N. 117 - Settembre 2017
(CXLVIII)
SUlla storia dei FOLLETTI
tra CULTURA ANTICA E TRADIZIONE POPOLARE - Parte I
di Letizia Dello Mastro
Specchi rotti, gatti neri, ferri di cavallo, corni di corallo. Sono solo alcuni esempi di una lunga lista di superstizioni a cui gli uomini, dai tempi più remoti, ricorrono per spiegare gli aspetti più oscuri e misteriosi della realtà; ancora oggi viaggiamo su due binari paralleli, accanto alla spiegazione scientifica e razionale di ciò che accade, si attivano forme di pensiero fondate sull’associazione di simboli.
Quest’ultimo
concetto
è
indispensabile
per
comprendere
il
mondo
dei
folletti,
o
meglio
delle
credenze
che
ruotano
intorno
a
questa
fantastica
figura,
in
cui
elementi
magici
e
religiosi
si
uniscono,
in
cui
mito
e
realtà
si
intrecciano,
in
cui
antiche
tradizioni
cultuali
e
rituali
si
mescolano
alle
superstizioni
popolari;
tra
le
righe
di
vecchi
racconti
e di
fiabe
si
celano
profondi
significati
legati
al
culto
dei
morti,
al
viaggio
del
defunto
verso
l’aldilà,
ai
riti
iniziatici
di
natura
sciamanica,
al
funebre
degli
antichi
dèi
pagani
e
geni
tutelari.
Inoltre,
antiche
e
moderne
testimonianze
letterarie,
iconografiche,
folkloriche,
archeologiche
svelano
l’intricato
rapporto
tra
Oriente
e
Occidente,
tra
produzione
culturale
di
popoli
di
origine
nordica,
celtica
e
germanica
e
quella
di
matrice
mediterranea
e
orientale,
rivelando
una
vera
e
propria
continuità
di
immagini,
di
concetti,
di
tradizioni
e
credenze
provenienti
da
contesti
estremamente
differenti,
ma
figli
di
una
comune
arcaica
struttura
religiosa.
Fisionomia,
attributi,
comportamenti
Chi
sono
i
folletti?
L’Enciclopedia
Italiana
Treccani
li
definisce
come:
«una
categoria
di
piccoli
esseri
favolosi
con
viso
di
fanciullo,
dalla
capigliatura
bionda
e
riccioluta,
con
un
berretto
sul
capo
di
coloro
rosso
o
nero,
vestito
di
un
saio
scarlatto,
bizzarri,
volanti
nell’aria.
Il
piccolo
spirito
burlone
associato
al
genio
familiare
che
frequenta
la
casa
e la
stalla,
è
ritenuto
originatore
di
sorprese,
fatti
inverosimili,
a
volte
pericolosi,
a
volte
benefici,
si
diverte
a
strappare
le
coperte,
intreccia
le
criniere
dei
cavalli,
salta
sui
carri
e
sui
campanili,
ma è
generalmente
di
buon
augurio,
infatti
viene
definito
anche
auguriello
invece
alcune
culture
gli
assegnano
un
aspetto
ed
un
carattere
mostruoso:
per
gli
studiosi
moderni
il
folletto
non
è
altro
che
l’antico
ricordo
dei
Lari».
Tale definizione elenca una serie di attributi e di comportamenti
“universali”
individuabili
nei
folletti di tutte le tradizioni europee, che lo descrivono come un essere
di
piccola
statura,
abitante
dei
boschi,
depositario
di
antica
saggezza,
a
volte
socievole
altre
volte
suscettibile:
l’ospite
delle
dimore
dei
contadini
si
dimostrerà
benevolo
verso
gli
abitanti
della
casa
che
gli
manifesteranno
riguardo,
al
contrario,
si
trasformerà
in
irriducibile
persecutore
verso
coloro
che
gli
avranno
arrecato
offesa:
queste
sono
alcune
delle
caratteristiche
che,
comunemente,
riconosciamo
come
proprie
del
folletto
di
tutto
il
mondo.
