N. 143 - Novembre 2019
(CLXXIV)
il senso della storia
UNA
VISIONE
TEOLOGICA
CHE
SI
SECOLARIZZA
-
PARTE
II
di
Raffaele
Pisani
L’epoca
nella
quale
viviamo
viene
spesso
definita
adoperando
il
prefisso
post.
Siamo
quindi
nel
post-moderno,
nel
post-ideologico,
nel
post-industriale.
Ciò
rimanda
alla
questione
di
cosa
siamo
noi
in
questo
momento
storico.
“Dove
va
l’umanità?,
Boh!
Succo
di
un’intervista
di
Mao
a
Mr.
Edgar
Show”,
è la
didascalia,
peraltro
ambigua
che
porta
a
confondere
l’intervistato
con
l’intervistatore,
di
un
fotogramma
del
film
di
Pier
Paolo
Pasolini
intitolato:
Uccellacci
e
uccellini.
Due
strani
viandanti
accompagnati
da
un
cornacchia
attraversano
luoghi
nei
quali
convivono
elementi
arcaici
a
contatto
con
il
nuovo,
inquietante,
che
avanza.
I
due
fanno
strani
incontri
e
pure
loro
sono
strani,
continuano
il
loro
viaggio
ma
la
meta
non
è
chiara.
Questa
potrebbe
essere
la
raffigurazione
di
un’umanità
che
sta
perdendo
i
suoi
punti
di
riferimento.
Negli
anni
Sessanta
del
Novecento
la
gente
comune
era
ben
lontana
dal
percepire
questo
cambiamento
e
viveva
abbastanza
ottimisticamente
nella
ricerca
del
benessere,
che
ideologie
contrapposte
promettevano
e in
certa
misura
si
stava
verificando
in
vaste
zone
della
terra.
Si
sa
che
gli
studiosi,
ma
soprattutto
i
poeti,
hanno
una
sensibilità
che
permette
loro
di
vedere
prima
e di
vedere
oltre.
Siamo
forse
giunti
a un
periodo
post-istorico?
I
grandi
ideali
di
riferimento,
se
ancora
ci
sono,
hanno
certamente
pochi
occhi
che
li
seguono,
insufficienti
per
poter
dire
che
la
storia
umana
va
in
un
senso.
A un
soggetto
trascendente
capace
di
guidare
l’umanità
ne è
seguito
con
l’età
moderna
uno
immanente,
variamente
denominato,
ma
con
la
fine
della
modernità
sembra
che
tutto
si
destrutturi.
Vale
la
pena
di
ribadire
come
anche
le
domande
che
ci
poniamo
rivelino
la
visione,
che
si
sta
dimostrando
angusta,
di
noi
Occidentali;
bisognerà
imparare
a
guardare
oltre.
Comunque
sia,
la
storia
viene
ora
interpretata
come
una
narrazione
nella
quale
l’aspetto
letterario
prevale
su
quello
della
logica
interna
degli
eventi.
Paul
Ricoeur
in
Tempo
e
racconto
del
1985
parla
della
disposizione
dei
fatti
storici
come
di
una
mise
en
intrigue.
Jean
François
Lyotard
vede
nella
narrazione
storica
una
serie
di
racconti
di
récits,
a
loro
volta
inseriti
in
meta-récits,
capaci
di
dare
unità
e
senso
ai
primi.
Nel
libro
del
1979
intitolato
La
condizione
post-moderna
Lyotard
spiega
come
questi
meta-racconti
non
funzionino
più,
non
destino
più
attrattiva;
la
storia
perciò
si
riduce
a
narrazioni
particolari.
Dai
meta-racconti
si
passa
ai
mini-racconti;
questi
materialmente
possono
essere
anche
molto
estesi,
ma è
l’oggetto
a
cui
fanno
riferimento
a
essere
limitante.
D’altra
parte
Carlo
Ginsburg
(n.1939)
fa
notare
come
queste
narrazioni,
ampie
o
ridotte,
sobrie
o
ricche
di
artifizi
letterari,
queste
icone
del
passato
non
possano
comunque
prescindere
dal
fatto
storico
concreto,
debitamente
documentato.
In
ciò
si
contrappone
ad
Hayden
White
(1928
2018)
e
anche
al
giovane
Benedetto
Croce,
che
già
in
un
breve
scritto
del
1893
anticipava
una
concezione
della
storia
ridotta
sotto
il
concetto
generale
dell’arte.
Il
discorso
viene
a
proposito
se
pensiamo
all’evento
storico
epocale
della
dissoluzione
dell’Unione
Sovietica
nell’ultimo
decennio
del
Novecento,
questo
certamente
non
può
essere
ridotto
a
narrazione
letteraria.
