attualità
RACCONTARE I PIRATI (D'OGNI MARE E
D'OGNI TEMPO)
RECENSIONE DI UNA "STORIA"
di Leila Tavi
La monografia Storia segreta dei
pirati. Tra verità e leggenda:il
racconto del terrore dei mari, di
Matteo Liberti, pubblicato nel
novembre 2021 da Newton Compton,
comprende un capitolo introduttivo e uno
finale sul successo mediatico del
fenomeno, mentre sette sono i capitoli
che compongono il nucleo centrale,
ognuno dei quali, in ordine cronologico,
si concentra su un particolare periodo
storico. Il libro spazia nel tempo,
dall’epoca classica al ventunesimo
secolo, e nello spazio, dalle zone
costiere in Europa e nelle Americhe ai
nodi del traffico marittimo nel sud-est
asiatico, in Cina e in Africa.
La pirateria globale è un
argomento vasto, nonostante ciò Matteo
Liberti è riuscito nell’intento di
proporre una nuova chiave di lettura del
fenomeno per storici, ma anche per un
pubblico di non addetti ai lavori. Il
punto di forza dell’opera è quello di
non essersi limitata ad analizzare la
pirateria e i pirati occidentali durante
il periodo d’oro: le ricerche non hanno
infatti trascurato nessun aspetto, per
quanto possibile, della pirateria
globale dagli antichi greci alle nuove
insidiose minacce nel Golfo di Guinea.
La trattazione dell’argomento è
esaustiva, con un’ammirevole gamma di
personaggi storici, di questioni
economico-sociali e di luoghi.
Informazioni dettagliate e supportate da
fonti storiche, sono ben amalgamate ad
ampie panoramiche e bilanciate con
abilità, mentre il testo è fluente,
accessibile e ben supportato da mappe e
da una bibliografia esaustiva per quanto
riguarda la produzione in lingua inglese
e italiana.
Attraverso le panoramiche storiche che
forniscono il contesto, l’analisi
sociale che l’autore ha fornito in
ciascuno dei capitoli del nucleo
centrale del volume serve a costruire
una macro-storia del fenomeno, offrendo
una chiave di lettura nuova rispetto a
molti dei testi scritti in precedenza,
in cui l’enfasi è stata spesso messa
sulle microstorie dei pirati, fornendo
meri resoconti descrittivi e derivati
delle vite e delle imprese di
particolari eroi, di antieroi e,
occasionalmente, di eroine.
Prima di tutto, Matteo Liberti si è
cimentato nell’ardua impresa di
confrontarsi con il mito dei pirati
nella storia, avendo anche il coraggio
di rivelare verità scomode e pericolose
sulle disuguaglianze, sulle ingiustizie
e sulle limitazioni che un commercio
internazionale eurocentrico ha causato
durante i secoli scorsi. Come sottolinea
lo stesso autore: “Fuori dal mito,
sappiamo che in principio il
comportamento dei pirati suscitò, oltre
a un normale biasimo, anche
atteggiamenti comprensivi (la pirateria
consentiva in fondo, a chi la praticava,
una scalata sociale che in condizioni
normali gli sarebbe stata interdetta)”.
Un secondo tema che attraversa i vari
episodi di pirateria trattati
dall’autore è rappresentato dal ruolo
che numerose bande di pirati svolsero
come longa manus dei
governi, che nel corso della storia non
hanno mai delineato una chiara linea di
demarcazione tra diritti legali e torti
criminali. In tale zona grigia i pirati
furono il braccio armato in guerre
politico-commerciali disputate a
distanza dagli stati europei. Le nazioni
e i principati formavano un ulteriore
strato contestuale attraverso le marine
che dispiegavano per difendere o
estendere i loro interessi commerciali,
un compito che spesso comportava il
controllo e la competizione con i
privati. La tensione tra lo Stato e
l’impresa privata, tipica della società
contemporanea, sono spesso associate nel
volume al fenomeno del banditismo
marittimo, che si muoveva tra commercio
e illegalità, soprattutto se ci
riferiamo ai corsari.
