sistema
di
Stati
che
avevano
la
necessità
di
vivere
in
un
certo
rapporto
di
equilibrio
che
non
doveva
essere
imposto
solo
da
un
gruppo
di
Stati
più
potenti
ma
che
doveva
corrispondere
alle
necessità
vitali
di
tutti,
vincitori
e
vinti.
In
seguito,
Talleyrand
venne
convocato
per
un
colloquio
privato
da
Metternich.
Si
stava
lentamente
affermando
quella
prassi
che
sarebbe
stata
in
seguito
chiamata
dagli
stessi
plenipotenziari
presenti
a
Vienna
“Via
confidenziale”:
per
snellire
e
trattare
più
velocemente
le
varie
questioni
che
sarebbero
poi
state
oggetto
del
concerto
viennese,
i
rappresentanti
delle
varie
potenze
preferivano
riunirsi
in
modo
ufficioso
cercando
di
tovare
punti
di
azione
comuni.
In
tale
occasione
il
plenipotenziario
francese
affermò
che
in
linea
di
principio
la
Francia
non
voleva
nulla
se
non
il
rispetto
di
alcuni
importanti
presupposti
di
fondo
(p.
es.
legittimità,
nazionalità,
equilibrio).
Dopo
di
che,
fece
una
breve
elencazione
di
quanto
egli,
come
rappresentante
della
Francia,
avrebbe
accettato
e di
quanto
avrebbe
rifiutato.
Per
esempio,
si
sarebbe
opposto
alla
“Consegna”
del
Regno
di
Sassonia
alla
Prussia,
né
avrebbe
mai
consentito
che
fossero
dati
alla
stessa
il
Lussemburgo
e
Magonza,
né
avrebbe
mai
accettato
che
i
territori
russi
si
espandessero
oltre
la
Vistola
e le
frontiere
dell’Oder.
Infine,
la
Francia
voleva
la
“detronizzazione”
di
Murat
dal
Regno
di
Napoli
a
favore
della
casa
di
Borbone.
Fatta
eccezione
per
ciò,
il
plenipotenziario
francese
non
si
sarebbe
opposto
a
null’altro.
Inoltre,
vi
fu
uno
scambio
di
progetti
tra
i
due
diplomatici
circa
le
modalità
di
apertura
del
Congresso.
I
due
punti
di
vista
coincidevano,
con
la
sola
differenza
che
Talleyrand
fissava
il
regolamento
per
l’ammissione
al
Congresso,
in
modo
da
escludere
Murat;
Metternich
si
limitava
ad
aggiornare
l’apertura
dei
lavori
del
Congresso
al 1
novembre
senza
aggiungere
nient’altro.
Talleyrand
acconsentì,
a
patto
che
alla
dichiarazione
relativa
all’apertura
ufficiale
del
Congresso
per
il 1
novembre,
si
fosse
aggiunta
una
nota
che
faceva
dipendere
la
legittimità
di
tale
Assemblea
dalla
conformità
o
meno
che
essa
avrebbe
avuto
con
i
principii
di
diritto
pubblico
allora
riconosciuti.
Qualche
giorno
dopo,
i
rappresentanti
di
Austria,
Prussia,
Baviera,
Hannover
e
Wurtemberg
si
riunivano
per
decidere
sul
futuro
della
Germania
(all’epoca
frammentata
in
139
entità
politico-statuali).
Si
decise
che
bisognava
costituire
un
comitato
con
l’incarico
di
preparare
la
Costituzione
tedesca.
Era,
all’atto
pratico,
una
presa
di
iniziativa
da
parte
delle
cinque
corti
germaniche
più
potenti
sull’avvenire
dell’intero
Paese,
escludendo
così
da
ogni
decisione
i
piccoli
Stati
federati
e il
Congresso
intero.
Ciò
inquietava
molto
Talleyrand
che,
nell’eventuale
unità
della
Germania,
vedeva
un
pericolo
per
l’incolumità
futura
della
Francia.
Altra
questione
delicata,
che
vedeva
un
Talleyrand
determinato
a
non
cedere,
riguardava
l’eventuale
soppressione
o,
meglio,
“neutralizzazione”
della
Sassonia.
Essa,
per
il
diplomatico
francese,
doveva
rimanere
quale
Stato
autonomo.
