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N. 22 - Ottobre 2009
(LIII)
La Celeste sul tetto del mondo
Storia dei mondiali di calcio - parte I
di Simone Valtieri
La
prima
edizione
della
Coppa
del
Mondo
di
calcio,
datata
1930,
è un
fatto
storico.
Non
tanto
per
quello
che
rappresenta
oggi,
ossia
uno
dei
due
eventi,
insieme
alle
Olimpiadi,
più
importanti
di
tutto
il
panorama
sportivo
del
pianeta,
né
tantomeno
per
il
fatto
che
è il
massimo
torneo
della
disciplina
più
diffusa
al
mondo,
agevolata
nell’esserlo
da
quell’istintività
umana
(o
forse
intrinseca
pigrizia)
che
ci
porta
a
dare
un
calcio
ad
una
palla,
prima
ancora
che
a
raccoglierla
con
le
mani
come
hanno
poi
fatto
rugbisti,
pallavolisti
e
cestisti.
La
prima
edizione
del
Mondiale
è un
evento
storico
in
quanto
per
la
prima
volta
una
federazione
internazionale,
la
Fifa,
decide
di
staccarsi
brutalmente
dai
cinque
cerchi
olimpici,
che
predicano
l’assoluto
dilettantismo
nello
sport,
per
organizzare
un
torneo
riservato
ai
professionisti,
ai
migliori,
non
importa
se
pagati
o
meno.
Se
l’utopistico
sogno
di
De
Coubertin
di
uno
sport
senza
sponsorizzazioni
e
denaro
naufragherà
nel
tempo
fino
ad
essere
completamente
soppiantato
dall’odierna
concezione
di
pratica
sportiva
vista
come
lavoro,
fonte
di
sostentamento
o
ancor
di
più
business,
con
guadagni
per
alcuni
privilegiati
anche
oltre
la
moralità,
è in
parte
colpa
o
merito
di
un
suo
connazionale:
Jules
Rimet.
In
seguito
alle
roventi
polemiche
che
avevano
accompagnato
la
partecipazione
della
nazionale
uruguayana
di
calcio
ai
giochi
olimpici
del
1924,
ed
il
conseguente
boicottaggio
dei
giochi
da
parte
dei
britannici
che
consideravano
gli
uruguagi
come
giocatori
professionisti,
Jules
Rimet,
presidente
della
Fifa,
lancia
l’idea
di
una
Coppa
del
Mondo
aperta
a
tutti,
“professionals”
e “amateurs”.
La
proposta
verrà
formalizzata
proprio
in
sede
olimpicia,
ad
Amsterdam
nel
1928,
pochi
giorni
dopo
la
seconda
vittoria
consecutiva
del
torneo
olimpico
da
parte
dell’Uruguay.
Nel
1929
è
proprio
la
nazione
sudamericana
a
candidarsi
per
ospitare
la
prima
edizione
nel
1930.
E’
un’occasione
splendida
per
celebrare
al
meglio
il
centenario
dell’indipendenza,
o
più
precisamente,
della
redazione
della
prima
carta
costituzionale,
entrata
in
vigore
il
18
luglio
1830,
due
anni
dopo
l’indipendenza
ottenuta
nel
1928
a
seguito
del
trattato
di
Montevideo.
Le
motivazioni
sono
forti,
il
blasone
sportivo
della
“Celeste”
fa
il
resto,
così
il
18
maggio
1929
la
Fifa
assegna
all’Uruguay
l’organizzazione
della
prima
Coppa
del
Mondo,
preferendo
la
sua
candidatura
a
quelle
di
Italia,
Svezia,
Spagna,
Olanda
e
Ungheria.
La
scelta
della
Fifa
però,
per
quanto
ben
motivata,
presenta
però
un
grosso
limite:
la
traversata
dell’Oceano
Atlantico
che
dovevano
sobbarcarsi
gran
parte
delle
formazioni
calcistiche
più
forti
del
mondo.
All’epoca
si
trattava
di
un
massacrante
viaggio
in
nave,
troppo
oneroso
in
tempi
di
recessione
economica.
