moderna
STREGHE E INQUISITORI
TRA LE PAGINE DELLA STORIA LOCALE
EMILIANA DEL XVI SECOLO
di Sonia Favale
«[…] Abiuro abnego e revoco quella
heresia damnata per la sacrosancta
romana gesia, la quale falsamente e cù
bugia affirma, che Gesù Cristo bedeto nò
fu vero dio, ma puro homo […]».
Sono le parole estrapolate dagli atti
del processo a carico di Ursolina (
Orsolina) Toni a cui segue un appunto
dell’Inquisitore messo in evidenza:
Hic dicant hereses. Ursolina Toni di
Sasso Rosso in provincia di Modena,
detta “la rossa” per via del colore de
suoi capelli, e sua figlia Agnese sono
solamente due delle tante donne che
subirono processi per stregoneria, la
cui memoria è custodita negli atti dei
processi degli inquisitori di Modena e a
tutt’oggi consultabile presso l’Archivio
Storico di Modena.
Siamo nel XVI secolo quando Ursolina
viene processata, correva l’anno 1539;
in generale i documenti custoditi
nell’Archivio Storico di Modena hanno
lasciato testimonianza dell’attività
inquisitoria del Sant’Uffizio nel ducato
estense anche per un periodo di poco
precedente e successivo.
Il Tribunale dell’Inquisizione nel
ducato modenese, infatti, resterà in
vita sino al 1785, anno in cui il duca
Ercole III della famiglia estense (gli
Este guideranno il ducato per ben
seicento anni, segnando le tappe
principali della sua storia: prima
signoria, poi principato e per finire
una monarchia assoluta) decise di
abolirlo; fu il trionfo del
giurisdizionalismo e una presa di
posizione nei confronti della Chiesa che
nei secoli precedenti e precisamente
durante il periodo della Controriforma
aveva creato una fitta rete di tribunali
che magistralmente la Congregazione
romana del Sant’Uffizio aveva cercato di
far coincidere con l’organizzazione
dell’amministrazione territoriale dal
momento che accadeva frequentemente che
il Tribunale dell’Inquisizione cercasse
l’appoggio del braccio secolare.
Nel ducato estense, ad esempio,
l’Inquisitore generale aveva la sua sede
a Ferrara, capitale del ducato sino al
1598, mentre a Modena aveva sede il suo
vicario inquisitore. Nel 1598 è Modena a
esser scelta come capitale e a questa
scelta amministrativa fa seguito anche
il trasferimento della sede
dell’inquisitore generale che si
trasferisce nella nuova capitale. Nel
XVI secolo erano tre le sedi degli
inquisitori del ducato estense: uno
operava a Modena, uno a Ferrara e
l’altro a Reggio.
L’inquisitore di Modena si occupava
anche dei territori dell’abbazia di
Nonantola, Carpi e della Garfagnana che
al tempo rientrava nei territori del
ducato estense (nel fondo archivistico
modenese è rimasta memoria anche dei
processi alle streghe della Garfagnana).
Sembra che il XVI secolo abbia
costituito una svolta nel modus
operandi dell’Inquisizione in
diversi territori italiani ed europei.
Prima del XVI secolo i Tribunali
dell’Inquisizione avevano perseguito gli
eretici, ma dal XVI secolo l’attenzione
si spostò su donne e uomini (anche se
quest’ultimi in numero inferiore)
accusati di turpi misfatti ai danni
delle comunità e dei villaggi in cui
vivevano.
Prima del XVI secolo nel ducato estense,
così come nel resto di Italia, si erano
verificati sporadici casi di processi a
presunte streghe; quasi sempre i
processi precedenti al XVI secolo
terminavano con una sentenza nella quale
si richiedeva la pubblica penitenza
della donna che aveva subito il
processo. A riguardo possiamo citare la
sentenza conclusiva del processo a
Benvenuta Benincasa, una guaritrice e
conoscitrice del potere delle erbe,
processata a Modena nel 1370 e alla
quale l’inquisitore addolcì la pena
imponendole di indossare una veste con
grandi croci gialle, una sul petto e
l’altra sulla schiena e sulla testa una
mitria per deriderla, la donna avrebbe
dovuto pregare e digiunare con piene
confessioni davanti al vescovo e questo
per tutta la vita.
