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N. 23 - Novembre 2009
(LIV)
Storiografia e medioevo
Quello che non c’è nei libri...
di Gennaro Tedesco
La
storiografia
contemporanea
più
diffusa
relativa
alla
storia
dell’Europa
medioevale,
in
particolare
bizantina,
ci
offre
una
visione
ancora
troppo
limitata.
Ai
giovani
del
liceo
scientifico
o
del
liceo
classico
si
presenta
un’Europa
medioevale
che
dalla
caduta
dell’Impero
romano
d’Occidente,
attraverso
Carlo
Magno
fino
alle
Crociate
ed
oltre,
è
sempre
comunque
protagonista
del
faticoso
percorso
dell’evoluzione
storica
a
scapito
degli
avvenimenti
dell’Impero
romano
d’Oriente.
Nella
peggiore
delle
ipotesi
i
Bizantini
non
compaiono
nemmeno,
dimenticati
nel
loro
“angolo”
sud-orientale
d’Europa.
Gli
unici
concorrenti
della
così
detta
civiltà
occidentale
sembrano
essere
solo
gli
Arabi,
per
la
perdurante
influenza
delle
tesi
di
H.
Pirenne.
Ma è
giunto
il
momento
di
mostrare
agli
allievi
l’altra
faccia
della
medaglia,
quella
molto
più
complessa
e
diversa
che
non
appare
ancora
oggi
nei
manuali
di
storia.
Dal
VII
secolo
d.C.
all’XI
secolo,
con
alterne
vicende,
il
Mediterraneo
non
è un
lago
arabo
e la
parte
centro-meridionale
del
continente
europeo
non
è
esclusiva
riserva
di
caccia
dei
Longobardi,
dei
Franchi
o di
tutti
gli
altri
Barbari
provenienti
dall’Est
europeo.
Al
contrario
Bisanzio
vi
svolge
un
ruolo
di
primo
piano,
diventando
nel
Mediterraneo
una
potenza
egemone.
Il
sistema
tematico:
punto
di
partenza
della
rinascita
bizantina
Come
si
manifesta,
si
concretizza
e si
sviluppa
questo
processo
egemonico
nel
Mediterraneo?
Di
fronte
all’avanzata
araba
nel
Mediterraneo,
l’Impero
bizantino
sviluppa
un
sistema
difensivo
unico
al
mondo:
il
sistema
dei
temi
che
nasce
dalla
esigenza
di
adeguarsi
praticamente
e
rapidamente
alla
nuova
situazione
storica
imposta
dalla
offensiva
araba
nel
bacino
del
Mediterraneo.
I
temi
sono
essenzialmente
unità
amministrative,
fiscali,
militari.
Essi
svolgono
la
funzione
di
nuovi
distretti
militari
autonomi
all’interno
di
un
Impero
che
comunque
non
perde
mai
il
suo
carattere
centralizzato
e
totalitario.
I
soggetti
principali
dei
temi
sono
i
contadini
che
in
essi
svolgono
eminentemente
due
funzioni:
quella
produttivo-fiscale
e
quella
militare.
La
proprietà
e la
coltivazione
dei
campi
obbligano
i
contadini
non
solo
alla
contribuzione
fiscale,
ma
anche
alla
leva
militare.
A
partire
dal
VII
secolo
in
poi
gli
imperatori
bizantini
impongono
ai
loro
sudditi
rurali
gran
parte
dell’onere
necessario
al
mantenimento
della
costosa
macchina
amministrativa
e
militare
bizantina.
Essi,
bene
o
male,
si
adeguano
a
tale,
in
parte
forzosa,
richiesta
perché
essa
evidentemente
fino
all’XI
secolo
consente
sufficienti
margini
di
sopravvivenza
e
sicurezza
sociale
e
militare,
ma
anche
notevoli
elementi
di
dinamismo
sociale
ed
economico
sconosciuti
ad
esempio
nell’Impero
carolingio.
Nel
confronto
con
lo
statico,
conservativo
e
conservatore
sistema
carolingio
si
può
cominciare
ad
avvertire
tutta
l’enorme
carica
progressiva
ed
innovativa
dell’Impero
bizantino
che,
in
questo
periodo,
cioè
dal
VII
all’XI
secolo
non
è
affatto
quel
monolito
ingessato
che
tanta
storiografia
occidentale
ha
trasmesso
all’immaginario
collettivo
di
giovani
ed
alunni.
