N. 100 - Aprile 2016
(CXXXI)
storia della Libia Ottomana
La dominazione di COSTANTINOPOLI TRA XVII E XIX SECOLO
di Vincenzo La Salandra
Dopo
la
conquista
dell’Egitto
nel
1516
il
sultano
ottomano
estese
la
sua
influenza
alle
coste
del
Mediterraneo
e a
una
larga
fetta
del
Maghreb.
Tripoli,
che
era
stata
presa
dalla
corona
spagnola
nel
1510
e
successivamente
affidata
ai
cavalieri
di
Malta,
venne
conquistata
dagli
ottomani
nel
1551,
in
un
processo
di
progressiva
integrazione
dell’intera
regione
libica
nell’impero
ottomano
che
vedrà
un
parziale
completamento
con
la
presa
di
Bengasi
1639.
Tripoli
diventò
una
capitale
regionale
e
una
provincia
sottoposta
al
controllo
di
guarnigioni
turche,
con
la
conseguente
origine
del
potere
libico
dinastico
dei
Qaramanli,
il
cui
fondatore
Ahmad
si
era
imposto
sulla
scena
libica
fin
dal
1711.
Se
Ahmad
aveva
sottomesso
e
sottoposte
a
tributo
il
Fezzan
e
l’intera
regione
sirtica,
suo
fratello
Sha’ban,
già
governatore
di
Bengasi,
estese
i
domini
della
famiglia
fino
ai
confini
egiziani.
Nella
confusione
che
aveva
caratterizzato
Tripoli
sotto
i
precedenti
e
instabili
malfermi
governi
dei
rinnegati,
s’impose
questo
ufficiale
di
cavalleria
ambizioso
e
determinato
appartenente
alla
classe
dei
coloughli
(soldati
turchi
sposati
a
giovani
donne
libiche)
impadronendosi
del
potere
con
l’appoggio
dell’esercito
e
della
popolazione.
Dopo
aver
massacrato
trecento
notabili
turchi
che
aveva
invitato
a
corte
per
un
banchetto,
confiscò
i
loro
beni
e ne
fece
dono
al
Sultano
che
lo
riconobbe
come
Pashà
di
Tripoli.
Malgrado
l’investitura
formale,
amministrò
la
sua
provincia
con
larghissima
indipendenza
imponendo
una
nuova
dinastia.
Anche
la
Cirenaica,
che
da
tempo
viveva
stagioni
di
anarchia
politica
e
militare,
venne
assicurata
all’amministrazione
di
Tripoli.
Protettori
di
corsari
e
abili
diplomatici
i
Pashà
Qaramanli
imposero
nel
Settecento
un
lucroso
sistema
tributario
a
rilascio
di
salvacondotto
per
le
navi
che
solcavano
il
Mediterraneo.
Tuttavia
evidenti
erano
i
segni
della
decadenza
che
culminerà
nella
battaglia
di
Navarino
del
1827,
con
la
distruzione
da
parte
delle
marine
francese
e
britannica
degli
ultimi
vascelli
corsari.
In
piena
decadenza
della
dinastia
Qaramanli.
Il
Settecento
era
stato
in
Libia
un
secolo
prospero,
tuttavia,
fin
dai
primi
decenni
dell’Ottocento
si
manifestarono
nel
paese
segni
di
crisi
dovuti
principalmente
all’interruzione
della
guerra
di
corsa,
ma
anche
all’instabilità
dinastica
tipica
della
regione,
alle
continue
ribellioni,
alla
perdita
del
controllo
dei
traffici
transahariani
e
fino
all’indebitamento
con
i
finanzieri
europei.
Il
Pashà
Ali
Qaramanli
fu
costretto
a
ricorrere
alle
imposte
e,
dal
1830
in
poi,
declinò
il
favore
popolare
che
era
stato
per
decenni
il
vero
sostegno
della
dinastia.
Dopo
l’esplosione
di
una
serie
di
rivolte
il
governo
ottomano
inviò
ingenti
truppe
a
formale
sostegno
dei
decadenti
Qaramanli:
di
fatto
la
massiccia
spedizione
servì
a
ristabilire
l’ordine
ed
arrestare
l’ultimo
dei
Qaramanli.
La
Tripolitania
e la
Cirenaica,
dopo
cento
venti
anni
di
larga
autonomia
politica
sotto
la
dinastia
locale,
rientravano
nell’orbita
della
Sublime
Porta.
