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MEDIEVALE


N. 23 - Novembre 2009 (LIV)

Storiografia e medioevo
Quello che non c’è nei libri
...
di Gennaro Tedesco

 

La storiografia contemporanea più diffusa relativa alla storia dell’Europa medioevale, in particolare bizantina, ci offre una visione ancora troppo limitata.


Ai giovani del liceo scientifico o del liceo classico si presenta un’Europa medioevale che dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente, attraverso Carlo Magno fino alle Crociate ed oltre, è sempre comunque protagonista del faticoso percorso dell’evoluzione storica a scapito degli avvenimenti dell’Impero romano d’Oriente. Nella peggiore delle ipotesi i Bizantini non compaiono nemmeno, dimenticati nel loro “angolo” sud-orientale d’Europa. Gli unici concorrenti della così detta civiltà occidentale sembrano essere solo gli Arabi, per la perdurante influenza delle tesi di H. Pirenne.

 

Ma è giunto il momento di mostrare agli allievi l’altra faccia della medaglia, quella molto più complessa e diversa che non appare ancora oggi nei manuali di storia. Dal VII secolo d.C. all’XI secolo, con alterne vicende, il Mediterraneo non è un lago arabo e la parte centro-meridionale del continente europeo non è esclusiva riserva di caccia dei Longobardi, dei Franchi o di tutti gli altri Barbari provenienti dall’Est europeo. Al contrario Bisanzio vi svolge un ruolo di primo piano, diventando nel Mediterraneo una potenza egemone.

Il sistema tematico: punto di partenza della rinascita bizantina

Come si manifesta, si concretizza e si sviluppa questo processo egemonico nel Mediterraneo? Di fronte all’avanzata araba nel Mediterraneo, l’Impero bizantino sviluppa un sistema difensivo unico al mondo: il sistema dei temi che nasce dalla esigenza di adeguarsi praticamente e rapidamente alla nuova situazione storica imposta dalla offensiva araba nel bacino del Mediterraneo. I temi sono essenzialmente unità amministrative, fiscali, militari. Essi svolgono la funzione di nuovi distretti militari autonomi all’interno di un Impero che comunque non perde mai il suo carattere centralizzato e totalitario.


I soggetti principali dei temi sono i contadini che in essi svolgono eminentemente due funzioni: quella produttivo-fiscale e quella militare. La proprietà e la coltivazione dei campi obbligano i contadini non solo alla contribuzione fiscale, ma anche alla leva militare.


A partire dal VII secolo in poi gli imperatori bizantini impongono ai loro sudditi rurali gran parte dell’onere necessario al mantenimento della costosa macchina amministrativa e militare bizantina. Essi, bene o male, si adeguano a tale, in parte forzosa, richiesta perché essa evidentemente fino all’XI secolo consente sufficienti margini di sopravvivenza e sicurezza sociale e militare, ma anche notevoli elementi di dinamismo sociale ed economico sconosciuti ad esempio nell’Impero carolingio.
Nel confronto con lo statico, conservativo e conservatore sistema carolingio si può cominciare ad avvertire tutta l’enorme carica progressiva ed innovativa dell’Impero bizantino che, in questo periodo, cioè dal VII all’XI secolo non è affatto quel monolito ingessato che tanta storiografia occidentale ha trasmesso all’immaginario collettivo di giovani ed alunni.


I temi bizantini amministrati e governati da uno stratega, che a sua volta, dipendeva direttamente e unicamente dal Basileus offrono non poche occasioni di ascesa sociale a una popolazione rurale che vede nell’espansione dei confini soprattutto ad Oriente, ma anche ad Occidente, accrescere la proprietà della terra strappata agli infedeli. In questo modo i contadini bizantini hanno buone ragioni per difendere l’Impero. La regolarità e la relativa abbondanza del prelievo fiscale consente al Basileus il consolidamento di una eccellente burocrazia, del resto di antica tradizione romana, e la riorganizzazione di una flotta militare al servizio di una strategia di intervento globale nel bacino del Mediterraneo.