I
temi
bizantini
amministrati
e
governati
da
uno
stratega,
che
a
sua
volta,
dipendeva
direttamente
e
unicamente
dal
Basileus
offrono
non
poche
occasioni
di
ascesa
sociale
a
una
popolazione
rurale
che
vede
nell’espansione
dei
confini
soprattutto
ad
Oriente,
ma
anche
ad
Occidente,
accrescere
la
proprietà
della
terra
strappata
agli
infedeli.
In
questo
modo
i
contadini
bizantini
hanno
buone
ragioni
per
difendere
l’Impero.
La
regolarità
e la
relativa
abbondanza
del
prelievo
fiscale
consente
al
Basileus
il
consolidamento
di
una
eccellente
burocrazia,
del
resto
di
antica
tradizione
romana,
e la
riorganizzazione
di
una
flotta
militare
al
servizio
di
una
strategia
di
intervento
globale
nel
bacino
del
Mediterraneo.
In
questo
periodo,
al
contrario,
l’Impero
carolingio
e
gli
imparatori
romani
d’Occidente
sono
vittime
di
un
sistema
feudale
che
non
solo
non
coinvolge
i
contadini,
ma
li
emargina
e li
schiaccia..
Il
prelievo
fiscale
è
irregolare
ed
inefficace,
rendendo
impossibile
la
costituzione
di
una
regolare
ed
efficiente
macchina
amministrativa
e
militare.
Le
principali
unità
amministrative
dell’Impero
bizantino
erano
concentrate
in
Asia
Minore
che
fino
all’XI
secolo
rimane
il
fulcro
economico,
agricolo
e
militare
della
comunità
bizantina.
La
flotta
come
fattore
strategico
apripista
del
commercio
mediterraneo
La
regolarità
del
prelievo
fiscale
e
l’efficienza
e
l’efficacia
del
capillare
sistema
amministrativo
bizantino
consentono
l’allestimento
e il
mantenimento
di
una
poderosa
e
tecnologicamente
avanzata
flotta
militare,
al
contrario
dell’Impero
carolingio
e
dei
suoi
successori
che
non
riusciranno
mai
a
dotarsi
di
una
marina
da
guerra
degna
di
questo
nome.
E
anche
per
questo
dovettero
ricorrere
al
sostegno
della
marina
militare
bizantina,
rinunciando
di
fatto
al
controllo
del
Mediterraneo
con
gravi
conseguenze
al
loro
interno.
Dal
VII
secolo
all’XI
secolo
la
flotta
militare
bizantina
costituì
l’elemento
tattico
e
strategico
determinante
ai
fini
del
dominio
bizantino
nell’intero
bacino
del
Mediterraneo.
Essa
fu
riorganizzata
nel
VII
secolo
per
contenere
e
annientare
l’avanzata
araba
nel
Mediterraneo
che
puntava
alla
conquista
della
capitale,
Costantinopoli.
Il
compito
della
flotta
militare
bizantina,
come
quello
dell’esercito,
era
strategicamente
ben
determinato:
massimo
sforzo
in
Oriente,
centro
nevralgico
dell’Impero,
da
sempre,
minimo
sforzo
nell’Occidente
meno
importante
nel
quadro
della
politica
globale
bizantina
e
considerato
sia
dal
punto
di
vista
polico
che
economico
in
una
situazione
da
Terzo
Mondo.
Le
fonti
occidentali,
franche
e
longobarde,
non
si
sono
mai
rese
conto
del
loro
peso
specifico
minimo
all’interno
dello
scacchiere
internazionale
bizantino
e
arabo.
Spesso
e
volentieri
l’esercito
e la
marina
militare
romano-orientale
agivano
di
concerto,
avendo
sempre
come
base
di
appoggio
strategico
e
logistico
la
formidabile
fortezza
di
Costantinopoli:
dalla
capitale
partivano
le
vie
di
comunicazione
più
importanti
dell’Impero,
sia
quelle
terrestri
che
quelle
marittime.
Il
porto
di
Costantinopoli
poi
accoglieva
il
nerbo
della
flotta
militare.
