++++

 

[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 157 / GENNAIO 2021 (CLXXXVIII)


attualità

UNA NUOVA BASE NAVALE RUSSA IN SUDAN

PROVE TECNICHE DI HARD POWER

di Gian Marco Boellisi

 

Con il passare dei decenni la capacità di proiettare la propria influenza verso i mari e gli oceani è sempre più diventata una componente essenziale per ogni nazione che voglia definirsi “potenza”, sia essa regionale o globale. Consci di quanta importanza abbia da sempre rivestito il mare nelle scelte strategiche, innumerevoli attori nel corso della storia si sono adoperati per presidiare i punti nodali presenti nel nostro pianeta per trarne un vantaggio, politico o economico.

 

Un esempio da manuale sono gli Stati Uniti i quali, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, hanno costruito in svariate zone del globo le proprie installazioni navali militari, consci che un controllo dei flussi commerciali marittimi e in generale delle principali direttrici di navigazione avrebbe portato conseguentemente a una posizione di preminenza tra tutti gli altri attori del contesto internazionale. Questa tendenza è ancora in atto oggi da parte dei più disparati attori globali. Visto il contesto odierno ormai improntato al multilateralismo, non è raro che venga aperta una nuova base militare di un paese in forte espansione politica in un paese terzo. Quando ciò succede, è sempre interessante analizzarne le implicazioni e i possibili risvolti futuri. Ed è proprio ciò che è accaduto recentemente tra la Russia e il Sudan.

 

Il 16 novembre 2020 è stato divulgato da parte del Cremlino un accordo in forma preliminare tra il governo russo e quello sudanese riguardante l’apertura di una base militare navale russa a Port Sudan, sul Mar Rosso. L’accordo è stato ratificato il 10 dicembre e prevede la costruzione di una PMTS (acronimo che sta per “punto di riferimento tecnico materiale”), ovvero una vera e propria base navale gestita da personale militare russo. Da notare il linguaggio elaborato per dire una cosa molto semplice: questo infatti altro non è che un vecchio retaggio sovietico nella dialettica di Mosca, volta a non chiamare basi militari estere con il loro vero nome per evitare di assumere un lessico troppo imperialista.

 

La base risulta essere la prima base navale inaugurata da Mosca dopo il crollo dell’Unione Sovietica e avrà la funzione di centro logistico e manutentivo per le navi in transito nel Mar Rosso. È importante ricordare che la Russia attualmente detiene un’unica base militare al di fuori dei propri confini nazionali, ovvero la base militare di Tartus in Siria, dalla quale Mosca ha gestito l’intera campagna contro lo Stato Islamico e i ribelli anti-governativi siriani. Proprio questa base in passato venne concepita come semplice centro logistico per poi evolversi nel corso del tempo. La storia ci ha mostrato quanto questo concetto sia variato negli ultimi dieci anni e quale possibile futuro possa attendere la base sudanese.

 

L’installazione militare potrà ospitare circa 300 uomini e 4 navi al massimo, le quali potrebbero essere anche a propulsione nucleare. Si sta discutendo anche se vi sarà la possibilità di ancoraggio per sottomarini anch’essi a propulsione nucleare, ma attualmente è un’ipotesi da escludere. Per quanto altisonante e minaccioso ciò possa sembrare, le implicazioni strategiche sono più scarse di quanto si possa pensare.

 

Infatti vista la mancanza di fondi a livello governativo da impiegare per la difesa, la marina russa versa in uno stato non ottimale dal punto di vista operativo. Le navi a propulsione nucleare sono molto poche all’interno del parco navi russo, e quelle presenti sono o in manutenzione o in fase di costruzione. Non è più come in passato, dove la flotta russa (all’epoca sovietica) era al massimo della sua forza e poteva vantare una rosa molto ampia di unità e di raggio d’impiego.

 

La capacità di proiezione russa oggi è molto limitata, sia a causa dello smantellamento militare generale avvenuto all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica sia per i costi elevati di gestione di una marina efficiente e moderna, incompatibile con il bilancio della difesa russo. Un esempio fra tutti, basti pensare che l’unica portaerei russa attualmente operativa, l’Admiral Kuznetsov, risulta essere presso i cantieri di Murmansk dal 2018 per lavori di ammodernamento (la nave fu varata nel 1985) e, a seguito di alcuni incidenti durante i lavori, non si sa quando potrà riprendere il mare.

