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FILOSOFIA, RELIGIONE


N. 6 - Giugno 2008 (XXXVII)

IL SUBORDINAZIONISMO PRE NICENO
storia di un dio minore?

di Francesco Arduini

 

STORIA E TEOLOGIA


E' molto facile per uno storico, soprattutto del cristianesimo, commettere l'errore di oltrepassare il limite che separa la sua figura professionale da quella di un teologo. La tentazione di “piegare” la Storia alla Teologia è forte non meno di quella che vorrebbe vedere la Teologia dipendere dai soli eventi storici. Non è oggetto di questa mia trattazione esprimere giudizi sul dogma della Trinità né commentarne lo sviluppo teologico attraverso i secoli e i concilii. La Teologia non dipende dalla visione storica degli eventi. Il suo compito è quello di sviluppare elaborazioni teoretiche circa materie dogmatiche, e tra queste rientra indubbiamente l'unità ontologica delle tre ipostasi divine. Intendo invece esaminare, da un punto di vista storico, il pensiero dei Padri della Chiesa in merito alla loro concezione della divinità del Cristo mostrando come il subordinazionismo fosse una credenza comune ai Padri anteniceni, credenza secondo la quale il Dio Figlio è ritenuto inferiore al Dio Padre. Noteremo come tale subordinazionismo, per alcuni Padri ed apologisti, non era concepito solo come di tipo “economico” ma anche come subordinazionismo “ontologico”.

IL SUBORDINAZIONISMO


Alcuni dizionari teologici definiscono il subordinazionismo come quella credenza che “assegna una inferiorità d’essere, di stato o di ruolo, al Figlio o allo Spirito Santo all’interno della Trinità”. O come una particolare visione del Figlio “privo del pieno possesso della essenza divina” o, ancora, come la dottrina secondo la quale “il Figlio è inferiore al Padre in essenza e in stato”. In definitiva, il subordinazionismo è quella tendenza teologica comune ai Padri anteniceni secondo la quale il Logos è ritenuto inferiore al Dio Padre.


I patristici tendono a distinguere due tipi di subordinazionismo: quello che afferma che il Figlio è subordinato al Padre in relazione alla sua missione e funzione ma che le tre persone divine sono identiche in essenza e potenza. Quindi un subordinazionismo di tipo “economico”.
quello che ritiene il Figlio una creatura, qualunque sia la sua sovraeminenza in rapporto alle altre. Quindi un subordinazionismo di tipo “ontologico”.

Giudicando queste due definizioni di subordinazionismo con il complesso di categorie messe a punto a partire dal concilio di Nicea, ne risulta che il primo è considerato ortodosso e il secondo eretico.
Il punto fermo di questa analisi è che nel cristianesimo preniceno, il subordinazionismo era quasi universalmente accettato. Quello che desidero approfondire è se i vari Padri della Chiesa e gli apologisti che insegnarono il secondo tipo di subordinazionismo, quello ontologico, lo fecero a motivo della loro inesperienza teologica e/o delle loro inadeguate elaborazioni concettuali. In sostanza:

il subordinazionismo fu il frutto di un errore teologico o rispecchiava il concetto di divinità degli autori in questione?
la loro scelta di utilizzare certe categorie filosofiche greche per spiegare l'ontologia del Logos fu un errore o si confaceva meglio a ciò che credevano?

Alcuni degli apologisti che più hanno contribuito al formarsi dell'ontologizzazione della cristologia, furono Giustino, Clemente Alessandrino, Quinto Settimio Fiorente Tertulliano e Origene.

GIUSTINO MARTIRE (110-165 d.C.)


Significativo, per il pensiero di Giustino, è il commento di Giuseppe Visonà:
“… il quadro da cui Giustino desume e in cui mantiene la nozione di Logos è di natura essenzialmente cosmologica, vale a dire che il Logos esplica funzioni di mediatore tra Dio (di cui salva l’assoluta trascendenza) e l’universo (di cui è principio di intelligibilità e di ordine). [in Giustino] non appare sufficientemente salvaguardata la distinzione tra il Padre e il Figlio, il quale ultimo, appunto, sembra assumere sussistenza propria solo in quanto "emesso" dal Padre in vista della creazione … proprio la funzione che egli assume una volta emesso lo colloca in una posizione d’inferiorità rispetto al Padre (subordinazionismo). A questa impostazione i cristiani (da Giustino a Clemente a Origene) furono indotti dall’attrazione esercitata su di loro (anche come possibile via per rendere appetibile il cristianesimo all’ambiente pagano) della nozione di "Dio secondo", diffusa nel medio-platonismo … un’entità con funzione intermediaria tra Dio e il mondo e che già Filone designava col titolo di “Dio” (Theòs), senza articolo, riservando quello con l’articolo (ho Theòs) al Dio supremo (lo stesso fa Giustino nel Dialogo, chiamando Cristo Theòs e il Padre ho Theos: cfr. p. es. Dial. 56,4.10; 60,1-5)”.