In questo periodo, al contrario, l’Impero carolingio e gli imparatori romani d’Occidente sono vittime di un sistema feudale che non solo non coinvolge i contadini, ma li emargina e li schiaccia..
Il prelievo fiscale è irregolare ed inefficace, rendendo impossibile la costituzione di una regolare ed efficiente macchina amministrativa e militare.
Le principali unità amministrative dell’Impero bizantino erano concentrate in Asia Minore che fino all’XI secolo rimane il fulcro economico, agricolo e militare della comunità bizantina.

La flotta come fattore strategico apripista del commercio mediterraneo

La regolarità del prelievo fiscale e l’efficienza e l’efficacia del capillare sistema amministrativo bizantino consentono l’allestimento e il mantenimento di una poderosa e tecnologicamente avanzata flotta militare, al contrario dell’Impero carolingio e dei suoi successori che non riusciranno mai a dotarsi di una marina da guerra degna di questo nome. E anche per questo dovettero ricorrere al sostegno della marina militare bizantina, rinunciando di fatto al controllo del Mediterraneo con gravi conseguenze al loro interno.


Dal VII secolo all’XI secolo la flotta militare bizantina costituì l’elemento tattico e strategico determinante ai fini del dominio bizantino nell’intero bacino del Mediterraneo. Essa fu riorganizzata nel VII secolo per contenere e annientare l’avanzata araba nel Mediterraneo che puntava alla conquista della capitale, Costantinopoli.


Il compito della flotta militare bizantina, come quello dell’esercito, era strategicamente ben determinato: massimo sforzo in Oriente, centro nevralgico dell’Impero, da sempre, minimo sforzo nell’Occidente meno importante nel quadro della politica globale bizantina e considerato sia dal punto di vista polico che economico in una situazione da Terzo Mondo. Le fonti occidentali, franche e longobarde, non si sono mai rese conto del loro peso specifico minimo all’interno dello scacchiere internazionale bizantino e arabo.
Spesso e volentieri l’esercito e la marina militare romano-orientale agivano di concerto, avendo sempre come base di appoggio strategico e logistico la formidabile fortezza di Costantinopoli: dalla capitale partivano le vie di comunicazione più importanti dell’Impero, sia quelle terrestri che quelle marittime.


Il porto di Costantinopoli poi accoglieva il nerbo della flotta militare. A Costantinopoli era dislocato il comando militare strategico, ma anche il centro del potere politico e religioso. Tentare di occupare la capitale dell’Impero romano di Oriente e della cristianità ortodossa, Costantinopoli, la città “desiderio del mondo”, fu per gli Arabi una necessità storica, ma anche un sogno che non si concretizzò mai.
La tecnologia navale militare degli Arabi fu sempre inadeguata rispetto alle possibilità dei Bizantini che in questo campo rivelarono doti pratiche e scientifiche degne della loro conclamata origine e tradizione greco-romana. I Romani d’Oriente ebbero sempre facile accesso alle materie prime strategiche: le riserve di legname utili alla costruzione di navi militari abbondavano sia in Europa che in Asia Minore. Gli Arabi non disponevano di rilevanti risorse forestali nei loro territori, per lo più aridi, né seppero mai costruire navi della portata e della potenza di quelle romano-orientali. Le maestranze bizantine erano inoltre molto più esperte di quelle arabe in abilità e perizia marinaresca.


Ma l’arma segreta, l’arma totale, che diede alla flotta imperiale il dominio globale nel Mediterraneo non solo contro gli Arabi ma contro tutti i nemici, compresi i Carolingi, per quello che potevano valere sul mare, cioè molto poco, fu il fuoco greco, un’arma terribile. Essa fu inventata da un ingegnere siriano, Kallinikos, profugo da Eliopolis, all’incirca nel periodo del primo assedio arabo di Costantinopoli nel 674-678. Fu scoperto giusto in tempo per consentire ai Romani d’Oriente di costruire una flotta attrezzata con una apparecchiatura per lanciare napalm. La flotta romano-orientale bruciò completamente le navi arabe e i loro equipaggi.


Gli elementi costitutivi della miscela del fuoco greco furono gelosamente custoditi e tenuti segreti per lungo tempo. Soprattutto i Bizantini cercarono sempre di controllare, quanto meno indirettamente, tutta la regione dal Nord del Caucaso fino alla Mesopotamia settentrionale, perché in questa area erano reperibili e disponibili le più rilevanti riserve di “benzina” a cui neanche gli Arabi poterono mai accedere anche quando si impossessarono del segreto del fuoco greco.
Sotto l’ombrello protettivo di questa poderosa organizzazione militare ed economica fu relativamente facile alla elite dirigente di Bisanzio aprire e quasi monopolizzare i flussi commerciali nel bacino del Mediterraneo.