Attraverso un approccio di storia
globale l’autore analizza il fenomeno
della pirateria dall’antichità, citando
come prima fonte scritta del II millenio
a.C., che testimonia la presenza di
marinai specializzati nella rapina in
mare, le cosiddette “lettere di
Amarna”, circa trecentottanta
tavolette d’argilla, incise con
caratteri cuneiformi, rinvenute in
Egitto a partire dal 1887 presso la
località da cui prendono il nome sulla
riva orientale del Nilo. I pirati
dell’antichità furono soprannominati
dall’egittologo francese dell’Ottocento
Gaston Maspero “Popoli del Mare”,
un nome collettivo utilizzato, di norma,
per un variegato insieme di popoli (una
dozzina all’incirca) che nei secoli
finali del II millennio a.C. solcarono
il Mediterraneo orientale. Scarse
sono le fonti relative a questa prima
fase della pirateria, ma l’autore cita
un interessante opera letteraria che
risale al 1.000 a.C., Il viaggio di
Unamon, un manoscritto oggi
conservato a Mosca, nel Museo Puškin, e
proviene dalla città egizia di El-Hiba
(già Tayu-djayet). La vicenda in esso
narrata è ambientata al tempo del
faraone Ramses XI, che ha regnato dal
1107 a.C. al 1077 a.C. circa. Nel
racconto emergono molti dei tratti
peculiari dei pirati proto-storici e del
loro modus operandi.
Nella prima parte del volume, dedicata
all’antichità, ampio spazio è dato alla
storia romana, proprio perché la prima
campagna in grande stile contro la
pirateria fu lanciata nel I secolo a.C.
dai Romani, i cui traffici marittimi
erano stati pesantemente compromessi dai
ripetuti attacchi subiti lungo le rotte
mediterranee. Nel libro è descritto il
famoso rapimento di Giulio Cesare,
nell’inverno tra il 75 e il 74 a.C.,
all’epoca venticinquenne e alle prese
con le sue prime esperienze politiche.
Durante un viaggio alla volta di Rodi la
nave su cui viaggiava fu assaltata da un
gruppo di predoni cilici e il
futuro Dictator fu fatto
prigioniero e condotto sull’isola di
Farmacussa, odierna Farmaco. Il
rapimento di personaggi di spicco era
d’altronde diffuso tra i pirati
dell’antichità. A ogni modo, con la
trionfale guerra piratica di Pompeo
Magno nel 67 a.C., Roma mise in atto
una vasta operazione militare per
riportare l’ordine nel Mare Nostrum.
Interessante e ben documentata è anche
la parte relativa all’epopea vichinga,
iniziata sul finire dell’VIII secolo,
quando lungo le coste della Gran
Bretagna si registrarono i primi
attacchi sferrati da gruppi di
navigatori-guerrieri provenienti dalla
Scandinavia, il cui nome deriverebbe dal
termine vik, che in lingua
norrena, parlata al tempo in tutta
l’area scandinava, stava per “baia”, o
“fiordo”. Da qui la denominazione dei
vichinghi, anche detti genericamente
normanni, ovvero “uomini del Nord”,
“genti delle baie”.
L’epoca della pirateria vichinga iniziò
a tramontare nel corso della seconda
metà dell’XI secolo, in concomitanza con
l’affermarsi della religione cristiana
nelle terre scandinave. Nella
trattazione dei pirati del Nord Europa,
l’autore ha incluso, a partire dal XII
secolo, i predoni del mare provenienti
dalla Repubblica di Novgorod,
vasta entità statale nel nord-ovest
della Russia, i cui confini occidentali
affacciavano sul Baltico. Tali pirati
furono noti nel XIV secolo con il nome
di Ushkuiniks (ушкуйники) e si espansero
fino alla Siberia, seminando terrore
lungo le rive del Volga fino al 1489,
quando il gran principe di Mosca Ivan
III, considerato come l’unificatore
delle terre russe, con l’intento di
estendere i confini del suo principato,
inviò contro le bande di Ushkuiniks
un esercito di oltre sessantamila
uomini, che mise in poco tempo fine alle
loro scorribande fluviali. Allo stesso
tempo, altri pirati di origine nordica
furono debellati dalle forze della Lega
Anseatica.
Il quarto capitolo è dedicato alla lunga
stagione della pirateria musulmana,
che in molti casi fu la longa manus dei
potenti di turno. Tale forma di
pirateria fu nota anche come saracena o
barbaresca e mise a rischio il commercio
marittimo delle potenze europee, in
particolar modo della Spagna,
soprattutto nel corso del Cinquecento,
grazie a capitani del mare dello
spessore di Khayr al-Din, meglio
noto come Barbarossa, ammiraglio
di fiducia del sultano Solimano il
Magnifico. Lo scontro tra le flotte
europee e quelle islamiche assunse a un
certo punto i connotati della guerra di
religione. Tra le figure femminili di
spicco, nel paragrafo dedicato ai
corsari medievali del Vecchio
Continente, l’autore descrive
l’originale figura di Jeanne de
Belleville, nota anche come Jeanne de
Clisson e attiva come pirata nel XIV
secolo.