Giustino insegnava che il Logos esisteva dall’eternità nel Dio maggiore come realtà immanente, come idee, o pensieri Suoi, ma al momento della creazione emise o creò il Logos come esistenza propria e autonoma affinché ordinasse e creasse l’universo.
In Dial. 61,1 leggiamo: “Vi darò, amici – dissi ancora – anche un’altra testimonianza tratta dalle Scritture, secondo cui come principio prima di tutte le creature Dio ha generato da sè stesso una potenza razionale …”
Cosa intendeva Giustino col termine “generato”? Poteva considerarlo sinonimo di “creato” alla stregua di Filone? Questa è una domanda la cui risposta assumerà nel tempo un valore decisivo per la teologia trinitaria, ma che storicamente non sembra muoversi in tal senso.

CLEMENTE ALESSANDRINO (153-217 d.C.)


Qual era il pensiero di Clemente in relazione alla natura del Logos? Egli scrive: “Ma la natura più perfetta e più santa, la più sovrana e autorevole e regale, la più benefica è quella del Figlio, che è la più prossima all’unico Onnipotente”.
Il Logos generato trascende ed è superiore a tutte le creature ma, per Clemente, è sempre e solo “la natura più prossima all’unico Onnipotente” che gli ha assoggettato ogni cosa.
Un uomo di grande levatura teologica-patristica come Fozio, patriarca di Costantinopoli (ca. 810-897), dopo aver esaminato le Ipotiposi, un’opera di Clemente andata perduta, arriva alla conclusione che l’autore non era per nulla ortodosso. L’unico modo per salvare Clemente dall’accusa di aver “ridotto il Figlio di Dio a semplice creatura” fu quello di mettere in dubbio l’autenticità di tale scritto, obiezione di natura teologica più che storica e che oggi non è più presa seriamente in considerazione dagli studiosi.
Il giudizio severo di Fozio all’Ipotiposi è il seguente: "In certi passi, [Clemente] si mantiene saldamente nella sana dottrina. Altrove, si lascia trascinare da idee strane ed empie. … Riduce il Figlio al livello di una semplice creatura”.

TERTULLIANO (145-220 d.C.)


Mentre la maggioranza dei Padri Greci nutriva una profonda ammirazione per gli antichi filosofi e cercarono di gettare ponti tra le loro riflessioni e la Rivelazione cristiana, per Tertulliano questi erano responsabili delle eresie su Dio tanto da definirli “patriarchi degli eretici”.
La radicalità dell’attacco di Tertulliano alla filosofia è spiegata dalla necessità di colpire quei nemici interni, più vicini, come gli gnostici e i sostenitori della “libera” lettura delle Scritture. Significativo è ciò che scrive:
“Da quando, infatti, cominciarono ad esistere cose soggette al potere del Signore, è da quel momento che è divenuto ed è stato chiamato Signore, essendo entrato in gioco anche il concetto di potestà, giacchè Dio è anche padre e giudice è tuttavia non è sempre padre e giudice per il fatto che è sempre Dio: non è stato possibile, infatti, che fosse padre prima di avere un figlio, né che fosse giudice prima del delitto. Vi fu un tempo, anzi, nel quale non aveva a che fare né col delitto né con un figlio che lo rendessero, rispettivamente, giudice e padre”.

Harry Austrin Wolfson dice: “Tertulliano afferma che “prima di tutte le cose, Dio era solo” (cit. Adv. Prax. 5,2). Aggiunge poi che anche allora Dio non era senza ragione, cioè senza ciò che è detto Logos (cit. Adv. Prax. 5,2-3). Ma “quando Dio volle” creare il mondo, “egli emise proprio il Logos” (Adv. Prax. 6,3). E’ questo procedere del Logos da Dio che costituisce la “perfetta natività del Logos” (Adv. Prax. 7,1). Tertulliano si spinge oltre sostenendo che, in quanto la generazione del Logos o Figlio ebbe luogo soltanto anteriormente alla creazione del mondo, Dio non può essere definito con il termine “Padre” prima di tale generazione. Confrontando il termine “Padre” con il termine “giudice” egli dice: “ma Egli non è sempre stato Padre e giudice per il solo fatto di essere sempre stato Dio. Giacchè Egli non avrebbe potuto essere Padre prima del Figlio, né giudice prima del peccato. Vi fu, comunque, un tempo in cui non esistevano né il peccato né il Figlio … Egli divenne Padre con il Figlio, giudice con il peccato. (Adv. Hermog. 3)”.

