N. 94 - Ottobre 2015
(CXXV)
LE STREGHE NELLA STORIA
sulle radici pre-cristiane del neopaganesimo: una Confutazione
di Cristian Usa
In
seno
agli
ambienti
neopagani,
è
sovente
viva
una
dialettica
detrattoria
nei
confronti
del
mondo
cristiano
il
quale
è
accusato
di
essere
sorto
a
posteriori
delle
cultualità
pagane
e di
aver
perseguitato
e
annientato
queste
ultime
all’uopo
di
impossessarsi
del
potere
nel
mondo
occidentale.
Il
neopaganesimo
ha
elaborato,
in
particolare
nel
corso
dell’ultimo
secolo,
talune
tesi
che
lo
porrebbero
in
continuità
storica
con
il
paganesimo
pre-cristiano
conferendogli
dunque
una
certa
eminenza
culturale.
In
realtà
tale
tesi
appare
priva
di
fondamento
storico.
Per
dimostrare
quest’assunto
è
opportuno,
anzitutto,
rispondere,
a
tre
quesiti:
-
Cos’è
la
religione
e
come,
l’uomo
religioso
si
approccia
ai
culti
neopagani?
-
Cosa
sono,
la
storia,
il
metodo
storico…..
e
cosa
fa
lo
storico?
-
Come
si
leggono,
sociologicamente,
i
culti
neopagan?
Secondo
il
professor
Edoardo
Scognamiglio:
«Lo
studio
della
storia
delle
religioni
approfondisce
soprattutto
l’esperienza
del
sacro
(il
fatto
religioso)
quale
esperienza
assoluta
e
determinante
di
Dio
o
dell’Essere
supremo
che
orienta
la
vita
dell’homo
religiosus.
[…]»
Chi
è
dunque
l’homo
religiosus?
La
religione
ha
lo
scopo
di
guidare
l’uomo
al
suo
fine
che
è il
suo
essere
definitivo;
solo
l’uomo
possiede
la
religione
che
rappresenta
una
parte
fondamentale,
del
suo
essere,
assieme
alla
sensibilità
e ai
sentimenti.
L’uomo
tuttavia,
è
semplicemente
un
essere
vivente,
fatto
a
immagine
e
somiglianza
dell’Essere
Creatore,
è un
essere
storico
che
non
si
identifica
con
Dio,
ma è
unito
e
vive
in
lui.
L’uomo
è un
essere
temporale,
naturalmente
proiettato
ad
un
destino
sempiterno.
L’homo
religiosus
vive,
o
comunque
si
sforza
di
vivere
in
maniera
conforme
alla
volontà
del
suo
Creatore,
affrontando
ogni
ambito
della
vita
sociale
rispecchiandosi
nella
volontà
anzidetta.
Per
rispondere
quindi
al
quesito,
“Cos’è
la
religione
e
come,
l’uomo
religioso
si
approccia
ai
culti
neopagani?”,
si
può
affermare
che
la
religione
ricorre
a
una
serie
di
simboli
per
ispirare
sentimenti
di
riverenza
o di
timore
ed è
collegata
a
riti
o
cerimonie
praticati
dalla
comunità
dei
credenti.
Lo
storico
Sergio
Luzzatto
pone
come
base
della
riflessione
circa
la
metodologia
della
ricerca
storica,
le
seguenti
domande:
Come
si
studia
la
storia?
E
come
si
racconta?
Ma
in
cosa
consiste
il
lavoro
dello
storico,
sia
esso
accademico,
studente
o
studioso?
Lo
storico
di
professione,
nel
suo
lavoro
di
ricerca,
parte
con
la
formulazione
di
una
idea
o
domanda
e
consequenzialmente
formula
una
ipotesi.
Una
volta
verificato
lo
stato
dell’arte
del
tema
oggetto
di
studio,
lo
storico
procede
con
la
ricerca
e la
classificazione
delle
fonti.
Il
termine
fonte
indica
un
testo
che
per
le
sue
caratteristiche
di
autenticità,
autorevolezza
e
contemporaneità
è in
grado
di
attestare
in
modo
diretto
avvenimenti
in
cui
l’autore
è
stato
testimone.
La
fonte
è lo
strumento
imprescindibile
per
il
lavoro
dello
storico.
La
prima
operazione
da
compiere,
soprattutto
nel
caso
di
analisi
di
fonti
storiche
secondarie,
è il
confronto
fra
gli
originali
e il
testo
a
stampa,
poiché
la
lettura
dell’editore
è
stata
sicuramente
frettolosa.