A
Costantinopoli
era
dislocato
il
comando
militare
strategico,
ma
anche
il
centro
del
potere
politico
e
religioso.
Tentare
di
occupare
la
capitale
dell’Impero
romano
di
Oriente
e
della
cristianità
ortodossa,
Costantinopoli,
la
città
“desiderio
del
mondo”,
fu
per
gli
Arabi
una
necessità
storica,
ma
anche
un
sogno
che
non
si
concretizzò
mai.
La
tecnologia
navale
militare
degli
Arabi
fu
sempre
inadeguata
rispetto
alle
possibilità
dei
Bizantini
che
in
questo
campo
rivelarono
doti
pratiche
e
scientifiche
degne
della
loro
conclamata
origine
e
tradizione
greco-romana.
I
Romani
d’Oriente
ebbero
sempre
facile
accesso
alle
materie
prime
strategiche:
le
riserve
di
legname
utili
alla
costruzione
di
navi
militari
abbondavano
sia
in
Europa
che
in
Asia
Minore.
Gli
Arabi
non
disponevano
di
rilevanti
risorse
forestali
nei
loro
territori,
per
lo
più
aridi,
né
seppero
mai
costruire
navi
della
portata
e
della
potenza
di
quelle
romano-orientali.
Le
maestranze
bizantine
erano
inoltre
molto
più
esperte
di
quelle
arabe
in
abilità
e
perizia
marinaresca.
Ma
l’arma
segreta,
l’arma
totale,
che
diede
alla
flotta
imperiale
il
dominio
globale
nel
Mediterraneo
non
solo
contro
gli
Arabi
ma
contro
tutti
i
nemici,
compresi
i
Carolingi,
per
quello
che
potevano
valere
sul
mare,
cioè
molto
poco,
fu
il
fuoco
greco,
un’arma
terribile.
Essa
fu
inventata
da
un
ingegnere
siriano,
Kallinikos,
profugo
da
Eliopolis,
all’incirca
nel
periodo
del
primo
assedio
arabo
di
Costantinopoli
nel
674-678.
Fu
scoperto
giusto
in
tempo
per
consentire
ai
Romani
d’Oriente
di
costruire
una
flotta
attrezzata
con
una
apparecchiatura
per
lanciare
napalm.
La
flotta
romano-orientale
bruciò
completamente
le
navi
arabe
e i
loro
equipaggi.
Gli
elementi
costitutivi
della
miscela
del
fuoco
greco
furono
gelosamente
custoditi
e
tenuti
segreti
per
lungo
tempo.
Soprattutto
i
Bizantini
cercarono
sempre
di
controllare,
quanto
meno
indirettamente,
tutta
la
regione
dal
Nord
del
Caucaso
fino
alla
Mesopotamia
settentrionale,
perché
in
questa
area
erano
reperibili
e
disponibili
le
più
rilevanti
riserve
di
“benzina”
a
cui
neanche
gli
Arabi
poterono
mai
accedere
anche
quando
si
impossessarono
del
segreto
del
fuoco
greco.
Sotto
l’ombrello
protettivo
di
questa
poderosa
organizzazione
militare
ed
economica
fu
relativamente
facile
alla
elite
dirigente
di
Bisanzio
aprire
e
quasi
monopolizzare
i
flussi
commerciali
nel
bacino
del
Mediterraneo.
Il
sistema
commerciale
bizantino
Quali
sono
le
caratteristiche
della
politica
economica
e
non
solo
economica
dell’Impero
bizantino
nel
mondo
mediterraneo
e
orientale?
Qui
ancora
una
volta
i
nostri
manuali
di
storia,
come
le
fonti
occidentali
medioevali
e la
“vulgata”
imperante
forniscono
un’immagine
distorta
e
fuorviante:
semplicemente
i
Bizantini
non
esistono
come
“produttori”
di
politica
e
storia
nel
Mediterraneo.
La
realtà
storica
dell’indagine
scientifica
più
recente
è
del
tutto
diversa
se
non
opposta
a
tale
vulgata.
L’attività
produttiva
e
commerciale
per
una
politica
di
prestigio
Abbiamo
già
visto
i
Romani
d’Oriente
costituirsi
un
solido
apparato
produttivo
e
militare
all’ombra
del
quale
i
commerci
bizantini
prosperarono
con
relativa
facilità
nel
Mediterraneo.