Tertulliano si rifà molto alla concezione del dio sommo trascendente in assoluto e del dio minore manifestato agli uomini, confermando la teologia dei padri subordinazionisti già citati.

ORIGENE (185-254 d.C.)


Grazie ad Eusebio di Cesarea, che di lui fu un grande estimatore, le notizie biografiche su Origene sono più numerose dei precedenti Padri.
Anche nella teologia di Origene, troviamo dichiarazioni di chiaro stampo subordinazionista. Jean Danièlou afferma:  “… la generazione del Figlio, con la quale questi riceve la perigraphè, rimane in relazione con la creazione del mondo e lo costituisce come intermediario tra il Padre e la creazione. Si può dire che per lui la relazione del Logos col Padre è concepita in modo parallelo alla relazione delle creature spirituali con il Logos”.

Poi, riassumendo la sua analisi della teologia del Logos di Origene, Danièlou dichiara: “Ma si deve dire da una parte che Origene ha fatto avanzare considerevolmente la teologia trinitaria affermando l’unità di natura del Padre e del Figlio e riconoscendo il carattere eterno della generazione del Figlio. D’altra parte rimane tributario della teologia precedente, opponendo la perigraphè del Figlio all’aperigrapton del Padre e vedendovi una determinazione. Egli mantiene pure una relazione tra la generazione del Figlio e la creazione del mondo degli spiriti. Ci si spiega allora come al tempo della controversia ariana Origene abbia potuto essere invocato ad un tempo dagli ariani [cioè da coloro che sostenevano la subordinazione ontologica del Figlio] e dai loro avversari”.

La nozione origeniana del Logos è assai alta e profonda ma essa rimane affetta da un subordinazionismo evidente.

CONCLUSIONE


La dottrina, sul Logos, dei Padri della Chiesa analizzati è abbastanza variegata. Risalta però un comune denominatore che li univa: erano tutti subordinazionisti. Sostenevano cioè l’inferiorità del Figlio rispetto al Padre e alcuni d’essi indicarono chiaramente che tale subordinazione doveva intendersi anche in senso ontologico (del resto credo sia storicamente difficile negare che la subordinazione classificata come “economica” sia il frutto di una visione retrospettiva della problematica), e su questo c’è un largo consenso fra gli studiosi di patristica.
Giunti a questo punto, è quindi necessario chiedersi:

il subordinazionismo preniceno fu un errore di terminologia e categorie di pensiero di cui gli apologisti non erano ancora completamente padroni ma la loro ontologia del Logos era comunque quella che fu meglio esplicitata a Nicea?
La nozione del Logos di natura essenzialmente cosmologica rispecchiata nel medio-platonismo del loro tempo fu ciò che principalmente li indirizzò nello sviluppo della loro cristologia?
O scelsero questa categoria filosofica perchè più si adattava a quello che secondo loro era il concetto ontologico del Logos presente nel NT?

Joseph Wolinski riconosce che “sarebbe ingiusto ridurre il subordinazionismo anteniceno a un fatto di inesperienza teologica”. Se così è, allora la domanda che merita più considerazione non può che essere la terza. Per quei Padri, una concezione subordinazionista del Logos rappresentava il modo migliore per intendere il rapporto fra il Padre e il Figlio. Ma come poterono non porsi il problema della conflittualità fra questa concezione ed il monoteismo?
Se proiettiamo il nostro sguardo in avanti rispetto alla prima epoca subordinazionista, notiamo come i tentativi di molti, a partire dalla fine del II secolo, di risolvere l’apparente politeismo presentato da questa teologia non andarono in direzione del dogma niceno.

Parlando della principale ragione storica per cui nella Chiesa del II secolo scoppiò la cosiddetta ‘reazione monarchiana’, Manlio Simonetti scrive: “Comunque, sia nell’interpretazione gnostica sia in quella cattolica, la dottrina del Logos appariva assertrice, agli occhi di molti, di un dio sommo e di un dio minore, perciò lesiva del tradizionale theologoumenon dell’unicità di Dio. Di qui trasse origine verso la fine del II secolo, in Asia, la reazione che è stata definita monarchiana, tesa a salvaguardare le concezione monoteistica di Dio contro i sostenitori della dottrina del Logos. Mentre Teodoto il Pellaio riproponeva il concetto di Cristo mero uomo privilegiato da particolari carismi, Noeto proponeva la dottrina che identificava tout court Cristo, in quanto Dio, con Dio Padre, l’unico Dio”.