Nell’analisi
delle
fonti
risulta
fondamentale:
individuare
l’autore
della
fonte,
comprendere
il
perché
la
fonte
è
stata
prodotta,
distinguere
tra
informazioni
essenziali
e
approfondimenti
di
quest’ultime,
se
trattasi
di
fonte
scritta
sottolineare
le
parole
chiave
e
creare
un
glossario
con
le
definizioni,
paragrafare
il
testo
della
fonte
scritta
e
titolare
i
singoli
paragrafi,
riassumere
in
forma
discorsiva
il
contenuto
della
fonte
evidenziando
i
nessi
logici
tra
le
informazioni,
schematizzare
il
contenuto
della
fonte
o
sintetizzarlo
con
tabelle,
mappe
concettuali,
grafici.
Terminata
l’analisi
delle
fonti,
lo
storico
è
chiamato
a
rispondere
alle
domande:
QUANDO?
Collocando
nel
tempo
i
fatti
studiati.
COME?
Mediante
utilizzo
di
indicatori
riferiti
a:
economia;
politica;
società;
cultura
collegati
al
fatto
storico
in
studio.
CHI?
Mediante
l’individuazione
dei
protagonisti
coinvolti
in
determinati
fatti
storici
(classi
sociali,
ceti
sociali,
popoli,
nazioni,
stati).
PERCHÉ?
Individuando
le
cause
dell’avvenimento
storico.
La
narrazione
dei
fatti
storici
studiati
attraverso
la
metodologia
della
ricerca
storica,
deve
necessariamente
avvenire
in
maniera
accessibile
ed
esaurientemente
esplicativa,
insomma
divulgativa,
se
il
target
di
fruitori
della
ricerca
in
questione
è
rappresentato
dal
pubblico
di
massa.
L’homo
religiosus,
allorquando
è
finanche
storico,
attraverso
tale
metodologia,
possiede
gli
strumenti
necessari
per
dar
ragione
della
speranza
che
è in
lui.
“Come
si
leggono,
sociologicamente,
i
culti
neopagani”?
Luciano
Gallino,
ha
definito
la
sociologia
come
la
scienza
che
studia,
con
propri
metodi
di
indagine
e
tecniche
di
ricerca
empiriche,
i
fondamenti
e i
fenomeni
essenziali
che
caratterizzano
la
struttura
sociale
e le
interazioni
tra
gli
individui.
La
sociologia
ha,
quindi,
per
oggetto
di
studio
l’uomo
nella
sua
dimensione
sociale
e le
forme
di
rapporti
che
egli
insatura
con
la
compagine
umana
in
cui
è
inserito.
Lo
scopo
ideale
della
sociologia
è
porre
delle
leggi,
chiamate
leggi
di
tendenza,
aventi
limiti
e
clausole
(ceteris
paribus)
questo
perché
è
necessario
creare
una
realtà
fittizia
come
oggetto
di
studio.
Infatti,
la
realtà
che
ci
circonda,
piena
di
sfaccettature
diverse
sarebbe
impossibile
da
rinchiudere
in
un
sistema
di
leggi
ferree.
Da
ciò
derivano
i
limiti
di
questa
disciplina.
In
altre
parole
il
sociologo,
cerca
di
ordinare
gli
eventi
osservati
in
modelli
comprensibili
a
tutti,
analizzandone
le
cause
e
verificandone
gli
effetti.
Stante
l’oggetto
del
tema
in
argomento,
a
parere
di
chi
scrive,
è
opportuno
a
questo
punto,
un
richiamo
alla
definizione
di
sociologia
della
religione.
La sociologia
della
religione è
un
ramo
specializzato
della sociologia.
È
essenzialmente
lo
studio
della
pratica,
delle strutture
sociali,
del contesto
storico,
dello
sviluppo,
dei
temi
di
fondo
comuni
a
tutte
le
religioni.
Si
sottolinea
in
modo
particolare
il
ruolo
che
la religione ha
in
quasi
tutte
le società del mondo,
lungo
tutta
la
storia.
I
sociologi
della
religione
tentano
di
spiegare
gli
effetti
della
società
sulla
religione
e
gli
effetti
della
religione
sulla
società,
cioè
in
altre
parole,
il
loro
rapporto dialettico.
La
sociologia
della
religione
nasce
con
la
sociologia
e
dai
sociologi,
la
religione
è
intesa
come
il
tentativo
più
ambizioso
di
mettere
ordine
alla
società,
travalicando
l’aspetto
immanente
dell’esistenza.