All’espansione
non
solo
commerciale
di
Bisanzio
nel
Mediterraneo
contribuirono
anche
l’abile
e
spregiudicata
diplomazia
e
gli
stessi
monaci.
Là
dove
gli
eserciti,
la
flotta
e il
commercio
non
riuscivano
nel
loro
compito
“avvolgente”,
ci
pensavano
gli
agenti
ufficiali
e
segreti
della
diplomazia
affiancati
da
quegli
altri
“agenti”
culturali
e
religiosi
che
erano
i
monaci.
Tutta
l’attività
economica
dell’Impero
bizantino,
ma
anche
altre
attività,
come
quella
culturale
e
religiosa,
erano
tutte
finalizzate
a
una
politica
di
prestigio.
Gran
parte
della
produzione
e
del
commercio
romano-orientale
era
considerato
strategico
ed
essenziale
alla
politica
di
dominio
globale
dello
stato
Bizantino
nel
Mediterraneo
e
quindi
soggetto
ad
un
ferreo
controllo
dello
Stato
attraverso
la
sua
massima
espressione,
l’imperatore.
La
produzione
e il
commercio
del
legname
e
del
petrolio
erano
rigorosamente
controllate
e
limitate.
Conseguentemente
le
aree
geografiche
della
Mesopotamia,
del
Caucaso
e
dell’Asia
Minore
assumevano
un
valore
economico
e
strategico
enorme
nella
politica
bizantina,
perché
qui
vi
erano
concentrate
grosse
riserve
di
legname
e
petrolio
utili
per
la
fabbricazione
delle
navi
e
del
fuoco
greco.
Quando
i
Romani
d’Oriente,
attraverso
il
loro
agguerrito
e
sofisticato
servizio
di
informazioni,
venivano
a
sapere
che
alcune
città
autonome
dell’Italia
meridionale
esportavano
legname,
materiale
strategico,
essi
adoperavano
in
questi
casi
l’arma
dell’
“embargo”,
cioè
vietavano
a
queste
città
la
vendita
del
materiale
strategico.
L’altra
produzione
bizantina
soggetta,
secondo
le
direttive
politiche,
a
forti
limitazioni
nella
esportazione
e
nella
vendita,
era
quella
serica
di
cui
il
governo
bizantino
aveva
il
monopolio.
Era
anch’essa
una
sorta
di
merce
strategica
perché
fortemente
desiderata
e
richiesta
dalle
elites
barbare
d’Occidente
e
dei
Balcani.
Essa
consentiva
agli
imperatori
di
Costantinopoli
di
prendere,
in
un
certo
senso,
“per
la
gola”
i
tirannelli
locali
longobardi
o
slavi
che
ne
facessero
richiesta.
La
costruzione
di
fortezze
e,
in
genere,
di
grandi
opere
militari
per
conto
terzi
era
un’attività
molto
remunerativa
per
i
Bizantini
che,
a
caro
prezzo,
prevalentemente
politico,
si
facevano
pagare
queste
prestazioni
d’opera
elargite
con
estrema
parsimonia
ai
piccoli
e
grandi
sovrani
d’Occidente
e
dei
Balcani.
Il
flusso
delle
merci
di
lusso
provenienti
dall’Oriente
estremo
era
sapientemente
e
attentamente
filtrato
da
Bisanzio
nei
suoi
accessi
orientali:
spezie,
profumi,
stoffe
e
pietre
preziose,
oro
ed
altro
ancora
proveniente
dall’Oriente
veniva
“ricaricato”
e
venduto
in
Occidente
a
prezzi
stratosferici.
L’Occidente
nel
sistema
bizantino
Le
officine
bizantine,
per
lo
meno
fino
all’XI
secolo,
inondarono
il
Mediterraneo
dei
loro
prodotti
più
rinomati:
oreficeria,
argenteria,
avori,
mosaici,
stoffe
preziose
ed
altro
ancora,
tutti
i
prodotti,
come
si
direbbe
oggi,
ad
alto
valore
aggiunto.
I
clienti
e i
consumatori
di
queste
pregiate
produzioni
bizantine
furono
i
principi
e la
nobiltà
dell’Europa
occidentale
medioevale
e
dei
Balcani.