Tuttavia
accade
spesso
di
sovrapporlo
o
associarlo
ad
altre
figure
fantastiche
come
gli
elfi,
i
trolls,
i
goblins
che,
invece,
possiedono
caratteristiche
del
tutto
differenti
da
quella
del
folletto;
infatti,
quest’ultimo
è
affine
ad
altri
personaggi
favolosi
come
i
leprecani
irlandesi,
i
pooka
inglesi,
i
quali
pur
discostandosi
per
alcuni
aspetti
dalla
figura
del
folletto,
conservano
una
serie
di
attributi
e di
comportamenti
che
li
rendono
simili
ad
esso,
quasi
come
se
fossero
figure
derivate
da
un
unico
personaggio,
che
nel
tempo
e
presso
popoli
differenti,
si è
modellato
sulle
tradizioni,
sulle
credenze,
sui
modi
di
vivere
della
cultura
di
cui
ha
preso
a
far
parte,
assumendone
le
forme.
Geni,
incubi,
folletti
Seppure
con
denominazioni
differenti,
i
folletti
sono
parte
integrante
del
patrimonio
folklorico
di
tutto
il
mondo,
dall’Europa,
all’Africa,
agli
Stati
Uniti.
Non
solo.
Questo
piccolo
spirito
ha
mantenuto
una
serie
di
attributi
e di
comportamenti
“universali”
individuabili
nei
folletti
di
tutte
le
tradizioni
europee.
Al
fine
di
tracciare
la
storia
di
questa
figura
favolosa,
di
individuare
i
suoi
“antenati”,
di
comprenderne
il
ruolo
nel
folklore
europeo
e il
rapporto
con
i
culti
e le
credenze
del
passato,
è
stato
necessaria
un’indagine
approfondita
e
dettagliata
di
elementi
culturali,
simbolici,
magico-religiosi,
superstiziosi
e
tradizionali,
mediante
l’analisi
delle
attestazioni
letterarie
degli
autori
antichi
e
moderni,
dei
reperti
archeologici,
dei
racconti
mitologici,
delle
favole,
dei
riti
preistorici
e di
quelli
sciamanici.
Un
importante
elemento
è
dato
dalle
ondate
migratorie
che
hanno
interessato
l’attuale
territorio
europeo
sin
dall’antichità:
infatti,
l’incontro/scontro
delle
differenti
culture
euroasiatiche,
il
complesso
sistema
di
relazioni
e di
scambi
linguistici,
religiosi,
rituali,
culturali
che
ha
accompagnato
le
popolazioni
dell’Impero
Romano
nel
corso
dei
secoli
hanno
giocato
un
ruolo
fondamentale
nella
costruzione
della
figura
del
“folletto
moderno”,
il
quale
conserva
ancora
oggi,
nella
maggior
parte
delle
tradizioni
folkloriche
europee,
caratteri
che
sono
propri
dei
suoi
predecessori
(incubi,
geni
pileati
e
geni
cucullati,
antiche
divinità
celtiche
e
mediterranee).
La
statuaria
greca
e
romana
ed i
reperti
archeologici
rinvenuti
nell’Occidente
romano
tramandano
l’immagine
di
geni
avvolti
in
ampi
mantelli
e
con
il
capo
coperto
da
un
particolare
berretto
(pileus)
o da
un
cappuccio
(cucullus):
la I
sala
della
Galleria
Borghese
a
Roma
ospita
due
statue
italiche
risalenti
al
II
secolo
d.C.,
che
raffigurano
fanciulli
di
piccola
statura
sul
cui
capo
sono
calcati
dei
berretti
corrispondenti
al
pileo.
Le
statuette
ritrovate
in
Gallia,
in
Britannia,
in
Germania
e
nelle
regioni
percorse
dal
Danubio
rappresentano,
allo
stesso
modo,
giovinetti
rivestiti
da
mantelli,
di
cui
il
cappuccio
è
parte
integrante
(cucullus):
gli
archeologi
lo
chiamano
genius
cucullatus,
desumendo
il
nome
da
alcune
iscrizioni
dedicatorie
rinvenute
sugli
altari
della
Carinzia.
Le
rese
iconografiche,
i
reperti
archeologici
e le
attestazioni
degli
antichi
autori
hanno
permesso
agli
studiosi
moderni
di
indagare
l’origine
e la
diffusione
dei
culti
rivolti
ai
geni
dell’Europa
occidentale
e
dell’Asia
Minore
nonché
di
interpretarne
e
comprenderne
i
contenuti,
i
quali
sono
stati
successivamente
comparati
con
i
preesistenti
rituali
sciamanici.