Leggere
sociologicamente
i
culti
neopagani,
significa
pertanto
interpretare
il
comportamento
degli
aderenti
a
tali
pratiche,
chiarificando
le
motivazioni
che
li
spingono
verso
queste
culture
religiose,
e
gli
effetti
che
tale
appartenenza
genera
nella
loro
vita
e
nella
società
a
causa
della
testimonianza
che
ne
scaturisce.
Nel
presente
lavoro
sarà
evidenziato
come
le
religioni
neopagane,
traggono
origine
dal
periodo
moderno
e
non,
certamente,
dalle
religioni
pre
cristiane.
I
culti
moderni
che
si
richiamano
in
qualche
maniera
alla
stregoneria,
in
special
modo
la
Wicca,
e
quelli
neopagani;
non
hanno
origini
molto
antiche.
Il
termine
paganesimo
è
usato
nell’ambito
della
storia
delle
religioni
per
indicare
i
culti
tradizionali
dei
greci
e
dei
romani
in
opposizione
al
cristianesimo.
Tali
culti
erano,
infatti,
sopravvissuti
principalmente
nei
villaggi
delle
campagne
(pagi).
Sono
riscontrabili
tuttavia,
cultualità
pagane
anche
nel
continente
americano,
presso
le
civiltà
precolombiane
dei
Maya,
Atzechi
e
Inca,
le
quali
praticavano
una
religione
politeista
basata
sul
culto
delle
forze
della
natura
e
sul
concetto
di
dualità,
e in
Europa
presso
le
civiltà
dei
celti
e
dei
germani,
ovvero
popoli
di
lingua
indoeuropea,
che
hanno
conosciuto
civiltà
grazie
al
contatto
con
l’Impero
Romano,
e ai
quali
alcuni
gruppi
neopagani,
paiono
ispirarsi
o
comunque
far
risalire
le
proprie
origini.
Appare
inverosimile
un
politeismo
panceltico,
al
contrario
si
può
constatare
un
fondo
religioso
comune:
i
Druidi,
come
i
brahamani,
dell’induismo
sono
una
casta
sacerdotale.
Gli
dei
della
religione
germanica
erano:
Tiwaz
(cfr.
Tuesday,
martedì)
–
Tyr
[Dyauspitar,
Zeus,
Iuppiter]
Essere
supremo
celeste,
dio
guerriero;
Donar
(cfr.
Donnerstag,
giovedì)
–
Thorr,
dotato
di
un
martello
(come
il
vajra
di
Indra
e la
clava
di
Heracles)
combatte
Vrta,
il
serpente
cosmico
e i
‘giganti’
che
abitano
l’Utgard
cioè
il
‘mondo
di
fuori’;
Wodan
(cfr.
Wednesday,
mercoledì)
–
Odin,
dalla
stessa
radice
del
tedesco
Wut
=
furore,
bellico,
magico
e
poetico.
Nel
mondo
antico,
le
religioni
possedevano
un’essenza
etnica;
l’appartenenza
ad
una
determinata
società,
infatti,
condizionava
l’identità
dell’individuo
e le
sue
pratiche
religiose.
Le
religioni
dei
popoli
mediterranei
erano
caratterizzate
dal
politeismo,
ad
eccezione
degli
israeliti.
Per
questi
popoli,
la
religione
condizionava
fortemente
tutte
le
attività
umane,
così
come
mito
e
rito
condizionavano
la
sfera
religiosa.
Per
quanto
concerne
il
paganesimo
dell’antica
Grecia,
v’è
da
notare
che
esso
comprendeva
una
religiosità
che
faceva
ruotare
la
nozione
di
sacro
attorno
ad
ogni
aspetto
della
vita
umana.
La
nozione
di
sacro
delimitava
lo
spazio
tra
uomini
e
dei:
« La
religione,
ha
scritto Burckhardt,
non
era
per
i
greci
“al
di
sopra
o
accanto
alla pólis,
perché
culto
e
vita”
erano
“una
sola
cosa”.
O
erano
quantomeno
strettissimamente
intrecciati.
Ogni
pasto,
ogni simposio,
ogni
battaglia
cominciava
con
un
sacrificio;
ogni
assemblea
popolare
con
una
preghiera.
Gli
argomenti
di
natura
religiosa
erano
in
cima
all’ordine
del
giorno.