L’Italia,
pur
disponendo
di
una
nazionale
all’epoca
molto
forte,
decide
di
rinunciare
alla
trasferta
e si
concentra
sulla
Coppa
Internazionale,
antesignana
del
campionato
europeo,
che
vincerà
battendo
l’Ungheria
in
finale
per
5-0.
La
motivazione
ufficiale
del
rifiuto
fornita
dal
regime
di
Mussolini
parla
di
una
ripicca
nei
confronti
della
mancata
assegnazione
dell’organizzazione
all’Italia,
ma
in
realtà
non
c’erano
soldi
a
sufficienza
per
inviare
una
squadra
al
di
là
dell’oceano.
Le
uniche
federazioni
europee
che
accettano
di
partecipare
sono
Francia,
Jugoslavia,
Romania
e
Belgio,
su
pressione
diretta
di
Jules
Rimet,
che
con
l’assenza
di
rappresentanti
del
vecchio
continente
avrebbe
visto
morire
sul
nascere
la
sua
creatura.
Gli
espedienti
in
alcune
circostanze
sono
straordinari,
come
nel
caso
della
Romania,
che
parte
col
beneplacito
del
re
Carol,
che
concede
ai
suoi
calciatori
tre
mesi
di
ferie
e la
garanzia
di
un
lavoro
ad
attenderli
al
rientro
in
patria.
Mentre
la
nazionale
jugoslava
parte
in
solitaria
dal
porto
di
Marsiglia
al
bordo
del
“Florida”,
le
delegazioni
di
Francia,
Belgio
e
Romania
salpano
alla
volta
del
Sudamerica
da
Genova,
sul
piroscafo
italiano
“Conte
Verde”,
insieme
allo
stesso
Jules
Rimet
ed
al
trofeo
messo
in
palio
per
i
vincitori:
una
vittoria
alata
in
oro
massiccio
che
prende
il
nome
dal
suo
ideatore
(Coppa
Rimet),
scolpita
dall’orafo
francese
Abel
Lafleur,
alta
trenta
centimetri,
pesante
quattro
chili
e
dal
valore
di
50
milioni
di
franchi
dell’epoca.
La
presenza
più
massiccia
alla
prima
edizione
della
Coppa
Rimet
è
quella
sudamericana,
con
Argentina
Bolivia,
Brasile,
Cile,
Perù
e
Paraguay,
oltre
ai
padroni
di
casa
dell’Uruguay.
A
completare
il
lotto
delle
partecipanti,
per
un
totale
di
tredici
formazioni,
Stati
Uniti
e
Messico,
per
i
quali
il
viaggio
risulta
relativamente
breve.
L’organizzazione
è
frenetica:
a
Montevideo
si
lavora
senza
sosta
alla
costruzione
di
un
impianto
da
ottantamila
spettatori,
lo
“Estadio
Centenario”.
Gli
altri
campi
deputati
ad
ospitare
incontri
iridati
sono
il “Pocitos”,
con
appena
un
migliaio
di
posti
a
sedere,
e il
“Parque
Central”
da
ventimila
posti.
Il
18
luglio,
in
ritardo
di
qualche
giorno
sulla
consegna
prevista
a
causa
delle
piogge
torrenziali
che
avevano
interessato
l’Uruguay
nei
giorni
precedenti,
il
“Centenario”
viene
inaugurato
con
la
partita
d’esordio
della
formazione
di
casa.
Finisce
1-0
contro
il
Perù,
con
gol
di
Hector
“El
Manco”
Castro,
così
chiamato
(il
mancino)
perché
privo
della
mano
destra.
Cinque
giorni
prima,
il
13
luglio,
sull’erba
del
piccolo
“Pocitos”
il
francese
Lucien
Laurent
aveva
scritto
il
suo
nome
nella
prima
pagina
della
storia
della
Coppa
del
Mondo.
E’
lui,
infatti,
l’autore
del
primo
gol
di
questa
manifestazione,
al
19’
di
Francia-Messico,
grazie
a un
perfetto
sinistro
che
si
insacca
alle
spalle
del
portiere
Oscar
Bonfiglio.
