[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

168 / DICEMBRE 2021 (CXCIX)


attualità

RACCONTARE I PIRATI (D'OGNI MARE E D'OGNI TEMPO)
RECENSIONE DI UNA "STORIA"

di Leila Tavi

 

La monografia Storia segreta dei pirati. Tra verità e leggenda:il racconto del terrore dei mari, di Matteo Liberti, pubblicato nel novembre 2021 da Newton Compton, comprende un capitolo introduttivo e uno finale sul successo mediatico del fenomeno, mentre sette sono i capitoli che compongono il nucleo centrale, ognuno dei quali, in ordine cronologico, si concentra su un particolare periodo storico. Il libro spazia nel tempo, dall’epoca classica al ventunesimo secolo, e nello spazio, dalle zone costiere in Europa e nelle Americhe ai nodi del traffico marittimo nel sud-est asiatico, in Cina e in Africa.

 

 

 

La pirateria globale è un argomento vasto, nonostante ciò Matteo Liberti è riuscito nell’intento di proporre una nuova chiave di lettura del fenomeno per storici, ma anche per un pubblico di non addetti ai lavori. Il punto di forza dell’opera è quello di non essersi limitata ad analizzare la pirateria e i pirati occidentali durante il periodo d’oro: le ricerche non hanno infatti trascurato nessun aspetto, per quanto possibile, della pirateria globale dagli antichi greci alle nuove insidiose minacce nel Golfo di Guinea.

 

La trattazione dell’argomento è esaustiva, con un’ammirevole gamma di personaggi storici, di questioni economico-sociali e di luoghi. Informazioni dettagliate e supportate da fonti storiche, sono ben amalgamate ad ampie panoramiche e bilanciate con abilità, mentre il testo è fluente, accessibile e ben supportato da mappe e da una bibliografia esaustiva per quanto riguarda la produzione in lingua inglese e italiana.

 

Attraverso le panoramiche storiche che forniscono il contesto, l’analisi sociale che l’autore ha fornito in ciascuno dei capitoli del nucleo centrale del volume serve a costruire una macro-storia del fenomeno, offrendo una chiave di lettura nuova rispetto a molti dei testi scritti in precedenza, in cui l’enfasi è stata spesso messa sulle microstorie dei pirati, fornendo meri resoconti descrittivi e derivati delle vite e delle imprese di particolari eroi, di antieroi e, occasionalmente, di eroine.

 

Prima di tutto, Matteo Liberti si è cimentato nell’ardua impresa di confrontarsi con il mito dei pirati nella storia, avendo anche il coraggio di rivelare verità scomode e pericolose sulle disuguaglianze, sulle ingiustizie e sulle limitazioni che un commercio internazionale eurocentrico ha causato durante i secoli scorsi. Come sottolinea lo stesso autore: “Fuori dal mito, sappiamo che in principio il comportamento dei pirati suscitò, oltre a un normale biasimo, anche atteggiamenti comprensivi (la pirateria consentiva in fondo, a chi la praticava, una scalata sociale che in condizioni normali gli sarebbe stata interdetta)”.

 

Un secondo tema che attraversa i vari episodi di pirateria trattati dall’autore è rappresentato dal ruolo che numerose bande di pirati svolsero come longa manus dei governi, che nel corso della storia non hanno mai delineato una chiara linea di demarcazione tra diritti legali e torti criminali. In tale zona grigia i pirati furono il braccio armato in guerre politico-commerciali disputate a distanza dagli stati europei. Le nazioni e i principati formavano un ulteriore strato contestuale attraverso le marine che dispiegavano per difendere o estendere i loro interessi commerciali, un compito che spesso comportava il controllo e la competizione con i privati. La tensione tra lo Stato e l’impresa privata, tipica della società contemporanea, sono spesso associate nel volume al fenomeno del banditismo marittimo, che si muoveva tra commercio e illegalità, soprattutto se ci riferiamo ai corsari.

