N. 38 - Febbraio 2011
(LXIX)
Taiwan l’irredentismo cinese
Tensioni irrisolte
di Giuseppe Cursio
Uno
degli
avvenimenti
internazionali
più
importanti
dell’ultimo
ventennio
è
senz’altro
l’unificazione
della
Germania.
La
fine
della
Guerra
fredda
(1989)
e la
susseguente
scomparsa
del
bipolarismo
internazionale
- o
della
divisione
del
mondo
in
base
al
criterio
delle
sfere
d’influenza
e
delle
orbite
di
controllo
strategico
dei
due
blocchi:
quello
a
direzione
comunista-sovietico
e
quello
americano-atlantico
-
crearono,
infatti,
i
presupposti
politici
per
la
nascita
di
un
unico
Stato
tedesco.
In
Asia
Orientale,
invece,
rimangono
aperte
due
«questioni
di
unificazione
nazionale»
che
riguardano
la
Cina
e la
Penisola
di
Corea
e
alle
quali
è
rivolto
l’interesse
degli
altri
Stati
della
regione.
In
particolare,
il
problema
dell’indipendenza
politico-territoriale
dell’isola
di
Taiwan
(anche
Formosa)
continua
oggi
a
essere
oggetto
di
analisi
e
argomentazione
di
studiosi
che
si
occupano
di
relazioni
internazionali.
La
divisione
de
facto
di
Taiwan
dal
resto
della
Cina
continentale
risale,
infatti,
alla
fine
della
seconda
guerra
mondiale,
quando
i
comunisti
di
Mao
Zedong
apparvero
come
i
veri
liberatori
dall’occupazione
giapponese
(1937-1945).
Era
accaduto
anche
che
Chiang
Kai-shek,
il
capo
del
Kuomindang
(KMT),
il
partito
della
borghesia
nazionale
e
progressista
cinese,
fu
costretto
a
rifugiarsi
sull’isola
di
Taiwan
(1949)
poiché
le
forze
nazionaliste
furono
sconfitte
nella
guerra
civile.
Nell’autunno
del
1950,
la
priorità
accordata
da
Mao
alle
vicende
legate
alla
Penisola
di
Corea
e la
necessità
salvaguardare
la
difesa
territoriale
del
confine
nord-orientale
manciuriano
proiettarono
la
Cina
nella
guerra
di
Corea;
con
o
senza
l’appoggio
militare
dell’Unione
Sovietica.
Egli,
inoltre,
preferì
affrontare
le
forze
americane
lontano
dal
proprio
territorio
per
ragioni
strategiche,
data
la
vicinanza
al
teatro
di
guerra
del
complesso
industriale
di
Daqing
(situato
nella
provincia
dell’Heilongjiang),
dove
si
trova
il
più
grande
giacimento
petrolchimico
del
Paese,
e
per
assicurarsi
gli
aiuti
militari
sovietici.
Però,
prima
di
intervenire
nella
guerra
di
Corea,
Pechino,
desiderosa
di
ripristinare
i
vecchi
confini
territoriali,
aveva
iniziato
i
preparativi
militari
per
la
riconquista
di
Taiwan.
A
causa
del
fallito
tentativo
del
PLA
(Esercito
Popolare
di
Liberazione)
di
occupare
Jinmen
e
Dengbu
(una
piccola
isola
della
provincia
dello
Zhejiang),
il
piano
d’invasione
di
Taiwan
per
liberare
l’isola
dalle
presenza
delle
forze
nazionaliste
fu
rinviato
all’estate
successiva.
Gli
accadimenti
nella
Penisola
di
Corea
avrebbero
modificato
il
panorama
strategico
regionale.
Il
30
giugno
1950,
cioè
cinque
giorni
dopo
lo
scoppio
della
guerra
di
Corea,
Zhou
Enlai,
capo
del
Governo
e
ministro
degli
Esteri
cinese
dal
1949,
anno
della
fondazione
della
Repubblica
Popolare
Cinese
(PRC),
ordinò
al
comandante
della
flotta
navale
XiaoJinguang
di
abbandonare
i
preparativi
militari
ancora
in
corso.
Non
sono
del
tutto
chiare
le
ragioni
strategiche
che
furono
alla
base
della
decisione
di
Pechino
di
difendere
la
Corea
del
Nord
a
discapito
della
liberazione
di
Taiwan.
Probabilmente,
in
quel
momento,
le
postazioni
difensive
di
Taiwan,
soprattutto
per
la
presenza
navale
statunitense,
erano
ritenute
inattaccabili
dal
comando
militare
cinese.
Nei
giorni
conclusivi
della
seconda
guerra
mondiale,
gli
alleati
anglo-americani
acconsentirono
a
che
le
forze
nazionaliste
del
generalissimo
Chiang
Khai-shek
occupassero
«temporaneamente»
Taiwan.
Nel
loro
incontro
nella
capitale
egiziana,
nell’autunno
del
1943,
il
presidente
degli
Stati
Uniti
Franklin
Roosevelt
e il
primo
Ministro
britannico
Winston
Churchill
avevano
accolto,
difatti,
la
sua
richiesta
di
restituire
l’isola,
che
il
Giappone
aveva
annesso
al
suo
territorio
dopo
aver
sconfitto
militarmente
la
Cina
nel
1895,
al
governo
nazionalista
cinese.
Mentre
non
vi
era
alcun
riferimento
al
futuro
status
politico
internazionale
di
Taiwan
sia
nel
documento
finale
della
Conferenza
del
Cairo
sia
nel
successivo
Trattato
di
Pace
di
San
Francisco
(8
settembre
1951)
che
ufficialmente
avrebbe
sancito
la
cessazione
del
controllo
territoriale
dell’isola
da
parte
del
Giappone.