Qualche
curiosità:
Laurent
terminerà
la
partita
tra
i
pali
in
sostituzione
del
proprio
portiere
infortunatosi
in
un’azione
di
gioco,
mentre
il
suo
compagno
di
squadra
André
Meschinot
entrerà
a
sua
volta
nella
storia
realizzando
la
prima
doppietta
di
sempre
ad
un
Mondiale.
Per
assistere
al
primo
scandalo
della
storia
dei
mondiali
non
bisogna
aspettare
poi
tanto.
Il
protagonista
è
l’arbitro
brasiliano
Rego
de
Almeida,
che
in
Argentina-Francia
del
15
luglio,
al
“Parque
Central”,
fischia
la
fine
della
partita
con
sei
minuti
di
anticipo
rispetto
al
cronometro,
proprio
mentre
la
Francia
si
stava
rendendo
pericolosa
in
contropiede
con
un’azione
dell’ala
Marcel
Langiller.
Sarà
il
pubblico,
sceso
in
campo
per
protestare
veementemente,
a
convincere
l’arbitro
a
far
riprendere
la
partita
dopo
mezz’ora
di
trattative
poco
amichevoli.
Tuttavia
la
Francia
non
riuscirà
a
segnare
e
l’Argentina
porterà
a
casa
il
risultato
grazie
al
gol
realizzato
da
Luisito
Monti
all’81’,
tre
minuti
prima
che
accadesse
il
fattaccio.
In
altre
partite
accade
anche
di
peggio,
come
in
Argentina-Messico
6-3,
in
cui
l’arbitro
boliviano
Saucedo
permette
che
la
partita
si
trasformi
in
una
continua
rissa
in
cui
praticamente
tutti
e
ventidue
i
partecipanti
al
match
riportano
ferite
e
contusioni.
Anche
Romania-Perù
3-1,
più
che
ad
una
partita
somiglia
ad
una
rissa,
da
cui
il
rumeno
Steiner
esce
con
una
gamba
rotta
e il
peruviano
Galindo
con
il
primo
cartellino
rosso
della
storia.
Sono
Mondiali
per
certi
versi
ancestrali,
in
cui
episodi
del
genere
sono
considerati
alla
stregua
del
normale:
testimone
ne è
il
fatto
che
in
Argentina-Cile
3-1,
dopo
essersi
pestati
per
tutta
la
partita
ed
aver
fatto
intervenire
addirittura
la
polizia
a
dividerli,
i
giocatori
delle
due
formazioni
si
sono
sportivamente
congratulati
con
i
reciprochi
avversari.
Dai
quattro
gironi
(tre
da
tre
squadre,
uno
da
quattro),
escono
vittoriose
le
nazionali
di
Argentina,
Uruguay,
Jugoslavia
(eliminando
il
Brasile
per
2-1)
e
Stati
Uniti.
Le
quattro
si
incrociano
in
incontri
di
semifinale
a
partita
unica
per
qualificarsi
alla
finalissima.
Nel
match
tra
Argentina
e
Stati
Uniti,
nettamente
vinto
dalla
formazione
sudamericana
per
6-1
con
la
seconda
tripletta
della
storia
siglata
da
Carlos
Peucelle
(la
prima
era
stata
del
compagno
di
squadra
Guillermo
Stabile
contro
il
Messico)
succede
anche
che
il
presidente
della
federazione
statunitense
svenga
sul
campo.
Il
motivo
è
presto
detto:
fattosi
passare
per
massaggiatore
per
assistere
più
da
vicino
all’incontro,
in
un
impeto
d’ira
scaglierà
a
terra
la
valigetta
del
pronto
soccorso
facendo
rompere
la
boccetta
di
cloroformio,
le
cui
esalazioni
finiranno
per
stordirlo.
A
uscire
stordita
con
l’identico
risultato
è
invece
la
Jugoslavia,
che
al
“Centenario”
incassa
le
sei
reti
dai
padroni
di
casa,
grazie
ad
uno
straripante
Pedro
Cea,
tre
gol
pure
per
lui,
nonostante
la
bravura
durante
tutto
il
torneo
del
portiere
in
guanti
bianchi
Milovan
Jaksic.
