contemporanea
cent’anni
di la coscienza di zeno
SUL CAPOLAVORo DI ITALO SVEVO
di
Riccardo Renzi
Il presente lavoro intende indagare l’evoluzione
nella narrativa piscologica, come frutto delle nuove
teorie di inizio del Novecento, avvenuta grazie
all’apporto dell’opera di Svevo. Quali risvolti a
cent’anni dalla pubblicazione?
Italo Svevo, pseudonimo di Ettore Schmitz,
costituisce uno dei casi più singolari della
letteratura italiana di tutto il Novecento. Iniziò a
dedicarsi alla narrativa solo dopo i trent’anni, poi
sparì per un ventennio e riapparse sulla scena
letteraria europea solo qualche anno prima della
morte. Svevo nacque a Trieste il 19 dicembre 1861 da
una famiglia ebraica benestante, il padre
commerciante d’origine tedesca e la madre friulana.
Trascorse la sua giovinezza studiando materie
tecniche commerciali e frequentando scuole sia in
Germania che a Trieste. Nel 1880 iniziò a lavorare
presso la filiale triestina di una banca Viennese,
ma il lavoro impiegatizio non lo esaltava molto e
continuò a coltivare la sua passione per la
letteratura.
Nel 1892 pubblicò il suo primo libro Una vita,
ma l’opera non ebbe il successo sperato. Nel 1896 si
sposò con la cugina Livia Veneziani. Ettore Schmitz
nel 1898 pubblicò la sua seconda opera, Senilità
e, come il primo romanzo, risultò un insuccesso.
Nel 1907 conobbe lo scrittore irlandese James Joyce
suo insegnante d’inglese e l’opportunità di
confrontarsi direttamente con uno scrittore
affermato, suscitò in Svevo nuovi stimoli, così
forti da riavvicinarlo alla scrittura. Durante la
prima guerra mondiale iniziò a studiare le teorie
della psicoanalisi di Freud, fondamentali per la
stesura di La coscienza
di Zeno. Il 13 settembre del 1928 Italo
Svevo morì per insufficienza cardiaca causata da un
violento incidente stradale, avvenuto nei pressi di
Motta di Livenza.
L’opera di Svevo racchiude in sé sia
cronologicamente, che letteralmente parlando, il
vecchio e il nuovo, cioè sia gli schemi
ottocenteschi che le innovazioni di primo Novecento.
All’Ottocento appartengono le sue prime due opere:
Una vita (1892) e Senilità (1898).
Protagonista della prima è Emilio Brentani,
impiegato tediato dal lavoro che cerca un riscatto
letterario, mentre del secondo è Alfonso Nitti,
pensionato annoiato. In queste due opere sono
palesemente racchiusi tutti gli schemi della
letteratura Ottocentesca, quella naturalistica e
quella verista. Dalle due opere emerge un’attenzione
alle minuzie dei particolari ambientali e
caratteriali, la quale esploderà definitivamente in
La coscienza di Zeno.
Da notare il gusto attento con cui è reso Trieste
nella varietà delle stagioni e nelle diverse ore del
giorno. Ma tutto ciò per l’autore è circostanziale e
circoscritto, in quanto trova senso solo se provoca
mutamenti d’animo nel protagonista. Ecco la grande
novità introdotta da Svevo, la relazione tra
personaggio e realtà, che non è più scissa, ma
diventa un unicum: qui si vede tutto lo Svevo
alunno di Joyce e intriso di psicoanalisi freudiana.
Inoltre entra in gioco un ulteriore elemento della
psicoanalisi: l’autoinganno. Infatti sia Alfonso
Nitti che Emilio Brentani, incapaci di affrontare e
vivere attivamente la realtà, si autoingannano,
mistificano platealmente la loro sconfitta. Il ruolo
dello scrittore sta proprio nello smontare questo
complesso meccanismo di menzogne, come un deus ex
machina della commedia greca e latina. Nitti si
rifugia costantemente nei suoi mondi fantastici per
celare un’inettitudine innata e intrinseca del
personaggio stesso. Brentani pensa invece di essere
un vincente e di avere artigli dotati per aggredire
la linfa della vita, ma anche lui vive un enorme
autoinganno.
Alla fine vince sempre la vita, poiché essa è realtà
tangibile, mentre l’autoinganno è mera illusione.
Svevo fin dalle prime pubblicazioni ha già
l’atteggiamento di un fine sociologo e perspicace
psicologo, attento al modo di atteggiarsi dell’uomo
di fronte alla realtà. Gli schemi narrativi in Svevo
divengono secondari e spesso si sfaldano, quasi
disintegrano, proprio in ciò risiede il rinnovamento
narrativo sveviano rispetto agli schemi
tradizionali.
«Sul finire dell’inverno del 26’, in un mattino
quasi primaverile, un signore piuttosto anziano, non
alto, alquanto corpulento, ma elegante, si era
fermato d’innanzi all’ingresso del Teatro della
Scala, a Milano, per leggere il manifesto del
Lohengrin […] Il signore anziano somigliava a un
ritratto dell’industriale triestino Ettore Schmitz
[…]».
Queste le parole utilizzate da Eugenio Montale per
descrivere lo scrittore triestino. Perché esse sono
tanto significative? Poiché Montale descrive Svevo
proprio come lo scrittore triestino descriverebbe
uno dei suoi personaggi. Montale ci si fermò a
chiacchierare e si accorse immediatamente della
somiglianza tra Svevo e i suoi personaggi: «in
lui era tutto sveviano […] tale restò fino alla
morte».
La domanda sorge spontanea, chi aveva incontrato
Montale, Ettore Schmitz o Italo Svevo, alter ego
ed esso stesso personaggio di narrativa?
Montale fece una considerazione perspicace, cioè che
solitamente il corpo anagrafico non si identifica
mai con lo scrittore, ma con Svevo era da fare un
discorso a parte, lui stesso è personaggio e
soggetto narrativo. Però la vera presenza di Svevo
nella sua opera si fa dominante solo con il suo
terzo romanzo: La coscienza di Zeno. Qui i
moduli narrativi tradizionali vengono abbandonati
definitivamente.
Zeno Cosini non è altro che una copia di Nitti o
Brentani, con la grande differenza che ora il
romanzo assume quella struttura narrativa perfetta
per accogliere un’opera di psicologia introspettiva.
Il protagonista sveviano ha finalmente un suo
palcoscenico. Narrando oggi i fatti di ieri, il
protagonista scardina le categorie temporali, in
quanto il fatto e l’accaduto o accidente, non
costituiscono più una realtà definitiva. Svevo,
restando in anonimato, rivoluziona radicalmente la
narrativa italiana, con grandi ripercussioni sul
panorama europeo.
Riferimenti bibliografici:
S.
Guglielmino, Guida al Novecento, Principato
Editore, Milano 2014.
E. Montale, Poesia e società, in Corriere
d’Informazione, 21 febbraio 1946.
I. Svevo, La coscienza di Zeno, a cura di
Mario Lunetta, Newton Compton, Roma 2008. |