N. 51 - Marzo 2012
(LXXXII)
"adoranti" vs "non adoranti"
Storia di ribelli, libri e idee cristologiche nell'unitarianesimo del '500
di F.M. Sudbury
Forse
è il
destino
delle
idee
religiose
elitarie,
radicali,
quello
di
frantumarsi
in
più
rivoli
interpretativi,
di
rivoltarsi
in
pieghe
legate
a
questa
o
quell’ottica.
Forse
è
naturale
che
sia
così,
a
pensarci
bene:
se
sei
così
forte
da
non
piegarti
all’ortodossia
ufficiale,
se
sei
così
certo
della
tua
fede
da
non
aver
paura
di
essere
minoranza,
a
volte
anche
estrema,
se
sei
così
coraggioso
da
sfidare
l’ordine
costituito
rischiando
anche
la
tua
vita
(ed
è
capitato
spesso),
non
puoi,
non
devi
accettare
compromessi
e,
per
quanto
tu
possa
essere
aperto
al
dialogo,
non
ti
adeguerai
mai
al
pensiero
altrui
se
non
ne
sarai
più
che
convinto.
E se
è
vero
che
ogni
uomo
si
costruisce
la
propria
immagine
di
Dio
e
che,
per
certi
versi,
la
"libera
interpretazione"
sta
alla
radice
stessa
del
senso
della
Riforma,
allora
le
scissioni
dottrinarie
sono
quasi
normali,
in
fin
dei
conti
implicite
nel
sistema
di
pensiero
all'interno
del
quale
sorgono.
C’è
una
storia
esemplare
in
questo
senso,
una
storia
della
riforma
radicale
del
XVI
secolo,
quella
della
divisione
degli
Unitariani.
Questa
storia
ha
uno
sfondo
ideologico
tragico,
lo
sfondo
della
Controriforma,
dell'Inquisizione
onnipresente,
della
ricattolicizzazione
forzata
dell'Europa
e
della
volontà
asburgica
di
costruire
un
impero
universale
cattolico,
apostolico
e
romano.
Ha
lo
sfondo
tragico
di
centinaia
di
liberi
pensatori
che
"non
ci
sono
stati",
che
non
hanno
piegato
la
testa
e
che,
per
questo,
hanno
dovuto
abbandonare
i
loro
paesi
troppo
strettamente
sottomessi
all'imperium
teologico
papale
per
rifugiarsi
in
provvisorie
oasi
di
libertà
nel
cuore
centro
orientale
del
continente,
laddove
i
confini
con
l'Islam
insorgente
da
est
si
facevano
sfumati
e i
troppi
campi
di
battaglia
impedivano
un
controllo
ideologico
di
stampo
poliziesco.
Questa
storia
ha
anche
un
"padre
nobile",
un
medico
e
cartografo
aragonese,
con
ogni
probabilità
di
lontane
ascendenze
marrane,
di
nome
Miguel
Serveto
Conesa
.
Miguel
è un
giovane
umanista
erasmiano
che
conosce
greco,
latino
ed
ebraico
mentre,
viaggiando
al
servizio
del
frate
francescano
Juan
de
Quintana,
confessore
dell'imperatore
Carlo
V,
conosce,
tra
il
1530
e il
1531
(quando
ha
solo
vent'anni)
alcuni
dei
grandi
nomi
della
Riforma,
da
Ecolampadio
a
Martin
Bucer
e
Capito.
Probabilmente
era
già
protestante
ma
certamente
il
frutto
di
questi
incontri
è
una
profonda
meditazione
cristologica
che
lo
porta
a
pubblicare,
in
meno
di
18
mesi
e
sotto
lo
pseudonimo
di
Michel
de
Villeneuve,
tre
trattati
("De
Trinitatis
Erroribus",
"Dialogorum
de
Trinitate"
e
"De
Iustitia
Regni
Christi")
in
cui
osa
esprimere
ciò
che
nessuno,
cattolico
o
riformato
che
sia,
a
quel
tempo
vuole
sentire:
che
Dio
è
uno,
che
la
trinità
non
esiste
e
che
Cristo
era
un
uomo.
