N. 7 - Luglio 2008
(XXXVIII)
Storia e
Globalizzazione
Per un'Educazione e
una Politica
alternative
di Gennaro Tedesco
Nel processo mondiale di
omogeneizzazione (non solo economica, non poco
interessata e coinvolta è l’Educazione e, direi,
particolarmente in
Italia. Senza entrare
nel merito di quella che si configurerebbe come una
immensa e complessa questione, semplicemente ci
preme sottolineare come, nel bene e nel male, il
nostro sistema educativo, prima dei numerosi e
impetuosi cicli “riformistici” volti alla sua
“occidentalizzazione”, leggi globalizzazione, si
esprimesse in modi e forme originali che lo
rendevano, se non alternativo, almeno
significativamente “diverso” rispetto agli altri
sistemi educativi.
Tale diversità l’ho potuta constatare non solo
attraverso la peculiare e originale organizzazione
scolastica e didattica, ma anche attraverso le mie
esperienze anglo-americane e australiane che
ponevano in evidenza la multiversità conoscitiva e
formativa dei nostri adolescenti e giovani.
Ora tutto questo sta lentamente, ma inesorabilmente
scomparendo se non è già accaduto.
Non è il caso di rimpiangere il passato o di
piangere sul latte versato.
Ma un esercizio immaginativo, contestativo e
alternativo non solo è possibile, ma, addirittura,
direi, opportuno, necessario e salutare. E’ proprio
dall’immaginazione non al potere, ma contro il
potere ipnotico, massificante e standardizzante
della globalizzazione anche e soprattutto educativa
che una Scuola moderna e allo stesso tempo originale
e alternativa può sperare di ritagliarsi una propria
ideale autonomia critica e proporsi all’Europa e al
mondo come faro di civiltà e umanità nell’oceano
della desolazione e della solitudine
neocapitalistica.
Contro una società globale e totalizzante che pone
al centro del suo percorso educativo la teologia e
l’ideologia del sacro e incestuoso DNA ricombinante
del neoimperialismo capitalistico e globalistico, la
nostra Scuola potrebbe e dovrebbe proporre,
promuovere e sostenere, ad esempio, la Storia o,
meglio, la Didattica della Storia come forza d’urto,
capace di aprirsi un varco rivoluzionario, almeno
dal punto di vista cognitivo e , soprattutto,
formativo, in grado di scardinare compatti, ma
logori, omologanti e contraddittori modelli
educativi.
E’ interessante e criticamente rilevante notare che
proprio una delle caratteristiche più evidenti, per
non dire eclatanti, del processo di globalizzazione
educativa in corso in tutto il nostro pianeta è la
minimizzazione , fusione o confusione o, meglio, o
peggio, la banalizzazione della Storia e della
Didattica della Storia nel magma indistinto e
soffocante delle così dette scienze umane e sociali,
dove ogni qualificazione e distinzione storica o
storico-didattica vengono sacrificate sull’altare
bello e impossibile di un’esaltante, mistificante e
sacralizzante attualizzazione socio-culturale che
diviene il cuneo di penetrazione e disgregazione
dell’imperialismo neocapitalistico che proprio di
una tale attualizzazione e di una tale scuola ha
programmatica e ineludibile necessità al fine di un
suo definitivo e narcotizzante insediamento nella
così detta metropoli capitalistica, leggi cosmopoli
imperialistica.
Non a caso i promotori, i propagatori e i
propagandisti di tale devastante ottica
monoculturale e monoeducativa tutta interna e
strutturalmente inerente al processo di
globalizzazione ancora in corso nel nostro pianeta,
propugnano un unico processo economico e un pensiero
unico e convergente, ma anche e soprattutto ci
propongono l’eliminazione di ogni mediazione
politica e culturale perché, ancora una volta non a
caso, essa sarebbe la più pericolosa manifestazione
di un pensiero critico e divergente che
infrangerebbe la loro visione e soprattutto
riduzione del mondo a una dimensione: un bipolarismo
statico e antistorico di un pianeta concepito,
praticato e racchiuso nella gabbia asfittica di una
sola possibile “relazione di scontro” tra Occidente
ed Oriente, tra due modelli alternativi e non
conciliabili tra loro.