Le
sottosezioni
della
cittadinanza
si
incontravano
attorno
agli
altari,
celebravano
i
loro
culti
e
poi,
per
esempio,
accoglievano
i
neonati
nelle
loro
file,
offrivano
sacrifici
e
mangiavano
solennemente
le
carni
degli
animali
sacrificati.
La
volontà
degli
dei
era
accuratamente
sondata
dai
veggenti.
Uomini
e
donne,
padri
di
famiglia
e
dignitari
della
comunità
non
perdevano
d’occhio
gli
dei
e si
adoperavano
per
renderseli
benevoli,
sia
quando
c’era
una
ragione
particolare
per
farlo,
sia
perché
così
voleva
la
regola
».
Le
origini
della
"religione
greca"
vanno
individuate
nella preistoria dei
primi
popoli
abitanti
l'Europa,
nelle
credenze
e
nelle
tradizioni
di
differenti
popoli indo-europei che,
a
partire
dal XXVI
secolo
a.C.,
migrarono
in
quelle
regioni,
nelle
civiltà minoica e micenea e
nelle
influenze
delle
civiltà
del Vicino
Oriente
antico occorse
lungo
i
secoli..
La
religione
dei
greci
si
compiva
soprattutto
sotto
forma
di
azioni
sacre.
Azione
sacra
per
antonomasia
era
il
sacrificio
animale.
Il
sacerdote
(hierèus)
gestiva
il
rapporto
con
la
divinità.
L’indovino
(màntis)
interpretava
i
segni
attraverso
i
quali
la
divinità
manifestava
la
sua
volontà.
Gli
dei
della
religione
dell’antica
Grecia
erano
antropomorfi
e
identici
agli
uomini,
nella
sfera
sentimentale
e
nelle
relazioni,
ma
erano
ad
essi
superiori
in
potenza.
Al
contrario
del
Dio
dei
cristiani,
gli
dei
greci,
erano
creati
a
immagine
e
somiglianza
dell’uomo.
La
spiegazione
maggiormente
accettata
sulle
origini
del
mondo
secondo
la
mitologia
greca,
è
fornita
dalla Teogonia di
Esiodo.
In
principio
esisteva
il Caos,
un
immenso
nulla.
Da
tale
nulla
nacquero Gea (la
Terra),
Eros (l'Amore),
l'Abisso (il Tartaro)
e
l'Erebo (l'oscurità).
Gea,
auto
generò Urano (il
cielo),
dal
quale
venne
poi
fecondata
dando
vita ai
Titani:
Oceano, Ceo, Crio, Iperione,Giapeto, Teia, Rea, Temi, Mnemosine, Febe, Teti e Crono.
Nacquero
poi
i
monocoli Ciclopi (Bronte, Sterope e Arge)
e
gli Ecatonchiri
dalle
cento
mani
(Briareo, Gige e Cotto).
Crono
–
"l'astuto
più
giovane
e
terribile
dei
figli
di
Gea"fu
salvato
da
Gea
e
vendicò
i
fratelli
uccisi
dal
padre
Urano.
Divenuto
sovrano
dei
titani,
sposò
la
sorella
Rea
(gli
altri
Titani
divennero
membri
della
sua
corte),
dalla
quale
ebbe
diversi
figli,
che
conobbero
la
stessa
sorte
dei
suoi
fratelli
per
mano
di
suo
padre
Urano.
Rea
tuttavia,
riuscì
a
nascondere
il
più
piccolo
di
questi,
Zeus.
Una
volta
adulto
Zeus
costrinse
Crono
a
vomitare
tutti
i
figli
che
aveva
divorato,
mediante
l’ingestione
di
un
farmaco,
infine
lo
combatté,
aiutato
dai
Ciclopi
e da
Campe,
sconfiggendolo
e
conquistando
definitivamente
il
trono
degli
dei.
Alla
fine
Crono
ed i
Titani
furono
gettati
a
loro
volta
nel
Tartaro
e lì
imprigionati
sotto
la
custodia
degli
Ecatonchiri.
Dopo
la
cacciata
dei
Titani
spiccarono,
tra
le
divinità
greche,
gli Olimpi (in
numero
di
dodici
secondo
una
moderna
teoria)..
Oltre
agli
Olimpi,
erano
venerati:
il
dio-capra Pan,
le
Ninfe,
le Naiadi (abitanti
le
sorgenti),
le Driadi (abitanti
gli
alberi),
le Nereidi (abitanti
i
mari),
gli
dei
fluviali,
i Satiri ed
altre
divinità.