Nel corso della storia, però, qualcosa
inizia a cambiare. A partire dal XIV-XV
secolo in tutta Europa impazza la caccia
alle streghe che mostrerà la sua
efferatezza in diverse nazioni europee,
raggiungendo il suo apice nel XVI secolo
per poi terminare verso il XVII secolo,
quando la vittoria della ragione dei
Lumi ebbe la meglio sulle superstizioni.
Fu l’alba di un giorno nuovo e il
tramonto dei processi alle streghe; solo
sporadicamente e in circoscritte
località europee, i roghi bruceranno
ancora.
L’Italia non costituì un caso a parte
nel perseguire le presunte streghe e la
memoria custodita in archivi storici
come quello Modenese ne sono la
testimonianza. Se l’Italia non
rappresentò un’eccezione nella caccia
alle streghe, lo rappresentò per il
fatto che la maggior parte dei processi
si verificò nei primi quarant’anni del
XVI secolo e in particolar modo in città
e cittadine dell’Emilia, della Romagna e
della Lombardia.
Secondo il parere condiviso da molti
storici la brutalità dei processi per
stregoneria nelle aree più a nord della
penisola italiana è dovuto all’impatto
delle guerre d’Italia. Chi sostiene
questa tesi ritiene che in un
territorio, come quello del nord Italia,
devastato dalle tante guerre e
politicamente frammentato, oggetto di
invasioni, carestie ed epidemie, poté
dilagare più facilmente l’idea
dell’esistenza di una setta ben
strutturata di streghe che adoravano il
diavolo. La paura, lo sconforto e le
tante catastrofi afflissero le comunità
di città ricche e prospere come Modena.
Se i tempi erano difficili, allora
doveva esserci una causa e un colpevole.
La ricerca del capo espiatorio ricadde
sulle donne tacciate di stregoneria.
Tutto ciò può sembrare assurdo se non si
considerano anche altri fattori. Non
bastava certamente solo il triste
scenario affinché la gente credesse
fermamente nell’esistenza di una setta
di streghe, occorreva che l’idea di una
setta diabolica, che cospirava contro il
bene della comunità, fosse conosciuta e
chiara a tutti e al diffondersi di tale
idea contribuirono i tanti cacciatori
italiani di streghe che si preoccuparono
di scrivere lettere, manuali e predicare
pubblicamente.
Del resto, come già precisato in
precedenza, la credenza nelle streghe e
la pratica di processarle si erano
verificati anche prima del XVI secolo ma
allora, com’è il caso del processo di
Benvenuta Benincasa, il processo mirava
a salvaguardare il benessere della
comunità o ad allontanare le pratiche
superstiziose.
L’idea di un gruppo di donne e uomini
che costituivano una setta diabolica era
maturata nel Nord Europa, dove era
fiorita una vera “letteratura” sul tema;
il famoso Malleus maleficarum,
che altro non era che il manuale che
ogni bravo Inquisitore doveva tenere
sottobraccio e mostrare di conoscere
alla lettera e saperlo applicare
magistralmente nei processi, era opera
di un monaco domenicano conventuale di
origine alsaziana di nome Heinrich
Kramer.
Alcuni studiosi hanno dimostrato come il
monaco alsaziano fosse spesso presente
in Italia attraverso viaggi di studio
presso la Curia pontificia; qui coltivò
certamente i suoi studi, ma anche una
fitta rete di relazioni e amicizie in
particolare con gli Inquisitori
domenicani dell’Italia settentrionale; è
lui stesso a menzionare nella sua opera
più famosa un certo inquisitor
cumanus, artefice dell’esecuzione di
quarantuno streghe a Bormio.