 

Attraverso un approccio di storia globale l’autore analizza il fenomeno della pirateria dall’antichità, citando come prima fonte scritta del II millenio a.C., che testimonia la presenza di marinai specializzati nella rapina in mare, le cosiddette “lettere di Amarna”, circa trecentottanta tavolette d’argilla, incise con caratteri cuneiformi, rinvenute in Egitto a partire dal 1887 presso la località da cui prendono il nome sulla riva orientale del Nilo. I pirati dell’antichità furono soprannominati dall’egittologo francese dell’Ottocento Gaston Maspero “Popoli del Mare”, un nome collettivo utilizzato, di norma, per un variegato insieme di popoli (una dozzina all’incirca) che nei secoli finali del II millennio a.C. solcarono il Mediterraneo orientale. Scarse sono le fonti relative a questa prima fase della pirateria, ma l’autore cita un interessante opera letteraria che risale al 1.000 a.C., Il viaggio di Unamon, un manoscritto oggi conservato a Mosca, nel Museo Puškin, e proviene dalla città egizia di El-Hiba (già Tayu-djayet). La vicenda in esso narrata è ambientata al tempo del faraone Ramses XI, che ha regnato dal 1107 a.C. al 1077 a.C. circa. Nel racconto emergono molti dei tratti peculiari dei pirati proto-storici e del loro modus operandi.

 

Nella prima parte del volume, dedicata all’antichità, ampio spazio è dato alla storia romana, proprio perché la prima campagna in grande stile contro la pirateria fu lanciata nel I secolo a.C. dai Romani, i cui traffici marittimi erano stati pesantemente compromessi dai ripetuti attacchi subiti lungo le rotte mediterranee. Nel libro è descritto il famoso rapimento di Giulio Cesare, nell’inverno tra il 75 e il 74 a.C., all’epoca venticinquenne e alle prese con le sue prime esperienze politiche. Durante un viaggio alla volta di Rodi la nave su cui viaggiava fu assaltata da un gruppo di predoni cilici e il futuro Dictator fu fatto prigioniero e condotto sull’isola di Farmacussa, odierna Farmaco. Il rapimento di personaggi di spicco era d’altronde diffuso tra i pirati dell’antichità. A ogni modo, con la trionfale guerra piratica di Pompeo Magno nel 67 a.C., Roma mise in atto una vasta operazione militare per riportare l’ordine nel Mare Nostrum

 

Interessante e ben documentata è anche la parte relativa all’epopea vichinga, iniziata sul finire dell’VIII secolo, quando lungo le coste della Gran Bretagna si registrarono i primi attacchi sferrati da gruppi di navigatori-guerrieri provenienti dalla Scandinavia, il cui nome deriverebbe dal termine vik, che in lingua norrena, parlata al tempo in tutta l’area scandinava, stava per “baia”, o “fiordo”. Da qui la denominazione dei vichinghi, anche detti genericamente normanni, ovvero “uomini del Nord”, “genti delle baie”.

 

L’epoca della pirateria vichinga iniziò a tramontare nel corso della seconda metà dell’XI secolo, in concomitanza con l’affermarsi della religione cristiana nelle terre scandinave. Nella trattazione dei pirati del Nord Europa, l’autore ha incluso, a partire dal XII secolo, i predoni del mare provenienti dalla Repubblica di Novgorod, vasta entità statale nel nord-ovest della Russia, i cui confini occidentali affacciavano sul Baltico. Tali pirati furono noti nel XIV secolo con il nome di Ushkuiniks (ушкуйники) e si espansero fino alla Siberia, seminando terrore lungo le rive del Volga fino al 1489, quando il gran principe di Mosca Ivan III, considerato come l’unificatore delle terre russe, con l’intento di estendere i confini del suo principato, inviò contro le bande di Ushkuiniks un esercito di oltre sessantamila uomini, che mise in poco tempo fine alle loro scorribande fluviali. Allo stesso tempo, altri pirati di origine nordica furono debellati dalle forze della Lega Anseatica.

 

Il quarto capitolo è dedicato alla lunga stagione della pirateria musulmana, che in molti casi fu la longa manus dei potenti di turno. Tale forma di pirateria fu nota anche come saracena o barbaresca e mise a rischio il commercio marittimo delle potenze europee, in particolar modo della Spagna, soprattutto nel corso del Cinquecento, grazie a capitani del mare dello spessore di Khayr al-Din, meglio noto come Barbarossa, ammiraglio di fiducia del sultano Solimano il Magnifico. Lo scontro tra le flotte europee e quelle islamiche assunse a un certo punto i connotati della guerra di religione. Tra le figure femminili di spicco, nel paragrafo dedicato ai corsari medievali del Vecchio Continente, l’autore descrive l’originale figura di Jeanne de Belleville, nota anche come Jeanne de Clisson e attiva come pirata nel XIV secolo.