Esistevano
finanche
forze
oscure
abitanti
il
mondo
sotterraneo
come
le Erinni (o
Furie),
che
secondo
le
credenze,
perseguitavano
i
rei
di
crimini
contro
i
propri
congiunti.
Nell’era
degli
Olimpi,
gli
dei
vivevano
sul
Monte
Olimpo
e le
nuvole
che
avvolgevano
la
cima
impedivano
agli
stessi
uomini
di
vederli.
I
principali
dei
del
pantheon
greco
in
tale
epoca
erano:
-
Zeus:
re
degli
dei
e
del
Monte
Olimpo.
Divinità
celeste
indoeuropea,
dio
atmosferico
che
scaglia
i
fulmini.
-
Hera:
sposa
di
Zeus
e
garante
dell’ordine
matrimoniale.
Protettrice
della
famiglia
e
della
maternità.
-
Poseidone:
è il
dio
del
mare,
figlio
di
Crono
e
fratello
di
Zeus,
Ade,
Era,Estia
e
Demetra.
Dalla
Nereide Anfitrite
ha
avuto
un
figlio, Tritone,
mezzo
uomo
mezzo
pesce.
Il
simbolo
di
Poseidone
è
il tridente e
suoi
animali
sacri
sono,
il cavallo (creato
da
lui
dalle
onde
del
mare)
e
il delfino.
È
chiamato
Scuotitore
della
terra e
considerato
causa
dei terremoti.
-
Divinità
simili
a
Poseidone
sono
presenti
nelle
religioni
di
altre
civiltà
del
mondo
antico
(es.
Nettuno
per
i
Romani).
-
Atena:
protettrice
della
città
di
Atene
e
patrona
del
lavoro
femminile,
in
particolare
della
tessitura.
Nacque
dalla
testa
di
Zeus.
-
Apollo:
nacque
a
Delo
da
Zeus
e
Leto.
Era
il
fratello
gemello
di
Artemide.
Era
il
dio
della
luce,
dell’armonia,
inventore
della
lira,
protettore
delle
arti
e
delle
Muse
e
soprattutto
dio
della
profezia
(oracolo
di
Delfi).
Apollo
si
distinse
a
Delfi
uccidendo
il
serpente
Pitone
che
viveva
in
una
caverna
del
Monte
Parnaso.
Apollo
riflette
per
i
Greci
il
genio
artistico
del
loro
paese,
nonché
il
loro
ideale
di
giovinezza,
bellezza
e
progresso.
-
Artemide:
dea
della
caccia
e di
ciò
che
è
esterno
alla
città,
al
villaggio
o ai
campi
coltivati.
Era
sorella
gemella
di
Apollo
e
circondata
dalle
proprie
ninfe.
-
Afrodite:
dea
dai
poteri
immensi.
Proteggeva
i
matrimoni,
favoriva
l’intesa
amorosa
degli
sposi,
presiedeva
alle
nascite
e
rendeva
fertili
i
campi.
Poteva
essere,
tuttavia,
anche
una
dea
fatale
poiché
simboleggiava
la
passione
irrefrenabile.
Era
tirata
su
un
carro
da
uccelli
come:
la
colomba,
il
cigno
e il
piccione;
tutti
simboli
della
fertilità.
Era
generalmente
raffigurata
nuda
in
pose
voluttuose
ricoperta
da
un
sottile
velo
che
modella
le
forme
armoniose
del
suo
corpo.
Per
tale
caratteristica
di
sensualità,
viene
spesso
assimilata
alla
dea
fenicia
Astarte.
-
Hermes:
messaggero
degli
dei,
guida
delle
anime
nel
regno
dei
morti,
protettore
di
viandanti,
mercanti,
pastori
e
ladri.
-
Efesto:
dio
del
fuoco,
della
metallurgia,
tecnologia,
dell'ingegneria,
della scultura.
Efesto
e
suo
fratello Ares erano
figli
di Era concepiti,
a
seconda
delle
varie
versioni
della
leggenda,
con
o
senza
la
partecipazione
di Zeus.
Nonostante
il
suo
aspetto
deforme,
risultava
sposato
con
Charis,
la
Grazia
o
con
Afrodite.
-
Ares:
figlio
di
Zeus
e di
Era,
non
ebbe
mai
un
ruolo
importante.
Dio
della
guerra
e
della
lotta.
A
causa
della
sua
brutalità,
non
era
simpatico
agli
dei
così
come
ai
mortali.
Solo
Afrodite
concepì
un
folle
amore
per
Ares
che
simboleggiava
in
tutta
la
sua
potenza,
la
forza
della
passione
e
dei
sensi.