Anche
se
il
cuore
delle
attività
produttive
romano-orientali
rimaneva
l’Asia
Minore
anche
per
la
produzione
mineraria,
la
parte
occidentale
dell’Impero
cominciava
a
decollare
soprattutto
nell’XI
secolo
in
quella
che
era
ancora
la
provincia
bizantina,
anzi
il
Catepanato
bizantino
d’Italia.
Fin
quasi
all’XI
secolo
le
città
autonome
dell’Italia
meridionale
bizantina
insieme
all’enclave
settentrionale
di
Venezia,
erano
state
gli
avamposti
commerciali
privilegiati
dell’Impero
bizantino.
Essi
avevano
svolto
il
ruolo
di
“cavalli
di
Troia”:
attraverso
Amalfi,
Napoli,
ma
soprattutto
Venezia
l’Impero
romano-orientale
era
penetrato
economicamente
e
culturalmente
fino
al
centro
dell’Europa
carolingia
e
oltre.
L’entroterra
dell’Europa
continentale
carolingia
era
divenuto
il
mercato
neo-coloniale
dei
mercanti
bizantini,
ma
anche
la
palestra
di
esercizio
per
diplomatici
ufficiali
e
segreti
e
per
monaci
fedelissimi
al
basileus
costantinopolitano.
Purtroppo,
nei
nostri
manuali
di
storia,
tutto
questo
è
completamente
ignorato
e
forse
anche
volutamente,
perché
la
storia,
come
è
successo
in
America
latina,
è la
storia
dei
vincitori
e i
Bizantini
e
l’ortodossia
sono
stati
vincitori
fino
all’XI
secolo
nell’ecumene
mediterranea.
Dall’Occidente
i
Bizantini,
quindi,
ricavano
un
notevole
flusso
d’oro
perché
i
principi
locali
dovevano
pagare
in
oro
e
questo
flusso
aureo
con
direzione
Bisanzio
finiva
col
depauperare
ulteriormente
l’Occidente
come
i
Balcani.
Lo
sfruttamento
dell’Occidente
da
parte
bizantina
fu
aggravato
dalla
svendita
delle
risorse
forestali
e
degli
schiavi.
Gli
aspetti
tecnologici
del
dominio
bizantino
Sul
piano
tecnologico
l’Occidente
ma
anche
l’Islam,
per
lo
meno
fino
all’XI
secolo,
si
dimostrano
nettamente
inferiori
ai
Romani
d’Oriente,
eredi
della
tradizione
ellenistica
molto
attenta
alle
sperimentazioni
tecnologiche
messe
però
al
servizio
dello
Stato,
perfettamente
in
linea
con
Bisanzio.
Il
fuoco
greco,
l’arma
segreta
e
totale
dei
Bizantini,
inventata
da
Kallinikos,
ingegnere
siriano,
profugo
da
Eliopolis
all’incirca
nel
674-678,
è
probabile
che
corrispondesse
abbastanza
all’attuale
napalm
e
sulle
navi
da
guerra
bizantine
furono
predisposte
apposite
apparecchiature
molto
simili
ai
lanciafiamme
per
irrorare
e
bruciare
le
navi
nemiche
per
lo
più
arabe
ma
anche
occidentali.
“La
flotta
imperiale
deve
aver
avuto
anche
accesso
prioritario
alla
fabbrica
in
cui
veniva
prodotto
questo
composto,
perché
la
produzione
di
quest’arma
segreta
deve
essere
avvenuta
in
condizioni
di
rigorosa
sicurezza
in
un
unico
posto
e
questo
posto
deve
essere
stato
dentro
le
mura
di
Costantinopoli.
Quantitativi
di
fuoco
greco
debbono
essere
stati
forniti
a
tutte
le
flotte
romano-orientali,
ma è
probabile
che
questi
quantitativi
non
siano
stati
abbondanti
per
garantirsi
da
rischi
di
eventuali
ammutinamenti.”
(A.Toyenbee,
Costantino
Porfirogenito
e il
suo
mondo,
Firenze,
1987,
p.364).
Nella
lunga
e
complessa
storia
di
Bisanzio
è
capitato
pure
che
le
flotte
militari
si
scontrassero
tra
di
loro
e a
determinare
l’esito
favorevole
dello
scontro
fosse
il
possesso
o
meno
di
questa
micidiale
arma.
