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ARTE


N. 107 - Novembre 2016 (CXXXVIII)

STORIA COME SCIENZA O STORIA COME ARTE?
Un carteggio tra BENEDETTO Croce e PASQUALE Villari

di Bevar Ernesta Angela

 

Per entrare nell’argomento del presente scritto occorre ripercorrere una polemica dell'inizio del secolo scorso tra due illustrissimi storici italiani: Benedetto Croce e Pasquale Villari. La controversia – come qualcuno ebbe a definirla – da un lato riguardava l’essenza del metodo dello storico e dall’altro discuteva la necessità di reclamare come proprio per la storia l’ambito epistemologico specifico delle scienze. Il dibattito, peraltro già in corso nel secolo precedente, influenzerà nel corso di tutto il Novecento la riflessione di molti storici. L’interrogativo sul quale si basava riguardava l’alternativa tra il concepire la storia come una scienza o come un’arte.

 

Erano molti coloro i quali sottolineavano che il sapere storico non può essere cumula-tivo come quello scientifico, in quanto lo storico, spesso, più che proseguire le ricerche e gli studi dei suoi predecessori, mette in discussione le loro scoperte. Questo si può facilmente osservare in un’aula in cui si insegna storia, come ben evidenzia Evans, dove uno studente può pensare di contestare qualcosa al professore, mentre nessuno studente in un’aula di chimica si sognerà mai di contestare il professore in merito a un qualsiasi argomento delle sue lezioni. Pertanto se proprio si vuole dare al sapere storico la definizione di cumulativo, bisognerebbe intenderlo nel senso di un sapere che non può mai essere definitivo e che quindi colma le sue lacune e mancanze con il passare del tempo, con lo studio e la ricerca.

 

Un’altra differenza evidente tra storia e scienza è che per la storia non esiste un laboratorio in cui possano essere verificate previsioni o andamenti. Alla convinzione di chi sostiene che le conclusioni di uno storico non possono essere verificate, si può rispondere facendo riferimento, come fa anche Evans, al metodo di alcune scienze che si basano sull’osservazione piuttosto che sulla sperimentazione, tra queste l’astronomia o la geologia.

 

Altrettanto controversa è la questione sulla mancanza di una certezza predittiva nella storia rispetto a quella che possiedono le scienze. Hobsbawm sostiene nel De Historiache “possiamo sapere che cosa probabilmente accadrà, ma non quando”. Questo significa che le sole previsioni cronologiche affidabili (non certe) sono basate su una qualche periodicità e in genere sono gli economisti e i demografi che se ne occupano. Tutto ciò non deve portare chi si occupa di storia a confondere quello che in questa disciplina è il concetto di previsione con il desiderio (“l’uomo è un’animale che spera” soleva dire Bloch) o con la speranza, non deve, cioè, spingere a usare la storia come una escatologia né ad usarla col solo fine di fare della “futurologia”.

 

In epoca più recente la discussione se gli scritti di storia possono o meno definirsi testi letterari si è spostata sul linguaggio, anzi sulla mancanza nella storia di un linguaggio specifico, di una terminologia tecnica che invece è appannaggio delle altre discipline. Su questo argomento gli storici si dividono tra chi ritiene che la distinzione tra storia e poesia sia pericolosa, che un testo privo di forza immaginativa impoverisca anche i contenuti, e coloro i quali si appellano ad una semplicità stilistica, ad una chiarezza che dovrebbe essere una sorta di dovere nei confronti del lettore.

 

I primi hanno forse come obiettivo suscitare curiosità e interesse, i secondi hanno di mira la comprensione chiara e consapevole degli avvenimenti storici. In ogni caso la padronanza della lingua dovrebbe sempre andare di pari passo con il tenere in debito conto l’esigenza della leggibilità perché il mestiere dello storico non si identifichi con il custodire una conoscenza elitaria e sapienziale, ma mantenga il suo ruolo di memoria collettiva del passato a beneficio di tutti e non di pochi.

 

La controversia tra Villari e Croce riguardo all’argomento se la storia debba essere scienza o arte ha inizio con la pubblicazione di Villari, nel 1891, del saggio La storia è una scienza? al quale Croce risponde, per così dire, nel 1893 con La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte. Analizziamo le due argomentazioni.