 

Le restanti unità della marina russa sono navi non di grandissime dimensioni e non completamente aggiornate, nulla a che vedere con le unità statunitensi o quelle in attuale sviluppo della Repubblica Popolare Cinese. Ad aggiungersi a tutto questo vi è anche la mancanza in prospettiva di investimenti sostanziali che possano riportare la flotta a russa a uno status operativo di livello, declassando de facto la marina di Mosca quasi a quella di una potenza regionale piuttosto che globale. Ed è proprio questo uno dei motivi per cui, in mancanza di una flotta di navi adeguata, Mosca si sta attivando soprattutto nell’ultimo decennio a potenziare le basi presenti all’estero (gli esempi attuali sono appunto Siria, Sudan e potenzialmente la Libia di Haftar).

 

La futura base sudanese avrà una concessione per 25 anni e sarà potenzialmente rinnovabile per altri 10. Sebbene sia stata pianificata la costruzione interamente da parte di personale russo, le tempistiche di realizzazione non sono state definite ancora a pieno. Queste infatti dipendono da quanto Mosca sia disposta a investire per portare a termine la costruzione dell’importante opera.

 

Allo stato attuale l’economia russa non versa in una condizione ottimale. Messa sotto stress dalla crisi pandemica, dalle rinnovate sanzioni occidentali e da debolezze strutturali di lungo corso, l’economia di Mosca ha faticato molto negli ultimi anni a tenere il passo, portando anche a un crescente scontento tra la popolazione. Essendo il budget per la difesa russo estremamente inferiore rispetto a molti competitor in ambito internazionale, il Cremlino non ha fatto altro che privilegiare negli ultimi anni alcuni settori d’interesse strategico per trascurarne conseguentemente altri. Basti pensare che i soli lavori di ampliamento e miglioramento della base russa di Tartus in Siria sono pari a circa 41 milioni all’anno. Cifra questa non elevata in termini assoluti, ma di un certo peso su un bilancio statale che non concede molti spazi di manovra.

 

Nonostante queste difficoltà economiche, Mosca riserva ancora qualche asso nella manica. Infatti dove non arriva l’economia vi giunge la diplomazia. Da quel che sappiamo infatti è probabile che la concessione del suolo sudanese verrà ceduta a titolo gratuito con la condizione di ammortare l’intero importo con una serie di forniture belliche e militari che verranno fatte da parte di Mosca nei confronti del governo di Khartum.

 

Per quanto riguarda la scelta del luogo, Port Sudan risulta essere il migliore candidato per questo tipo di installazione. Sia per quanto riguarda la profondità delle acque sia per quanto riguarda la presenza di una struttura portuaria già ben avviata, ’importante scalo sudanese è praticamente l’unico posto dove la marina russa avrebbe potuto installare la propria base nel paese nordafricano. Un fattore di rilievo è costituito anche dal fatto che qui è presente l’unica raffineria sudanese, la quale risulterà in futuro vitale per gli approvvigionamenti di carburante alle navi e all’intera struttura russa.

 

Attualmente si sta discutendo su quali tipologie di sistemi di difesa installerà Mosca nella sua nuova base, se saranno presenti sistemi per la guerra elettronica o se verranno installate delle batterie antiaeree composte dai famosi S-400. La possibilità che spaventa maggiormente gli analisti è la creazione di quelle che vengono chiamate bolle A2/AD, acronimo che sta per Anti-Access/Area Denial.

 

Questa non sarebbe altro che un’area di interdizione di una certa circonferenza all’interno della quale navi e aerei di un’eventuale nazione straniera potrebbero essere neutralizzati dai sistemi missilistici o difensivi presenti al centro della bolla, impendendo così alcuna azione offensiva convenzionale all’interno di quell’area. Di questa tipologia di aspetti strategici si sente molto spesso quando si parla di Cina e di ciò che avviene nel Sud-Est Asiatico. Tuttavia negli ultimi anni stanno iniziando ad affacciarsi numerosi esempi di bolle A2/AD anche in altre aree del mondo.

