N. 22 - Marzo 2007
LA
STORIOGRAFIA LATINA E LO STATO ROMANO
Consenso e critica - Parte I
di Bianca Misitano
Quando si pensa
al filone dell’antica storiografia romana,
viene subito in mente un tipo di letteratura
particolarmente “cortigiana” e
giustificatrice, tutta impegnata a glorificare
ed onorare Roma, la sua civiltà e la sua opera
di conquista come quanto di meglio il mondo
potesse chiedere. Quest’immagine della
storiografia latina è in realtà riduttiva e
generalizzata e deriva dal fatto che
tradizionalmente essa prenda le mosse dalla
cosiddetta “annalistica”, genere su cui
anticamente la classe dominante aveva
l’assoluto e totale monopolio, generando così
un fortissimo legame fra la tradizione romana
ed il genere storiografico. Risultato ne fu
sicuramente una grandissima centralità di Roma
ed una forte riflessione nelle opere
storiografiche della mentalità delle famiglie
patrizie che a loro volta erano le principali
rappresentanti dello stato romano. Risulta
ovvio, quindi, che la letteratura
storiografica latina nasca come voce di quella
particolare elite politica e si comporti di
conseguenza.
Ma perché si
affidò questo compito al genere storiografico?
Bisogna dire, in primis, che questo fu il
genere che di meno subì le influenze della
Grecia. Non dimentichiamoci che a Roma la vera
e propria letteratura ha origine con
nient’altro che la traduzione delle opere
omeriche stilata da Livio Andronico. Cosa di
più ellenico di questo? Da lì, praticamente
tutti i generi letterari romani hanno preso le
mosse ed hanno inevitabilmente risentito di
un’influenza greca in continua ed
inarrestabile crescita.
L’annalistica
latina possiede origini in parte diverse, che
risalgono al periodo “pre-letterario” di Roma,
se per letterario intendiamo quello che, per
l’appunto, parte da Livio Andronico e queste
sono origini di carattere prettamente romano.
Nello specifico, esse risiedono nelle antiche
cronache ufficiali che venivano stilate dai
pontefici massimi e che riportavano gli eventi
più importanti e gli elenchi delle personalità
più in vista. Questa pratica nasce quasi con
la repubblica stessa e fa parte, quindi, della
più arcaica tradizione romana. A ciò si deve
aggiungere il fatto che allora i pontefici
massimi provenivano esclusivamente dalla
classe patrizia, ossia quella per sua natura
più conservatrice. La storiografia latina è in
debito molto più con questo tipo di tradizione
che con il corrispettivo genere greco, del
quale non riuscirà mai a condividere una certo
tipo di vivacità intellettuale fatta di
curiosità disinteressata verso gli altri
popoli e di una capacità di analisi razionale
per alcuni versi molto più sviluppata.
Insomma, il principale filone della
storiografia romana, ossia quello dell’
“annalistica”, deriva direttamente da queste
cronache, da cui anche il genere prende il
nome. Il termine annalistica infatti deriva
dal fatto che queste cronache furono
pubblicate assieme nel 120 a.C. proprio con il
nome di Annales Pontificis Maximi.
Per l’argomento
qui trattato, questo elemento è molto
importante, in quanto dà alla storiografia
delle origini un carattere indubbiamente
filo-romano e tendenzioso. A potenziarlo
ancora di più è il fatto che gli annali dei
pontefici, per essere stati redatti per
l’appunto dalle massime autorità religiose,
avevano carattere sacrale e che quindi erano
poco passibili di critica. Questa assenza di
senso critico si tradusse anche
nell’incondizionata accettazione dei miti e
delle leggende della tradizione romana,
avvolte anch’esse in un alone di sacralità.
L’attenzione alla tradizione romana e, di
riflesso, a tutto lo stato romano è quindi
l’elemento principale dell’annalistica.
Ma non è solo
nelle origini che si possono ritrovare i
caratteri essenziali di una qualsivoglia
manifestazione di una civiltà. Come ogni altro
elemento umano, anche la storiografia latina
subisce trasformazioni ed evoluzioni che in
alcuni casi la porteranno ad adottare un
atteggiamento molto diverso, quasi opposto,
verso Roma.
La storiografia
di epoca “letteraria” romana, innanzitutto,
subisce subito l’influenza del dilagare della
cultura greca a Roma, che a quell’epoca si
avviava a toccare il suo apice, ma nonostante
questo continuerà a mantenere i suoi caratteri
originari.
Esempio è il
primo “vero” storiografo latino, Fabio
Pittore, che compie una scelta particolare:
sceglie di scrivere in greco. Questa
preferenza, però, non può essere letta come
una totale adesione ai modelli letterari
provenienti dalla Grecia, su di essa, infatti,
giocò sia l’intenzione di Pittore di
allontanarsi da un determinato modo di fare
storiografia, quello meramente cronachistico
degli annali pontificali, ma forse soprattutto
l’esigenza di far propaganda alla causa romana
all’infuori del mondo italico.