 

L’argomentazione di Villari (1891):

 

Villari non poteva accogliere la narrazione come metodo valido per l’approccio storico per due motivi: perché la narrazione era secondo la sua opinione solo un elemento letterario che gli storici più antichi utilizzavano per rendere più vivo il racconto sugli avvenimenti passati; seconda-riamente perché, da buon positivista, Villari riconosceva innanzitutto la distinzione tra poesia e storia, in quanto l’artista crea mentre lo storico rinviene.

 

Per il primo motivo addotto l’autore è, in qualche modo, influen-zato dalla posizione del Seeley, il quale vedeva negli studi storici nient’altro che la ricerca della soluzione ad alcuni problemi politici. Se “la storia è politica del passato e la politica è storia del presente”, come afferma Freeman, ne consegue che la storia come narrazione soddisfa qualche curiosità, ma solo quella storia che scopre le leggi che governano i fatti può estrarre dal suo lavoro le regole di condotta utili all’azione dell’uomo politico.

 

E a chi si chiedesse se fare a meno del (falso) metodo letterario significa togliere alla storia il suo interest, il Seeley rispondeva che ciò che conta nella storia non è l’individuale, del quale si occupa la narrazione, ma ciò che unisce gli uomini in società e che proprio questo obiettivo dà alla storia un interest più vero, alto, concreto e utile. Riportate le suddette opinioni, Villari esprime la sua, evidenziando come, mentre il metodo letterario si occupa degli uomini, quello scientifico si concentra sui fatti.

 

Ci sono poi altre posizioni che l’autore ricorda, come quella di Ranke o di Gebhardt, secondo i quali, nella storia, arte e scienza si confondono o meglio sono due momenti, entrambi necessari. La storia come scienza va alla ricerca dei fatti e, una volta trovati, è la storia come arte che li espone. Per il Seeley il procedimento era, discendente, cioè lo storico che narra sta discendendo dalla scienza nella letteratura, per Gebhardt, invece, lo storico che narra i fatti trovati in precedenza con metodo scientifico sta ascendendo ad una posizione più alta.

 

In Ranke i due momenti sono simultanei, lo storico deve tanto ricercare e criticare scientificamente, quanto trovare la modalità più appropriata così che nell’esporre i contenuti riesca a produrre nel lettore lo stesso piacere che egli ha quando legge un’opera letteraria. Ma Villari sottolinea come la posizione di Ranke dia comunque più importanza al momento scientifico, in quanto ciò che viene narrato deve essere sempre e primariamente vero. Del resto come potrebbe, aggiunge Villari facendo eco a Ullmann, la storia che ha per ufficio il criticare, il paragonare e l’esaminare, preoccuparsi del principio del bello?

 

C’è, poi, da tenere in debito conto che Villari si inseriva in un filone peculiare del positivismo italiano animato al suo interno da due finalità ben precise: la lotta alla metafisica, al trascendente e lo sforzo di poter trovare le leggi dello spirito umano e del pensiero attraverso quella che Vico aveva definito la “nuova scienza”. Lo scopo era formulare un nuovo approccio alla studio della storia fondato sui metodi empirici e basato sull’osservazione e la verificazione propri delle scienze naturali.

 

Un’idea di progresso muoveva Villari (idea alla quale era precedentemente approdato Vico) essa si manifestava nel passaggio dallo stadio della sapienza poetica, ancora pervaso dal mito, allo stadio della sapienza riposta. Il movimento dal poetico al razionale altro non era per lui che una legge di sviluppo.

 

Ma la storia, in questa concezione di progresso, non può che essere una scienza sui generis e non una scienza esatta o una scienza naturale, perché Villari sa bene che le leggi della storia, a differenza di quelle naturali, si possono conoscere solo fino a un certo punto, frammen-tariamente, ma anche perché se essa fosse una scienza esatta dovrebbe rivelare con certezza il mondo delle idee. La storia, invece, tenta di scoprire le idee che sono contenute nella verità dei fatti, come sostiene Humboldt, in essa reale e ideale sono sempre confusi.