Tuttavia,
grazie
alla
politica
di
distensione
avviata
da
Washington
con
il
leader
comunista
cinese
Mao
Zedong
alla
fine
degli
anni
60’,
Taiwan
avrebbe
lasciato
alla
Cina
il
suo
posto
al
tavolo
del
Consiglio
di
Sicurezza
delle
Nazioni
Unite
(1971)
mentre,
a
Shanghai,
gli
Stati
Uniti
avrebbero
sottoscritto
il
Joint
Communique
of
the
UnitedStates
of
America
and
the
People’s
Republic
of
China
(1972),
che
è
alla
base
della
cosiddetta
«One
China
Policy».
Il
successivo
dissolvimento
dell’Unione
Sovietica
(1991)
e il
collasso
del
sistema
bipolare
internazionale
della
Guerra
fredda
non
hanno
contribuito
alla
distensione
nei
rapporti
tra
i
governi
di
Pechino
e
Taipei
in
ordine
al
«problema
Taiwan»,
che
è
all’origine
della
nascita
del
movimento
irredentista
in
Cina.
Anzi,
la
situazione
nello
Stretto
di
Taiwan
rimane
esplosiva
e
l’eventualità
di
un’escalation
militare
non
può
essere
esclusa
a
priori.
L’ultima
crisi
dello
Stretto
di
Taiwan
che
si
verificò
negli
anni
1995-96,
dopo
quelle
del
1954-55
e
del
1958,
fu
originata
da
una
serie
di
test
missilistici
condotti
dal
PLA
dal
21
luglio
1995
al
23
marzo
1996,
per
cercare
di
intimidire
l’elettorato
taiwanese
che
si
preparava
a
eleggere
per
la
prima
volta
il
nuovo
Presidente
della
Repubblica.
La
maggiore
preoccupazione
di
Pechino
era
legata
al
fatto
che
la
rielezione
di
Lee
Teng-hui
(1988-2000),
segretario
generale
del
Guomindang
e
deciso
assertore
dell’indipendenza
di
Taiwan,
avrebbe
contribuito
inevitabilmente
a
erodere
i
fondamenti
del
princìpio
della
«indivisibilità
della
Cina».
Nel
dicembre
del
1995
il
presidente
americano
Bill
Clinton
(1993-2001)
decise
per
linea
dura
nei
confronti
della
Cina.
Gli
Stati
Uniti
intesero,
così,
ribadire
di
essere
favorevoli
a
una
soluzione
diplomatica
del
«problema
Taiwan»
nonché
vollero
dimostrare
di
essere
un
partner
credibile
per
gli
Stati
alleati
situati
nella
regione.
La
portaerei
USS
Nimitz
raggiunse
le
acque
dello
Stretto
di
Taiwan.
Era
la
prima
volta
che
una
nave
da
guerra
americana
solcava
quelle
acque
dalla
fine
della
guerra
in
Vietnam
(1975).Per
salvaguardare
l’integrità
politico-territoriale
di
Taiwan,
inviarono
una
seconda
portaerei
in
appoggio,
l’Independence,
che
si
trovava
ancorata
nelle
acque
del
Pacifico
Occidentale
(8
marzo
1996).
Alla
fine,
la
diplomazia
scongiurò
il
pericolo
di
un
confronto
militare
tra
Cina
e
Stati
Uniti
nello
Stretto
di
Taiwan.
E i
tentativi
di
intimidazione
della
Cina
si
rivelarono
controproducenti.
L’’odio
verso
la
madrepatria
da
parte
dei
taiwanesi
era
notevolmente
aumentato
mentre,
sul
piano
internazionale,
i
test
missilistici
e le
simulazioni
di
un’invasione
di
Taiwan
da
parte
della
Cina
sarebbero
serviti
al
governo
di
Washington
per
giustificare
gli
sforzi
americani
di
rafforzare
le
«capacità
deterrenti»
di
Taiwan
e
per
rinvigorire
l’alleanza
militare
con
il
Giappone.
La
tensione
nella
regione
asiatica
rimane,
dunque,
molto
alta
come
dimostra
il
tentativo
del
Segretario
alla
Difesa
americano
Robert
M.
Gates
di
convincere
il
governo
di
Pechino
a
cooperare
per
mantenere
la
pace
e la
stabilità
nella
regione
dello
Stretto
di
Taiwan
e
impedire
che
Stati
Uniti
e
Cina
si
confrontino
sul
piano
militare
in
futuro.
Pechino
non
sembra
gradire,
in
particolare,
che
gli
Stati
Uniti
continuino
a
modernizzare
i
sistemi
di
difesa
di
Taiwan.
Le
relazioni
militari
tra
i
due
Paesi
sono
state
interrotte
dal
governo
cinese
nel
gennaio
di
quest’anno
a
seguito
della
conferma
da
parete
dell’amministrazione
Obama
della
vendita
al
governo
di
Taipei
di
armi
per
un
valore
di
6.4
milioni
di
dollari.
E,
non
sembra
per
il
momento
che
vi
siano
i
presupposti
per
una
ripresa
immediata
dei
contatti
tra
le
parti,
alla
luce
anche
delle
ultime
dichiarazioni
del
portavoce
del
Dipartimento
di
Stato
americano
Philip
Crowley.
Il
problema
della
vendita
delle
armi
al
governo
di
Taipei
per
scopi
difensivi,
come
prevede
il
Taiwan
Relations
Act(TRA),
causa
forti
tensioni
nei
rapporti
tra
Cina
e
Stati
Uniti
poiché
è
uno
strumento
di
pressione
politica
utilizzato
da
Washington
per
contenere
la
crescente
influenza
cinese
in
Asia
Orientale.