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N. 24 - Dicembre 2009
(LV)
il bis degli azzurri
Storia dei mondiali di calcio - parte III
di Simone Valtieri
Nel
1938
la
terza
edizione
della
Coppa
del
Mondo
di
calcio
è
ospitata
dalla
Francia.
L’Italia
di
Vittorio
Pozzo
si
presenta
al
via
della
manifestazione
con
i
favori
del
pronostico
insieme
al
Brasile
del
“diamante
nero” Leonidas
da
Silva.
Non
partecipano
L’Uruguay,
ancora
ai
ferri
corti
con
la
federazione,
l’Argentina,
anch’essa
in
polemica
per
non
essere
stata
scelta
per
ospitare
la
manifestazione
in
una
supposta
logica
di
alternanze
tra
Europa
e
Sud
America,
e
l’Inghilterra,
che
si
considera
sempre
troppo
superiore
alle
altre
squadre
per
accettare
di
scendere
tra
i
“comuni
mortali”.
Eppure
proprio
l’Inghilterra
quattro
anni
prima
aveva
rischiato
grosso
contro
l’Italia,
nel
famoso
match
passato
alla
storia
come
quello
dei
“Leoni
di
Highbury”.
Ad
inizio
partita
si
era
infortunato
il
mediano
italiano
Monti
e,
in
11
contro
10,
l’Inghilterra
aveva
realizzato
tre
gol.
Nella
ripresa
però,
con
un
sussulto
d’orgoglio,
l’Italia
riuscì
a
siglare
due
reti
con
Meazza
e a
sfiorare
il
pareggio,
mettendo
alle
corde
gli
spocchiosi
inglesi
nonostante
l’inferiorità
numerica.
Quella
partita
più
l’incontro
di
Coppa
Internazionale
con
la
Cecoslovacchia
del
1935,
rimarranno
le
uniche
sconfitte
italiane
nel
quadriennio
precedente
a
Francia
’38.
La
formazione
azzurra
veniva
dunque
da
quasi
tre
anni
di
imbattibilità
e
dai
prestigiosi
successi
nella
Coppa
Internazionale
del
1935
e
nelle
Olimpiadi
del
1936.
Proprio
da
quella
selezione
di
giovani
e
meno
giovani,
alcuni
iscritti
appositamente
all’università
per
poter
partecipare
ai
giochi,
arrivano
molti
nuovi
innesti
per
la
squadra
che
partecipa
alla
coppa.
In
porta
il
titolare
dell’Italia
è
Aldo
Olivieri,
dalla
Lucchese.
Tra
i
terzini,
al
posto
dei
campioni
del
mondo
Monzeglio
ed
Allemandi,
vengono
scelti
i
due
campioni
olimpici
Foni
e
Rava.
In
difesa
il
perno
è
l’oriundo
Andreolo,
affiancato
da
Serantoni
e
Locatelli,
altro
reduce
dalle
olimpiadi
di
Berlino.
Davanti,
al
collaudato
trio
Ferrari,
Meazza
e
Piola,
si
aggiungono
Biavati,
l’inventore
del
“doppio
passo”,
Ferraris
II e
l’ala
Gino
Colaussi.
Il
clima
che
gli
azzurri
trovano
Oltralpe
non
è
dei
migliori,
soprattutto
a
causa
delle
vicende
politiche
internazionali,
come
gli
aiuti
offerti
dal
governo
italiano
alla
Spagna
franchista
o le
imminenti
leggi
razziali.
Bordate
di
fischi
partono
ogni
qual
volta
la
“Squadra”
entra
in
campo
e
presenzia
col
saluto
romano,
indossando
per
giunta
una
maglia
nera;
le
contestazioni
provengono
anche
dai
molti
italiani
esuli
del
regime
fascista,
soprattutto
intellettuali
e
giornalisti,
che
nel
Paese
transalpino
avevano
trovato
ospitalità.
Sono
quindici
le
formazioni
al
via,
disposte
in
un
tabellone
di
stile
tennistico,
esattamente
come
quattro
anni
prima.
La
sedicesima
nazione,
l’Austria,
era
da
poco
stata
annessa
alla
Germania
nazista
e
perciò,
di
fatto,
non
figurava
più
tra
i
partecipanti.
I
giocatori
del
Wunderteam
vengono
inglobati
dalla
formazione
tedesca,
ma
comporre
una
squadra
“ibrida”
a
pochi
giorni
dall’inizio
del
torneo,
tra
l’altro
con
giocatori
abituati
a
praticare
schemi
completamente
diversi
(il
celebre
“WM”
per
la
Germania
ed
il
“metodo”
per
l’Austria)
non
risulta
essere
una
buona
idea.