Il sistema commerciale bizantino

Quali sono le caratteristiche della politica economica e non solo economica dell’Impero bizantino nel mondo mediterraneo e orientale? Qui ancora una volta i nostri manuali di storia, come le fonti occidentali medioevali e la “vulgata” imperante forniscono un’immagine distorta e fuorviante: semplicemente i Bizantini non esistono come “produttori” di politica e storia nel Mediterraneo. La realtà storica dell’indagine scientifica più recente è del tutto diversa se non opposta a tale vulgata.

L’attività produttiva e commerciale per una politica di prestigio

Abbiamo già visto i Romani d’Oriente costituirsi un solido apparato produttivo e militare all’ombra del quale i commerci bizantini prosperarono con relativa facilità nel Mediterraneo. All’espansione non solo commerciale di Bisanzio nel Mediterraneo contribuirono anche l’abile e spregiudicata diplomazia e gli stessi monaci. Là dove gli eserciti, la flotta e il commercio non riuscivano nel loro compito “avvolgente”, ci pensavano gli agenti ufficiali e segreti della diplomazia affiancati da quegli altri “agenti” culturali e religiosi che erano i monaci. Tutta l’attività economica dell’Impero bizantino, ma anche altre attività, come quella culturale e religiosa, erano tutte finalizzate a una politica di prestigio. Gran parte della produzione e del commercio romano-orientale era considerato strategico ed essenziale alla politica di dominio globale dello stato Bizantino nel Mediterraneo e quindi soggetto ad un ferreo controllo dello Stato attraverso la sua massima espressione, l’imperatore.


La produzione e il commercio del legname e del petrolio erano rigorosamente controllate e limitate.
Conseguentemente le aree geografiche della Mesopotamia, del Caucaso e dell’Asia Minore assumevano un valore economico e strategico enorme nella politica bizantina, perché qui vi erano concentrate grosse riserve di legname e petrolio utili per la fabbricazione delle navi e del fuoco greco.


Quando i Romani d’Oriente, attraverso il loro agguerrito e sofisticato servizio di informazioni, venivano a sapere che alcune città autonome dell’Italia meridionale esportavano legname, materiale strategico, essi adoperavano in questi casi l’arma dell’ “embargo”, cioè vietavano a queste città la vendita del materiale strategico. L’altra produzione bizantina soggetta, secondo le direttive politiche, a forti limitazioni nella esportazione e nella vendita, era quella serica di cui il governo bizantino aveva il monopolio. Era anch’essa una sorta di merce strategica perché fortemente desiderata e richiesta dalle elites barbare d’Occidente e dei Balcani. Essa consentiva agli imperatori di Costantinopoli di prendere, in un certo senso, “per la gola” i tirannelli locali longobardi o slavi che ne facessero richiesta.


La costruzione di fortezze e, in genere, di grandi opere militari per conto terzi era un’attività molto remunerativa per i Bizantini che, a caro prezzo, prevalentemente politico, si facevano pagare queste prestazioni d’opera elargite con estrema parsimonia ai piccoli e grandi sovrani d’Occidente e dei Balcani.
Il flusso delle merci di lusso provenienti dall’Oriente estremo era sapientemente e attentamente filtrato da Bisanzio nei suoi accessi orientali: spezie, profumi, stoffe e pietre preziose, oro ed altro ancora proveniente dall’Oriente veniva “ricaricato” e venduto in Occidente a prezzi stratosferici.

L’Occidente nel sistema bizantino

Le officine bizantine, per lo meno fino all’XI secolo, inondarono il Mediterraneo dei loro prodotti più rinomati: oreficeria, argenteria, avori, mosaici, stoffe preziose ed altro ancora, tutti i prodotti, come si direbbe oggi, ad alto valore aggiunto. I clienti e i consumatori di queste pregiate produzioni bizantine furono i principi e la nobiltà dell’Europa occidentale medioevale e dei Balcani.


