N. 51 - Marzo 2012
(LXXXII)
il "caso streltsov"
uno dei grandi maestri del calcio russo
di Marco Gatti
Questa è la storia di un campione ai più sconosciuto. Questa è la storia di un fuoriclasse che avrebbe potuto avere una grandissima visibilità internazionale, e che invece il grande calcio non lo vide mai. Questa è la storia di un uomo fuori dalle righe, in una nazione dove ciò non era minimamente tollerato. Questa è una storia triste, è la storia del grandissimo calciatore Eduard Streltsov, il più talentuoso i calciatori sovietici degli anni ‘50/’60, che ebbe purtroppo la sfortuna di incappare nelle tenaglie di un sistema repressivo e violento.
Eduard Streltsov nasce non lontano da Mosca, il 21 luglio 1937: già all’età di quindici anni lascia la scuola per andare a lavorare in fabbrica come meccanico, dove nei ritagli di tempo gioca nella locale squadra di calcio, strabiliando tutti con il suo immenso talento.
Nel
1953
(l’anno
della
morte
di
Stalin)
viene
scoperto
dagli
osservatori
della
Torpedo
Mosca,
all’epoca
una
delle
squadre
più
forti
del
panorama
calcistico
sovietico;
riesce
subito
a
conquistarsi
un
posto
nella
prima
squadra,
tanto
da
realizzare
la
sua
prima
rete
in
carriera
a 17
anni
non
ancora
compiuti.
Tutti
i
tifosi
sovietici,
non
solo
quelli
della
Torpedo,
si
innamorano
immediatamente
di
questo
ragazzotto
che,
nonostante
l’altezza
e la
corporatura
grande,
sembra
avere
le
ali
ai
piedi
come
Apollo
e fa
letteralmente
impazzire
qualsiasi
difensore
provi
a
contrastarlo.
E’
un
esteta,
Streltsov,
un
artista
del
calcio,
e lo
dimostra
anche
con
i
suoi
comportamenti
sul
campo,
che
molto
spesso
irritano
gli
spettatori
presenti:
lo
vedi
passeggiare
attorno
al
cerchio
di
centrocampo,
completamente
fuori
dal
vivo
dell’azione
di
gioco,
e
proprio
mentre
cominciano,
puntuali
i
fischi
di
disapprovazione,
ecco
che
prende
possesso
della
palla,
ubriaca
di
finte
i
malcapitati
difensori
e
deposita
la
palla
in
rete,
portando
la
sua
squadra
alla
vittoria.
Cosa
gli
vuoi
dire
a
uno
così?
Ben
presto
il
talento
di
Streltsov
viene
messo
al
servizio
della
nazionale
CCCP:
in
nazionale
la
vittoria
è un
obbligo,
ne
va
dell’onore
del
socialismo,
per
cui
quelli
che
giocano
in
questa
squadra
devono
sputare
sangue.
E’
una
nazionale
piena
di
grandi
talenti,
sui
quali
però
la
stella
di
Streltsov
brilla
più
di
tutte;
basti
pensare
che
al
suo
debutto
in
nazionale,
a
Stoccolma,
rifila
3
reti
alla
povera
Svezia,
ed
ha
appena
compiuto
18
anni!
La
prova
del
nove
della
sua
carriera
con
la
nazionale,
evento
che
lo
consacra
come
un
eroe
in
Patria,
è
l’Olimpiade
di
Melbourne,
nel
1956,
durante
le
quali
l’URSS
conquista
la
medaglia
d’oro.
Streltsov
è
uno
dei
maggiori
protagonisti
di
quell’avventura,
anche
se
purtroppo
è
costretto
a
saltare
la
finale
con
la
Yugoslavia
per
scelta
tecnica,
in
quanto
l’allenatore
sovietico
dell’epoca,
Gavril
Kachalin,
era
solito
selezionare
la
coppia
di
attaccanti
esclusivamente
di
una
stessa
squadra
di
club,
per
motivi
di
affiatamento;
essendo
infortunato
il
suo
compagno
alla
Torpedo
Ivanov,
Streltsov
quindi
rimane
a
gardare
dalla
tribuna
il
trionfo
dei
suoi
compagni.
Dopo
il
meritato
successo
in
Australia,
la
nazionale
sovietica
si
prepara
ad
affrontare
le
qualificazioni
per
dare
l’assalto
alla
competizione
più
importante
in
assoluto,
la
coppa
del
mondo
di
calcio.
Streltsov
si
prepara
all’appuntamento
del
1958
con
il
suo
solito
biglietto
da
visita:
finte,
tunnel,
assist
e
gol,
tanti
tanti
gol.
La
qualificazione,
più
sofferta
del
previsto,
viene
comunque
raggiunta
dopo
un
drammatico
spareggio
con
la
Polonia
(2-0):
autore
di
una
delle
due
reti,
naturalmente,
Eduard
Streltsov.
Ma
nessuno
può
neanche
lontanamente
immaginarsi
la
tragedia
che
dì
lì a
poco
si
sta
per
abbattere
sullo
sfortunato
campione.
Già
abbastanza
inviso
ai
maggiori
esponenti
del
partito
per
la
sua
vita
sregolata
e
per
la
sua
indipendenza
in
un
mondo
fatto
di
oppressione
e di
rispetto
ferreo
delle
regole,
Streltsov
è
già
da
tempo
sulla
lista
nera
di
molti
degli
uomini
politici
più
potenti
dell’epoca,
e
non
ci
vuole
poi
molto
per
sbarazzarsi
di
questo
personaggio
così
scomodo.
