N. 148 - Aprile 2020
(CLXXIX)
CORONAVIRUS:
STRAGE
DI
anziani
NEGLI
OSPIZI
Alla
ricerca
della
dignità
umana
di
Giovanna
D’Arbitrio
“Lungi
dalla
ignobile
lotta
della
pazza
folla…
tennero
un
corso
tacito
e
tranquillo”
T.
Gray,
Elegia
scritta
in
un
cimitero
di
campagna
Molti
credono
che
esistano
i
“cimiteri
degli
elefanti”,
luoghi
in
cui
gli
elefanti
più
anziani
si
dirigono
per
morire
lontani
dal
branco.
La
prima
volta
che
ne
sentii
parlare
fu
alla
fine
degli
anni
Cinquanta,
ma
non
era
riferito
agli
elefanti
bensì
agli
ospizi
dei
Paesi
del
Nord
Europa,
dove
sembra
che
fossero
già
numerosi,
citati
con
sdegno
dai
miei
nonni
e
genitori
secondo
i
quali
agli
anziani
spettava
amore,
rispetto
e
assistenza
da
parte
della
famiglia
fino
alla
fine
della
loro
vita.
E
mentre
mi
spiegavano
tutto
ciò,
pensai
che
gli
elefanti,
benché
animali,
fossero
più
liberi
di
scegliere
degli
umani.
A
quanto
pare
pian
piano
in
paesi
ricchi
e
classi
sociali
abbienti
è
prevalsa
la
scelta
egoistica
e
anaffettiva
di
collocare
gli
anziani
negli
ospizi,
denominati
spesso
case
di
riposo
o di
cura,
eufemismi
per
“anticamera
del
cimitero”.
A
ciò
si
deve
aggiungere,
inoltre,
la
crisi
delle
famiglie,
smembrate
dalla
globalizzazione
per
motivi
di
lavoro,
famiglie
i
cui
membri,
sparsi
in
vari
paesi
del
mondo,
sono
costretti
a
ricorrere
agli
ospizi
per
lontananza
o
mancanza
di
tempo
in
questa
frenetica
società
ora
bloccata
dal
Coronavirus.
Ogni
tanto
vanno
a
trovarli
e
per
qualche
istante
i
vecchi
s’illudono
di
rivivere
quel
calore
familiare,
anche
se
per
loro
il
vero
dramma
forse
è
l’essere
consapevole
che
chi
entra
in
quei
luoghi
non
ne
esce
certo
vivo.
Così
in
tutto
il
mondo
milioni
di
anziani
che
avevano
dato
molto
a
famiglia
e
società
trascorrono
i
loro
ultimi
anni,
spesso
contro
la
loro
volontà
e
talvolta
maltrattati
da
personale
disumano,
come
ci
hanno
rivelato
alcuni
filmati.
Sembra
perfino
fortunato
chi
può
essere
assistito
almeno
da
una
badante
a
casa!
E
pensare
di
morire
lontani
dai
familiari,
tra
estranei,
deve
essere
davvero
straniante:
è
ciò
che
sta
accadendo
ora
a
livello
internazionale
a
causa
del
coronavirus,
in
particolare
in
Italia
in
cui
il
numero
dei
vecchi
è
superiore
a
quello
dei
giovani
che
emigrano
in
cerca
di
lavoro.
Davvero
macabro
e
triste
il
corteo
dei
camion
che
trasportano
bare
e
orrende
le
fosse
comuni
negli
Usa
che
ci
ricordano
quelle
dei
campi
di
concentramento
nazisti.
Poi
mi
son
venuti
in
mente
i
tempi
in
cui
si
moriva
in
casa,
anche
per
le
malattie
più
gravi
e i
vecchi
erano
circondati
dall’affetto
dei
propri
familiari.
C’era
sempre
un
parente
che
stringeva
la
mano
del
moribondo
per
confortarlo
fino
alla
fine
e
che,
quando
il
pulsare
del
cuore
si
spegneva
pian
piano,
avvertiva
i
presenti
con
un
cenno,
poi
con
un
gesto
pietoso
e
gentile
chiudeva
gli
occhi
del
defunto.