 

Gli elementi che costituiscono la storia, secondo Villari, sono tre: i fatti, la rappresentazione dei fatti e la connessione logica dei fatti, cioè le leggi che li governano. Il primo elemento è oggetto dell’erudizione storica, il secondo della storia narrativa, il terzo, quello più importante, può causare continue controversie, ma è l’unico che fa comprendere il valore storico.

 

Lo storico non può cambiare nulla, non è libero quanto può esserlo il poeta, il quale dà corpo alle idee imitando la realtà, mentre lo storico deve descrivere i fatti senza alterarne lo spirito e tutto ciò ha un preciso significato: non siamo noi a possedere le idee ma sono loro che possiedono noi, noi che ne dipendiamo. Oltre a questo lo storico deve conoscere l’uomo e il tempo in cui visse, deve sapere come le società agiscono le une sulle altre influenzandosi a vicenda, deve sapere che il viaggio intellettuale che sta compiendo a ritroso nel tempo, il “trasportarsi nello spirito di tutti i tempi”, altro non è che la lettura  di una storia che si è trasformata e che vive in noi, ne consegue che egli sta studiando una parte di sé stesso. La sua vivacità nella scrittura consiste nel connettere tutti questi elementi in un unico quadro d’insieme. Solo così la storia può divenire vera scienza dello spirito umano.

 

Nel momento in cui a Villari si pose l’alternativa tra il modello storio-grafico realistico-tucidideo e quello giudaico-cristiano, egli scelse comunque il primo, precisando che a questo modello, che costituisce la semplice narrazione storica, occorre aggiungere le scoperte delle nuove scienze, come la paleografia, la cronologia, la geologia, la filologia comparata, l’etnografia, le quali portano con sé nuovi approcci di interesse storico, sociale e politico.

 

L’argomentazione di Croce (1893):

 

All’inizio della sua attività Croce fu attratto e affascinato dalla storia come oggetto di erudizione letteraria mai priva di elementi di viva umanità. La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte del 1893 fu la sua prima opera sistematica sulla storia. Il primo obiettivo per l’autore fu quello di respingere l’interpretazione positivistica della storia come scienza, il secondo di rifiutare l’idea di un’arte fondata sull’edonismo. 

 

Quest’ultimo obiettivo sarà ampiamente confutato nelle sue Tesi sull’estetica, in cui l’identificazione tra arte ed espressione (espressione dell’individuale cioè intuizione) consente di “superare la concezione naturalistico-empirico-edonistica come pure di quella intellettualistica dell’arte”, la quale deve divenire attività spirituale e teoretica.

 

Per Croce non v’era dubbio alcuno che alla base della storia vi fosse la stretta relazione tra l’azione e la conoscenza degli avvenimenti passati, relazione che andava rintracciata nel carattere specificamente simbolico della narrazione. La storia per Croce era compresa in una concezione filosofica, ma in un primo periodo andava, secondo il suo parere, ridotta sotto il concetto generale dell’arte. Il testo del 1893 in cui argomenta questa tesi è tutto percorso da richiami espliciti all’estetica di Hegel in cui l’arte viene definita come “la rappresentazione sensibile dell’idea”. La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte non viene svalutata ma acquista anzi una sua autonomia e un suo significato specifico all’interno dell’arte in generale come “narrazione dei fatti”. L’arte, infatti, in senso più ampio, è rappresentazione indipendente dai fatti.

 

Il bello stile e il ritmo di una narrazione hanno però per Croce una regola fondamentale: la storia che narra non consente astrazioni. Altra conclusione alla quale il filosofo perviene è che il raccontare storico è strettamente connesso al problema dell’essenza della verità. L’esattezza è un dovere e se l’artista non può lasciarsi affascinare dal falso, lo storico non può cadere nell’immaginario. Lo storico si premunisce contro questa eventualità distinguendo sempre desidero e azione, irreale e reale, inesistente ed esistente. Una storia che non sia il frutto di questa continua distinzione tra la possibilità e l’azione diventa leggenda. Pertanto la storia rappresenta sempre le azioni, mentre i desideri li rappresenta in quanto li distingue da esse.