Anche se il cuore delle attività produttive romano-orientali rimaneva l’Asia Minore anche per la produzione mineraria, la parte occidentale dell’Impero cominciava a decollare soprattutto nell’XI secolo in quella che era ancora la provincia bizantina, anzi il Catepanato bizantino d’Italia.


Fin quasi all’XI secolo le città autonome dell’Italia meridionale bizantina insieme all’enclave settentrionale di Venezia, erano state gli avamposti commerciali privilegiati dell’Impero bizantino. Essi avevano svolto il ruolo di “cavalli di Troia”: attraverso Amalfi, Napoli, ma soprattutto Venezia l’Impero romano-orientale era penetrato economicamente e culturalmente fino al centro dell’Europa carolingia e oltre. L’entroterra dell’Europa continentale carolingia era divenuto il mercato neo-coloniale dei mercanti bizantini, ma anche la palestra di esercizio per diplomatici ufficiali e segreti e per monaci fedelissimi al basileus costantinopolitano. Purtroppo, nei nostri manuali di storia, tutto questo è completamente ignorato e forse anche volutamente, perché la storia, come è successo in America latina, è la storia dei vincitori e i Bizantini e l’ortodossia sono stati vincitori fino all’XI secolo nell’ecumene mediterranea. Dall’Occidente i Bizantini, quindi, ricavano un notevole flusso d’oro perché i principi locali dovevano pagare in oro e questo flusso aureo con direzione Bisanzio finiva col depauperare ulteriormente l’Occidente come i Balcani. Lo sfruttamento dell’Occidente da parte bizantina fu aggravato dalla svendita delle risorse forestali e degli schiavi.

Gli aspetti tecnologici del dominio bizantino

Sul piano tecnologico l’Occidente ma anche l’Islam, per lo meno fino all’XI secolo, si dimostrano nettamente inferiori ai Romani d’Oriente, eredi della tradizione ellenistica molto attenta alle sperimentazioni tecnologiche messe però al servizio dello Stato, perfettamente in linea con Bisanzio.


Il fuoco greco, l’arma segreta e totale dei Bizantini, inventata da Kallinikos, ingegnere siriano, profugo da Eliopolis all’incirca nel 674-678, è probabile che corrispondesse abbastanza all’attuale napalm e sulle navi da guerra bizantine furono predisposte apposite apparecchiature molto simili ai lanciafiamme per irrorare e bruciare le navi nemiche per lo più arabe ma anche occidentali.
“La flotta imperiale deve aver avuto anche accesso prioritario alla fabbrica in cui veniva prodotto questo composto, perché la produzione di quest’arma segreta deve essere avvenuta in condizioni di rigorosa sicurezza in un unico posto e questo posto deve essere stato dentro le mura di Costantinopoli.
Quantitativi di fuoco greco debbono essere stati forniti a tutte le flotte romano-orientali, ma è probabile che questi quantitativi non siano stati abbondanti per garantirsi da rischi di eventuali ammutinamenti.” (A.Toyenbee, Costantino Porfirogenito e il suo mondo, Firenze, 1987, p.364).


Nella lunga e complessa storia di Bisanzio è capitato pure che le flotte militari si scontrassero tra di loro e a determinare l’esito favorevole dello scontro fosse il possesso o meno di questa micidiale arma. Addirittura pare che in una rivolta militare il fuoco greco, usato da uno degli opposti schieramenti, determinasse la disintegrazione di una parte notevole della marina da guerra bizantina, limitando per un certo periodo di tempo gravemente l’attività militare nel bacino del Mediterraneo.


“Cosa era il fuoco greco? E’ molto probabile che la base del primitivo fuoco greco fosse petrolio liquido rettificato volatile… I solidi erano resina di pino e zolfo.” (A. Toynbee, Op.cit., p.365). L’ingrediente essenziale era la benzina, non il salnitro o la calce viva.
“Sembra che il sifone attraverso cui il fuoco greco veniva scaricato sia stato una pompa premente a doppia azione. Se l’ingrediente base era la benzina, non si poteva scaricare in modo efficace senza essere condensato. La particolare miscela usata e i mezzi meccanici per lanciarla costituivano nel loro insieme il segreto del fuoco greco.” (Idem, pp..365-366).


