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N. 58 - Ottobre 2012 (LXXXIX)

L’impero romano
(27 a.C.–235 d.C.) - parte i

di Miro Gabriele

 

La vittoria conseguita da Ottaviano su tutti i fronti pose termine a un’epoca di guerre esterne e interne, che avevano segnato profondamente lo stato e la società romana. Divenuto il solo e assoluto padrone della repubblica, Ottaviano Augusto ebbe cura di lasciare intatte le vecchie istituzioni, limitandosi a raccogliere nella sua persona le principali magistrature, che senato e popolo gli conferivano.

 

Fra tutte, quelle costituenti il fulcro del nuovo potere furono l’imperium proconsulare che, comprendendo il potere sulle province, conferiva il comando di tutti gli eserciti, e la tribunicia potestas che dava il diritto di opporre il veto alle deliberazioni del senato e degli altri magistrati.

 

Le forme giuridiche della repubblica continuarono a sussistere a livello formale, l’imperatore era solo il primo (princeps) dei senatori, l’applicazione del diritto continuava ad essere esercitata dal senato, ma nel nome dell’imperatore. Fu creato un grande apparato burocratico e venne aperto ai cavalieri, legando perciò l’ordine equestre direttamente alla persona del principe: non si era più cavalieri per origine, ma per nomina imperiale.

 

A questo ceto furono affidate varie cariche, quali il prefetto del pretorio (la guardia imperiale di nuova costituzione), l’organizzatore degli approvvigionamenti della capitale, ed il governatorato di alcune province (l’Egitto ad esempio), province che vennero così distinte in senatorie e imperiali. Fra le varie riforme furono emanate anche una serie di disposizioni volte a rinnovare il diritto di famiglia e a migliorare la condizione femminile. Augusto inoltre ampliò l’impero, conquistando oltre all’Egitto le regioni balcanica e alpina fino al Danubio. Col reclutamento nelle truppe ausiliarie di contingenti non romani, appartenenti a popolazioni alleate, si diffusero disciplina, leggi, ed anche la lingua di Roma, favorendo l’integrazione dei gruppi stranieri.

 

 La questione della successione fu un problema connesso all’origine stessa del principato. Non costituendo formalmente una monarchia, il titolo di imperatore non poteva essere ereditario, e del resto il sistema di poteri si poteva concedere a qualsiasi senatore. Il senato cercava di ottenere un’investitura di tipo giuridico, mentre l’esercito propendeva per la successione del proprio comandante.

 

Poiché la proclamazione da parte dell’esercito e il riconoscimento del senato erano entrambi fondamentali per l’assunzione del potere, ci si trovò di fronte ad un problema, vero punto debole del nuovo ordinamento. La questione, mai perfettamente risolta, si trascinò per tutto il periodo imperiale. Augusto si adoperò con forza per arrivare a una soluzione di tipo dinastico, e non avendo prole, adottò il figliastro Tiberio. Il metodo della continuità dinastica era necessario per la fedeltà degli eserciti e delle province, legati all’immagine del principe, e poco inclini a considerare le esigenze formali dell’aristocrazia senatoria. Augusto morì nel 14 d.C.


La dinastia degli imperatori Giulio - Claudi che gli succedette (Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, 14 d.C. – 68 d.C.) diede imperatori diversi per temperamento e capacità. Tiberio cercò a lungo la collaborazione con il senato, ma inutilmente, e negli ultimi anni si ritirò nella villa di Capri. Sotto il suo principato (30 d.C. ca.) Gesù predicò in Palestina e morì sulla croce. Il nipote Caligola, dal carattere dispotico, tentò per primo di dare una connotazione autocratica alla figura del principe, ma i poteri che vi si opponevano (esercito, e soprattutto il senato) erano ancora molto forti. Caligola venne ucciso in una congiura. Claudio (zio di Caligola), scostandosi dalla politica antiespansionista dei predecessori, accrebbe l’impero di due nuove province: la Mauritania (attuale Marocco occidentale) e la Britannia del sud. Concesse il diritto di cittadinanza, e seggi senatoriali, a gran parte della Gallia Transalpina, provincia ormai fortemente romanizzata.
 
Nerone (figlio dell’ultima moglie di Claudio, Agrippina) salì al trono a diciassette anni, ed ebbe come maestro il filosofo Seneca. Il suo fu inizialmente un buon governo, poi, allontanato Seneca, intraprese una politica antisenatoria, con l’intenzione di instaurare un regime autocratico. Durante il suo principato si verificò l’incendio di Roma (64 d.C), evento fortuito probabilmente, ma il popolo accusò l’imperatore di aver voluto distruggere la città. Nerone gettò la colpa sui Cristiani, e ci fu la prima persecuzione contro di loro, nella quale morirono S. Pietro e S. Paolo. Nel 68 d.C. scoppiò una ribellione ad opera dei militari. Gli eserciti si pronunciarono per i loro comandanti: in Spagna per Galba, in Germania per Vitellio, in oriente per Vespasiano, mentre i pretoriani nominarono Ottone; Nerone fuggì da Roma, e fu costretto a uccidersi.
 