Addirittura
pare
che
in
una
rivolta
militare
il
fuoco
greco,
usato
da
uno
degli
opposti
schieramenti,
determinasse
la
disintegrazione
di
una
parte
notevole
della
marina
da
guerra
bizantina,
limitando
per
un
certo
periodo
di
tempo
gravemente
l’attività
militare
nel
bacino
del
Mediterraneo.
“Cosa
era
il
fuoco
greco?
E’
molto
probabile
che
la
base
del
primitivo
fuoco
greco
fosse
petrolio
liquido
rettificato
volatile…
I
solidi
erano
resina
di
pino
e
zolfo.”
(A.
Toynbee,
Op.cit.,
p.365).
L’ingrediente
essenziale
era
la
benzina,
non
il
salnitro
o la
calce
viva.
“Sembra
che
il
sifone
attraverso
cui
il
fuoco
greco
veniva
scaricato
sia
stato
una
pompa
premente
a
doppia
azione.
Se
l’ingrediente
base
era
la
benzina,
non
si
poteva
scaricare
in
modo
efficace
senza
essere
condensato.
La
particolare
miscela
usata
e i
mezzi
meccanici
per
lanciarla
costituivano
nel
loro
insieme
il
segreto
del
fuoco
greco.”
(Idem,
pp..365-366).
E’
probabile
inoltre
che
a
causa
dei
comprovati
rapporti
diplomatici
intrattenuti
da
Bisanzio
anche
con
la
Cina
per
parecchi
secoli
non
fosse
ignota
ai
Romani
d’Oriente
un
qualche
genere
di
miscela
assomigliante
alla
polvere
da
sparo
scoperta
già
in
Cina
nel
sesto
secolo
dopo
Cristo.
L’XI
secolo
a
Bisanzio
rappresenta
il
massimo
splendore
dell’Impero,
ma
segna
anche
l’inizio
del
declino.
La
crisi
bizantina
Se
l’XI
secolo
segna
in
Occidente
una
progressiva
ripresa
in
tutti
i
settori,
a
Bisanzio
l’XI
secolo
segna
il
suo
costante
regresso.
Anche
qui
i
manuali
di
storia
medioevale
sono
piuttosto
vaghi,
parlano
di
una
generica
crisi
bizantina
che
sembra
quasi
scaturita
dal
nulla,
lasciando
negli
alunni
una
sensazione
di
imprecisione
e di
disinformazione.
Decadenza
del
sistema
dei
temi
Gli
imperatori
bizantini
di
questo
periodo
lasciano
quasi
volutamente
decadere
il
sistema
dei
temi
nella
speranza
di
riaccentrare
il
residuo
potere
militare
nelle
loro
mani.
Essi
inoltre
cercano
di
costituire
un
esercito
professionale
composto
anche
da
stranieri,
in
particolare
Nordici,
Vichinghi,
Normanni,
Vareghi.
Essi
accrescono
la
pressione
fiscale
sui
contadini-soldati
dei
temi,
accelerando
il
processo
di
disgregazione
delle
strutture
tematiche,
caposaldo
dell’Impero
bizantino
dal
VII
secolo.
Le
truppe
professionali
sono
costose
e
non
sempre
affidabili.
Esse
sono
utili
per
prolungate,
massicce
e
lontane
campagne
militari,
ma
impongono
un
salasso
fiscale
che
ricade
tutto
sui
contadini.
Ne
approfittano
i
grandi
proprietari
di
terre
che
si
impossessano
di
gran
parte
dei
fondi
dei
contadini
bizantini.
Contemporaneamente
sembra
che
gli
imperatori
di
Bisanzio
nell’XI
secolo
siano
più
propensi
ad
aumentare
la
spesa
pubblica
a
favore
della
loro
corte
e
della
loro
burocrazia
civile
a
scapito
della
nobiltà
tematica
che
ha
costituito
da
secoli
nell’Impero
il
nerbo
della
ufficialità
militare
alla
guida
delle
truppe
tematiche.
L’efficienza
e
l’organizzazione
militare
dell’Impero
sono
trascurate.
Si
dimentica
che
l’Impero
è
innanzitutto
e
soprattutto
una
complessa
e
articolata
macchina
militare.