E’ probabile inoltre che a causa dei comprovati rapporti diplomatici intrattenuti da Bisanzio anche con la Cina per parecchi secoli non fosse ignota ai Romani d’Oriente un qualche genere di miscela assomigliante alla polvere da sparo scoperta già in Cina nel sesto secolo dopo Cristo.
L’XI secolo a Bisanzio rappresenta il massimo splendore dell’Impero, ma segna anche l’inizio del declino.

La crisi bizantina


Se l’XI secolo segna in Occidente una progressiva ripresa in tutti i settori, a Bisanzio l’XI secolo segna il suo costante regresso. Anche qui i manuali di storia medioevale sono piuttosto vaghi, parlano di una generica crisi bizantina che sembra quasi scaturita dal nulla, lasciando negli alunni una sensazione di imprecisione e di disinformazione.

Decadenza del sistema dei temi

Gli imperatori bizantini di questo periodo lasciano quasi volutamente decadere il sistema dei temi nella speranza di riaccentrare il residuo potere militare nelle loro mani. Essi inoltre cercano di costituire un esercito professionale composto anche da stranieri, in particolare Nordici, Vichinghi, Normanni, Vareghi.


Essi accrescono la pressione fiscale sui contadini-soldati dei temi, accelerando il processo di disgregazione delle strutture tematiche, caposaldo dell’Impero bizantino dal VII secolo. Le truppe professionali sono costose e non sempre affidabili. Esse sono utili per prolungate, massicce e lontane campagne militari, ma impongono un salasso fiscale che ricade tutto sui contadini. Ne approfittano i grandi proprietari di terre che si impossessano di gran parte dei fondi dei contadini bizantini.


Contemporaneamente sembra che gli imperatori di Bisanzio nell’XI secolo siano più propensi ad aumentare la spesa pubblica a favore della loro corte e della loro burocrazia civile a scapito della nobiltà tematica che ha costituito da secoli nell’Impero il nerbo della ufficialità militare alla guida delle truppe tematiche. L’efficienza e l’organizzazione militare dell’Impero sono trascurate. Si dimentica che l’Impero è innanzitutto e soprattutto una complessa e articolata macchina militare.
Le coseguenze negative non si lasceranno attendere. Nel 1071 sui due opposti e più importanti fronti dell’Impero arriveranno due sconfitte militari che segneranno l’inizio della fine dell’Impero romano d’Oriente: la caduta di Bari in Italia ad opera dei Normanni e la battaglia campale di Mantzikert in Asia Minore dove i Turchi Selgiuchidi distruggeranno l’esercito imperiale.

Decadenza della flotta e del commercio

La flotta militare sarà abbandonata a se stessa, mancando sempre più la regolarità del prelievo fiscale, messa in ginocchio anche dalla perdita di temi agricoli di estrema importanza occupati stabilmente dai Turchi Selgiuchidi. Dal 1082 i Veneziani furono liberi di commerciare nell’immenso mercato bizantino in cambio del loro sostegno contro i Normanni.


Inoltre i mercanti bizantini furono facilmente ridimensionati perché la logica del protezionismo monopolistico e corporativo entro cui essi avevano sempre agito non riusciva più a reggere di fronte ai violenti assalti dello spregiudicato liberismo individuale dei mercanti occidentali.


D’altra parte proprio la morsa stretta del protezionismo imperiale bizantino per certi aspetti autarchico aveva in parte bloccato i pur necessari processi di innovazione agricola, tecnologica e commerciale che in Occidente ora invece esplodevano dopo essere stati a lungo repressi dal feudalesimo.


Sul piano religioso l’XI secolo a Bisanzio vede il nascere di una prima divaricazione tra imperatore e popolo. Questa crepa nell’ormai non più solido edificio bizantino si evidenzia ulteriormente con un’altra divaricazione crescente: quella tra lingua ufficiale e lingua popolare quotidiana quasi a suggellare la formazione di due società parallele non sempre convergenti.

Il “Digenis” e i fermenti eretici

Il capolavoro più originale della civiltà bizantina è il “Digenis Akrita”, il cavaliere dalle due nascite: greco-ortodossa e asiatica. Il protagonista dell’epica bizantina Digenis prende forma all’incirca tra il IX e l’XI secolo ai confini asiatici dell’Impero in mezzo a quella popolazione rurale asiatica, la prima ad accorrere in soccorso dell’Impero e la più strenua sostenitrice dei valori greco-ortodossi della civiltà bizantina. Di questo capolavoro nei manuali di storia medioevale non si trova traccia, facendo apparire la civiltà bizantina come incapace di produrre novità anche a livello letterario e lasciando negli alunni l’impressione di una conservazione anche culturale.