Dopo
questa
prima
fiammata,
si
dedica
alla
medicina,
si
laurea
a
Parigi,
diventa
addirittura
medico
dell'arcivescovo
di
Vienne.
Ciononostante,
evidentemente,
il
fuoco
del
libero
pensiero
non
si
spegne
dentro
di
lui:
inizia
una
corrispondenza
con
Calvino
(che
non
lo
ama
particolarmente
per
le
sue
idee
così
"a-dogmatiche"
e
non
sa
di
rispondere
all'antitrinitario
Michel
de
Villeneuve)
e,
soprattutto,
nel
1553
ha
l'ardire
di
pubblicare
quello
che
sarà
il
suo
testo
fondamentale,
la "Christianismi
Restitutio",
in
cui
giunge
a
negare
l'innegabile
sia
per
Cattolici
che
per
Riformati,
che
Dio
condanni
l'anima
dei
reprobi
in
eterno.
In
qualche
modo,
con
questo
testo
firma
la
sua
condanna
a
morte:
deve
scappare
dalla
prigione
della
cattolica
Vienne
dove,
denunciato
come
eretico,
era
stato
incarcerato
per
17
giorni
e,
sulla
via
per
l'Italia
(forse
per
la
più
"libera"
Venezia),
inspiegabilmente
fa
tappa
a
Ginevra,
dove
lo
aspetta
un
Calvino
inferocito
dalla
lettura
del
libro
che
lo
spagnolo
gli
aveva
precedentemente
inviato.
Il
resto
è
storia
nota:
Serveto
viene
arrestato
e,
con
il
parere
favorevole
di
tutti
i
cantoni
protestanti,
di
Lutero
dalla
Germania
e di
Melantone,
viene
condannato
per
"negazione
della
trinità"
e
"anabattismo"
e
viene
arso
sul
rogo
il
27
ottobre
1553,
diventando
la
prima
vittima
dell'intolleranza
di
quei
Riformati
che,
altrove,
erano
a
loro
volta
vittime
dell'intolleranza
cattolica.
Le
sue
idee,
però,
non
muoiono
su
quel
rogo.
La "Christianismi
Restitutio"
circola
negli
ambienti
umanistici
di
tutta
Europa
e
influenza
profondamente
quelli
che
saranno
i
protagonisti
di
questa
storia,
anzi
i
suoi
protagonisti
e
coprotagonisti.
Sì,
perché
questa
storia
ha
ben
due
protagonisti
(o
antagonisti,
dipende
da
che
punto
la
si
veda)
e
due
coprotagonisti.
I
loro
nomi,
così
poco
noti
al
mondo
cattolico
e
così
fondamentali
per
la
storia
della
libertà
religiosa,
sono,
da
un
lato,
Fausto
Sozzini
e
Giorgio
Biandrata
e
dall'altro
Ferenc
David
e
Giacomo
Paleologo.
Forse
non
è un
caso,
dal
punto
di
vista
teologico,
che
i
primi
due,
le
cui
idee
mostrano
qualche
vago
retaggio
cattolico,
siano
italiani
e i
restanti
due
stranieri,
ma,
dal
momento
che
questa
storia
è
soprattutto
la
storia
dei
loro
cammini
di
fede,
del
loro
intrecciarsi,
compiere
tratti
di
strada
insieme
e
separarsi,
è il
caso
che,
prima
di
azzardare
ipotesi,
conosciamo
meglio
i
nostri
soggetti.
Iniziamo
con
Fausto
Sozzini,
il
primo
coprotagonista.
Per
certi
versi
Fausto
Sozzzini
è
quasi
un
personaggio
"doppio",
perché
parlare
di
lui
significa
anche
dover
parlare
di
suo
zio,
Lellio
Sozzini.
Quest'ultimo,
senese
di
nascita
(1525),
studente
(per
altro
non
particolarmente
brillante
e
interessato)
di
diritto
a
Bologna,
si
trovò
legato
a
quella
"strana
cerchia"
di
coraggiosi
proto-riformatori
italiani
che
mettevano
in
dubbio
le
"sante
verità"
del
Cattolicesimo
nel
momento
meno
opportuno
per
tentare
di
esprimere
opinioni
anche
velatamente
divergenti
da
quelle
pontificie.
