N. 91 - Luglio 2015
(CXXII)
SUL fumetto
UN genere senza fine
di Roberta Franchi
Dalle vetrate
illustrate
delle
cattedrali
gotiche
alle
scene
sequenziali
della
vita
di
Gesù,
dalle
miniature
dei
manoscritti
medievali
alle
illustrazioni
dei
testi
antichi
greci
e
latini
e
addirittura,
forse,
risalendo
sino
alla
preistoria
con
le
sue
pitture
rupestri:
ecco
i
parenti
stretti
del
fumetto,
un
linguaggio
costituito
da
più
codici,
tra
i
quali
spiccano
quelli
del
testo
(i
cosiddetti
fumetti
o
didascalie)
e
dell’immagine
(illustrazione,
colore,
prospettiva).
Eppure,
nonostante
il
fumetto
possa
vantare
così
tanti
e
illustri
precedenti,
non
nasce
prima
del
XIX
secolo.
Molti
avranno
in
mente
un
bimbo
caratterizzato
da
un
camicione
giallo,
su
cui
venivano
scritte
le
battute
che
pronunciava:
si
tratta
di
Yellow
Kid,
nato
dalla
fantasia
di
Richard
Felton
Outcault.
A
lui
si
deve
l’origine
del
fumetto
statunitense
come
fenomeno
di
massa.
Il
fumetto
fa
la
sua
comparsa
sul
quotidiano;
giornalmente
vengono
allegate
strisce
orizzontali
da
tre/quattro
vignette,
contenenti
un
episodio
conclusivo
o
una
parte
di
una
storia
a
puntate.
Occorre
aspettare
gli
anni
antecedenti
la
guerra,
per
vedere
la
nascita
del
comic
book:
è
subito
un
grande
successo
grazie
alla
possibilità
di
acquistare
un
“qualcosa”
interamente
a
fumetti,
dove
testo
e
immagine
la
fanno
da
padroni.
Ecco
allora
comparire
storie
a
puntate
di
diversi
personaggi:
i
più
longevi,
come
Superman
e
Batman,
sono
nati
in
questo
periodo
su
riviste
contenitore.
E
l’Italia?
Anche
la
nostra
nazione
ha
conosciuto
il
fenomeno
“fumetto”.
È il
Corriere
dei
Piccoli
ad
essere
stata
la
prima
rivista
settimanale
di
fumetti
dell’editoria
italiana:
siamo
nel
1908.
Nell’editoriale
del
primo
numero,
intitolato
“Come
fu e
come
non
fu...”,
il
direttore,
tracciando
le
linee
guida
del
piano
del
giornale,
esortava
il
giovane
lettore
a
leggere
la
rivista
sotto
una
ben
precisa
luce:
imitare
il
genitore
che
legge
con
aria
di
importanza
il
Corriere
della
Sera.
Il
paragone
la
dice
lunga
sul
valore
attribuito
al
fumetto.
In
verità,
sono
gli
anni
‘30
ad
emergere
come
un
periodo
di
grande
sperimentazione.
In
Italia
nascono
riviste
contenitore,
che
accolgono
non
solo
le
uscite
d’oltreoceano,
ma
che
sono
pronte
ad
ospitare
anche
i
talenti
nostrani:
da
Kit
Carson
di
Rino
Albertarelli,
pioniere
del
genere
western,
alle
avventure
di
Dick
Fulmine.
Da
allora
in
poi,
specie
nel
secondo
dopoguerra,
il
fumetto
non
conosce
battuta
d’arresto.
I
numeri,
da
una
parte
all’altra
dell’emisfero,
parlano
chiaro:
nell’epoca
di
internet,
dei
libri
e
dei
giornali
che
soffrono
la
distribuzione
e la
vendita,
il
fumetto
continua
a
tirare.
Senza
tregua.
Qual
è il
segreto
di
tanto
successo?
Lasciamo
la
parola
ad
Hugo
Pratt:
“Sono
un
autore
di
letteratura
disegnata,
uno
scrittore
che
sostituisce
le
descrizioni,
l’espressione
dei
volti,
delle
pose,
dell’ambientazione,
con
dei
disegni.
Il
mio
disegno
cerca
di
essere
una
scrittura.
Disegno
la
mia
scrittura
e
scrivo
i
miei
disegni”.
La
fusione
tra
testo-immagine
è,
dunque,
il
punto
forza
del
fumetto;
non
si
tratta
di
una
semplice
giustapposizione,
essa
cambia
la
nostra
stessa
percezione
del
testo
in
quanto
testo.
Della
letteratura
in
senso
stretto
il
fumetto
detiene
la
dimensione
testuale,
ma
questa
dimensione
è
estesa
attraverso
il
disegno
in
termini
di
tratto
e
colore.
Così,
se
la
letteratura
è
una
linea
che
prende
forma
grazie
alle
parole,
il
fumetto
è un
foglio
che
si
anima
grazie
al
disegno
e
alle
parole.