Il III secolo
a.C. , periodo in cui Fabio Pittore scrive, è
infatti un periodo di grandi cambiamenti per
Roma. Sono gli anni delle prime espansioni in
territorio extra-italico e, soprattutto, delle
grandi guerre puniche. C’era il bisogno,
quindi, di far conoscere la propria versione
dei fatti in una maniera che consentisse a
tutti di conoscerla. La lingua greca molto
meglio si prestava a questo scopo, visto che,
al momento, era la lingua “internazionale”,
non essendo ancora stata scalzata in questo
ruolo dal latino.
Se quindi
“letterariamente” Pittore prende le distanze
dalla tradizione romana, per l’aspetto che a
noi interessa, ossia l’atteggiamento verso
Roma, egli è ancora il classico uomo romano.
Sulle azioni di Roma e dello stato romano, lo
storico, infatti non è per niente critico, ma
anzi, in una sua testimonianza Polibio non
esita a tacciarlo di tendenziosità. E’
un’accusa che non meraviglia, in quanto è
probabile che l’opera di Pittore fosse per la
gran parte volta a giustificare le imprese di
conquista romane, che a quel tempo stavano in
fretta prendendo quei caratteri imperialistici
che ben si conoscono. Il primo storiografo
romano è alle prese, quindi, anche con la
nascente questione dell’imperialismo che,
sebbene ovviamente abbia caratteri molto
diversi da come si evolverà in futuro,
comincia già a delinearsi nella sua intricata
problematicità e nell’urgenza di essere
affrontata. In merito, quindi, ci basti sapere
che Fabio Pittore si allinea alla tradizione
romana, proponendo una storia assolutamente
filo-romana e filo-governativa, posizione che,
per quel che ci è concesso sapere della sua
opera, non subisce particolari scarti in
nessun momento.
Un primo
cambiamento avviene, invece, con il primo
storiografo romano a scrivere in latino:
Catone il Censore.
Anch’egli, come
Fabio Pittore ed altri autori minori, è
innanzitutto un uomo politico. Anche questo
era un importante elemento che determinava il
carattere di piena approvazione al governo
romano. La storiografia, infatti, era l’unico
genere letterario, oltre all’oratoria, che
provenisse, in numerosi casi, direttamente
dalla classe dirigente romana.
Catone, però,
vive in un’epoca molto diversa da quella di
Pittore, dove l’affermazione di Roma a potenza
mediterranea era appena avvenuta e l’Urbe si
trovava ad affrontare problemi più complessi e
diversi rispetto a quelli di cui si doveva
occupare quando la sua influenza andava poco o
nulla oltre il suolo italico, fra i quali
quello maggiormente alla ribalta era la nuova
fortissima influenza culturale greca che stava
giungendo a Roma e che, sotto certi aspetti,
stava compiendo un vero e proprio processo di
ellenizzazione. I vecchi costumi e la vecchia
moralità romane vengono così intaccati,
provocando lo sconcerto delle parti più
conservatrici e tradizionaliste del popolo
romano. E proprio a questa “corrente”
apparteneva Catone, attraverso la cui opera
storica, le Origines, si può iniziare a
riscontrare in maniera chiara il carattere
moralistico e pessimista che caratterizzerà
molta parte della storiografia romana.
Questo carattere
nasce assieme al crescente dibattersi della
classe politica che si vede costretta a
cercare soluzioni alle nuove questioni che si
proponevano mano a mano che l’impero si
espandeva. Questa espansione, che andrà avanti
rapida e praticamente inarrestabile per molti
anni, da un lato porta necessariamente ad
inevitabili cambiamenti nella politica e nella
società che dall’altro, però, vengono visti
come pericolosi attacchi al concetto più
tradizionale di romanità.
Il rapporto,
infatti, che la mentalità romana aveva nei
confronti dei mutamenti fu sempre molto
problematico. Le antiche e molto radicate
tradizioni romane erano indissolubilmente
legate ad un altrettanto antico carattere
sacrale e religioso, per cui corromperle e non
rispettarle era avvertito come un sacrilegio,
una possibilità di andare contro il volere
degli dei. Ed è direttamente da questo timore
che nasce il conservatorismo pessimista che
caratterizzerà molti antichi storiografi, che
avvertono in tutto e per tutto questo rapporto
conflittuale col cambiamento.
Catone, quindi,
vive in un momento in cui Roma muta
radicalmente forma, a causa, come già detto,
della sua affermazione a principale potenza
del Mediterraneo e dello stretto contatto che
si crea con la cultura greca. E proprio da
quest’ultima egli prende le distanze,
convincendosi che sia proprio l’ellenizzazione
il principale fattore della decadenza morale
che vede farsi largo negli animi dei romani,
soprattutto del ceto dirigente.
I costumi greci,
per molti versi opposti all’antico rigore
romano, non sono i soli, però, a causare la
decadenza dei mores secondo Catone.
Infatti a peggiorare la situazione era anche
la gran quantità di ricchezze e beni di lusso
che affluiva a Roma dalle zone assoggettate e
che corrompeva l’ideale di vita modesta tipico
della tradizione.
Catone arriva
addirittura a fissare una data precisa che per
lui rappresenta l’inizio di questa nuova fase
di decadenza morale: il 146 a.C. , anno della
distruzione di Cartagine. E’ infatti allora,
secondo lo storiografo, che Roma si
impadronisce del Mediterraneo venendo così a
contatto con quegli elementi destabilizzanti.