Suo
antico
nome
di
culto
era
Enyalios.
-
Demetra:
figlia
di
Crono
e
Rea
è
innanzitutto
la
dea
del
frumento,
della
fertilità
e
madre
di
Persefone,
la
quale
rapita
dal
dio
degli
inferi
divenne
poi
la
regina
dei
morti.
Con
Iasione
generò
Pluto
e
con
Poseidone
generò
Arione.
-
Dioniso:
figlio
di
Zeus
e di
Semele
(una
mortale).
Era
il
dio
del
vino
e
dell’estasi,
circondato
spesso
dalle
divinità
dei
boschi
e
dalle
donne
in
preda
alla
follia
(Menadi
o
Tiadi)
e
dai
Satiri
(esseri
per
metà
animali
e
dotati
di
grossi
falli).
Al
suo
culto
è
connessa
l’origine
della
tragedia.
-
Estia:
dea
del
fuoco
e
della
casa.
È
una
delle
divinità
più
misteriose
del
pantheon
ellenico.
La
divinità
equivalente
a
Estia
nella
mitologia
romana,
era
chiamata
Vesta
sulla
quale,
Ovidio
scrive:
“Per
lungo
tempo
credetti
stoltamente
che
ci
fossero
statue
di
Vesta,
ma
poi
appresi
che
sotto
la
curva
cupola
non
ci
sono
affatto
statue.
Un
fuoco
sempre
vivo
si
cela
in
quel
tempio
e
Vesta
non
ha
nessun'effigie,
come
non
ne
ha
neppure
il
fuoco”.
Nel
periodo
della
polis
(III
– VI
sec
a.C.),
la
religione
assunse
un’importanza
fondamentale
per
la
società
greca.
Celebrazioni
del
sacro,
facevano
infatti
parte
dei
processi
e
dei
giochi
sportivi.
A
tali
celebrazioni
partecipava
l’intera
comunità.
La
tradizione
teogonica
e
cosmogonica
era
compito
dei
poeti.
A
differenza
dei
greci,
i
romani
praticavano
una
religione
nella
quale
erano
assenti
i
miti
ma
erano
diffusi
i
riti,
molti
dei
quali
di
origine
arcaica
e
mutuati
da
altri
popoli.
La
religione dei
romani
era
prevalentemente
civica,
familiare
e
socio-politica.
Il
culto
verso
gli
dei
era
un
dovere
morale
e
civico
nello
stesso
tempo,
basato
sulla pietas,
con
funzione
di
assicurare
la pax
deorum per
il
bene
dell’urbe,
della
famiglia
e
dell'individuo.
Quest’aspetto
fu
alla
base
del
sorgere
del
conflitto
tra
l’Impero
Romano
e i
primi
cristiani,
i
quali
seguendo
i
dettami
di
Gesù
di
Nazareth,
rifiutavano
di
praticare
i
culti
pagani
(in
particolare
il
culto
all’Imperatore)
e
predicavano
il
messaggio
evangelico
universalmente,
in
primis
nei
confronti
dei
pagani.
Ciò
era
intollerabile
per
gran
parte
dei
cittadini
e
per
le
autorità
costituite,
in
quanto,
oltre
a
rappresentare
turbamento
dell’ordine
pubblico,
equivaleva
a
slealtà
nei
confronti
dell’Impero
e
della
pietas.
La
religione
romana
si
sviluppò
attraverso
quattro
fasi:
una
prima
protostorica,
una
seconda
fase
dal VIII
secolo
a.C. al VI
secolo
a.C.,
caratterizzata
dall'influenza
delle
religioni
autoctone;
una
terza
contrassegnata
dal
sincretismo
con
le
religioni
etrusca
e
greca;
infine,
una
quarta
fase,
durante
la
quale
si
affermò
il
culto
dell'imperatore
e si
diffusero
i
culti
misterici dall’oriente.
Nella
religione
romana,
antropocentrica,
i
riti
posseggono
un
valore
e un
significato
simbolici
e
sono
governati
da
un
complesso
e
articolato
sacerdozio
pubblico,
al
cui
apice
si
trova
il
collegio
dei
pontefici,
di
cui
fanno
parte
il
re
sacrale,
i
quindici
flamini
e le
sei
vestali.
Il pontefice,
inizialmente,
svolgeva
essenzialmente il
compito
di
indicare
e
suggerire,
alle
autorità
ed
ai
privati,
il
modo
più
opportuno
per
adempiere
agli
obblighi
religiosi.