Questo
lo
portò,
appena
diciottenne,
a
doversi
rifugiare
nella
Repubblica
di
Venezia,
allora
centro
dell'Evangelismo
italiano,
dove
risulta
tra
gli
animatori
dei
"Collegia
Vicentina"
nel
periodo
1546-1547,
poi
in
Svizzera
(nei
Grigioni),
Francia,
Inghilterra,
Paesi
Bassi
e di
nuovo
in
Svizzera.
Con
ogni
probabilità
l'idea,
fatta
circolare
un
secolo
dopo
da
Christof
Van
Den
Sand
e
Andrzej
Wiszowaty,
di
un
suo
proto-Unitarianesimo
è
falsa,
essendo
la
prospettiva
di
Lellio
piuttosto
quella
riformata
in
senso
stretto
(nonostante
una
certa
tendenza
al
libero
pensiero
che
diede
qualche
preoccupazione
a
Calvino,
suo
corrispondente).
Ciò
non
toglie
che
idee
di
Lellio
relative
alla
teoria
della
salvezza
e
alla
non
pre-esistenza
di
Cristo
(sulla
scorta
di
Gv.
1:1)
influenzarono
certamente
suo
nipote
Fausto,
di
quattordici
anni
più
giovane,
quando
quest'ultimo
raccolse
il
testimone
dello
zio,
vinto
soprattutto
dalle
ristrettezze
economiche.
Umanista
dedito
a
studi
giuridici
come
lo
zio
e in
"odore"
di
Luteranesimo,
Fausto
a
ventuno
anni
parte
per
Lione
per
ragioni
commerciali
e,
l'anno
seguente,
fa
visita
allo
zio
Lellio
a
Ginevra,
ma
non
entra
mai
nella
sfera
calvinista,
per
lui
troppo
moderata,
e
anzi,
nella
"Brevis
explicatio"
(Lione,
1562)
attribuisce
già
a
Cristo
una
sorta
di
divinità
funzionale
ma
non
essenziale,
in
una
posizione
chiaramente
anti-trinitaria,
e in
una
lettera
del
1563
rifiuta
addirittura
l'immortalità
dell'anima.
Nel
1563
ritorna
in
Italia
e,
postosi
al
servizio
di
Isabella
de'Medici,
ritorna
almeno
formalmente
nell'alveo
del
Cattolicesimo,
restandovi
per
i
dodici
anni
successivi
(da
lui
poi
definiti
"inutili").
Alla
morte
della
sua
patrona
(strangolata
dal
marito),
però,
tra
1575
e
1576,
ritorna
in
Svizzera,
a
Basilea,
e si
dedica
interamente
agli
studi
biblici,
esponendo
le
sue
teorie
nel
"De
Jesu
Christo
Servatore"
del
1578.
A
questo
punto
la
sua
teologia
è
sistematicamente
compiuta
e
sta
già
da
qualche
anno
circolando
per
l'Europa:
in
sostanza
la
sua
posizione
cristologica
in
materia
di
culto
(che
è
l'elemento
che
più
ci
interessa)
crea
una
distinzione
tra
"adoratio
Christi",
l'omaggio
del
cuore
a
Gesù
(che
resta
comunque
un
uomo
investito
da
una
missione
divina
dal
Padre)
indispensabile
a
tutti
i
Cristiani,
e "invocatio
Christi",
l'indirizzo
diretto
della
preghiera
a
Cristo
permesso
a
chi
lo
desidera
nell'ottica,
comunque
unicamente
di
una
mediazione
del
Figlio
tra
fedeli
e
Padre
celeste.
Questa
distinzione,
con
ogni
probabilità,
non
viene
colta
a
pieno
da
uno
dei
due
protagonisti
della
nostra
storia,
Giorgio
Biandrata,
esule
piemontese
divenuto
medico
alla
corte
prima
di
Polonia,
poi
di
Transilvania,
che
lo
chiama
in
quell'oasi
di
libertà
religiosa
che
era
stata
la
Transilvania
di
Giovanni
Sigismondo
Zapolya
e
che
era
ora
molto
meno
sotto
il
"governatore"
asburgico
Stefano
Bàthory,
per
difendere
le
sue
idee
"adoranti"
contro
quelle
"non-adoranti"
dell'ex
amico
Ferenc
David
.