Rispetto alla
prima annalistica, quindi, in Catone si nota
sicuramente un maggiore senso di sfiducia,
dettato dal momento storico così particolare
per la vita romana, ma la critica si rivolge
ancora verso elementi, per così dire,
“esterni” come la mentalità ellenica ed i
lussi orientali che contaminano una
fondamentalmente sana, quando riesce a non
farsi influenzare da questi cambiamenti,
società romana. Le critiche nell’opera di
Catone sono condotte quasi esclusivamente
contro quella parte di Roma che non vede con
ostilità i nuovi influssi, ma, anzi, li adotta
come propri stili di vita. E’ da specificare,
quindi, che la civiltà romana per Catone non è
tutta “malata”, ma gli elementi “sani”
persistono nelle ali conservatrici, che si
rifanno alla vecchia tradizione senza farsi
conquistare dalle nuove tendenze. I suoi
strali fortemente moralistici si dirigono,
quindi, in una direzione specifica e
precisamente circoscritta.
Catone
rappresenta comunque un nuovo punto di
partenza per tutta la tradizione storiografica
latina. Infatti, la critica alla “corruzione”
di Roma diventerà uno dei motivi topici di
questo genere letterario, carattere che con
l’andare del tempo si accentuerà sempre di
più, rendendo le opere di questi autori
fortemente caustiche e testimoni decise della
decadenza dei tempi.
C’è in lui,
inoltre, un’evoluzione anche per quanto
riguarda la questione dell’imperialismo
romano, che alla sua epoca matura e comincia
ad assumere quei caratteri che poi avrà in
seguito. E, d’altronde, non poteva essere che
così, in un’epoca in cui si erano effettuate
molte delle più grandi e importanti conquiste
romane. Non è un problema, questo, che gli
intellettuali romani prenderanno alla leggera,
l’intento quasi esclusivamente giustificatorio
che si era trovato in Fabio Pittore sparisce,
per lasciare spazio ad una riflessione più
approfondita e concreta del problema.
Oltretutto ciò è dettato dalla natura in certo
senso diversa fra le due opere, quella di
Catone e quella di Pittore.
Sebbene si
rifacciano alla medesima tradizione
annalistica, gli intenti dei due autori e,
quindi, la funzione dei loro scritti erano
praticamente opposte.
La scelta
linguistica di Pittore, come già detto,
testimonia un’urgenza di rivolgersi alle altre
potenze mediterranee e quindi di dare
un’immagine di Roma il più possibile
accettabile e condivisibile agli occhi degli
altri, un’immagine che mettesse in luce i
meriti, e non le ambiguità, della sua condotta
internazionale. E’ ovvio che un intento simile
poco spazio lasciava alle critiche e alle
perplessità dell’autore, che invece ritenne
ovviamente più opportuno esprimere le ragioni
di Roma nel tentativo di fare apparire la
propria patria dalla parte del giusto.
Da parte
propria, se la scelta del greco da parte di
Pittore è emblematica, altrettanto lo è la
scelta del latino da parte di Catone, che
ricordiamo, è il primo storiografo romano a
scrivere nella propria lingua madre. Una
scelta apparentemente banale e che invece non
lo è affatto, in quanto testimonia non solo
una situazione in cui le condizioni politiche
sono mutate, ma anche una certa differenza di
intenti rispetto ai suoi predecessori. Le
Origines, infatti, non è un’opera rivolta
principalmente all’esterno, ma l’analisi di
Catone è diretta ai romani stessi. E’ ovvio,
quindi, che l’esigenza di giustificazione può
cedere il passo ad una certa critica della
società e che si può cominciare a trattare i
problemi che la affliggono con maggiore
realismo e senso critico, senza preoccuparsi
troppo di cercare approvazione o consenso
incondizionato. Anzi, proprio per questo suo
carattere di opera romana intesa ad essere
utile innanzitutto a Roma, è necessario che
essa segnali ciò che, secondo l’autore, sono i
problemi più impellenti, fra i quali, appunto,
la gestione delle nuove conquiste.
Catone non
approva su tutta la linea la sottomissione dei
popoli esteri a Roma e, sebbene non si senta
nemmeno di condannare ciò, ammette che gli
altri popoli possano lottare per la propria
libertà. Non è raro che lodi quelle genti che
con più coraggio e forza si batterono contro
l’esercito romano, nel tentativo di preservare
la propria indipendenza. Catone è consapevole
che più che il totale predominio romano sulle
altre forze, nell’area mediterranea, in cui
coesistono così tante importanti potenze, ci
sia il bisogno di un equilibrio stabile. Anche
qui, quindi non c’è una condanna su tutti i
fronti della condotta romana (Catone non è
contrario all’espansione della sua potenza,
anche militare), ma la volontà di limitare
quegli aspetti che a lui sembra possano
degenerare.
L’autore che per
primo riesce non solo a raccogliere, ma anche
ad ampliare e rendere più complessa
l’esperienza di Catone, sarà Sallustio. |