 

L’unico punto sul quale arte e storia non coincidono, secondo Croce, è proprio nella mancata distinzione in arte tra desideri e azioni, essa è pura intuizione, è rappresentazione di sentimenti. È per questo che , nella storia, il momento della rappresentazione è preceduto da diversi passaggi: spirito d’osservazione, ricerca, critica, interpretazione, comprensione storica. Esiste per Croce una dignità specifica della storia che deve corrispondere a quella che anima l’arte. Si tratta della schiettezza, poiché ciò che è schietto è anche vivo e bello. Quello che, invece, deve rimanere fuori dalla storia è la cronaca, intesa come una sequela di fatti. Lo spoglio racconto storico deve essere supportato dalla riflessione su ciò che viene intuito, in modo tale che così, sostiene Croce, il racconto ne risulti trasfigurato, intellettualizzato.

 

Prima di dare inizio alla sua argomentazione Croce riporta due illustri pareri: quello di Droysen, il quale ha sostenuto la causa della storia come scienza in quanto, a parer suo, le storie che si dicono artistiche abbondano di retorica indi per cui fanno male alla storia stessa; e quello di Bernheim, il quale sostiene che la storia è una scienza e non un’arte perché quest’ultima serve solamente per ottenere un piacere estetico, mentre la scienza ha come fine quello di pervenire a una conoscenza.

 

Croce si rende ben conto come dietro questo tipo di argomentazioni si celi la domanda fondamentale in merito alla convinzione comune a molti che la storia debba avvalersi dei metodi, dell’apparato concettuale o del linguaggio di altre discipline. La tesi crociana perciò va in cerca dell’autonomia della storia. All’interrogativo se la storia è una scienza o un’arte Croce risponde facendo appello a tre concetti di arte, scienza e storia, dei quali l’autore vuole fornire una definizione più corretta e sui quali, a parer suo, occorre far chiarezza.

 

Arte è, secondo Croce, tutto ciò che ruota attorno al bello. Ma allora occorre chiedersi che cosa è il bello. Quattro sono state le risposte principali che si sono date a questa domanda: quella del sensualismo che lo ha definito il momento del piacere; quella del razionalismo, che lo ha identificato col Vero o col Bene; quella del formalismo, che lo riscontra nei rapporti formali gradevoli; quella dell’idealismo concreto, che lo fa consistere nella rappresentazione o nella manifestazione sensibile dell’idea.

 

L’ultima risposta è quella che Croce definisce espressione di ciò che nella terminologia hegeliana verrebbe chiamata idea. Di conseguenza bello e brutto sono strettamente legati alle categorie con le quali noi apper-cepiamo. Nell’arte, pertanto, vi sono contenuti alcuni punti di vista naturali che ci sembrano belli, anche se per Croce la definizione “l’arte rappresenta il bello” deve essere rigettata. In questa nuova veste l’arte non è altro che la rappresentazione della realtà. E, si chiede Croce, la storia “non è forse anch’essa una rappresentazione della realtà?”.

 

La differenza fondamentale tra Croce e Droysen consiste in una diver-sa concezione del “senso della storia”. La storia per Droysen va svincolata dalla forma della narrazione o dai fini dello storico, l’autonomia che egli ricerca è compresa in una prospettiva in cui la storia è utile a “preparare all’azione”, pertanto la narrazione deve essere distinta dal momento “discussivo”. Croce sostiene, invece, che la storia ha un carattere preparante ma non determinante, come lo possiede l’arte o la poesia che purificano e preparano l’anima ma non ne determinano le scelte, perché tra contempla-zione e fare pratico non può esservi alcuna identità.

 

Per rispondere a chi dovesse obiettare che l’arte rappresenta, mentre la storia studia scientificamente, l’autore passa a esaminare la definizione di scienza. La definizione che ne dà Bernheim è la seguente: “la storia è la scienza dello svolgimento degli uomini nella loro attività di esseri sociali”. Ma Croce rilancia precisando che la storia non spiega che cosa è lo svolgimento, si limita a raccontare i fatti che si svolgono, e richiama alla memoria le pagine di Schopenhauer in cui si sosteneva che la scienza si occupa di generi mentre la storia si occupa di individui, e che questa è priva di sistematicità rispetto a quella. Perdere lo status di scienza per la storia non deve essere, quindi, tanto grave perché sempre a detta di Schopenhauer, “la storia rimane la coscienza dell’umanità”.