Matteo Liberti si concentra nel quinto
capitolo, il più corposo, sull’età
d’oro della pirateria, quando,
mentre nel Mediterraneo imperversavano i
predoni islamici, il fenomeno della
pirateria deflagrò nel Cinquecento anche
oltreoceano. L’arrivo in America di
Colombo aveva, infatti, inaugurato una
serie di rotte commerciali tra i porti
del Vecchio Continente, a partire dalla
Spagna, e le nuove colonie nate
oltreoceano. Ed è proprio nel Nuovo
Mondo, per la precisione nelle acque
del mar dei Caraibi, che i
predoni del mare conosceranno le loro
maggiori fortune e cercheranno di
istituire un’organizzazione dallo
spirito egualitario e di matrice
democratica. Gli interessi dei predoni
delle Antille si estesero in quel
periodo fino all’Oceano Indiano, con
particolare predilezione per le acque
del Madagascar, presso cui
sarebbe addirittura sorta una repubblica
pirata fautrice di un’ideologia
socialista ante-litteram.
“Le enormi ricchezze trovate in terra
americana, trasportate in Europa nelle
stive dei grandi velieri spagnoli,
attirarono presto stuoli di
saccheggiatori dei mari, in gran parte
sbandati ai margini della società. Ad
azioni di pirateria si dedicarono
tuttavia anche molti uomini provenienti
dai ranghi delle marine militari, e
persino illustri capitani come Sir
Francis Drake, il celebre ammiraglio
inglese che la regina Elisabetta I
sguinzagliò contro le navi
spagnole”, ci spiega l’autore, passando
con dimestichezza dalla micro alla
macro-storia. Con l’età d’oro della
pirateria che ha attraversato tutto il
Seicento e si è protratta fino ai primi
decenni del XVIII secolo, si delinea il
mito dei pirati, che ha affascinato
numerosi romanzieri dell’Ottocento e dei
primi del Novecento. Famosa è la
trilogia di Emilio Salgari.
L’autore veronese è ricordato, però,
soprattutto per aver creato le saghe
d’avventura del ciclo indo-malese con
protagonista Sandokan,
soprannominato la Tigre di Mompracem, il
pirata gentiluomo che combatte con
eroismo contro il colonialismo
britannico e ispirato alla figura di un
comandante navale chiamato Sandokong, la
cui storia è tramandata dalla tradizione
orale malese. Salgari ambientò le
avventure
di Sandokan
fino alle coste giapponesi, patria dei
cosiddetti Wokou.
Tra i vari personaggi storici descritti
nel volume troviamo Ching Shih,
un’ex prostituta che in Cina arrivò a
comandare oltre settantamila pirati nei
primi anni del XIX secolo, diventando il
pirata più temuto al mondo, o perlomeno
quello con la flotta più grande di tutti
i tempi.
La penultima parte del volume analizza
il fenomeno piratesco dal secondo
dopoguerra, dopo che, trascorsi decenni
di oblio, essa è torna prepotentemente
in auge su scala globale, in particolar
modo nell’Oceano Indiano (dalla
Malesia al Corno d’Africa),
nel golfo di Guinea e nelle acque
del Centro America. In epoca
contemporanea, i pirati operano peraltro
non soltanto per mare, ma anche nei
grandi fiumi e i laghi, già teatro
d’azione durante l’epoca dei “Popoli del
Mare”.
L’ultimo capitolo del volume è infine
dedicato a un’originale trattazione del
“boom mediatico” riguardante i
pirati, con un excursus che abbraccia la
letteratura dedicata agli
avventurieri dei mari dal Settecento,
senza dimenticare L’isola del tesoro
di Stevenson del 1881, fino a
giungere al successo della
filmografia a partire dal 1908, anno
di uscita di The Pirate’s Gold,
cortometraggio muto dell’americano David
Wark Griffith (1875-1948) in cui si
narra la vicenda di tre pirati e di un
immancabile tesoro nascosto, con il
culmine giunto nel Nuovo Millennio
grazie al successo della saga Pirati
dei Caraibi e dell’icona dei nostri
giorni, Jack Sparrow. Il capitolo
si conclude con una sezione dedicata
alla serie televisive e ai
videogames.
In
conclusione, il nostro plauso va a
Matteo Liberti, per il suo volume
innovativo e stimolante per gli studiosi
e per i molti appassionati di storia
della pirateria. In fondo, come
suggerisce lo stesso autore, “alzi
la mano chi, in un tempo più o meno
passato, non ha mai domandato o non si è
mai sentito domandare: giochiamo ai
pirati?”. |