Nei
fatti,
Talleyrand
cercava
degli
alleati;
se
non
riusciva
a
trovare
tale
appoggio
da
parte
di
Metternich,
che
si
era
dimostrato
troppo
remissivo
alle
richieste
russe
e
prussiane
circa
il
sacrificio
della
Sassonia
(sarebbe
stata
inglobata
dalla
Prussia
per
ottenere
parte
della
Polonia),
trovò
invece
l’appoggio
di
Castlereagh.
Il
30
ottobre,
i
rappresentanti
delle
otto
potenze
firmatarie
del
trattato
di
Parigi
si
riunirono
e
decisero
che
una
commissione
di
tre
plenipotenziari
avrebbe
cominciato
a
operare
per
quanto
riguardava
le
questioni
di
interesse
più
generale.
Talleyrand
volle
proporre,
in
aggiunta,
che
tale
commissione
venisse
allargata
di
lì a
breve,
a
tutte
le
corti
imperiali,
reali
e
alla
Santa
Sede.
Inoltre,
sempre
Talleyrand
propose
di
affiancare
alla
commissione
generale
ben
tre
commissioni
speciali:
per
la
Germania,
per
l’Italia
e
per
la
Svizzera.
Le
potenze
firmatarie
del
trattato
di
Parigi
avrebbero
nominato
i
membri
delle
tre
commissioni.
La
proposta
venne
approvata,
seppur
con
qualche
contrasto.
Il 1
novembre
1814
venne
aperto
ufficialmente
il
Congresso
in
via
plenaria
ma
solo
il
13
novembre,
i
plenipotenziari
delle
otto
potenze
firmatarie
del
trattato
del
30
maggio
si
riunivano
per
deliberare
sull’elezione
delle
commissioni
speciali.
Senza
entrare
nel
merito
dei
lavori
portati
avanti
dalle
commissioni
speciali,
è
opportuno
concentrarsi
sull’azione
negoziale
realizzata
da
Talleyrand
circa
le
questioni
che
più
premevano
al
diplomatico
francese:
il
destino
della
Sassonia,
della
Polonia,
del
Regno
di
Napoli
e
della
Confederazione
tedesca.
Dopo
il
rifiuto
che
la
Baviera
aveva
opposto
ad
aderire
a
un’eventuale
Confederazione,
l’Austria
stessa
si
era
dimostrata
disponibile
a
salvare
il
piccolo
Stato.
Anche
la
Prussia
si
stava
facendo
più
conciliante
ma,
proprio
a
questo
punto,
cominciava
a
essere
la
Gran
Bretagna
a
creare
delle
complicazioni.
Quest’ultima,
infatti,
cominciò
a
insistere
affinché
fosse
creata
una
grande
Prussia
che,
alleata
con
l’Austria,
facesse
da
contraltare
a
un’eventuale
alleanza
tra
Russia
e
Francia.
Talleyrand
era
assai
irritato
da
questo
comportamento
immaginando
già
il
danno
e
l’instabilità
che
sarebbe
nata
dall’unione
di
popolazioni
nemiche
tra
loro
all’interno
di
una
Prussia
allargata.
L’Austria
cominciò
a
convertirsi
alla
proposta
francese
di
far
sopravvivere
lo
Stato
di
Sassonia
onde
evitare
un’influenza
troppo
grande
da
parte
della
Prussia
sulla
Confederazione
tedesca.
Altro
avvenimento
cruciale:
Castlereagh
ricevette
dal
governo
di
Londra
l’ordine
di
opporsi
insieme
alla
Francia
e
all’Austria
allo
smembramento
della
Sassonia.
L’atteggiamento
della
Gran
Bretagna
era
mutato
e
Talleyrand
contava
di
trarre
profitto
da
questo
mutamento
in
modo
da
spezzare
l’intesa
tra
le
grandi
Corti
alleate
e
risolvere,
in
un
sol
colpo,
sia
la
questione
sassone
che
quella
polacca.
Talleyrand
aveva
incontrato
Metternich
il
14
dicembre
e
gli
aveva
proposto
di
comunicare
ufficialmente
la
posizione
austriaca
alla
Francia
(in
senso
contrario
allo
smembramento
della
Sassonia),
non
limitandosi
solo
a
una
comunicazione
informale.