Tra
i
geni
rivestiti
di
cappuccio
e
mantello
il
più
noto
è
Telesforo,
il
cui
culto
secondo
Pausania
è
stato
introdotto
a
Pergamo
tra
il I
e il
II
secolo
d.C.,
e di
lì,
successivamente,
si è
diffuso
in
tutta
l’Asia
Minore,
la
Grecia,
la
Tracia,
la
Dacia
e la
Pannonia.
Inizialmente
è
stato
venerato
da
solo,
poi
è
entrato
a
far
parte
di
una
triade
con
Asclepio
e
Igea,
in
cui
Telesforo
ha
preso
il
posto
di
Ipsos,
“figlio
della
Notte
e
fratello
della
Morte”.
Un
gruppo
di
autori
moderni
ha
considerato
Telesforo,
vestito
come
gli
dei
e i
geni
funebri,
l’apportatore
del
sonno
eterno;
per
altri
studiosi,
invece,
la
fine
concessa
da
Telesforo
è
legata
a
due
nozioni
fondamentali,
quella
di
propagazione
e di
mantenimento
della
vita
terrena
da
un
lato,
e
quella
funebre
e
notturna
della
morte
e
del
sonno
dall’altro.
Le
somiglianze
tra
Telesforo
e le
rappresentazioni
(in
pietra)
del
genius
cucullatus
rinvenute
nel
nord
Europa
hanno
indotto
gli
studiosi
ad
ipotizzare
che
il
culto
rivolto
a
Telesforo
si
sia
diffuso
dalle
province
orientali
a
quelle
occidentali
dell’Impero
Romano,
in
particolare
da
Pergamo
ai
Galli
della
Galizia,
oppure
dall’Asia
Minore,
tramite
gli
Etruschi,
ai
Galli
cisalpini.
Tuttavia,
l’origine
celtica
dei
vestimenti
dei
geni
e
l’anteriorità
di
alcune
monete
sulle
quali
è
incisa
la
figura
di
un
genio
incappucciato
hanno
portato
gli
autori
moderni
a
sostenere
l’ipotesi
della
trasmissione
del
culto
di
Telesforo
dai
Celti
della
Galizia
agli
abitanti
di
Pergamo.
Gli
studiosi
contemporanei
sono
in
dubbio
circa
le
funzioni
svolte
dal
genio
cucullato:
il
volumen,
o
Libro
del
destino
stretto
tra
le
mani,
così
come
il
cappuccio
e il
mantello,
indumenti
tipici
degli
esseri
appartenenti
al
mondo
infero,
ne
confermerebbero
la
natura
funebre.
In
effetti,
i
sacerdoti
degli
antichi
popoli
celtici,
i
druidi,
credevano
nella
dottrina
della
nuova
nascita:
il
defunto
tornava
giovane
per
rinascere
in
un
nuovo
corpo,
per
questo
motivo
veniva
rappresentato
con
i
tratti
somatici
di
un
fanciullo;
ecco,
allora,
che
il
genius
cucullatus
non
solo
acquista
una
funzione
funebre,
ma
anche
di
rinascita,
proprio
come
Telesforo.
Al
di
là
dei
contenuti
e
dell’origine
dei
culti
rivolti
ai
geni,
è
possibile
individuare
una
serie
di
attributi
e di
comportamenti
che
accomunano
i
geni
fin’ora
descritti
ai
folletti
delle
nostre
tradizioni
folkloriche;
essi
svelano
una
certa
“continuità”
tra
le
credenze
passate
e le
superstizioni
contemporanee,
e
allo
stesso
tempo,
rivelano
una
sorta
di
“parentela”
tra
le
figure
mitiche
degli
antichi
geni
e
quelle
popolari
dei
folletti
contemporanei.
Un
primo
elemento
comune
è
dato
dalla
natura
funebre
dei
due
personaggi:
infatti,
numerosi
appellativi
del
folletto
(fulét,
foele,
foulot),
richiamano
la
credenza
secondo
la
quale
questo
piccolo
personaggio
si
manifesta
mediante
improvvisi
turbini
o
soffi
di
vento,
proprio
come
accade
all’apparire
dell’anima
di
un
defunto.