 

La storia non è scienza dello svolgimento ma possiamo definirla, secondo Croce, rappresentazione dello svolgimento e, in quanto tale, si può assimilarla all’arte perché “gli storici scrivono le cose grandi a’ dotti, e i pittori le dipingono al volgo sulle mura”.

 

Ma è la questione mossa da Villari, se la storia fosse scienza o arte, che, repentinamente, spingerà Croce ad approfondire meglio la sua rifles-sione sulla storia e che gli farà dire che “ la storia deve essere arte perché la scienza è dell’astratto, e la storia è, come l’arte, del concreto”. Qualcuno, come Bernheim, gli aveva rimproverato di usare un concetto troppo stretto di scienza, che avrebbe spostato la discussione sulla distinzione tra scienze descrittive e scienze raziocinanti, la quale avrebbe di riflesso comportato la separazione tra gli storici narratori, i quali necessitano di una intenzione visiva per descrivere e raccontare, e i filosofi, i quali, invece, non hanno bisogno di vedere per intendere la ragione delle cose.

 

Questa sarebbe stata una netta incoerenza all’interno dell’argomentare crociano, che aveva come obiettivo ultimo una storia filosofica. Ma non c’è  anche da tenere presente che l’arte non è contemplazione pura, che non può essere vincolata a ciò che rappresenta, e che, pertanto, essa non può possedere un carattere contenutistico? Croce risponde a questa obiezione precisando che vi sono due diversi modi di intendere la descrizione: quello del classificare, proprio di quegli ambiti disciplinari, come la zoologia, in cui si cerca il generale nel particolare; e il secondo che è un riprodurre o ritrarre l’oggetto nella sua individualità, e questo è proprio della narrazione.

 

La storia in quanto arte appartiene alla classe delle arti della parola, ma essa può anche esprimersi attraverso le arti figurative come la scultura o la pittura, pertanto appartiene a diversi generi e il suo contenuto può essere appreso con diversi mezzi.

 

Tutto quello che può essere definito interessante diventa il contenuto dell’arte, cioè estetico. Interessante è tutto ciò che ruota attorno all’uomo, che a lui interessa. E anche in questo senso la storia non può che essere arte e non scienza, perché mentre la scienza ha un interesse costante non così l’arte e la storia il cui interesse muta ed è in dipendenza dallo svolgimento umano: del resto noi uomini moderni non abbiamo interessi differenti rispetto ai contemporanei di Omero o di Dante?

 

Le arti si differenziano per genere e classe in base al loro contenuto, la storia, ad esem-pio, si occupa e riguarda lo storicamente interessante, che non è altro ciò che è realmente accaduto. Questa differenza è visibile anche nei principi che muovono il poeta e lo storico. Il primo è mosso soltanto dal principio del collegamento estetico, il secondo è mosso oltre a questo dal principio della causalità reale.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

B. Croce – P. Villari, Controversie sulla storia, R. Viti Cavaliere (a cura di), Unicopli, Milano 1993

B. Croce, Teoria e storia della storiografia, Adelphi, Milano 1989

E. Paolozzi, Benedetto Croce. Logica del reale e il dovere della libertà, Cassitto, Napoli 1998

R. Evans, In difesa della storia, Sellerio, Palermo 2001

E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Einaudi, Torino 1961

E. J. Hobsbawm, De Historia, Rizzoli, Milano 1997

Enciclopedia italiana Treccani, Dizionario biografico degli italiani, voce Croce, Benedetto

B. Croce, Filosofia della pratica Economia ed etica, Bibliopolis, Napoli 1981

G. Cotroneo, Questioni crociane e post-crociane, Edizioni Scientifiche Italiane 1994

Cioffi-Gallo-Luppi-Vigorelli-Zanette, Il testo filosofico, Bruno Mondadori, Milano 1993



 

 

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