Questo testo conferma di nuovo, se ce ne era bisogno, che cristiani come Giustino, Taziano, Atenagora, Teofilo, Ireneo, che scrissero poco prima che scoppiasse in pieno la reazione monarchiana, espressero una dottrina del Logos che sembrava non armonizzarsi con la fede monoteista, e comprendiamo anche che né il ritorno all’ebionismo né la soluzione modalista si mossero in direzione di una ortodossia trinitaria.

Se invece proiettiamo il nostro sguardo indietro ed analizziamo l’epoca precedente il secondo secolo, notiamo un legame innegabile fra il subordinazionismo e il NT. L’autore del vangelo di Giovanni al cap.1 verso 1, usa il termine “theos” per indicare un altro Dio che non è YHWH. Il Teologo Klaus Wengst afferma in merito a Gv 1:1 : “La Parola iniziale ha il suo posto ‘presso’ Dio. Essa viene accostata il più possibile a Dio, ma non identificata con lui”. Premesso che un’esegesi trinitaria risulterebbe anacronistica, l’analisi di Wengst si muove chiaramente in direzione subordinazionista. Quindi, tale espressione, ed altre simili contenute nei vangeli, non erano automaticamente intese come affermazioni politeistiche.
Werner afferma:  “la denominazione ‘Dio’ è suscettibile di più di un significato. ‘Dio’ indica in primo luogo l’assoluta onnipotenza divina, poi anche gli essere che servono a questo Dio vero. Se essi sono designati quali ‘Dei’, ciò va ad onore e a riconoscimento di colui che li manda e che essi rappresentano. Così si spiega il fatto che nella Sacra Scrittura (Esodo 22, 28) non solo angeli ma perfino uomini sono designati quali ‘Dei’ senza esserlo in senso stretto”.

Sempre in merito al vangelo di Giovanni, Hans Kung dichiara: “Neppure questo vangelo sviluppa una cristologia metafisico-speculativa sradicata dal suolo ebraico; esso contiene invece una cristologia ancora pienamente legata al mondo del giudeo-cristianesimo ... Giovanni non s'interroga sulla natura e l'essere metafisici del Cristo preesistente”

Se è vero che la cristologia nascente poggia e si sviluppa su una rilettura del Primo Testamento, allora è necessario chiedersi se questo non possa aver contribuito in modo rilevante allo sviluppo della teologia subordinazionista. E' lecito domandarsi se la concezione ebraico veterotestamentaria sull’esistenza degli Elohim (dei minori) e di El-Elohim (YHWH) non possa aver contribuito a plasmare la cristologia in senso subordinazionista. Se questa era la chiave di lettura, ciò spiegherebbe perchè gli apologisti utilizzarono il termine ‘dio’ per identificare il Logos senza che ciò entrasse in conflitto con la loro concezione di monoteismo biblico ereditata dalle protocomunità giudeo-cristiane. Del resto, in questa stessa direzione si muovono gli studi sugli scritti qumranici che evidenziano come la credenza di una figura celeste superumana, ontologicamente subordinata al Dio Yhwh, era nota ed identificata con il titolo di “Figlio dell'Uomo”

In conclusione possiamo dire che per i Padri della Chiesa e gli apologisti il subordinazionismo sembrava rispondere bene a quella visione di Dio presente nel corso della storia del monoteismo biblico. Furono successive influenze filosofico-ellenistiche ad introdurre lentamente delle modifiche all'originale visione cristologica che prevedeva la subordinazione in senso ontologico (oltre che economico) del “Figlio dell'uomo” al Dio degli Ebrei.

 

Queste modifiche non vennero rigettate ma si cercò di armonizzarle con i dati teologici già acquisiti. Questo processo di armonizzazione, più che orientarsi verso la successiva visione nicena, diede origine ad una gamma di formulazioni cristologiche che successivamente furono dichiarate eterodosse per lasciare spazio alla consustanzialità delle tre distinte persone divine così come venne definita nel 325.

 

Fu allora che la storia di Gesù Cristo si separò definitivamente dalla visione che di lui propone la teologia dogmatica.

 

 

Riferimenti bibliogarfici:

 

Robert M. Grant, Gods and the One God, ed. Knox Press, 1988
Quasten J, "Patrologia. I primi due secoli (II-III)", vol. I, ed.
Marietti, 1980
K. Wengst, Il Vangelo di Giovanni, ed. Queriniana, Brescia, 2005
M. Werner, Le Origini del Dogma Cristiano, ed. Rubettino, 1997
Hans Kung, Credo, ed. Bur, 2003
E. Boismard, All'alba del cristianesimo, ed. Piemme, Casale Monferrato, 2000



 

 

 

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