Se
fosse
avvenuto
ciò,
l’Austria
avrebbe
indirettamente
dichiarato
di
cercare
l’appoggio
francese
contro
la
Russia
e la
Prussia.
Talleyrand,
come
a
voler
dare
a
tale
comunicazione
un
significato
ancor
più
forte,
porse
tramite
lettera
i
ringraziamenti
ufficiali
della
Francia
all’Austria
dimostrandole
tutto
il
sostegno.
Nella
stessa
lettera
di
ringraziamento,
si
ribadì
il
concetto
che
lo
smembramento
della
Sassonia
avrebbe
creato
un
grave
squilibrio,
pericoloso
sia
per
l’Austria
che
per
la
Confederazione
germanica
stessa.
In
definitiva,
il 3
gennaio
1815
l’Austria,
la
Francia
e
poi
la
Gran
Bretagna
firmavano
una
convenzione
segreta
in
cui
si
impegnavano:
«Ad
agire
di
concerto
in
modo
da
far
sì
che
le
disposizioni
che
dovevano
completare,
nell’esecuzione,
il
trattato
di
Parigi
fossero
effettuate
nel
modo
più
conforme
allo
spirito
del
trattato».
La
Russia,
nel
mentre,
domandò
e
ottenne
il
Ducato
di
Varsavia
eccetto
gli
antichi
distretti
della
Prussia
occidentale
che
la
Russia
consentiva
di
rendere
alla
Prussia;
inoltre
essa
consentiva
a
cedere
all’Austria
una
striscia
di
territorio
sulla
riva
destra
della
Vistola.
Quanto
alla
Sassonia,
Alessandro
dichiarò
che
sarebbe
stato
giusto
sopprimerla
e
incorporarla
totalmente
alla
Prussia.
Alessandro
ottenne
tutto
quello
che
aveva
reclamato
rispetto
alla
Polonia.
Quanto
alla
Sassonia,
l’Imperatore
di
Russia,
il
Re
di
Prussia,
Metternich,
Hardenberg
e
Talleyrand
trovarono
un
accordo
definitivo.
La
Sassonia
sarebbe
stata
divisa
in
due
parti
più
o
meno
uguali.
La
parte
più
popolosa
sarebbe
restata
al
precedente
Re
di
Sassonia
con
tutti
i
confini
lungo
la
Boemia.
Un
po’più
estesa
ma
meno
dotata
di
risorse
economiche
e
del
sottosuolo
sarebbe
stata
la
parte
data
alla
Polonia.
Vista
la
rinata
minaccia
napoleonica
che
sarebbe
durata
per
circa
cento
giorni
e
che
si
sarebbe
conclusa
con
la
battaglia
di
Waterloo,
il
Congresso
di
Vienna,
forse
in
preda
alla
paura
di
un
qualche
risvolto
negativo
che
avrebbe
inficiato
per
sempre
quanto
era
stato
deliberato
fino
a
quel
momento,
sembrò
prendere
nuovo
vigore.
Ed è
grazie
a
questo
“risveglio”
che
le
altre
due
questioni
care
al
Talleyrand
furono
risolte
nel
giro
di
circa
tre
mesi.
Rispetto
alla
questione
tedesca,
l’urgente
necessità
di
una
Confederazione
era
sempre
più
sentita:
la
Prussia
e
l’Austria
si
accinsero
a
preparare
un
progetto
molto
liberale
di
trattato
federale.
Esso:
1)
riconosceva
l’uguaglianza
di
tutti
i
membri
della
Confederazione,
grandi
e
piccoli;
2)
creava
un’assemblea
per
amministrare
gli
affari
della
Confederazione;
3)
manteneva
le
costituzioni
esistenti
e
stabiliva
che
sarebbero
state
create
costituzioni
nuove
dove
non
ne
esistevano.
Infine,
anche
la
“Questione
germanica”
ebbe
una
sua
soluzione.
Il
29
maggio
1815
la
Commissione
incaricata
di
discutere
il
progetto
della
Costituzione
federale,
venne
allargata
a 24
deputati,
uno
per
ogni
sovrano
e
per
ogni
città
libera
tedesca.
Questa
commissione,
nel
giro
di
dieci
giorni,
discusse
e
ratificò
la
Costituzione
germanica
del
1815
e
creò
la
Germania
quale
durerà
fino
al
1866.