La
successiva
descrizione
e
riflessione
ha
invece
portato
a
rivitalizzare
la
ricerca
di
senso,
che
in
quel
momento
storico
pareva
finalmente
aver
raggiunto
il
compimento.
Si
faceva
strada
l’idea
che
il
fine,
cioè
l’estensione
globale
dei
valori
del
Mondo
Libero,
vale
a
dire,
la
libertà,
la
democrazia
e lo
sviluppo
scientifico
e
tecnologico,
fossero
ormai
conseguiti
e
quindi
la
storia
fosse
giunta
alla
sua
fine.
Il
riferimento
è a
Francis
Fukuyama
e al
suo
libro
La
fine
della
storia
e
l’ultimo
uomo
del
1992.
Anche
senza
attendere
le
rettifiche
che
l’autore
farà
qualche
decennio
dopo,
ci
si è
accorti
ben
presto
che
altre
dinamiche
stavano
prepotentemente
emergendo,
l’11
settembre
del
2001
è
certo
una
data
sconvolgente,
capace
di
segnare
un
passaggio
fondamentale
e
tragico
nel
cammino
della
storia,
che
si
vede
proseguire
su
prospettive
non
previste.
Del
resto
annunciare
la
fine
della
storia
non
è
una
novità,
già
in
passato
altri
lo
avevano
fatto,
impressionati
da
avvenimenti
che
parevano
dare
il
sigillo
della
definitività.
Hegel
nel
1806
a
Jena,
mentre
terminava
di
scrivere
La
fenomenologia
dello
Spirito,
veniva
folgorato
e
affascinato
dalla
visione
di
Napoleone
che
avanzava
cavallo.
Hegel
vide
in
quella
figura
minuta
l’anima
che
si
irradia
sul
mondo
e lo
domina
compiutamente.
Alexandre
Kojève,
nelle
sue
celeberrime
lezioni
parigine
all’École
pratique
des
hautes
études
negli
anni
Trenta
del
Novecento,
espose
e
interpretò
in
modo
originale
La
fenomenologia
dello
Spirito.
Negli
stessi
anni
in
un
incontro
al
College
de
sociologie,
una
sorta
di
Collettivo
che
univa
grandi
pensatori,
interpretava
la
visione
di
Hegel
di
cui
abbiamo
detto
poco
sopra
come
l’intuizione
della
fine
della
storia
e la
correggeva
traslandola
di
150
anni.
Non
sarà
a
suo
avviso
Napoleone
ma
Stalin
a
decretare
la
conclusione
delle
vicende
storiche
umane,
necessariamente
caratterizzate
dal
bisogno
e
dalla
conflittualità,
dalle
violenze
e
dalle
sopraffazioni.
Seguirà
il
periodo
nel
quale
l’uomo
vivrà
finalmente
riconciliato
con
il
mondo.
Il
discorso
è
paradossale,
dà
la
sensazione
che
sia
una
boutade,
per
noi
che
abbiamo
conosciuto
il
seguito,
ma
nel
1936
poteva
avere
una
certa
credibilità;
poi
kojève
stesso
cambierà
prospettiva
guardando
verso
altre
forme
di
organizzazione
sociale.
Il
tema
dell’uomo
che
deve
riconciliarsi
con
la
natura
resta
più
che
mai
attuale
e
sempre
più
pressante.
Più
che
con
Kojève
questo
pensiero
sembra
essere
in
sintonia
con
San
Francesco
e
anche
con
papa
Francesco,
attuabile
con
una
sobrietà
dei
costumi
e un
contenimento
dei
consumi,
è
quello
che
Serge
Latouche
(n.
1940)
ha
definito
decrescita
felice.
Se a
decrescere
sarà
la
corsa
esasperata
al
consumo
e
alla
competizione
per
sempre
più
produrre
e
consumare,
potrebbero
aumentare
quelle
soddisfazioni
legate
alla
natura
che
ci
farebbero
vivere
più
autenticamente.
Se
l’uomo
saprà
essere
ancora
il
soggetto
della
storia,
molti
pensatori
contemporanei
lo
mettono
in
dubbio,
una
qualche
speranza
sollecitata
soprattutto
dalle
nuove
generazioni,
avrà
ragione
di
essere.
Riferimenti
bibliografici:
BODEI
R.,
Se
la
storia
ha
un
senso,
Moretti
e
Vitali
Editori,
Bergamo
1997
FUKUYAMA
F.,
La
fine
della
storia
e
l’ultimo
uomo,
Rizzoli,
Milano
1992
LÖWITH
K.,
Significato
e
fine
della
storia
– I
presupposti
teologici
della
filosofia
della
storia,
Il
Saggiatore,
Milano
1998
MARITAIN
J.,
Per
una
filosofia
della
storia,
Morcelliana,
Brescia
1979