Le
coseguenze
negative
non
si
lasceranno
attendere.
Nel
1071
sui
due
opposti
e
più
importanti
fronti
dell’Impero
arriveranno
due
sconfitte
militari
che
segneranno
l’inizio
della
fine
dell’Impero
romano
d’Oriente:
la
caduta
di
Bari
in
Italia
ad
opera
dei
Normanni
e la
battaglia
campale
di
Mantzikert
in
Asia
Minore
dove
i
Turchi
Selgiuchidi
distruggeranno
l’esercito
imperiale.
Decadenza
della
flotta
e
del
commercio
La
flotta
militare
sarà
abbandonata
a se
stessa,
mancando
sempre
più
la
regolarità
del
prelievo
fiscale,
messa
in
ginocchio
anche
dalla
perdita
di
temi
agricoli
di
estrema
importanza
occupati
stabilmente
dai
Turchi
Selgiuchidi.
Dal
1082
i
Veneziani
furono
liberi
di
commerciare
nell’immenso
mercato
bizantino
in
cambio
del
loro
sostegno
contro
i
Normanni.
Inoltre
i
mercanti
bizantini
furono
facilmente
ridimensionati
perché
la
logica
del
protezionismo
monopolistico
e
corporativo
entro
cui
essi
avevano
sempre
agito
non
riusciva
più
a
reggere
di
fronte
ai
violenti
assalti
dello
spregiudicato
liberismo
individuale
dei
mercanti
occidentali.
D’altra
parte
proprio
la
morsa
stretta
del
protezionismo
imperiale
bizantino
per
certi
aspetti
autarchico
aveva
in
parte
bloccato
i
pur
necessari
processi
di
innovazione
agricola,
tecnologica
e
commerciale
che
in
Occidente
ora
invece
esplodevano
dopo
essere
stati
a
lungo
repressi
dal
feudalesimo.
Sul
piano
religioso
l’XI
secolo
a
Bisanzio
vede
il
nascere
di
una
prima
divaricazione
tra
imperatore
e
popolo.
Questa
crepa
nell’ormai
non
più
solido
edificio
bizantino
si
evidenzia
ulteriormente
con
un’altra
divaricazione
crescente:
quella
tra
lingua
ufficiale
e
lingua
popolare
quotidiana
quasi
a
suggellare
la
formazione
di
due
società
parallele
non
sempre
convergenti.
Il
“Digenis”
e i
fermenti
eretici
Il
capolavoro
più
originale
della
civiltà
bizantina
è il
“Digenis
Akrita”,
il
cavaliere
dalle
due
nascite:
greco-ortodossa
e
asiatica.
Il
protagonista
dell’epica
bizantina
Digenis
prende
forma
all’incirca
tra
il
IX e
l’XI
secolo
ai
confini
asiatici
dell’Impero
in
mezzo
a
quella
popolazione
rurale
asiatica,
la
prima
ad
accorrere
in
soccorso
dell’Impero
e la
più
strenua
sostenitrice
dei
valori
greco-ortodossi
della
civiltà
bizantina.
Di
questo
capolavoro
nei
manuali
di
storia
medioevale
non
si
trova
traccia,
facendo
apparire
la
civiltà
bizantina
come
incapace
di
produrre
novità
anche
a
livello
letterario
e
lasciando
negli
alunni
l’impressione
di
una
conservazione
anche
culturale.
Digenis
è un
cavaliere
che
difende
i
valori
dell’Impero
romano-orientale
cristiano
ortodosso
dall’assalto
degli
Arabi
infedeli.
Egli
corrisponde
al
prototipo
dell’eroe
cavalleresco
dell’epica
occidentale
coeva.
L’eroe
“akritico”
interpreta
ottimamente
e
fino
in
fondo
l’ipotesi
originale,
inventata
in
Oriente,
dello
Spirito
di
Crociata.
Modelli
simili
a
Digenis
sono
riscontrabili
in
Occidente
nelle
figure
di
Orlando
e
del
Cid
Campeador.
Dietro
Digenis
si
coglie
tutta
la
mentalità
del
mondo
rurale
orientale
asiatico
dell’Anatolia.