 

Matteo Liberti si concentra nel quinto capitolo, il più corposo, sull’età d’oro della pirateria, quando, mentre nel Mediterraneo imperversavano i predoni islamici, il fenomeno della pirateria deflagrò nel Cinquecento anche oltreoceano. L’arrivo in America di Colombo aveva, infatti, inaugurato una serie di rotte commerciali tra i porti del Vecchio Continente, a partire dalla Spagna, e le nuove colonie nate oltreoceano. Ed è proprio nel Nuovo Mondo, per la precisione nelle acque del mar dei Caraibi, che i predoni del mare conosceranno le loro maggiori fortune e cercheranno di istituire un’organizzazione dallo spirito egualitario e di matrice democratica. Gli interessi dei predoni delle Antille si estesero in quel periodo fino all’Oceano Indiano, con particolare predilezione per le acque del Madagascar, presso cui sarebbe addirittura sorta una repubblica pirata fautrice di un’ideologia socialista ante-litteram.

 

“Le enormi ricchezze trovate in terra americana, trasportate in Europa nelle stive dei grandi velieri spagnoli, attirarono presto stuoli di saccheggiatori dei mari, in gran parte sbandati ai margini della società. Ad azioni di pirateria si dedicarono tuttavia anche molti uomini provenienti dai ranghi delle marine militari, e persino illustri capitani come Sir Francis Drake, il celebre ammiraglio inglese che la regina Elisabetta I sguinzagliò contro le navi spagnole”, ci spiega l’autore, passando con dimestichezza dalla micro alla macro-storia. Con l’età d’oro della pirateria che ha attraversato tutto il Seicento e si è protratta fino ai primi decenni del XVIII secolo, si delinea il mito dei pirati, che ha affascinato numerosi romanzieri dell’Ottocento e dei primi del Novecento. Famosa è la trilogia di Emilio Salgari. L’autore veronese è ricordato, però, soprattutto per aver creato le saghe d’avventura del ciclo indo-malese con protagonista Sandokan, soprannominato la Tigre di Mompracem, il pirata gentiluomo che combatte con eroismo contro il colonialismo britannico e ispirato alla figura di un comandante navale chiamato Sandokong, la cui storia è tramandata dalla tradizione orale malese. Salgari ambientò le avventure di Sandokan fino alle coste giapponesi, patria dei cosiddetti Wokou.

 

Tra i vari personaggi storici descritti nel volume troviamo Ching Shih, un’ex prostituta che in Cina arrivò a comandare oltre settantamila pirati nei primi anni del XIX secolo, diventando il pirata più temuto al mondo, o perlomeno quello con la flotta più grande di tutti i tempi. 

 

La penultima parte del volume analizza il fenomeno piratesco dal secondo dopoguerra, dopo che, trascorsi decenni di oblio, essa è torna prepotentemente in auge su scala globale, in particolar modo nell’Oceano Indiano (dalla Malesia al Corno d’Africa), nel golfo di Guinea e nelle acque del Centro America. In epoca contemporanea, i pirati operano peraltro non soltanto per mare, ma anche nei grandi fiumi e i laghi, già teatro d’azione durante l’epoca dei “Popoli del Mare”.

 

L’ultimo capitolo del volume è infine dedicato a un’originale trattazione del “boom mediatico” riguardante i pirati, con un excursus che abbraccia la letteratura dedicata agli avventurieri dei mari dal Settecento, senza dimenticare L’isola del tesoro di Stevenson del 1881, fino a giungere al successo della filmografia a partire dal 1908, anno di uscita di The Pirate’s Gold, cortometraggio muto dell’americano David Wark Griffith (1875-1948) in cui si narra la vicenda di tre pirati e di un immancabile tesoro nascosto, con il culmine giunto nel Nuovo Millennio grazie al successo della saga Pirati dei Caraibi e dell’icona dei nostri giorni, Jack Sparrow. Il capitolo si conclude con una sezione dedicata alla serie televisive e ai videogames.

 

In conclusione, il nostro plauso va a Matteo Liberti, per il suo volume innovativo e stimolante per gli studiosi e per i molti appassionati di storia della pirateria. In fondo, come suggerisce lo stesso autore, “alzi la mano chi, in un tempo più o meno passato, non ha mai domandato o non si è mai sentito domandare: giochiamo ai pirati?”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]