N. 99 - Marzo 2016
(CXXX)
STORICI
ARABI
TABARI,
IL
LIVIO
DELL’ISLAM
di
Vincenzo
La
Salandra
In
questo
scritto,
spigolando
poche
citazioni,
vi
vuole
tentare
un
affondo
nell’opera
vastissima
di
uno
storico
classico
dell’Islam.
Lo
storico
e
annalista
arabo
at-Tabari
scrisse
nel
primo
quarto
del
X
secolo,
fu
annalista
scrupoloso
e
autore
dell’opera
classica
il
Libro
delle
notizie
dei
Profeti
e
dei
Re,
altrimenti
detto
Annali.
Il
componimento
parte
dalla
storia
biblica
e
greco-romana,
per
arrivare
alla
storia
pre-islamica
e
fino
al
914.
Spesso
il
materiale
è
raccolto
in
modo
acritico,
assemblando
una
massa
considerevole
di
fonti
antiche.
Tabari
è
una
fonte
preziosa
per
la
conoscenza
del
Medioevo
musulmano,
la
forma
annalistica
della
sua
opera
consente
una
precisa
collocazione
di
tanti
eventi
ed
aneddoti
della
storia
e
della
cultura
islamica
dei
secoli
IX-X.
Nelle
sue
pagine
leggiamo
delle
campagne
contro
i
Bizantini
e
dei
riscatti
di
prigionieri,
si
legge
di
ribellioni
intestine
di
alidi
dissidenti
e
delle
disposizioni
restrittive
su
cristiani
ed
ebrei
sotto
il
regno
di
al-Mutawakkil.
Ma
si
parla
anche
di
eventi
astronomici
e
atmosferici
particolari,
come
nel
caso
di
una
insolita
pioggia
di
stelle
cadenti
sul
cielo
iraqeno
nell’850-51,
come
riporta
il
nostro
storico:
“In
quest’anno
vi
furono
molte
stelle
cadenti
e
filanti
nel
cielo
di
Baghdad,
e
ciò
in
una
notte
di
giovedì
del
mese
di
Giumada
Secondo”.
Oppure
in
occasione
di
un
mutamento
anomalo
delle
acque
del
Tigri
nell’849-50:
“È
ricordato
che
in
quell’anno
le
acque
del
Tigri
si
alterarono
in
giallo
per
tre
giorni,
e la
gente
se
ne
spaventò;
poi
tornarono
al
colore
che
hanno
le
acque
in
piena,
e
ciò
nel
mese
di
Dhu’l-Higgia”.
Le
sue
descrizioni
sono
precise
e
attente,
pertanto
Tabari
è
una
delle
fonti
imprescindibili
per
lo
studio
dell’Islam
classico.
Le
sue
descrizioni
delle
campagne
del
Profeta,
e
fino
alle
imprese
di
Omayyadi
e
Abbasidi,
sono
nitide
e
diremmo
luminose:
è
possibile
fare
un
paragone
con
Livio
o
Tacito,
storici
e
annalisti
romani,
ed è
possibile
finanche
accostare
le
descrizioni
di
Tabari
delle
eroiche
battaglie
dei
primi
anni
dell’Islam
ad
alcune
descrizioni
dell’Iliade.
Ancora,
e
per
inciso,
in
un
passo
che
riportiamo
in
conclusione
sugli
scambi
di
prigionieri,
e
datato
858-859,
si
evince
in
Tabari
la
percezione
di
una
Sicilia
come
parte
integrante
del
Dar
al-Islam.
In
effetti
il
messo
di
al-Mutawakkil
a
Michele
III,
Nasr
ibn
al-Azhar
lo
sciita,
incaricato
del
riscatto
dei
prigionieri
musulmani
che
rimanevano
in
terre
bizantine,
preferisce
rimandare
i
musulmani
in
Siqilliya:
“Restarono
nel
paese
dei
Rum
solo
sette
musulmani:
cinque
venivano
dalla
Sicilia,
e
pagai
io
il
loro
riscatto
a
condizione
che
fossero
rimandati
in
Sicilia,
altri
due
erano
ostaggi
di
Lulua,
che
lasciai
lì
dicendo:
‘Ammazzateli’
perché
desideravano
farsi
cristiani”.
Già
in
un
passo
di
Tabari
dell’861
si
desume
la
posizione
precocemente
subalterna
dei
califfi
abbasidi
rispetto
ai
capi
militari
turchi:
due
di
loro,
Wasif
e
Bogha,
congiurarono
contro
al-Mutawakkil
e lo
uccisero.
Alcuni
secoli
dopo
Ibn
Khaldun
citava
una
quartina
satirica
dal
tono
esplicito:
“Un
califfo
in
gabbia,
tra
Wasif
e
Bogha,
ripete
quel
che
gli
dicono,
a
modo
dei
pappagalli…”
e si
riferiva
al
successore
di
Mutawakkil.
In
un
brano
dello
stesso
periodo
è
quasi
spontaneo
un
parallelo
con
Luciano
di
Samosata,
autore
dell’Alessandro
o il
falso
profeta,
se
Tabari
scriveva:
“In
quell’anno
comparve
a
Samarra
un
uomo
chiamato
Mahmud
ibn
al-Farag
an-Nisaburi,
e
affermò
di
essere
Alessandro
Magno…”.
Il
gran
persecutore
Mutawakkil
bastonò
a
morte
il
malcapitato
e
disperse
i
suoi
seguaci,
ma è
interessante
notare
i
riferimenti
della
nostre
fonte
a
testi
religiosi
del
gruppo
dei
compagni
che
“venivano
da
Nisabur
e
portavano
con
se
testi
che
salmodiavano…”.
Infine,
in
una
identificazione
profetica
cha
va
da
Alessandro
Magno
fino
a
Maometto,
Tabari
conclude
dicendo:
“Gli
tolsero
un
volume
contenente
discorsi
da
lui
radunati:
diceva
che
era
il
suo
Corano
e
che
Gabriele
gliel’aveva
dettato”.