Chi, in Occidente, e chi, soprattutto nelle Scuole e
nelle Università dell’imperialismo capitalistico
occidentale non fosse in grado o non volesse
riconoscersi in tale impostazione politica,
culturale ed educativa, rischierebbe di porsi al
margine del movimento apparentemente inarrestabile
del processo di globalizzazione in corso.In tale
delinearsi di una situazione apparentemente senza
uscita, sarebbe proprio l’Europa e in particolare la
Repubblica Italiana, col suo patrimonio culturale,
storico, diplomatico e formativo, a poter e dover
“giocare” un ruolo che non oserei a definire
strategico e a tutto campo.
Nell’eventuale (necessaria e obbligante) emergenza
di un ruolo politico e di mediazione, proprio
l’Europa e in particolare l’Italia potrebbero
spianare la strada a un altro modo alternativo e
innovativo di intendere e di impostare
contemporaneamente i rapporti internazionali grazie
alla loro irriducibilità storica all’unidimensionalismo
americano, facendo esplodere tutte le enormi
contraddizioni latenti nel monolateralismo
statunitense che imperversa nel mondo attraverso il
concetto, la propaganda e la pratica dello “scontro
di civiltà” tra un Occidente americanizzato e
puritano e un Oriente esotico, “straniero” e
“alieno” da cui difendersi, aggredendolo con una
guerra preventiva che non necessariamente andrebbe
tutta giocata sui campi di battaglia.
Anzi, in ogni guerra che si rispetti, pensiamo alle
guerre persiane, alle Crociate, alla prima e seconda
Guerra mondiale, alle guerre iugoslave, caucasiche e
medio e centro orientali, ben più importante e
significativa si è sempre rivelata l’arma preventiva
e sofisticata di una graduale e sottile, ma
penetrante e profonda propaganda, una specie di
super Artiglieria pesante che spiana letteralmente
il terreno e rafforza, soffocandolo, il fronte
interno e scardina e indebolisce quello esterno.
L’immagine falsa e nefasta, trasmessa e ingigantita
ad uso e consumo ideologico dai media e dalle
istituzioni internazionali, soprattutto finanziarie,
dalla diplomazia unilaterale e dalle cancellerie
internazionali , prone ai diktat del grande Caimano
dell’Occidente, è quella di una compatta, monolitica
e inaccessibile “Cittadella” di fanatici
neo-fondamentalisti, di una neonata e ritrovata
Crociata Universale all’insegna del radicalismo
puritano e pagano, una contraddizione politica e
culturale oltre che educativa, che mette in
difficoltà l’Europa, in questo modo riassorbita
nell’ottica mistificante e nella miope, devastante e
catastrofica strategia del mono-uni-lateralismo
americano.
Ma l’Europa, o meglio l’Unione Europea, non è
l’America ed è una parte rilevante dell’Occidente,
che, per la sua storia e per la sua millenaria
tradizione, per il suo immenso patrimonio culturale
e formativo, non è assolutamente riducibile e
omologabile a quell’altra parte dell’Occidente che
sogna, interpreta ed opera impossibili revanche
monoglobalizzatrici.
L’Unione Europea non è una cittadella assediata da
Nuovi Barbari che scalpitano e imperversano alle sue
frontiere. Essa incorpora nel suo DNA altri geni,
altre più varie e inesauste combinazioni genetiche
che la rendono capace, volendo, di scoprirsi diversa
e alternativa a deviazioni, scissioni e derive
clerico-capitalistiche che sembrano e sono speculari
ad altre e più recenti derive islamistiche.