È in
Transilvania
che
le
strade
di
tutti
i
nostri
attanti
si
incrociano,
ma
per
comprendere
che
cosa
accadde
realmente
dobbiamo
fare
un
passo
indietro
e
riferire
brevemente
proprio
sul
percorso
di
David.
Per
molti
versi,
la
sua
è
una
storia
emblematica
del
percorso
di
ripensamento
religioso
compiuto
da
tanti
"spiriti
liberi"
in
quel
periodo
di
"repressione
romana".
David
è un
quarantaquattrenne
sacerdote
cattolico
transilvano
di
famiglio
ungro-sassone,
già
studente
dei
Francescani,
del
capitolo
della
cattedrale
di
Alba
Julia
e
dell'università
di
Wittemberg
quando,
nel
1554,
mentre
è
parroco
di
un
villaggio
dopo
essere
stato
anche
rettore
della
scuola
cattolica
di
Bistrita,
viene
a
contatto
con
le
idee
luterane
e le
fa
sue,
convertendosi.
In
meno
di
un
anno
diviene
pastore
capo
della
sua
città
natale
(Kolozsvàr)
e,
tre
anni
dopo,
è
già
capo
indiscusso
della
Riforma
in
Transilvania
e
sovrintendente
dei
Luterani
ungheresi.
All'apice
della
sua
carriera
ecclesiastica
luterana,
però,
forse
a
seguito
di
dibattiti
pubblici
con
esponenti
del
Calvinismo,
dopo
un
profondo
ripensamento
partito
dalla
rilettura
della
"Coena
Domini",
si
fa
calvinista
(1559),
divenendo,
nel
1564,
vescovo
della
Chiesa
Riformata
di
Transilvaniae
cappellano
personale
del
re
Giovanni
II
Sigismondo.
Non
è
l'ultima
tappa
della
sua
evoluzione
religiosa.
Dal
1562,
è
presente
a
Gyulafehérvár
(Alba
Julia),
proveniente
dalla
Polonia,
il
già
menzionato
Giorgio
Biandrata,
una
delle
figure
più
contraddittorie
del
radicalismo
religioso
cinquecentesco:
laureato
in
medicina
a
Montpelier,
ex
riformato
esule
nei
Grigioni
prima
e a
Ginevra
poi
(dove
Calvino
mostrò
di
aver
pochissima
stima
di
lui
per
le
sue
idee
allora
vagamente
anti-trinitarie),
divenuto
medico
personale
della
regina
di
Polonia
(anti--trinitaria
dopo
la
lettura
di
Ochino),
aveva
seguito
la
di
lei
figlia
alla
corte
di
Transilvania,
dove
era
divenuto
un
paladino
dell'Untarianesimo
di
stampo
socciniano,
che
vedeva
come
la
forma
unitariana
più
moderata
e
vicina
alle
Scritture.
E'
alla
corte
di
Transilvania
che
Biandrata
diventa
amico
di
Ferenc
David
e
gli
fa
leggere
una
copia
della
"Christianismi
Restitutio"
di
Serveto,
introducendolo
all'antitrinitarismo.
La
conversione
di
David
diventa
evidente
nel
1566,
quando
il
vescovo
riformato
di
Transilvania
fa
rimuovere
un
docente
della
scuola
di
Kolozsvár
per
aver
insegnato
la
dottrina
della
trinità.
Ciò
gli
attira
l'ira
del
calvinista
Melius,
che
ottenne
dal
re
la
convocazione
di
un
sinodo
nazionale
e,
successivamente,
di
una
Dieta
a
Torda
nel
1568.