Grazie
alle
immagini,
alla
sua
apparente
semplicità
stimola
alla
lettura,
aiuta
alla
comprensione
del
testo,
arricchisce
emotivamente,
offre
contenuti
–
anche
complessi
– in
un
modo
ludico,
adatto
a
tutte
le
fasce
d’età,
non
solo
ai
giovani.
Avvicina
inoltre
il
lettore
alla
letteratura,
al
mondo
circostante,
facendogli
capire
come
la
lingua
si
modifichi
nel
tempo.
Un
esempio?
Il
cambiamento
anche
nei
fumetti
delle
onomatopee,
il
cui
studio
–
come
è
ben
risaputo
–
permette
di
notare
l’evoluzione
della
lingua.
Tutti
conosciamo
il
noto
SLAM,
dall’inglese
to
slam
‘sbattere’,
‘chiudere
violentemente’;
recentemente
da
alcuni
autori
italiani
è
stato
sostituito
con
SBATT,
un
troncamento
da
sbattere.
Al
pari
della
lingua
ordinaria,
anche
quella
del
fumetto
si è
modificata,
più
o
meno
nel
tempo,
adattandosi
a
realtà
nuove,
alle
nuove
esigenze
dei
lettori.
Per
non
parlare
delle
celebri
frasi
presenti
nei
fumetti.
Possiamo
pensare
a
Snoopy
e
alla
sua
nota
espressione:
“Vile
(Dannato)
Barone
Rosso,
non
avrai
le
mie
ossa”,
che
ritroviamo
in
molte
varianti.
È
possibile
leggerla
come
una
commistione
fra
la
celebre
sentenza
di
Francesco
Ferrucci:
“Vile
Maramaldo,
tu
dai
ad
un
morto”
o
“Tu
uccidi
un
uomo
morto”
ed
una
altrettanto
nota
affermazione
di
Publio
Cornelio
Scipione
Africano
Maggiore.
Questi,
condannato
dai
Tribuni
della
plebe
a
pagare
una
grave
multa,
si
ritirò
in
esilio
volontario
e,
secondo
quanto
narra
Valerio
Massimo,
fece
scrivere
sul
proprio
sepolcro:
“Ingrata
patria,
non
avrai
le
mie
ossa”.
E
poi
si
dice
che
i
fumetti
non
sono
cultura.
Non
allora
un’arte
minore,
di
serie
B,
ma
un
genere
di
comunicazione,
alla
stessa
stregua
del
cinema,
del
teatro,
dell’"alta"
editoria,
un’arte
che
ha
acquistato
–
forse
all’inizio
con
un
po’
di
fatica
– e
continua
a
conquistare
la
stessa
dignità
degli
altri
prodotti,
per
diventare
a
tutti
gli
effetti
un’arte
letteraria
di
serie
A.
La
sua
ambizione
è
quella
di
essere
un
linguaggio
totale,
capace
di
rendere
non
solo
le
forme,
i
gesti,
gli
scenari,
ma
anche
parole,
pronuncia,
rumori
di
fondo,
la
lingua.
Alla
luce
di
tutto
ciò,
non
vi
sono
ragioni
per
mettere
in
dubbio
un
dato
di
fatto:
il
fumetto
deve
essere
considerato
un
genere
letterario...
sui
generis.
In
esso
troviamo
mondi
in
cui
la
linea
d’ombra
tra
il
buono
e il
cattivo,
tra
l’eroico
e
l’ordinario
imperversano.
Il
fumetto
come
altro
mondo,
quindi,
come
possibilità
altra
di
vedere
chi
siamo,
dove
andiamo
e
dove
andremo.
Non
vi è
dubbio
che
quei
simpatici
pupazzi
che
parlano
all’interno
di
una
pagina,
quei
topi
disneyani
o i
valorosi
eroi
d’inchiostro
educano:
col
fumetto
non
si
scherza.
Ecco
allora
Dylan
Dog,
Corto
Maltese,
il
buon
vecchio
Tex
e
tutti
i
loro
“compagni”
pronti
a
reclamare
il
diritto
di
parola,
a
dire
qualcosa;
tutti
lì a
ricordarci
storie
e
peripezie,
ad
invogliarci
alla
lettura.
Il
fumetto
è
una
forma
di
espressione
e di
talento
che
sembra
non
voler
mai
smettere
di
stupire;
al
pari
dell’araba
fenice,
risorge
sempre
dalle
sue
ceneri
per
riaffermare
il
potere
eterno
della
creatività
sulla
noia
quotidiana,
pronta
ad
assalirci.
Siamo
allora
capaci
di
prevederne
addirittura
il
futuro:
ammaliatore
di
intere
generazioni,
il
fumetto
di
esister
non
cesserà,
ma
di
generazione
in
generazione,
di
secolo
in
secolo,
di
millennio
in
millennio
la
sua
ribalta
sancirà.