La
Germania
è
infatti
battuta
per
4-2
agli
ottavi
di
finale
dalla
Svizzera,
nella
ripetizione
del
primo
match
terminato
1-1,
e
definitivamente
eliminata.
L’Austria
dal
canto
suo,
essendo
assente,
lascia
via
libera
alla
Svezia,
che
si
ritrova
automaticamente
già
nei
quarti.
Il
match
più
avvincente
del
primo
turno
è
quello
che
vede
impegnati
il
Brasile
e la
Polonia.
A
Strasburgo
i
verdeoro
partono
alla
grande
e
alla
fine
del
primo
tempo
si
ritrovano
avanti
per
3-1.
La
Polonia,
guidata
dal
forte
centravanti
Ernest
Willimowski,
non
demorde,
trovando
il
pareggio
due
volte,
sul
3-3
e
sul
4-4.
Si
va
ai
supplementari,
ed
il
“diamante
nero”
Leonidas
da
Silva
si
scatena,
segnando
una
doppietta
(la
seconda
rete
realizzata
a
piedi
nudi
in
un
campo
ridotto
ad
una
risaia)
ed
elimina
i
polacchi.
Vano
il
gol
di
Willimowski
a
due
minuti
dalla
fine
che
fissa
il
risultato
sul
6-5.
L’Italia
debutta
il 5
giugno
a
Marsiglia,
nello
stadio
“Municipal”
da
poco
ristrutturato.
Davanti
a
diciannovemila
spettatori
ostili,
gli
azzurri
faticano
contro
una
arcigna
Norvegia
che
rischia
anche
di
portare
a
casa
il
risultato
pieno.
Sull’1-1
infatti,
dopo
le
reti
di
Ferraris
II e
Brustad,
la
formazione
scandinava
segna
ancora,
ma
il
gol
viene
annullato.
Si
va
ai
supplementari
e al
quarto
minuto
della
prima
frazione
Silvio
Piola
porta
avanti
l’Italia
su
una
palla
non
trattenuta
dal
portiere.
Il
risultato
resiste
fino
alla
fine,
grazie
anche
alle
parate
del
“gatto
magico”
Olivieri
che
già
nei
tempi
regolamentari
aveva
salvato
la
porta
in
più
di
un’occasione,
e
l’Italia
si
qualifica
per
l’ostico
quarto
di
finale
contro
i
padroni
di
casa.
La
Francia
si
guadagna
l’incontro
con
i
campioni
in
carica
sconfiggendo
il
Belgio
con
un
secco
3-1,
mentre
la
Cecoslovacchia,
per
avere
la
meglio
sull’Olanda,
deve
faticare
centoventi
minuti,
sbloccandosi
nei
supplementari
con
ben
tre
reti.
La
sorpresa
del
primo
turno
arriva
da
Cuba,
che
elimina
la
Romania
in
due
partite
terminate
per
3-3
e
2-1,
mentre
la
qualificazione
più
agevole
è
quella
dell’Ungheria
che
rifila
un
6-0
tennistico
alle
Indie
Olandesi
(l’odierna
Indonesia),
chiamate
in
fretta
e
furia
dagli
organizzatori
per
sostituire
la
nazionale
degli
Stati
Uniti.
Una
curiosità:
per
poter
essere
presenti
ai
mondiali,
le
Indie
Olandesi
ricevono
un
indennizzo
di
350
mila
franchi,
una
bella
cifra
per
l’epoca,
come
rimborso
spese
per
il
lungo
viaggio.
Il
12
giugno
si
disputano
i
quarti
di
finale.
A
Bordeaux,
nel
“Parc
Lescure”,
è di
scena
Brasile-Cecoslovacchia.
Il
primo
match
tra
le
due
formazioni
termina
in
parità,
grazie
ai
gol
dei
due
fuoriclasse
Leonidas
e
Oldrich
Nejedly,
assumendo
però
i
contorni
della
rissa.
L’arbitro
ungherese
Von
Hertzka
espelle
due
giocatori
del
Brasile
(Zezé
Procopio
e
Machado)
e
uno
della
Cecoslovacchia
(Riha).
Nejedly,
con
una
gamba
fratturata,
è
costretto
ad
uscire
subito
dopo
aver
stoicamente
realizzato
il
rigore
del
pareggio,
crollando
sul
terreno
di
gioco.
Il
portiere
Planicka
lo
segue
in
ospedale
con
un
braccio
rotto,
e
con
lui
vanno
anche
il
suo
compagno
Kostalek
(dolorante
al
fegato)
ed
il
brasiliano
Peracio.