Come
è
noto,
la
"Dieta
di
Torda"
si
concluse,
grazie
all'abilità
predicatoria
di
David
e di
Biandrata
(e
all'evidente
favore
di
re
Giovanni
Sigismondo),
con
il
trionfo
degli
Unitariani
e
con
il
celebre
"Editto
di
Tolleranza",
certamente
non
poco
influenzato
dal
testo
davidiano
(scritto
praticamente
a
quattro
mani
con
Biandrata)
"De
Vera
et
Falsa
Unius
Dei,
Filii
et
Spiritus
Sanctii
Cognitione",
nel
quale
si
ridicolizzava
la
dottrina
della
trinità
e si
perorava
la
causa
della
tolleranza
religiosa
per
tutte
le
fedi.
Le
strade
di
David,
divenuto
vescovo
unitariano
di
Transilvania,
e
Biandrata
si
sarebbero,
però,
ben
presto
divise.
Nel
1568
la
figlia
di
Ferenc
David
aveva
sposato
Johann
Sommers,
già
segretario
del
despota
di
Moldavia
e
rettore
dell'accademia
di
Brasov
prima
e di
quella
di
Kolozsvár
poi.
Attraverso
Sommers
(meglio
noto
come
Ioannes
Sommerus),
David
era
entrato
in
contatto
con
il
quarto
e
ultimo
dei
personaggi
di
questa
storia:
lo
studioso
greco
Giacomo
Paleologo.
Paleologo
era
certo,
tre
gli
"eretici"
di
metà
'500,
uno
dei
più
radicali.
Ex
ortodosso,
ex
domenicano,
proto-universalista
con
la
sua
idea
che
anche
Ebrei
e
Musulmani
potessero
salvarsi
(per
la
quale
venne
incarcerato
a
Roma),
"latitante"
per
l'Inquisizione
cattolica
dal
1562,
rifugiato
prima
in
Francia
e
poi
in
Moravia,
infine
preside
dell'Accademia
della
quale
Sommers
era
rettore,
Paleologo,
nei
suoi
numerosissimi
trattati
(dalla
"Catechesis
Christiana"
alle
"Dissolutio
de
Iusticia"
e
"Ad
Quaesita
pro
Thesibus
ad
Dissolutionem
Quaestionis
pro
Iusticia"
contro
la
dottrina
della
giustificazione,
dalla
"Disputatio
Scholastica",
in
cui
traccia
un
quadro
storico
dell'antitrinitarismo
est
europeo,
al "Commentarius
in
Apocalypsin",
duro
attacco
contro
il
papato,
e
alle
molte
apologie
in
difesa
di
famosi
antitrinitari),
oltre
a
propagandare
l'idea
unitariana,
aveva
aperto
una
durissima
polemica
contro
il
Socinianesimo.
Sostanzialmente,
mentre
per
Fausto
Sozzini
Gesù
Cristo
era
un
vero
uomo
crocefisso,
il
cui
compito
era
di
rivelare
Dio
agli
uomini
che
potevano
salvarsi
seguendo
il
Suo
esempio
(corrente
"adorante"),
Paleologo
negava
il
ruolo
di
Messia
salvifico
del
Cristo
e
rifiutava,
conseguentemente,
ogni
forma
di
adorazione
di
Gesù
(corrente
"non
adorante").
Probabilmente
intorno
al
1570
Ferenc
David
assorbì
la
teologia
"non
adorante
" e
la
fece
propria
nel
momento
politicamente
meno
opportuno
per
una
operazione
di
questo
genere:
l'anno
seguente,
infatti,
alla
morte
a
soli
31
anni
di
Giovanni
II
Sigismondo,
salì
al
trono
di
Transilvania
il
cattolico
Stefano
I
Báthory
(1571-1586)
che
gli
tolse
l'incarico
di
cappellano
personale
del
re e
gli
impedì
di
pubblicare
altri
scritti.
A
questo
punto,
con
l'assunzione
dell'idea
"non
adorante",
David
perse
molti
dei
suoi
antichi
sostenitori
e,
anzi,
entrò
in
una
lunga
polemica
con
Biandrata,
fervente
sociniano
che,
probabilmente,
temeva
anche
che
una
posizione
così
intransigente
potesse
danneggiare
politicamente
il
movimento
unitariano,
facendogli
perdere
gran
parte
dei
suoi
sostenitori.