L’anno dei quattro imperatori (Galba, Vitellio, Ottone, Vespasiano 68 - 69 d.C.) dimostrò quanto fosse precario l’equilibrio raggiunto sul metodo della nomina imperiale. Tito Flavio Vespasiano infine, reduce da una guerra in Giudea, conquistò il potere. La dinastia Flavia (69 d.C. – 96 d.C.), a cui appartennero Vespasiano e i suoi figli Tito e Domiziano, incarnò perfettamente il sistema di successione dinastico – ereditario. Vespasiano, di umili origini rispetto ai predecessori (era nato in Sabina da una famiglia contadina), ripristinò l’ordine e migliorò le finanze dilapidate da Nerone. Concesse inoltre il diritto di cittadinanza, e seggi senatoriali, a tutta la Spagna, che insieme alla Gallia era sede di una attiva borghesia romanizzata.
 
Con le politiche di Claudio e Vespasiano, si pose il germe del riconoscimento politico dei provinciali, primo passo di quel sogno di un impero universale, dove tutti i sudditi fossero cittadini di pari grado. Vespasiano promulgò inoltre la lex de imperio, in cui fissò tutti i poteri dell’imperatore, dando norma giuridica a questa figura, come lo stesso Augusto e i successori non avevano saputo fare. Per mezzo del figlio Tito, Vespasiano condusse a termine la guerra giudaica, con la presa di Gerusalemme e la distruzione del tempio (70 d.C.). Iniziò la costruzione dell’ Anfiteatro Flavio, il cosiddetto Colosseo, che fu inaugurato da Tito, nel cui breve regno si ebbe la terribile eruzione del Vesuvio (79 d.C.). Il fratello Domiziano che gli succedette, ambizioso e dai modi autoritari, cercò di imporre la sua supremazia sul senato. Bandì una seconda persecuzione contro i cristiani, che si erano molto diffusi, penetrando nella stessa famiglia imperiale. Domiziano, inviso a tutti per l’autoritarismo e la crudeltà, venne eliminato in una congiura (96 d.C.). L’aristocrazia a quel punto scelse un vecchio senatore: Nerva, che adottò subito il successore, Marco Ulpio Traiano, governando poco più di un anno.
 
Con gli Antonini (Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio, 98 d.C. – 180 d.C.), si sostituì al sistema ereditario delle case Giulio – Claudia e Flavia, il sistema dell’adozione, che per lungo tempo risolse il problema successorio, stabilendo il principio, caro all’opposizione senatoria, della scelta del migliore. Tale sistema assicurò al mondo romano quasi un secolo di pace e di prosperità, un secolo (II d.C.) considerato da molti come uno dei periodi migliori di cui abbia goduto l’antichità. Traiano, nato in Spagna, fu il primo provinciale che salì al potere. Questo confermava la trasformazione delle province, da regioni sottomesse a membri di pari diritto all’interno dello stato. L’impero si andava trasformando in un grande organismo multinazionale, dove tutti i cittadini potevano avere gli stessi diritti dei romani.
 

Traiano conquistò la Dacia (attuale Romania) e la Mesopotamia (odierno Iraq), portando il dominio di Roma alla sua massima estensione. Egli godette, come tutti gli Antonini, dell’appoggio del senato, e cercò di governare senza ingerenze. Le concezioni umanitarie stoiche influirono molto in questo periodo sull’adozione delle leggi: quelle miranti a migliorare la condizione servile per esempio, quelle sui sussidi per l’infanzia povera, e per i cittadini non abbienti. Questa politica di pace e di buona amministrazione portò benessere sociale e un diffuso consenso in tutto l’impero.

 

Pur con personalità diverse gli Antonini incarnarono la figura dell’imperatore ideale, il loro governo costituisce forse il culmine dell’esperienza culturale e politica greco-romana. Il successore di Traiano, Elio Adriano, anch’egli originario della Spagna, fu un intellettuale, promosse l’arte e la cultura greche ponendole al centro del mondo romano. Consolidò i confini dell’impero nel nord della Britannia, costruendo l’omonimo Vallo, una grande opera di fortificazione. Essa fu completata dal suo successore Tito Aurelio Antonino. Originario della Gallia, Antonino fu detto Pio perché, in ventitre anni di potere (fra i governi più lunghi insieme a quelli di Augusto, Tiberio e Costantino), impersonò il sovrano dedito totalmente al bene pubblico.