In
effetti
i
conflitti
con
la
Francia
e
con
l’Inghilterra
nel
1830
e
nel
1832,
proprio
per
questioni
finanziarie,
avevano
portato
alla
destituzione
di
Yusuf
Pashà
Qaramanli:
la
conseguente
disgregazione
politica
ed
economica
del
paese,
le
rivolte
delle
tribù,
l’intervento
europeo
e
finanche
degli
Statu
Uniti,
che
inviarono
i
marines
ad
occupare
per
qualche
tempo
Derna
nel
1805,
risvegliarono
l’azione
politico
militare
della
Sublime
Porta.
La
Francia
aveva
conquistato
Algeri
nel
1830
e la
risposta
ottomana
si
faceva
quindi
sentire
in
Libia:
“L’operazione
fu
facilitata
dai
contrasti
tra
le
potenze
europee:
la
spedizione
di
Napoleone
in
Egitto
e la
conquista
di
Algeri
avevano
rivelato
le
mire
della
Francia,
e la
Gran
Bretagna
favorì
un’azione
che
poteva
arginare
le
ambizioni
della
sua
rivale:
la
spedizione
navale
organizzata
da
Mahmud
II,
che
gettò
le
ancore
di
fronte
a
Tripoli
il
26
maggio
1835
e
depose
l’ultimo
dei
Qaramanli,
impose
l’amministrazione
diretta
di
Istanbul.
In
un
proclama
ai
consoli
europei
di
Tripoli
la
Porta
asseriva
di
aver
agito
per
ristabilire
la
sicurezza,
ma
in
realtà
intendeva
evitare
la
perdita
di
altri
territori
e
affermare
la
centralità
del
sultanato
di
fronte
alle
tendenze
autonomistiche
dei
suoi
vassalli.
Il
controllo
diretto
doveva
inoltre
permettere
di
sfruttare
le
risorse
delle
province
e
contribuire
a
sormontare
le
difficoltà
economiche
del
governo
imperiale:
per
questo
era
necessario
innanzitutto
pacificare
e
sottomettere
il
paese.”
Così
Cresti
in
un
recente
saggio
(Cresti-Cricco,
Storia
della
Libia.
Dagli
Ottomani
alla
caduta
di
Gheddafi,
Carocci,
Roma
2015,
p.
34).
Il
secondo
periodo
della
dominazione
ottomana
in
Libia
si
rivelò
ben
presto
solo
nominale
e
superficiale,
limitato
alle
città
costiere
e
praticamente
assente
nell’entroterra.
I
Libici
se
pure
accettavano
formalmente
la
dominazione
ottomana
si
mostravano
certamente
reticenti
nei
pagamenti
dei
tributi.
Molte
rivolte
contro
le
imposte
scoppiarono
nel
Fezzan
e il
gebel
Nefousah.
L’unica
risorsa
considerevole,
dopo
la
fine
della
guerra
di
corsa,
rimaneva
il
traffico
di
schiavi,
sui
cui
orrori
e
sui
lucri
che
se
ne
traevano
gli
esploratori
dei
primi
del
XIX
secolo
hanno
lasciato
pagine
agghiaccianti.
Dalle
stime
approssimative
desumibili
dalle
relazioni
dei
viaggiatori
si
arrivava
a 20
000
schiavi
destinati
ogni
anno
alle
coste
nordafricane
ed
egiziane:
sempre
nel
1830
partivano
le
iniziative
delle
società
anti-schiviste
inglesi
che,
assieme
alle
forti
pressioni
diplomatiche,
imposero
al
Sultano
e al
Governatore
di
Tripoli
una
graduale
sensibilizzazione:
nel
1848
si
proibì
ai
funzionari
statali
di
occuparsi
del
traffico
degli
schiavi
e
nel
1855
l’imbarco
di
schiavi
nei
porti
di
Tripoli,
Bengasi
e
Darna
venne
formalmente
interdetto.
Nel
1857
la
tratta
degli
schiavi
venne
proibita
nell’Impero
Ottomano
ma
la
schiavitù
non
fu
abolita
prima
di
altri
cinquant’anni,
per
estinguersi
definitivamente
in
Libia
solo
con
l’arrivo
degli
italiani.
A
livello
tribale
è
sempre
tristemente
sopravvissuta
una
schiavitù
moderna
che
giunge
fino
alla
contemporanea
drammatica
tratta
di
esseri
umani,
migranti,
in
tutto
il
Mediterraneo.