Nel
marzo
del
1578
Biandrata
arrivò
a
chiamare
Sozzini
dalla
Polonia
(dove
si
era
trasferito
diventando
il
leader
indiscusso
della
"Ecclesia
minor"
dei
Fratelli
Polacchi)
nella
speranza
che
questi
convincesse
David
a
rivedere
i
suoi
assunti
teologici.
Sozzini,
ospitato
per
quattro
mesi
a
casa
di
David,
fece
del
suo
meglio
per
convincere
il
vescovo
unitariano,
ma
tutto
fu
inutile
e,
anzi,
David,
in
quel
periodo,
forse
spinto
proprio
dai
colloqui
con
l'illustre
teologo,
produsse
una
serie
di
sermoni
in
cui
denunciava
ogni
forma
di
culto
a
Cristo.
A
questo
punto
Biandrata,
esasperato,
si
risolse
a
compiere
due
atti
estremi
contro
l'ex
compagno
di
lotta
che
ora
considerava
un
traditore
convertito
all'Israelitismo:
a)
in
primo
luogo
decise
di
portare
la
questione
di
fronte
al
Sinodo
delle
Chiese
unitariane
polacche,
perché
si
pronunciassero
definitivamente
sul
problema
dell'adorantismo
cosicché
la
loro
decisione
fosse
adottata
comunemente
da
tutte
le
chiese
di
Transilvania,
Polonia,
Moldavia
e
Lituania;
b)
nello
stesso
tempo
denunciò
David
per
violazione
della
legge
sull'innovazione
(una
legge
emanata
dopo
la
Dieta
di
Torda
che,
per
impedire
il
proliferare
di
correnti
teologiche,
sanciva
l'illegalità
di
qualsiasi
innovazione
religiosa
successiva
alla
Dieta
del
1568),
ma
il
sinodo
di
Torda,
il
28
febbraio
1579,
respinse
l'accusa,
sostenendo
che
la
posizione
davidiana
non
rappresentava
un'innovazione
ma
uno
sviluppo
di
una
dottrina
già
esistente.
Fino
a
questo
punto
, le
azioni
di
Biandrata
vengono
appoggiate
da
Sozzini
che
desiderava
che
a
David
fosse
impedito
di
predicare
da
un
sinodo
interno
ma
che
si
conforma
alle
decisioni
sinodali
e
riparte
in
tutta
fretta
per
Cracovia
subito
dopo
il
verdetto,
non
avendo
nessuna
responsabilità
nel
successivo
sviluppo
degli
aventi.
Chi
ha
piena
responsabilità
è,
invece,
Biandrata
che,
proditoriamente,
porta
la
questione
davanti
al
reggente
Kristóf
Báthory
(cugino
di
Stefano
e
governatore
della
Transilvania
da
quando
questi
assume
il
titolo
di
re
di
Polonia
nel
1576).
Kristóf,
un
noto
fanatico
cattolico,
non
aspettava
altro:
immediatamente
confina
David
nella
sua
casa
di
Kolozsvár
per
proibirgli
di
predicare
e
convoca
una
dieta,
formalmente
per
dirimere
la
questione
ma,
praticamente,
per
ufficializzare
una
decisione
da
lui
già
presa.
Il 2
giugno
1579,
alla
dieta
di
Gyulafehérvár,
Dávid
si
difende
dall'accusa
di
innovazione
sostenendo
di
non
essere
un
innovatore
dal
momento
che
aveva
sempre
insegnato
che
Cristo
era
un
uomo
e
che
le
Scritture
impongono
soltanto
il
culto
di
Dio,
ma
il
suo
destino
è
già
segnato:
come
riconosciuto
riformatore
religioso
viene
condannato
al
carcere
a
vita
nella
fortezza
di
Déva,
dove,
vinto
dalle
durissime
condizioni
di
detenzione,
muore
il
successivo
15
novembre.