 

L’apice del progresso sociale e culturale sembrò infine raggiungersi con Marco Aurelio, filosofo di formazione stoica e scrittore, quando parve veramente che si realizzasse il sogno del saggio al potere. Ma proprio sotto di lui cominciarono a profilarsi i segni di quella crisi che due secoli più tardi avrebbe travolto l’impero. Le prime invasioni di popoli germanici misero a dura prova l’organizzazione militare e le finanze dell’impero; e vi si aggiunse anche lo scoppio di una epidemia di peste. Tutto questo causò carestie, inflazione, e un crescente impoverimento delle masse cittadine, problemi che col tempo divennero endemici e che, sommati alla pressione sempre più forte delle popolazioni germaniche, furono fra le cause principali della fine dell’impero. Lo stesso Marco Aurelio rimase vittima della peste (180 d.C.) mentre a Vindobona (Vienna), stava combattendo i Germani. La situazione di incertezza ai confini, e il regno dispotico del figlio Commodo, ruppero l’equilibrio istituzionale così laboriosamente raggiunto, e durato un secolo. Si riaprì la spirale dello scontento delle province e dei sospetti del senato, e questo segnò la fine dell’età felice del principato.

 

 Alla morte di Commodo (ucciso in una congiura nel 192 d.C.) si verificò una crisi istituzionale, e si assistette di nuovo al prevalere dell’elemento militare nell’attribuzione del potere. Ben cinque generali furono acclamati imperatori (Elvio Pertinace, Didio Giuliano, Pescennio Nigro, Clodio Albino, Settimio Severo), finché nel 197 d.C. Settimio Severo, originario di Leptis in Africa (odierna Libia), riuscì ad avere la meglio sull’ultimo rivale. Il governo della dinastia dei Severi (Settimio Severo, Caracalla, Elagabalo, Severo Alessandro, 193 d.C.–235 d.C.) basò la propria forza soprattutto sulla componente militare, ma fu contraddistinto anche dal grande sviluppo delle province africane, e dal lavoro di valenti giuristi, chiamati a riordinare il diritto.

 

Settimio Severo morì nel 211 d.C. in Britannia, dove era andato a fronteggiare i Caledoni che dal nord (l’odierna Scozia) invadevano la provincia. Suo figlio Caracalla, dai modi dispotici e stravaganti, ebbe il merito di emanare la famosa Constitutio Antoniniana del 212 d.C., con cui si concedeva la cittadinanza romana a tutti i sudditi liberi dell’impero, sancendo così la parificazione delle province all’Italia. Mentre era in Oriente a fronteggiare i Parti (eterna spina nel fianco dell’impero, come a occidente i Germani) fu ucciso in una rivolta militare, che mandò al potere il prefetto del pretorio Macrino (217 d.C.). L’usurpazione fu stroncata l’anno dopo, dalle potenti donne della dinastia dei Severi, le quali convinsero l’esercito a eleggere un giovanissimo esponente della famiglia, il quattordicenne Elagabalo. E quando, per le sue numerose stravaganze, cominciò a non essere più affidabile, gli affiancarono un altro fanciullo (appena tredicenne) il cugino Severo Alessandro, che regnò, dopo l’uccisione di Elagabalo (222 d.C.), fino al 235 d.C.

 

L’età dei Severi, e tutto il III secolo d.C., fu un’epoca di mutamenti, caratterizzata dall’insorgere di nuove forze, e da nuove forme di sensibilità religiosa. Ci fu un crescente interesse per le religioni monoteistiche e misteriche, favorito dalle donne dei Severi discendenti di un sacerdote siriano del dio Sole, intelligenti e ambiziose, le vere padrone dell’impero per una ventina d’anni; in questo clima il cristianesimo fu tollerato. Si affermarono nuovi culti provenienti dall’oriente: il mitraismo, il culto di Iside, di Cibele, del dio Sole, che cominciarono a influenzare la politica.

 

La concezione della sovranità imperiale si arricchì di sfumature religiose, che preludevano ai futuri mutamenti in senso autocratico. Anche alle frontiere le cose stavano mutando, il regno dei Parti, dopo anni di debolezze, tornò a farsi minaccioso: s’erano insediati al vertice i Sasanidi, che si rifacevano agli antichi persiani. Alla frontiera renana si ebbero nuovi, importanti movimenti di tribù germaniche. I soldati, preoccupati per la debolezza di Severo Alessandro, lo uccisero mentre si trovava in Germania, nominando al suo posto un militare: Massimino (235 d.C.), di origine tracia, la prima persona di origine barbarica a salire sul trono di Roma.

 

Si chiude un’epoca, il primo periodo della storia imperiale di Roma, durato duecentocinquanta anni, e caratterizzato sempre e costantemente dal ruolo forte e centrale della città. D’ora in avanti questo ruolo non sarà più così certo, il centro del potere si sposterà spesso verso altre parti dell’impero, vicine alle zone nevralgiche dove più pressante era la minaccia delle tribù germaniche.



 

 

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