La
ripetizione
di
due
giorni
dopo
vede
i
brasiliani
prevalere
per
2-1,
nonostante
un
gol
regolare
annullato
ai
cecoslovacchi
prima
di
quello
decisivo
di
Roberto.
L’Italia
sbriga
la
pratica
Francia
sempre
il
12
giugno,
a
Parigi.
Nello
stadio
“Colombes”,
davanti
a 61
mila
sostenitori
dei
“Bleus”,
una
formazione
italiana
rinvigorita
spazza
via
i
francesi
per
tre
reti
ad
una.
I
motivi,
o
presunti
tali,
della
vittoria
sono
molteplici.
Sul
piano
prettamente
tattico,
un
ruolo
importante
viene
svolto
dall’innesto
in
squadra
di
Gino
Colassi
nel
ruolo
di
ala
sinistra,
autore
tra
l’altro
del
primo
gol
dell’incontro,
con
la
fascia
destra
del
campo
occupata
dal
terzino
Foni
e
dall’altra
ala
Biavati.
C’è
inoltre
la
meticolosità
di
Pozzo,
che
aveva
fatto
allenare
i
suoi
ragazzi
con
i
palloni
in
uso
a
Parigi,
omaggio
di
Guillermo
Stabile,
capocannoniere
del
mondiale
1930
ora
nella
capitale
francese
alla
guida
dei
Red
Star,
una
squadra
locale.
C’è
di
più,
se
vogliamo:
gran
parte
della
formazione
azzurra,
fatta
eccezione
per
i
giocatori
sposati,
si
era,
per
così
dire,
“allenata”
il
giorno
precedente,
in
una
casa
chiusa
di
Parigi,
avendo
attribuito
alla
“astinenza”
la
scarsa
prestazione
fornita
contro
la
Norvegia.
Di
fatto,
però,
il
giocatore
che
segna
i
due
gol
decisivi
dell’incontro,
replicando
al
momentaneo
pareggio
di
Heisserer,
è
Silvio
Piola,
che
il
giorno
precedente
era
tra
quelli
rimasti
in
ritiro.
I
due
gol
del
bomber
hanno
ampia
risonanza
sia
in
Francia,
dove
il
quotidiano
“l’Equipe”
elegge
l’attaccante
lombardo
tra
i
migliori
di
ogni
epoca,
sia
in
Italia,
grazie
alle
radiocronache
in
diretta
del
popolarissimo
Niccolò
Carosio.
Gli
altri
quarti
di
finale
vedono
fronteggiarsi
Svezia-Cuba
e
Ungheria-Svizzera.
La
partita
tra
scandinavi
e
caraibici
termina
con
un
netto
8-0
in
favore
della
Svezia
che
conta
tra
l’altro
le
due
triplette
di
Harry
Andersson
e
Gustav
Watterström,
e il
duecentesimo
gol
della
storia
dei
mondiali
segnato
da
quest’ultimo.
Il
match
tra
magiari
ed
elvetici
termina
invece
con
un
più
classico
2-0
a
vantaggio
dell’Ungheria,
che
grazie
ai
gol
dei
due
bomber
Sarosi
e
Zsengeller,
buca
il
catenaccio
svizzero
e si
qualifica
per
la
semifinale
con
la
Svezia.
La
Svizzera
utilizza
in
realtà
una
tecnica
difensiva
chiamata
“Verrou-Riegel”,
genitrice
del
catenaccio,
che
consiste
in
quattro
difensori
in
linea
ed
un
quinto
mobile
a
marcare
la
punta
avversaria.
Metodo
che
era
riuscito
ad
imbrigliare
la
Germania
negli
ottavi,
ma
che
non
funziona
contro
l’Ungheria
del
commissario
tecnico
Dietz,
alla
vigilia
tanto
sicuro
del
risultato
da
impegnarsi,
con
un
documento
scritto,
a
percorrere
a
piedi
la
strada
tra
Lilla
e
Budapest
in
caso
di
eliminazione.
Il
risultato
gli
risulterà
doppiamente
gradito.
Nel
“big
match”
di
semifinale
il
Brasile
lascia
sorprendentemente
a
riposo
il
suo
asso
in
vista
della
finale.
I
sudamericani
si
dicono
certi
del
passaggio
del
turno:
“Siamo
talmente
forti
che
facciamo
riposare
Leonidas
(…)
tanto
gli
italiani
li
battiamo
anche
con
la
squadra
dei
ragazzi,
abbiamo
già
i
posti
prenotati
in
aereo”
è la
dichiarazione
rilasciata
da
un
dirigente
brasiliano
il
giorno
prima
della
partita.