La Storia e la Didattica della Storia, manifestando
e approfondendo le loro plurime e complesse
“radici”, sono in grado di fornire all’Europa
qualche notevole e pregevole punto di ancoraggio e
di riferimento alternativo alle logiche
integralistiche imperversanti anche e soprattutto
per motivi politici ed economici in Occidente ( La
Cina e l’India stazionano ai bordi della Cittadella
solo per azzannare e divorare le ambite prede
asserragliate nell’Ultimo Ridotto di Fort Apache
generosamente ed eroicamente difeso e protetto per
tutto l’Occidente, compresi i fedifraghi Europei,
dalla rediviva ed insepolta Cavalleria federale di
un risuscitato e sempre più spavaldo Generale Custer).
La Didattica della Storia andrebbe adeguatamente e
sapientemente riorganizzata per sottrarla alla morsa
livellatrice e standardizzatrice del rullo
compressore della globalizzazione iperattualizzante
e obliante. Essa dovrebbe riproporre all’attenzione
del pubblico non solo scolastico e universitario un
Impero bizantino o Romano d’Oriente , continuatore
della tradizione imperiale romana dell’integrazione
graduale e pacifica di etnie, religioni e tradizioni
che, pur diverse se non opposte tra loro, alla fine
di un lungo, laborioso, accidentato, complesso e
tortuoso itinerario di lenta, ma costante
trasformazione, si ritrovano completamente ibridate
e contaminate. A tal punto da aver prodotto una
nuova e più estesa comunità imperiale. Tale processo
di amalgamazione, rilanciato e consolidato da
Bisanzio, verrà riconfermato e ulteriormente
sviluppato in modi e forme originali dai due Imperi
che ne hanno continuato le tradizioni e i quadri
amministrativi, l’Impero russo-sovietico e l’Impero
turco.
Sia Bisanzio, ovvero la Roma d’Oriente, che i suoi
rampolli, Mosca e Istanbul, immaginarono e crearono
per secoli, attraverso abili e spregiudicate
manovre, ampie e durature concezioni politiche,
raffinati e complessi giochi diplomatici, caute
aperture politiche, sapienti e lungimiranti
orchestrazioni etnico-religiose, lenti adattamenti e
delicati perfezionamenti amministrativi, complicate
e sofisticate elaborazioni ideologiche, oculate e
preziose autonomie comunitarie, innovative e
metamorfiche istituzioni amalgamanti che
consentirono sperimentazioni e svilupparono
arditissime verticalizzazioni sociali altamente
contaminanti e orizzontalizzazioni etniche altamente
ibridanti.
Alla fine di questi elaborati, complessi, prolungati
ed estenuanti processi di metabolizzazione politica,
religiosa, sociale ed etnica, i successori e i
continuatori di Roma in Oriente, pur in un’ottica di
dominio imperiale, gestirono, organizzarono e ,
soprattutto, stabilizzarono e sintetizzarono un
quadro, un mosaico incredibilmente poliedrico,
polifonico e caleidoscopico di approcci e tradizioni
solo apparentemente in perenne contraddizione.
Quelle stesse incandescenti e magmatiche faglie
sismiche che attraversano le marche di confine
dell’Europa Allargata attuale, cioè i Balcani, il
Caucaso, il Medio e Centro Oriente, furono abilmente
e sapientemente canalizzate e stabilizzate.
Se oggi l’ex Iugoslavia, l’Albania, il Libano,
l’Armenia, la Turchia, l’Iran, l’Irak e l’Afganistan
sono ritornati a profilarsi come zone altamente e
pericolosamente sismiche, lo si deve proprio al
venir meno della Roma d’Oriente. Questo vuoto di
potere strategico, oggi immenso e malamente
riorganizzato dal Grande Fratello Americano, che,
nella divaricazione sempre più accentuata tra
Occidente e Oriente, sembra scorgere la sua ancora
di salvezza ai danni dell’Europa, deve essere
colmato da una neonata e redenta Bisanzio,
mediazione vivente e palpitante, politica,
culturale, economica e formativa tra Occidente ed
Oriente.
Un’Unione Europea ribizantinizzata che ritrova e
riprende i suoi connaturati, genetici e ancestrali
contorni euro-asiatici, come immenso Impero di Mezzo
al servizio, si spera, della pace mondiale in una
prospettiva di globalizzazione neo-umanistica a
favore di tutti quei popoli e nazioni oppresse,
desiderose, attraverso una globalizzazione
alternativa possibile, di riacquistare visibilità,
mobilità e protagonismo paritario.