Esso
sorvegliava
il
culto
nei
suoi
diversi
aspetti,
e
soprattutto
sovraintendeva
le
cerimonie
riguardanti
le divinità
indigene.
L’istituzione
del
collegio
dei
pontefici,
dagli
inizi
fino
al 300
a.C. in
numero
di
cinque,
sembra
possa
farsi
risalire
al
successore
di
Romolo,
Numa
Pompilio.
I
Flamini
assistevano
al
culto
imperiale
o
delle
divinità,
ed
erano
suddivisi
in Flamines
Maiores,
provenienti
dai
patrizi
e
celebranti
la Triade
Capitolina,
e i Flamines
minores,
suddivisi
a
loro
volta
in
dodici
tipi.
Le vestali erano
delle
sacerdotesse
consacrate
alla
dea Vesta,
della
quale
officiavano
il
culto.
Per
un
approfondimento
sugli
dei,
le
istituzioni
e i
riti
della
religione
romana
si
consiglia
la
lettura
del
libro
di
Jacquelin
Champeaux.
Per
quanto
riguarda
il
nuovo
paganesimo,
che
non
detiene
un
filo
conduttore
con
il
paganesimo
delle
antiche
civiltà,
brevemente
trattato
finora,
da
una
ricerca
dei
sociologi
delle
religioni
Massimo
Introvigne,
Andrea
Menegotto
e
Pierluigi
Zoccatelli
si
evince
che:
«
[…]
un
interesse
per
il
mondo
pagano
–
accompagnato
da
una
critica
più
o
meno
violenta
del
cristianesimo
–
risale
al
Rinascimento,
ma
produce
un
movimento
socialmente
rilevante
soprattutto
in
Inghilterra
durante
l’Illuminismo,
con
figure
come Richard
Payne
Knight
(1751-1824)
e il
francese
residente
a
Londra
Pierre-François
Hugues
(1719-1805),
noto
con
lo
pseudonimo
di
“barone
d’Hancarville”.
Questi
personaggi
propongono
un
culto
della
natura
e
del
sole
che
ha
pure
un
aspetto
legato
alla
sessualità,
e in
questo
senso
continua
in
Inghilterra
fino
al
secolo
successivo
e
all’opera
di
Hargrave
Jennings
(1817-1890).
[…]in
un
ambiente
certamente
meno
aristocratico
e
più
popolare
–
nasce,
sempre
in
Inghilterra,
un
neo-druidismo
con
l’Ancient
Druid
Order
di
John
Toland
(1669-1722).
Questo
“ritorno
ai
druidi”
avrà,
in
parte,
un’evoluzione
non
pagana
e
legata
piuttosto
alla
restaurazione
di
un
celtismo
cristiano
con
l’Ancient
Order
of
Druids
–
fondato
nel
1781;
nel
1833
l’emergere
al
suo
interno
di
diverse
opinioni
causa
una
fuoriuscita
di
alcuni
membri,
che
fondano
l’United
Ancient
Order
of
Druids
(UAOD), il
quale,
con
alcune
sedi
negli
Stati
Uniti,
pare
essere
l’Ordine
di
più
antica
origine
a
essere
oggi
sopravvissuto
– e
con
le
assemblee
celtiche
di Iolo
Morgannwg (pseudonimo
di
Edward
Williams,
1747-1826.
Più
tardi
in
Francia
un
neo-celtismo
di
carattere
druidico,
e
tendenzialmente
pagano,
si
svilupperà
con
André
Savoret
(1898-1977).
Un
buon
numero
di
società
“druidiche”
di
matrice
pagana
esiste
ancora
oggi
in
diversi
Paesi
del
mondo.
Per
quanto
riguarda
il
celtismo,
in
Italia
–
oltre
al
caso
peculiare
riguardante
il Movimento
Spirituale
Riformato
dei
Nativi
d’Insubria –
si
segnala
un
fenomeno
di revival,
caratterizzato
da
presenze
soprattutto
in
ambito folklorico,
pur
con
qualche
ricaduta
di
genere
spirituale».
Pur
trattandosi
di
una
fonte
secondaria
e
indiretta,
quella
sopra
citata
mostra
che
tra
il
paganesimo
delle
civiltà
arcaiche
e
classiche
e il
neopaganesimo,
non
esiste
alcun
filo
conduttore.
Il
neopaganesimo,
come
si
può
vedere,
sorge
nella
cultura
occidentale,
non
prima
del
XVII
secolo.