 

Vi è un acceso dibattito rispetto alla creazione di bolle A2/AD all’interno del Mediterraneo da parte del governo di Mosca. In particolare, si sta discutendo qualora ciò possa avvenire in corrispondenza della base di Tartus in Siria e di una possibile base fittizia in Libia all’interno del territorio del generale Haftar, quest’ultima al momento più un’ipotesi che un’eventualità reale.

 

Tuttavia una bolla similare posta direttamente sul Mar Rosso avrebbe tutt’altra valenza strategica. Infatti qui siamo a ridosso di uno dei cosiddetti “choke points” del commercio globale, ovvero uno dei colli di bottiglia attraverso i quali, volenti o nolenti, passano la maggior parte delle rotte commerciali mondiali. La base russa si troverebbe infatti proprio in mezzo tra lo Stretto di Suez e il Golfo di Aden, entrambi percorsi di passaggio vitali per tutti rifornimenti energetici e non solo che viaggiano verso il Vecchio Continente.

 

La costituzione di una bolla A2/AD in quest’area potrebbe portare potenzialmente non pochi problemi un domani in un’ottica di competizione strategica con altre potenze occidentali. Andando oltre questa eventualità, che costituirebbe senz’altro un “worst case scenario”, vi è il rischio concreto che nei prossimi anni il bacino del Mediterraneo e alcune zone limitrofe possano essere un dedalo di aree di interdizione russe, con tutto il carico politico che una strada del genere comporta. Scenari possibilistici a parte, è molto più probabile che la nuova base russa sudanese costituirà meramente un punto di rifornimento per la navi russe in viaggio nonché un punto d’appoggio per il florido mercato delle armi che la Russia ha sviluppato nel corso degli ultimi anni in tutta l’Africa e al quale tiene particolarmente nell’ottica di un’influenza politica verso le nazioni del continente nero.

 

A testimonianza di quanto il Sudan stia diventando sempre più negli ultimi anni polo di passaggio per gli interessi più disparati, a Haidob, ovvero a circa 60 km di distanza a nord da Port Sudan, la Cina sta costruendo un porto intero che servirà in futuro come snodo regionale per la Nuova Via della Seta. La struttura è costruita dalla China Harbor Engineering Co. e sarà dedicata al trasporto di bovini, ovini e cammelli verso i mercati asiatici, oltre che all’importazione e alla distribuzione di merci provenienti dalla Cina.

 

Visto l’enorme interesse strategico della zona, non è improbabile che Pechino investa molto in questa struttura, fornendovi anche supporto logistico tramite la vicina base militare che la Repubblica Popolare Cinese possiede nello staterello di Gibuti. Come si può vedere, nonostante quest’area sia dimenticata dalla maggior parte dell’opinione pubblica, gli interessi di molte nazioni convergono proprio qui.

 

I rapporti tra Sudan e Russia non si sono sviluppati recentemente, ma sono un qualcosa che proviene da lontano. Le relazioni tra i due stati sono sempre state molto cordiali e negli ultimi anni hanno subito un’accelerazione non indifferente, in particolare tra il 2017 e il 2019, anni in cui è stata siglata tutta una serie di accordi di cooperazione militare. La costruzione della base navale giunge quindi a coronamento di un rapporto profondo. Da anni infatti il Cremlino ha cercato di stabilire un presidio navale nell’area, fallendo reiteratamente. Dopo aver tentato con Eritrea e Somaliland, ora la porta del Sudan ha finalmente avuto successo.

 

La concessione per la costruzione della base può anche essere interpretata come un ringraziamento da parte di Khartum verso Mosca per aver supportato, o quanto meno non ostacolato, i militari al potere. Infatti, a seguito del colpo di stato che ha destituito il dittatore al-Bashir nel 2019, vi fu una grande incertezza su che direzione dovesse prendere il paese. I militari, forti di un potere pluridecennale, presero quindi le redini dello stato lasciando poco spazio alle restanti forze politiche. A seguito di questi eventi la Russia si mantenne distante e in una maniera abbastanza velata impedì che interferenze esterne agissero nel paese nordafricano, tutelando la nuova giunta militare da possibili ingerenze esterne e/o occidentali. Era scontato che prima o poi i militari avrebbero dovuto pagare il conto per quanto offerto da Mosca.