Per
la
finale
del
30
luglio
è
atteso
un
numero
di
spettatori
ampiamente
superiore
alla
capienza
dello
stadio.
Si
stima
che
saranno
circa
ottantamila
i
partecipanti
all’evento,
in
uno
stadio
che
per
motivi
di
sicurezza
non
avrebbe
dovuto
contenerne
più
di
settantamila.
L’Uruguay
schiera
tra
gli
altri
l’implacabile
difensore,
nonché
capitano,
José
Nasazzi,
chiamato
“El
Terrible”
dai
suoi
avversari
per
i
suoi
tackle
e
soprannominato
“El
Caudillo”
dai
compagni
di
squadra.
Le
stelle
sono
Hector
“El
Mago”
Scarone
e
José
Leandro
Andrade,
già
ribattezzato
“La
Merveille
Noir”
dal
pubblico
parigino
alle
Olimpiadi
del
1924.
L’argentina
risponde
con
il
centroavanti
Guillermo
Stabile,
implacabile
goleador
(suo
il
trono
dei
gol
con
8
reti),
e
con
giocatori
del
calibro
di
Luisito
Monti
e
Carlos
Peucelle.
La
tensione
è
altissima.
Pochi
minuti
prima
del
calcio
d’inizio,
l’uruguaiano
Peregrino
Anselmo,
titolare
fino
a
quel
giorno,
chiede
al
capitano,
di
non
giocare
la
finale
perché
sopraffatto
dalla
tensione.
L’arbitro
belga
Jan
Langenus,
invece,
pretende
per
lui
e
per
il
suo
guardalinee
una
polizza
sulla
vita
e la
certezza
di
ripartire
immediatamente
dopo
la
gara
con
il
primo
piroscafo
per
l’Europa.
In
campo
si
utilizzano
due
palloni:
il
primo
tempo
quello
portato
dalla
federazione
argentina,
il
secondo
quello
dell’Uruguay,
visto
che
entrambe
le
squadre
esigono
di
giocare
con
la
propria
“pelota”.
La
partita
è
agguerritissima
ma
sostanzialmente
corretta:
passa
in
vantaggio
l’Uruguay
con
Dorado,
ma
viene
presto
ripreso
dagli
“Albicelesti”
grazie
a
Peucelle
e
Stabile
che
in
un
quarto
d’ora
ribaltano
il
risultato.
Nella
ripresa
i
padroni
di
casa
si
sbloccano:
prima
pareggiano
con
un
tiro
di
interno
destro
di
Pedro
Cea,
poi
vanno
avanti
con
Iriarte
che
segna
di
sinistro
da
venticinque
metri.
Due
minuti
dopo
l’Argentina
fallisce
una
nitida
occasione
da
gol
grazie
ad
un
miracoloso
salvataggio
di
Andrade
su
tiro
di
Varallo
e si
disunisce.
Il
colpo
del
ko
arriva
ad
un
minuto
dal
termine
dell’incontro,
quando
“El
Manco”
Castro,
così
come
aveva
siglato
l’inizio
del
mondiale
uruguaiano,
scrive
a
lettere
d’oro
la
parola
fine
con
una
sua
marcatura
di
testa.
Finisce
così
4-2
per
la
“Celeste”
che
davanti
al
pubblico
di
casa
solleva
la
prima
Coppa
Rimet
della
storia.
Gli
argentini
non
digeriscono
la
sconfitta
e
fuori
dallo
stadio,
mentre
l’arbitro
viene
subito
accompagnato
al
porto
a
bordo
di
un
sidecar,
i
tifosi
di
entrambe
le
compagini
se
le
danno
di
santa
ragione.
A
Buenos
Aires
la
folla
inferocita
devasta
l’ambasciata
uruguaiana
e in
tutta
la
nazione,
dove
si
parla
di
grossi
favori
concessi
dall’arbitro
e di
tradimento
da
parte
di
Luisito
Monti,
inconsistente
per
tutta
la
partita,
viene
proclamato
lutto
nazionale.
Le
tensioni
continueranno
anche
a
livello
politico,
con
i
rapporti
tra
le
due
nazioni
che,
per
diversi
anni,
si
bloccheranno
anche
a
livello
diplomatico.
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