Alcuni
appellativi
del
folklore
italiano
(mazzamurello,
mazariol,
mazzaròt,
massariol),
rievocano,
invece,
la
figura
del
“folletto
con
la
mazza”,
con
la
quale
lo
spirito
del
focolare
domestico
perseguita
gli
abitanti
della
casa.
Tuttavia,
i
dati
tradizionali
non
permettono
di
risalire
alla
vera
funzione
della
mazza,
a
meno
che
non
si
prendano
in
considerazione
altri
epiteti
a
partire
dai
quali
è
possibile
proporre
un’interpretazione
diversa,
connessa
al
ruolo
di
“signore
della
casa”,
colui
che
esercita
il
potere
inteso
come
protezione,
persecuzione
e
signoria
su
tutti
i
membri
della
famiglia:
il
folletto
del
focolare
sembra
conservare
le
funzioni
e le
caratteristiche
tipiche
del
genio
tutelare.
Infatti,
le
case
romane
erano
poste
sotto
la
protezione
di
Giano
bifronte
(Lari
familiari),
il
quale
è
rappresentato
con
il
bastone
in
una
mano,
e
nell’altra
una
chiave:
le
urne
etrusche
raffigurano
geni
alati
con
in
mano
una
mazza
o un
martello,
con
i
quali
proteggono
il
defunto
e
custodiscono
il
sepolcro.
Il
cappuccio
e il
mantello,
cosi
come
la
mazza
e il
martello,
sono
diventati
segni
distintivi
comuni,
tanto
del
genio
quanto
del
folletto:
nella
mitologia
nordica
Wotan/Odino,
depositario
delle
arti
magiche
e in
rapporto
con
il
mondo
dei
defunti,
appare
ai
mortali
sotto
le
vesti
di
un
viandante
coperto
da
mantello
e
cappuccio;
nel
mondo
scandinavo-germanico
una
cappa
oscura
conferisce
l’invisibilità
a
chi
la
indossa;
lo
stesso
potere
assume
il
mantello
di
Ermes
e
Perseo
nella
mitologia
greca:
il
cappuccio
e il
mantello
celano
significati
di
natura
magico-sacrale.
Non
a
caso,
secondo
le
credenze
popolari
romagnole,
il
potere
del
folletto
risiede
nel
suo
berrettino
(proprio
come
nella
tradizione
dell’Italia
meridionale),
motivo
per
il
quale
è
disposto
a
rivelare
il
luogo
in
cui
è
nascosto
un
grande
tesoro,
a
colui
al
quale
sia
riuscita
la
difficile
impresa
di
impadronirsi
del
suo
piccolo
cappello
magico.
Tale
credenza
corrisponde
a
quella
romana
attestata
da
Petronio
Arbitro
nel
suo
Satyricon,
riferita
al
pilleum
dell’Incubus:
numerosi
appellativi
popolari
(Véncul,
calcarél,
carchétt,
linchetto,
smare,
maràngule)
richiamano
la
sensazione
di
oppressione
notturna
connessa
all’incubo,
che
in
alcune
regioni
rappresenta
la
principale
se
non
l’unica
attribuzione
del
folletto.
Il
Mazzapegolo,
il
folletto
romagnolo,
si
priverebbe
del
suo
berretto
per
apparire
al
dormiente
sotto
l’aspetto
dell’incubo,
cessando
così
di
essere
invisibile
dopo
aver
bevuto
l’acqua
del
pozzo:
l’atto
di
bere
vino,
latte
o
acqua,
pare
sia
collegato
ad
un
antico
rito
mediante
il
quale
le
ombre
dei
defunti
apparivano
temporaneamente
ai
viventi.
Ecco,
allora,
che
in
alcune
regioni
italiane
si
lasciano
conche
d’acqua
o di
vino
nella
notte
della
Festa
dei
Morti
affinché
i
defunti
che
passano
in
processione
possano
dissetarsi.
L’estendibilità
al
folletto
di
credenze
attinenti
l’apparizione
dei
defunti
consegue
dall’analogia
– se
non,
addirittura,
dall’identità
–
tra
spiriti
degli
Antenati
e
genio
tutelare
domestico,
sembrando
quest’ultimo
l’unitaria
personificazione
dei
primi.