 

Mettendo per un attimo da parte la questione con il Sudan, ciò che si è notato negli ultimi anni è un’intensificazione dei rapporti tra Russia e molti stati africani, specialmente concentrati in Africa centro-orientale. Nonostante questa importante tendenza, non è più come ai tempi dell’Unione Sovietica, quando Mosca deteneva basi militari in Somalia, Etiopia o Yemen e guadagnava consensi con la sua retorica di partito. Oggi l’approccio è molto diverso, ma non per questo meno efficace. Infatti la presenza russa può essere testimoniata in vari paesi sotto forma di accordi commerciali, di acquisizioni di armi e sistemi di difesa, di accordi per l’utilizzo di addestratori militari o per l’impiego di contractors negli scenari più caldi della regione. In cambio di tutti questi servizi Mosca ottiene importanti concessioni nell’ambito petrolifero e minerario, le quali sono essenziali per far muovere l’economia russa.

 

Tuttavia, oltre alle mere ragioni economiche, la presenza russa in quest’area del mondo è stata anche orientata a un accrescimento dell’influenza politica a livello internazionale. Non è infatti un segreto che, a seguito dell’intervento nel conflitto ucraino, lo spazio di manovra russo in Europa e anche parzialmente in tutta l’area degli ex Stati Indipendenti si sia ridotto in maniera considerevole. Isolata dagli stati occidentali e messa all’angolo in molti scenari, Mosca non ha potuto fare altro che cercare altrove delle alternative ai propri partner esteri. Ed è stata proprio l’Africa uno dei luoghi dove sono stati trovati numerosi governi pronti a collaborare con la Russia, la quale ha dovuto peraltro solamente rinsaldare vecchi rapporti di amicizia già in piedi dai tempi dell’Unione Sovietica.

 

Un’ultima osservazione è doveroso farla per quanto riguarda il maggior potenziale competitor di Mosca in quest’area, ovvero la Turchia. Infatti, da quando Ankara ha ripreso a espandersi politicamente e militarmente negli ultimi anni, la presenza turca nei più vari scenari mediorientali e africani non ha fatto altro che moltiplicarsi.

 

L’influenza della Turchia ormai non è più trascurabile e più di una volta si sono viste le forze turche entrare in campo, complicando ulteriormente conflitti e crisi internazionali già dannatamente complicate. La base russa di Port Sudan si va a inserire all’interno di una fitta rete di paesi alleati con la Turchia, quali la Somalia e il Qatar. Quindi si ritiene che anche qui, con le dovute condizioni al contorno, si potrebbero venire a creare equilibri instabili tra le due potenze, analogamente a quanto ancora oggi presente in Siria, Libia o nel Caucaso.

 

Voci di corridoio affermano addirittura che i russi sarebbero riusciti a sottrarre la concessione della base di Port Sudan proprio ai turchi, i quali stavano corteggiando la giunta militare di Khartum ormai da qualche mese. Se così fosse, il Cremlino avrebbe impedito di creare una basa stabile ai turchi sul Mar Rosso, cosa che avrebbe turbato il sonno di non poche cancellerie nel mondo, occidentali in primis.

 

In conclusione, l’accesso al mare e alle principali rotte commerciali globali è sempre stato uno degli obiettivi della Russia, sia in epoca sovietica sia ora nell’era di Vladimir Putin. Per quanto difficoltà economiche e strutturali dell’esercito rallentino in varie occasioni le ambizioni russe, Mosca continua a espandere la propria sfera d’influenza in ogni area geopolitica possibile, agendo in sincrono (per ora) con gli alleati cinesi e riempiendo i vuoti lasciati dalle controparti occidentali.

 

La nuova base in Sudan sarà sicuramente un’occasione per proiettare il raggio d’azione di Mosca verso nuovi mercati e nuove opportunità geo-strategiche, ma bisognerà vedere se lo sforzo economico e politico che porterà alla sua costruzione sarà sostenibile dalla Russia all’indomani della pandemia e soprattutto all’interno di un contesto internazionale in cui gli alleati su cui fare affidamento sono sempre meno.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]