In questo senso e in questa direzione la Didattica
della Storia indica e propone un percorso formativo
all’intera Europa che nella sua dimensione e
proiezione geografica e storica ritrova e rilancia
se stessa con tutte le sue istituzioni formative,
dalla Scuola all’Università, per giocare un ruolo
prioritario e urgente, quello di partner
protagonistico e antagonistico nei confronti di
modelli e formule mediocremente e piattamente
neo-imperialistiche e neo-capitalistiche la cui
miopia non solo politica ed economica, ma
soprattutto educativa e culturale potrebbe, anzi
vorrebbe condurci allo scontro delle civiltà se non
alla terza guerra mondiale.
La Didattica della Storia ci rimanda alle radici
romano-orientali dell’Europa contemporanea, alla sua
storica maturazione euro-asiatica, alle sue capacità
mediatrici e diplomatiche , alle sue capacità di
attrazione culturale, alle sue acrobatiche e
bizantine abilità nel riformulare e riattualizzare
rinascite maieutiche e paideutiche , alla sua
plastica e duttile flessibilità antropologica,
educativa ed operativa.
La suddetta Didattica della Storia senz’altro
contribuirà soprattutto sul terreno suo proprio più
congeniale e connaturato, quello della Scuola,
dell’Università e della formazione in generale, a
ridefinire i contorni e i grafemi di una mentalità
europea orientale, gran parte della quale di matrice
bizantina, ancora sottoposta a ritardi e fuorvianti
schemi nazionalistici che anche in epoca più recente
hanno pesato non poco nell’avvelenare i rapporti tra
le due parti dell’Europa.
Il reinserimento e il reinsediamento nel cuore
dell’Europa comunitaria di tradizioni bizantine e
post-bizantine agevolerà la comune ricerca di una
matrice greco-romana ed ellenistica con i suoi
baricentri cristiani, islamici ed ebraici, poi
lentamente amalgamatisi, ibridandosi e
contaminandosi con successivi incontri di civiltà.
Non è e non sarà un percorso facile, ma tale
percorso, volenti o nolenti, consapevoli o
inconsapevoli, è già in atto e in qualche modo sta
già producendo i suoi primi frutti.
Perché se è vero che una rumorosa propaganda
politica e una fragorosa demagogia xenofoba rullano
sui tamburi degli egoismi nazionali e
nazionalistici, la stessa emigrazione proveniente
dai Balcani ci costringe, comunque, nel bene e nel
male, a confrontarci con un “diverso” da noi che
proprio la Didattica della Storia, la Scuola e
l’Università possono e debbono, cogliendo
l’irripetibile occasione storica dell’Unione Europea
in formazione, farci “scoprire” come antico e
storico compagno di viaggio in un’Europa dalle
origini non solo bizantine, o meglio,
romano-orientali.
In questa ottica non meno rilevante apparirà la
necessità non solo educativa, ma anche politica e
storica di sottolineare il particolare e originale
contributo italiano alla formazione di una
stratificazione bizantina non solo spirituale, ma
anche istituzionale agente ancora oggi in Europa e
in Italia nel profondo dei suoi flussi e riflussi,
dei suoi corsi e ricorsi in un gioco incessante e
inesausto di intarsi, incastri, incroci,
interrelazioni.
Riferimenti
bibliografici:
C.Geertz,
Mondo Globale, Mondi Locali, Bologna, 2007
G.Bocchi, M.Ceruti, Educazione e Globalizzazione,
Milano, 2006
A.Giovagnoli, Storia e Globalizzazione, Roma-Bari,
2003
E.Morin, B.Kern, Terra-Patria, Milano, 1994
G.Bocchi, M.Ceruti, Solidarietà o Barbarie, Milano,
1994
J.Bruner, La Cultura dell’Educazione, Milano, 2002 |