Sarebbe
stata
amministrata
da
una
Dieta
federale
che
risiedeva
a
Francoforte
e
contava
diciassette
membri.
L’Austria
aveva
la
presidenza
della
Dieta.
All’atto
pratico,
la
Dieta
federale
subiva
la
preponderanza
delle
autorità
austriaca
e
prussiana.
Per
quanto
riguardava
le
vicende
politiche
interne
all’Italia,
Murat,
forte
della
“Riscossa
napoleonica”
dei
cento
giorni,
cominciò
a
invadere
i
territori
pontifici
e a
marciare
verso
il
Po.
Aveva
però
bisogno
del
sostegno
austriaco
per
poter
attraversare
tali
territori,
presidiati
dalle
truppe
asburgiche.
Questo
appoggio,
grazie
anche
all’azione
di
convincimento
intrapresa
da
Talleyrand,
il
quale
“calcò
la
mano”
sul
pericolo
che
le
truppe
murattiane
potessero
congiungersi
con
quelle
napoleoniche,
rendendo
la
controffensiva
delle
altre
potenze
europee
ben
più
complessa,
venne
a
mancare.
Anzi,
venne
dichiarata
guerra
a
Murat
il
quale,
con
la
firma
del
Trattato
di
pace
di
Casalanza,
accettava
di
deporre
la
corona.
Talleyrand
e
Luigi
XVIII,
in
pratica,
avevano
vinto;
il
Regno
di
Napoli
(dal
1816
cambiò
nome
in
Regno
delle
Due
Sicilie)
era
ricostituito
sotto
l’antica
dinastia
borbonica
rappresentata
da
Re
Ferdinando
IV
(da
allora
Ferdinando
I).
Per
il
resto
delle
questioni
riguardanti
l’Italia,
Talleyrand
si
rimise
a
quanto
deciso
dall’assemblea.
Finiti
i
lavori
del
Congresso,
il 9
giugno
1815,
sette
delle
otto
potenze
che
avevano
firmato
a
Parigi
il
Trattato
del
30
maggio
del
1814
sottoscrissero
il
celeberrimo
Trattato
di
Vienna
da
tutti
considerato
come
una
delle
“Pietre
angolari”
della
dimplomazia
del
XIX
secolo.
Charles
Maurice
Talleyrand-Périgord
aveva
contribuito,
con
la
sua
lungimiranza
politica,
a
far
sì
che
i
lavori
del
Congresso
non
asumessero
una
posizione
di
“stallo”,
riuscendo
a
vincere
la
diffidenza
che
gli
altri
Stati
provavano
verso
la
Francia
e,
al
contempo,
a
trarre
vantaggio
dai
contrasti
che
erano
presenti
tra
le
poteze
della
coalizione
anti-napoleonica.
Punto
di
forza
dell’azione
politico-diplomatica
di
Talleyrand
al
Congresso
fu,
al
contrario
di
quanto
avrebbero
voluto
fare
inizialmente
i
rappresentanti
delle
altre
grandi
potenze
presenti,
considerare
la
sola
Assemblea
e
non
vari
gruppi
ristretti,
come
unico
organo
“autorizzato”
a
prendere
delle
decisioni
vincolanti,
facendosi
portavoce
di
tutti
gli
Stati
d’Europa.
Ciò
arginò
tutte
le
tendenze
estremistiche
e di
puro
tornaconto
personale
che
altrimenti
avrebbero
avuto
il
sopravvento,
a
detrimento
della
Francia
stessa.
È
innegabile,
comunque,
che
tali
capacità
sarebbero
state
vane
nell’ambito
della
Restaurazione
se
non
fossero
state
affiancate
dall’altrettanta
lungimiranza
di
altri
personaggi
come
Luigi
XVIII,
lo
Zar
Alessandro
e
Metternich.
Anche
quest’ultimi
capirono
che
la
Francia
non
poteva
essere
semplicemente
oggetto
delle
ritorsioni
ma
necessitava
di
un
trattamento,
per
così
dire,
di
favore,
dovuto
alla
sua
innegabile
importanza
anche
sotto
un
punto
di
vista
militare,
economico
e,
più
semplicemente,
geografico.
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