E
l’occasione,
puntuale,
si
presenta:
Streltsov
è
tra
gli
ospiti
di
una
festa
organizzata
nella
dacia
di
Eduard
Karakhanov,
all’epoca
un
ufficiale
molto
famoso
e
molto
potente,
il
25
maggio
del
1958,
a
pochi
giorni
dalla
partenza
della
nazionale
per
il
mondiale
di
Svezia:
tra
cascate
di
vodka
e
donne
a
volontà,
la
mattina
dopo
il
fuoriclasse
si
sveglia
frastornato
accanto
ad
un
bellissima
ragazza,
e
poche
ore
dopo
si
trova
nella
camera
d’interrogatorio
della
polizia
a
rispondere
dell’accusa
di
stupro.
Gli
agenti
del
KGB,
che
non
lo
hanno
mai
digerito
per
il
fatto
di
essersi
rifiutato
in
passato
di
vestire
i
colori
della
Dinamo
Mosca,
squadra
appunto
di
proprietà
del
Ministero
degli
Interni,
sembrano
essere
disposti
ad
aiutarlo
trovandogli
una
via
d’uscita:
“Confessa
la
tua
colpevolezza
e ti
facciamo
partire
per
la
Svezia.
Il
ragazzo
(allora
ventunenne,
ricordiamolo…),
vedendo
aprirsi
uno
spiraglio
di
speranza,
firma
tutte
le
carte
che
gli
mettono
davanti.,
ma
non
sa
che
è
una
trappola,
e
che
sta
firmando
la
sua
condanna
ai
lavori
forzati.
Viene
spedito
in
un
baleno
in
Siberia
a
spalare
carbone
per
cinque
lunghi
anni.
Una
versione
abbastanza
credibile
della
vicenda
vuole
che
l’artefice
delle
disgrazie
di
Streltsov
sia
stata
Ekaterina
Furtseva,
all’epoca
importante
figura
politica,
in
rapporti
molto
stretti
con
Nikita
Khrushev:
la
“colpa”
del
fuoriclasse
è
stata
quella
di
essersi
rifiutato
di
sposare
la
figlia
della
signora,
e di
averla
anche
definita
incautamente
ai
suoi
amici
“una
scimmia”.
La
soddisfazione
di
Khrushev
fu
tale
che
pare
che
all’annuncio
della
deportazione
del
calciatore,
disse:
“Ottimo,
e
che
ci
rimanga
il
più
a
lungo
possibile!”.
Per
Streltsov,
quindi,
si
aprono
le
porte
del
Gulag
e,
conseguentemente,
si
chiudono
quelle
del
grande
calcio.
Non
giocherà
i
mondiali
del
’58,
non
potrà
godersi
la
vittoria
al
Campionato
Europeo
del
1960,
ma
soprattutto
mancherà,
sempre
nel
1960,
il
trionfo
in
campionato
e
nella
Coppa
dell’URSS
della
sua
cara
Torpedo.
Nel
1965
Streltsov,
scontata
la
pena
e
tornato
in
libertà,
nonostante
il
fisico
debilitato
da
anni
di
privazioni
e di
umiliazioni,
chiede
di
poter
riprendere
l’attività
agonistica.
Brezhnev,
arrivato
da
appena
un
anno
al
potere,
gli
fa
annullare
la
squalifica
a
vita
che
gli
era
stata
inflitta
e
gli
permette
di
poter
vestire
ancora
l’amatissima
casacca
bianca
della
Torpedo.
È
un
ritorno
imprevisto,
sorprendente,
ma
pochi
credono
alle
reali
possibilità
del
momento
del
calciatore
Streltsov,
tanto
più
che
sembra
ormai
davvero
la
controfigura
di
se
stesso:
calvo,
grasso,
lentissimo;
ma
la
classe
è
classe,
e
con
la
palla
tra
i
piedi
il
ragazzo
fa
ancora
ciò
che
vuole
e,
pur
non
essendo
più
il
bomber
implacabile
di
una
volta,
diventa
il
motore
di
una
squadra
che
torna
di
nuovo
a
sognare,
ed
incredibile
a
dirsi,
al
primo
anno
del
suo
ritorno
la
Torpedo
vince
il
suo
secondo
titolo.
È
il
giusto
epilogo,
la
rivincita,
sul
campo
(come
piaceva
a
lui)
contro
le
ingiustizie
subite
e le
gioie
negategli
dalla
dittatura.
Nelle
stagioni
successive
e
fino
all’annuncio
del
suo
ritiro
(nel
1970),
la
Torpedo
Mosca
vincerà
poco
e
nulla
e
vivrà
stagioni
altalenanti,
ma
la
sola
presenza
di
Streltsov
in
campo
riempie
ancora
tutti
gli
stadi
dell’Unione
Sovietica,
perché
nessuno
vuole
perdersi
le
gesta
di
questo
grande
piccolo
eroe.
Anche
dopo
aver
appeso
le
scarpe
al
chiodo,
sceglierà
una
strada
anticonformista,
come
nel
suo
stile:
ottenuto
il
patentino
di
allenatore
non
ambirà,
come
tutti,
a
guidare
squadre
di
prima
fascia
o,
perché
no,
la
nazionale,
ma
preferirà
insegnare
calcio
ai
bambini.
Morirà
molto
presto
(nel
1990),
a
soli
53
anni,
per
un
cancro
alla
gola
causato
senza
ombra
di
dubbio
dalle
mostruose
condizioni
in
cui
visse
quei
terribili
5
anni
nel
Gulag.
Solo
alla
fine
della
sua
vita,
rompendo
un
silenzio
sull’argomento
durato
anni,
si
dichiarerà
completamente
innocente
per
i
fatti
contestati
in
quella
maledetta
estate
del
1958.