Da altre fonti autorevoli sappiamo che
Kramer ebbe rapporti e collaborò con gli
ambienti religiosi di Ferrara nel 1500
(al tempo capitale del ducato estense)
e, nello stesso periodo, stabilì dei
rapporti con i domenicani dello
Studium generale di San Domenico a
Bologna, in particolar modo con il
teologo Giovanni Cagnazzo da Taggia e il
domenicano e inquisitore Domenico Pirri,
quest’ultimo molto attivo a Bologna.
Il mito della stregoneria diabolica, che
era stato un punto fermo nel lavoro di
Kramer, finì per influenzare anche gli
inquisitori italiani del nord Italia che
contribuirono a renderlo pubblico anche
nelle comunità in cui loro operavano
alimentando ansie, timori e paure
nell’immaginario collettivo. Kramer,
Cagnazzo e altri inquisitori nei loro
trattati parlavano di una setta
diabolica a cui erano affiliate donne e
uomini che si riunivano nei sabba per
adorare il diavolo e abiurare i simboli
della cristianità. Se il male c’era,
allora doveva essere estirpato con un
accanimento sistematico: la persecuzione
che si tramutò in una vera e propria
“caccia” .
Donne semplici, spesso vedove, malate o
con disturbi mentali, o colpevoli di
essere brave guaritrici al pari di
medici ed esperte conoscitrici del
potere delle erbe medicali e non solo,
vennero accusate, quasi sempre
ingiustamente, di far parte della setta
delle streghe, di volare durante la
notte sul dorso di animali a feste
notturne dove, si diceva, adorassero il
diavolo, baciandogli il deretano,
consumando rapporti carnali con i demoni
e abiurando i simboli della fede
cristiana.
Molte delle testimonianze scritte negli
atti dei processi, sembrano ripercorrere
lo stesso schema: la donna si presentava
davanti all’inquisitore, perché chiamata
in giudizio, dopo l’accusa di un vicino
di casa, un familiare (anche un
parente), un conoscente; a volte la
donna che stava per affrontare il
processo chiedeva all’Inquisitore cosa
voleva sentirsi dire e poi, se la
confessione non arrivava subito, si
procedeva con la tortura che non tutte
erano in grado di affrontare (molte
donne non superavano i dolori della
tortura e decedevano prima che il
processo terminasse); quando arrivavano
stremate alla confessione finivano per
dichiararsi colpevoli tutte di un
medesimo misfatto, come se fosse
esistito un canovaccio fisso da leggere
e ripetere a memoria: confessavano il
loro peccato, ossia quello di aver
partecipato a feste notturne con il
demonio in compagnia di altre donne e
uomini; a tutto ciò seguivano altri
nomi, altri processi.
La storia ha smentito l’esistenza di una
setta diabolica, nulla forse è mai
esistito, del resto i processi ci
lasciano le testimonianze di donne che
hanno confessato dopo aver subito
indicibili torture (e ciò rende tutto
molto discutibile oggi), proprio come
Ursolina Toni, alla quale non fu
risparmiato nulla.
La nostra Ursolina, che è stata il
leit motiv nonché il pretesto
iniziale per parlare di una pagina di
storia locale, sopravvisse; fu costretta
a una pubblica abiura per ben due
festività consecutive (si presume il 1 e
2 novembre del 1539): la prima nella
piazza del duomo di Modena e l’altra
davanti alla chiesa di San Domenico
(sede degli Inquisitori del ducato), a
Modena.
Aveva freddo Ursolina, forse si
vergognava, probabilmente le bruciava
ancora la pianta dei piedi ustionata dal
fuoco della tortura, ma era viva, e
questa era la cosa più importante, anche
se la sua vita nella comunità di Sasso
Rosso non sarebbe stata più la stessa;
lei restava la strega dai capelli rossi.
La furia del boia l’aveva risparmiata.
Il suo nome compare ancora una volta
negli atti dei processi, ma non sappiamo
se sia sopravvissuta al secondo
processo. |