Biandrata,
ora,
è
libero
di
far
adottare
una
confessione
di
fede
secondo
la
quale
Cristo
deve
essere
onorato
e
adorato,
fa
riconoscere
il
battesimo
e la
comunione
degli
infanti
e fa
in
modo
che
a
capo
della
Chiesa
venga
nominato
il
suo
seguace
Demetrio
Hunyadi,
il
quale
indirizza
l'Unitarianesimo
verso
quella
forma
adorante
che
ha
mantenuto
fino
alla
fine
del
XIX
secolo.
La
"vittoria"
di
Biandrata
fu,
comunque,
una
vittoria
di
Pirro:
da
lì a
qualche
anno
la
pressione
cattolico-asburgica
sarebbe
divenuta
sempre
più
forte,
culminando
con
il
famigerato
"Accordo
di
Des"
che
mise
l'Unitarianesimo
fuori
dalla
legge,
costringendolo
per
oltre
150
anni
ad
una
esistenza
sotterranea.
Per
quanto
riguarda
i
protagonisti
e
coprotagonisti
della
disputa
di
cui
abbiamo
parlato,
solo
Biandrata
riuscì
ad
avere
una
vita
relativamente
tranquilla,
astenendosi
da
qualsiasi
altra
attività
teologica
(anche
perché,
ovviamente,
visto
con
estremo
sospetto
sia
da
Cattolici
che
da
Unitariani),
rientrando
in
seguito
nell'alveo
del
Cattolicesimo
(sotto
pressione
dei
Gesuiti
che
avevano
posto
l'abiura
come
condizione
per
permettergli
un
ritorno
in
Italia)
e
godendosi
le
ingenti
fortune
accumulate
fino
alla
morte,
avvenuta
all'età
di
73
anni
(un'età
notevole
per
un
"eretico"
del
tempo)
forse
per
mano
di
un
nipote
desideroso
di
ereditare.
Fausto
Sozzini,
rientrato
in
Polonia,
poté
animare
la
Chiesa
dei
Fratelli
Polacchi
solo
per
altri
4
anni:
la
repressione
cattolica
lo
costrinse
a
lasciare
Cracovia
nel
1583
e la
confisca
dei
suoi
beni
italiani
da
parte
dell'Inquisizione
nel
1590
lo
ridusse
in
povertà
e
l'obbligò
a
cercar
rifugio
in
case
di
amici.
Morì,
solo
e
dimenticato
(nonostante
l'importanza
dei
suoi
scritti
e la
circolazione
delle
sue
idee)
in
un
villaggio
a 30
chilometri
da
Cracovia.
Giacomo
Paleologo
venne
arrestato
sotto
mandato
imperiale
nel
dicembre
1581
in
Moravia
dal
vescovo
d'Olomouc,
Stanislav
II
Pavlovský.
Estradato
a
Vienna
e
poi
a
Roma,
venne
qui
condannato
a
morte
per
eresia
nel
1583
ma
la
sua
esecuzione
mediante
rogo
venne
rinviata
per
una
sua
abiura
palesemente
strumentale,
che,
in
ogni
caso,
non
gli
salvò
la
vita:
venne
infatti
decapitato
nel
carcere
papale
di
Tor
di
Nona
il
22
Marzo
1585
e
il
corpo
fu
arso
sul
rogo
il
giorno
dopo
a
Campo
dei
Fiori.
Per
un
curioso
(e
tragico)
gioco
del
destino,
tutta
la
vicenda
che
vide
l'intreccio
delle
vite
di
questi
uomini
animati
da
idee
e
posizioni
diverse
ma
accomunati
dalla
stessa
volontà
di
poter
esprimere
a
pieno
la
propria
religiosità,
ebbe
come
conclusione,
come
si
accennava,
a
fine
XIX
secolo,
una
decisione
che
oggi
ci
appare
ovvia:
il
Sinodo
dei
vescovi
unitariani
transilvani
decise
che
entrambe
le
posizioni,
sia
quella
adorante
(prevalente
nell'Unitarianesimo
ungherese)
che
quella
non
adorante
(prevalente
nell'Unitarianesimo
transilvano)
sono
ugualmente
accettabili
e la
scelta
su
quale
adottare
risiede
unicamente
nella
libera
coscienza
del
singolo.
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