I
medici
curavano
gli
ammalati
senza
alcun
accanimento
terapeutico
e,
giunta
l’ora
fatidica,
lasciavano
che
il
malato
morisse
con
dignità
dandogli
qualche
sedativo
o un
antidolorifico.
Talvolta
era
presente
anche
un
prete,
solo
se
veniva
chiamato,
e
con
umiltà
e
senza
tante
parole
o
inutili
ingerenze,
impartiva
un’estrema
unzione.
Ho
visto
morire
così
i
miei
nonni,
mio
padre
e
altre
persone
di
famiglia.
Nei
piccoli
cimiteri
di
campagna
ti
colpivano
quei
cartelli
con
la
scritta
“SILENZIO
E
RISPETTO”
e
così
camminavi
in
punta
di
piedi
e
parlavi
a
voce
bassa.
La
solennità
del
grande
mistero
della
Morte
ti
avvolgeva,
ma
in
quell’atmosfera
piena
di
pace
il
dolore
per
la
perdita
dei
tuoi
cari
si
addolciva
e,
riflettendo
sui
loro
esempi
positivi,
cercavi
poi
di
imitarli
dando
un
significato
alla
tua
vita,
senza
sprecarla
con
inutili
azioni
e
vane
parole.
E
tornando
ai
tempi
del
Coronavirus,
non
possiamo
fare
a
meno
di
evidenziare
la
dipartita
di
un’intera
generazione
che
credeva
di
poter
cambiare
il
mondo:
quelli
usciti
dalla
guerra
che
hanno
ricostruito
l’Italia,
i
ventenni
della
Rivoluzione
Giovanile
del
‘68,
quelli
che
cantavano
le
canzoni
dei
Beatles,
di
Mina
e
Celentano,
di
Bob
Dylan
contro
la
guerra,
i
seguaci
di
Martin
Luter
King,
di
Nelson
Mandela,
i
figli
dei
fiori
e il
loro
slogan
“Make
love,
not
war”.
Ripensando
a
loro
e
sentendo
dire
in
giro
che
“per
fortuna
il
virus
colpisce
soprattutto
i
vecchi”,
ho
riletto
il
libro
di
James
Hillman,
La
Forza
del
Carattere,
che
rivaluta
il
ruolo
degli
anziani,
poiché
“la
vecchiaia
può
diventare
una
forma
d’arte,
un’occasione
unica
per
creare
una
struttura
estetica
possente
e
memorabile
che
incarni
il
ruolo
archetipico
dell’avo,
custode
non
bigotto
della
memoria
e
della
tradizione”.
Comunque
anche
se
ne
stanno
andando
i
vecchi,
i
giovani
non
è
che
stiano
meglio.
Mala
tempora!
Tempi
terribili
per
tutti,
tempi
che
ci
ricordano
il
libro
di
George
Orwell,
1984,
dove
un’Umanità
robotizzata
e
omologata
è
costretta
a
obbedire
al
Grande
Fratello.
La
verità
è
che
stiamo
rinunciando
forse
al
nostro
libero
arbitrio,
la
libertà
di
scelta,
cioè
quella
capacità
che
ci
fa
essere
qualcosa
in
più
di
una
pianta
o un
animale
che
certamente
“vivono,
ma
non
possono
scegliere”.
I
progressi
della
scienza
e
della
tecnica
stanno
cambiando
il
nostro
modo
di
vivere
e di
morire:
siamo
giunti
a
una
svolta
e
pertanto
occorrerebbero
leggi
più
mirate
in
difesa
di
democrazia,
libertà
e
privacy,
diritti
umani
e
civili,
beni
comuni,
libere
scelte
su
vita
e
morte,
sempre
nel
rispetto
di
se
stessi
e
degli
altri
e
soprattutto
della
“dignità
umana”.