Digenis è un cavaliere che difende i valori dell’Impero romano-orientale cristiano ortodosso dall’assalto degli Arabi infedeli. Egli corrisponde al prototipo dell’eroe cavalleresco dell’epica occidentale coeva. L’eroe “akritico” interpreta ottimamente e fino in fondo l’ipotesi originale, inventata in Oriente, dello Spirito di Crociata. Modelli simili a Digenis sono riscontrabili in Occidente nelle figure di Orlando e del Cid Campeador.


Dietro Digenis si coglie tutta la mentalità del mondo rurale orientale asiatico dell’Anatolia. I sudditi rurali anatolici dell’Impero romano d’Oriente si sentono gli unici veri interpreti e custodi della ortodossia cristiana, una ortodossia probabilmente intrisa di elementi fortemente messianici, palingenetici ed apocalittici, ma anche “nazionalistici”. Infatti è proprio agli estremi limiti asiatici dell’Impero che nascono e si sviluppano in ambiente rurale tutti quei movimenti eretici e manichei, dai “Pauliciani” agli “Iconoclasti”, ai “Bogomili”, anch’essi intrisi di fermenti “nazionalistici” adombrati nel loro radicalismo religioso. Tutti e tre questi movimenti, propulsori e anticipatori in Oriente dei movimenti ereticali occidentali, faranno si che, al volgere dell’XI secolo, grazie anche all’insostenibile pressione fiscale e alla rapacità ed avidità dei grandi proprietari terrieri e degli esattori, i sudditi rurali asiatici dell’Impero in effetti preferiscano subire senza particolari resistenze il dominio del nuovo conquistatore infedele, il Turco Selgiuk.

La “tecnologia retorica”

E adesso qualche rapidissimo cenno sul sistema letterario bizantino. Più che soffermarci sul monumentale apparato letterario romano-orientale, che richiederebbe un capitolo a parte, si vuole estrapolare da esso l’elemento chiave, che poi ci sembra essere alla base dell’intero universo comunicativo ed ideologico dell’Impero bizantino: la Retorica. La retorica per un bizantino colto è una “tecnologia” trasversale al servizio della comunità e delle sue articolazioni, è logica argomentativa, tradizione ed ideologia dell’eternità. Essa, riscontrabile nei classici della romanità, continua ad essere alla base dell’educazione, della amministrazione, della politica, della diplomazia, della guerra, dell’arte, della religione. E’ una tecnologia totalizzante.
Essa dà il meglio di se nella pubblica amministrazione che è la spina dorsale dell’Impero bizantino, un Impero che può vantare di fronte all’Occidente e all’Islam la sua superiore organizzazione amministrativa. Ed è proprio questa organizzazione che consente rispetto all’Occidente di formare stabilmente un ceto medio notevolmente alfabetizzato capace di innescare una discreta spinta alla acculturazione e alla costante pratica dei classici.


Gli storici che si rivolgono alle sfere dirigenti, i cronisti che scrivono per la parte più umile del popolo, i poeti che compongono per cerchie ancora più ristrette, i retori che scrivono per la corte, per l’imperatore e per se stessi, gli educatori, gli esperti di giurisprudenza si esprimono per mezzo delle tecniche retoriche antiche quanto l’Impero finalizzate a comunicare al mondo la sua eternità.


La stessa regolamentazione retorica è visibile nell’arte bizantina: il montaggio retorico delle immagini della gerarchia celeste nelle chiese ortodosse corrisponde esattamente a quello della gerarchia imperiale. La stessa musica sacra bizantina è una retorica del duplice Impero perenne.
Le periodiche rinascite “umanistiche” di Bisanzio sono tutte di stampo retorico ed enciclopedico, a parte qualche rara eccezione. E non poteva che essere così in un Impero dove tutti gli spazi possibili all’uomo dovevano essere messi al servizio di uno Stato alla lunga atrofizzato dalla idolatria di se stesso.



 

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