Secondo
uno
studio
del
CESNUR,
la
maggior
parte
degli
aderenti
alla
“Wicca”
(espressione
anglo-sassone
antica
per
“stregone”
–
maschile
di “wicce”
/
“strega”,
presentata
alle
origini
della
corrente
– ma
in
modo
filologicamente
fantasioso
–
come
versione
inglese
antica
di witchcraft
–
“stregoneria”),
asseriscono
essere
pagani,
tuttavia
non
tutti
neopagani,
e
si definiscono
“streghe”
(sic!)
o
aderenti
alla
Wicca.
Riguardo
la
storia
della
stregoneria,
esistono
delle
controversie,
affrontate
e
discusse
in
innumerevoli
pubblicazioni
che
non
è
sede
d’esporre.
L’egittologa
appassionata
di
stregoneria,
Margaret
Alice
Murray
(1863-1963),
muovendosi
sul
filone
delle
discusse
ricerche
del
folklorista
americano
Charles
Godfrey
Leland
(1824-1903),
condotte
principalmente
in
Italia,
difende
la
tesi
secondo
cui
la
stregoneria
sarebbe
semplicemente
la
“vecchia
religione”
dell’Europa
precristiana,
sopravvissuta
in
modo
“segreto”
alle
persecuzioni.
Secondo
la
Murray,
la
stregoneria
combattuta
dall’Inquisizione
era
sostanzialmente,
l’autentica
“religione
pagana”.
L’Enciclopedia
Italiana,
citando
autorevoli
fonti
di
inizio
XX
secolo,
scrive
riguardo
alla
stregoneria
presso
i
popoli
antichi:
«Verso
la
fine
del
II
millennio
a.
C.,
nell'ultimo
anno
di
regno
di
Rameśśêśe
III,
la
regina
Teje
trama
un
complotto,
in
cui
sono
implicati
ufficiali
di
corte
e
dame
dell'harem,
per
far
salire
sul
trono,
invece
del
legittimo
erede,
il
figlio
di
lei
Pentawere;
dagli
atti
dell'inchiesta
risulta
che
anche
allora
si
facevano
sortilegi
su
statuette
che
rappresentavano
gli
avversari.
Nella
biblioteca
di
Assurbanipal
(sec.
VIII
a.
C.)
s'è
trovata
tutta
una
serie
di
esorcismi,
designata
col
nome
di
seriemaqlū,
per
scongiurare
gli
effetti
del
sortilegio
(mamītu)
dello
stregone
(kashshapu)
o
della
strega
(kashshaptu).
Il
Vecchio
Testamento
parla
di
streghe
e di
necromanti,
ma
per
vietarne
la
consultazione
e le
pratiche;
anzi Lev.
XXII,
18,
prescrive
che
streghe
e
stregoni
non
siano
lasciati
vivere.
Tipi
perfetti
di
strega
presso
i
Greci
sono
Circe
e
più
Medea;
le
più
famose
streghe
sono
le
donne
tessale
e
traci;
presso
i
Romani,
basti
accennare
all'oraziana
Canidia,
e
alla
descrizione
dei
più
svariati
sortilegi
lasciata
nell'Asino
d'oro da
Apuleio,
che
era
stato
accusato
di
stregoneria.
Presso
tutti
i
popoli
dell'antichità,
come
presso
le
popolazioni
primitive
odierne,
una
razza
conquistatrice
considera
come
pratiche
di
stregoneria
le
pratiche
del
culto
dei
popoli
sottomessi
e
spesso
le
divinità
dei
vinti
divengono
i
demonî
dei
vincitori:
così
si
comportano
gli
Arî
dell'India
verso
i
popoli
dravidici,
e
gli
Scandinavi
verso
i
Lapponi;
nello
stesso
modo
è
considerata
la
religione
del
nemico
o
dello
straniero:
i
Romani
consideravano
esperti
in
stregoneria
gli
Etruschi,
i
Marsi,
i
Sabini,
i
Peligni».
Questa
citazione
suggerisce
che
effettivamente,
nell’evo
antico
esistettero
pratiche
definibili
come
stregoneria,
tuttavia,
trattandosi
di
culture
diverse
(nel
tempo
e
nello
spazio)
e di
pratiche
assai
eterogenee
e
non
assimilabili
ai
rituali
Wicca,
si
può
affermare
che
tali
informazioni
non
siano
assolutamente
sufficienti
per
sostenere
la
tesi
delle
origini
pre-cristiane
della
succitata.
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