La
risposta
di
Pozzo
non
tarda
ad
arrivare,
accompagnata
dall’invito
a
garantire
la
rinuncia
al
volo.
La
controreplica
è
ancor
più
pungente:
“Meglio
che
prenotiate
il
vagone
letto
per
Bordeaux”,
sede
della
finale
per
il
terzo
posto.
I
brasiliani
in
realtà
arrivano
a
Marsiglia
con
le
pile
scariche
dopo
i
durissimi
incontri
sostenuti
e
non
riescono
a
fronteggiare
l’Italia
sul
piano
fisico,
limitandosi
per
l’intero
primo
tempo
ad
estenuanti
palleggi.
Dopo
lo
0-0
dei
primi
quarantacinque
minuti,
l’Italia
passa
in
vantaggio
con
gol
di
Piola
su
cross
di
Biavati.
L’azione
è in
realtà
viziata
da
una
gomitata
del
centravanti
azzurro
sul
difensore
brasiliano
Domingos
che
pochi
minuti
dopo,
ancora
furibondo,
atterra
lo
stesso
Piola
in
area
di
rigore.
Il
penalty,
realizzato
da
Meazza,
passerà
alla
storia
per
un
curioso
contrattempo:
il
“Balilla”,
al
momento
di
posizionare
la
palla
sul
dischetto,
rompe
l’elastico
dei
suoi
pantaloncini
e,
al
momento
del
tiro,
è
costretto
a
reggerseli
con
una
mano
per
non
rischiare
di
rimanere
in
mutande.
Il
2-0
è
comunque
siglato
e
serve
a
poco
il
gol
di
Romeu
a
tre
minuti
dalla
fine:
il
Brasile
disdice
il
volo
aereo
per
Parigi
e
sale
in
carrozza
verso
Bordeaux.
L’altra
semifinale
vede
la
vittoria
senza
storia
dell’Ungheria,
che
annichilisce
la
Svezia
con
un
perentorio
5-1.
Il
19
giugno
sono
di
scena
entrambe
le
finali.
In
quella
di
consolazione
il
Brasile
batte
la
Svezia
per
4-2,
dopo
essere
andato
sotto
per
due
reti
a
zero.
Segna
Leonidas,
stavolta
titolare,
realizzando
due
reti
che
lo
portano
al
primo
posto
solitario
della
classifica
dei
marcatori
con
sette
gol,
davanti
al
magiaro
Gyula
Zsengeller
con
sei.
Nella
finalissima
invece
sono
di
fronte
la
favorita
Italia
e
l’incognita
Ungheria.
Davanti
a
cinquantamila
spettatori
ostili,
la
formazione
dei
“macaronì”,
come
con
spregio
venivano
chiamati
dai
francesi
i
giocatori
italiani,
diverte
il
“Colombes”
dal
primo
minuto
di
gioco.
Colaussi
segna
subito
anche
se
l’Ungheria
risponde
dopo
appena
due
minuti
con
Titkos.
La
risposta
italiana
è
repentina:
Piola
coglie
un
palo
e
pochi
minuti
dopo,
al
16’,
sigla
il
vantaggio.
Anche
Ferrari
spedisce
un
bel
tiro
sul
palo,
ma
stavolta
Colaussi
è
rapido
a
fiondarsi
sul
rimbalzo
ed a
siglare
il
3-1.
La
partita
è
chiusa,
neanche
il
3-2
di
Sarosi
serve
a
nulla
e 12
minuti
più
tardi
Piola
fissa
il
risultato
sul
4-2.
Per
Pozzo
è un
trionfo.
Con
una
formazione
meno
talentuosa
di
quella
allenata
quattro
anni
prima
e
con
il
solo
oriundo
Andreolli,
il
commissario
tecnico
azzurro
riesce
nella
doppietta,
mai
più
eguagliata
nella
storia
da
nessun’altro.
L’obiettivo
sarebbe
ora
quello
di
sollevare
la
terza
Coppa
Rimet
nel
1942
e
aggiudicarsela
definitivamente,
come
previsto
dal
regolamento,ma
il
sogno
gli
sarà
negato
dalla
guerra.
L’addio
di
Pozzo
alla
nazionale
arriverà
nel
1948,
dopo
una
cocente
sconfitta
per
4-0
contro
i
maestri
inglesi,
ma
la
sua
Italia
passerà
alla
storia
come
una
delle
più
forti
squadre
di
sempre,
grazie
ad
un
palmares
ineguagliato,
sigillato
con
la
vittoria
nel
mondiale
francese.
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