I
sudditi
rurali
anatolici
dell’Impero
romano
d’Oriente
si
sentono
gli
unici
veri
interpreti
e
custodi
della
ortodossia
cristiana,
una
ortodossia
probabilmente
intrisa
di
elementi
fortemente
messianici,
palingenetici
ed
apocalittici,
ma
anche
“nazionalistici”.
Infatti
è
proprio
agli
estremi
limiti
asiatici
dell’Impero
che
nascono
e si
sviluppano
in
ambiente
rurale
tutti
quei
movimenti
eretici
e
manichei,
dai
“Pauliciani”
agli
“Iconoclasti”,
ai “Bogomili”,
anch’essi
intrisi
di
fermenti
“nazionalistici”
adombrati
nel
loro
radicalismo
religioso.
Tutti
e
tre
questi
movimenti,
propulsori
e
anticipatori
in
Oriente
dei
movimenti
ereticali
occidentali,
faranno
si
che,
al
volgere
dell’XI
secolo,
grazie
anche
all’insostenibile
pressione
fiscale
e
alla
rapacità
ed
avidità
dei
grandi
proprietari
terrieri
e
degli
esattori,
i
sudditi
rurali
asiatici
dell’Impero
in
effetti
preferiscano
subire
senza
particolari
resistenze
il
dominio
del
nuovo
conquistatore
infedele,
il
Turco
Selgiuk.
La
“tecnologia
retorica”
E
adesso
qualche
rapidissimo
cenno
sul
sistema
letterario
bizantino.
Più
che
soffermarci
sul
monumentale
apparato
letterario
romano-orientale,
che
richiederebbe
un
capitolo
a
parte,
si
vuole
estrapolare
da
esso
l’elemento
chiave,
che
poi
ci
sembra
essere
alla
base
dell’intero
universo
comunicativo
ed
ideologico
dell’Impero
bizantino:
la
Retorica.
La
retorica
per
un
bizantino
colto
è
una
“tecnologia”
trasversale
al
servizio
della
comunità
e
delle
sue
articolazioni,
è
logica
argomentativa,
tradizione
ed
ideologia
dell’eternità.
Essa,
riscontrabile
nei
classici
della
romanità,
continua
ad
essere
alla
base
dell’educazione,
della
amministrazione,
della
politica,
della
diplomazia,
della
guerra,
dell’arte,
della
religione.
E’
una
tecnologia
totalizzante.
Essa
dà
il
meglio
di
se
nella
pubblica
amministrazione
che
è la
spina
dorsale
dell’Impero
bizantino,
un
Impero
che
può
vantare
di
fronte
all’Occidente
e
all’Islam
la
sua
superiore
organizzazione
amministrativa.
Ed è
proprio
questa
organizzazione
che
consente
rispetto
all’Occidente
di
formare
stabilmente
un
ceto
medio
notevolmente
alfabetizzato
capace
di
innescare
una
discreta
spinta
alla
acculturazione
e
alla
costante
pratica
dei
classici.
Gli
storici
che
si
rivolgono
alle
sfere
dirigenti,
i
cronisti
che
scrivono
per
la
parte
più
umile
del
popolo,
i
poeti
che
compongono
per
cerchie
ancora
più
ristrette,
i
retori
che
scrivono
per
la
corte,
per
l’imperatore
e
per
se
stessi,
gli
educatori,
gli
esperti
di
giurisprudenza
si
esprimono
per
mezzo
delle
tecniche
retoriche
antiche
quanto
l’Impero
finalizzate
a
comunicare
al
mondo
la
sua
eternità.
La
stessa
regolamentazione
retorica
è
visibile
nell’arte
bizantina:
il
montaggio
retorico
delle
immagini
della
gerarchia
celeste
nelle
chiese
ortodosse
corrisponde
esattamente
a
quello
della
gerarchia
imperiale.
La
stessa
musica
sacra
bizantina
è
una
retorica
del
duplice
Impero
perenne.
Le
periodiche
rinascite
“umanistiche”
di
Bisanzio
sono
tutte
di
stampo
retorico
ed
enciclopedico,
a
parte
qualche
rara
eccezione.
E
non
poteva
che
essere
così
in
un
Impero
dove
tutti
gli
spazi
possibili
all’uomo
dovevano
essere
messi
al
servizio
di
uno
Stato
alla
lunga
atrofizzato
dalla
idolatria
di
se
stesso.
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