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ANTICA


N. 57 - Settembre 2012 (LXXXVIII)

TRA TANTE MURA

STORIA ED EVOLUZIONE DELLA CINTA MURARIA ROMANA
di Paola Scollo.

 

Delineare le tappe più significative del percorso che portò l’Urbe a divenire da piccolo agglomerato di villaggi nei pressi del Palatino a capitale di un vasto impero equivale a seguire gli sviluppi del suo tessuto urbano. Sul filo di questa direttrice, diviene chiave di indiscutibile valore lo studio delle mura cittadine. Ogni cinta muraria è una fonte non scritta: non è semplice testimonianza dell’evoluzione delle tecniche costruttive, ma è espressione della cultura del tempo.

 

La prima cinta muraria di Roma, Tito Livio la attribuisce a Romolo. Narra infatti che questi “innanzi tutto fortificò il Palatino, dove era stato allevato”. In effetti, i dati archeologici confermano la presenza di mura palatine a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C.: sul colle sono stati rinvenuti i resti di un muro di fortificazione risalente a quel periodo.

 

Questo è probabilmente da considerare come parte della primitiva cinta muraria descritta da Tacito negli Annales. Seguendo la disposizione naturale del Palatino, la cinta muraria presentava una forma quadrangolare, per cui ricevette il nome di “Roma quadrata” o di murus Romuli.

 

Complessivamente, le mura romulee dovevano avere un’estensione di circa un miglio, racchiudendo un’area di 285 ettari, e dovevano essere dotate di due porte, Mugonia e Romana, collocate in prossimità degli sbocchi naturali del colle. Stando alla tradizione, quando ancora stava per essere tracciato, Remo oltrepassò il solco della nuova città, in segno di disprezzo, e Romolo lo uccise, gridando: “Tale sia la sorte di tutti coloro che profaneranno queste mura”.

 

Un fratricidio è da porre quindi alle origini della storia di Roma, e confermerebbe l’antica convinzione secondo cui le mura di una città sarebbero salde solo se nelle fondamenta è sepolto un essere vivente.

 

Il muro, all’epoca della fondazione, non svolge un mero ruolo difensivo. È idealmente espressione di umanità e civiltà, quindi è sacro e inviolabile. Oltrepassando il fossato tracciato da Romolo, Remo viola la sanctitas delle mura. Ecco perché merita di essere ucciso.

 

Stando alla testimonianza di Tacito (Annales XII 24), Tito Tazio, re sabino che regnò per breve periodo insieme a Romolo, ampliò il perimetro delle mura, in modo da inglobare il Campidoglio e il Foro.

 

Secondo Dionisio di Alicarnasso, Numa Pompilio (715-673 a.C.), secondo re di Roma, incluse poi all’interno delle mura anche il Quirinale. Stando a Strabone, il quarto re di Roma, Anco Marzio (642-617 a.C.), incluse nella cinta muraria anche il Celio e l’Aventino. E sempre secondo Strabone, fu Servio Tullio (578-534 a.C.), sesto re di Roma, a completare l’opera aggiungendo l’Esquilino e il Viminale.

 

Tra l’altro, tale testimonianza riceve conferma dalle affermazioni di Dionisio di Alicarnasso, secondo cui Servio Tullio “allargò la città aggiungendo due colli, quelli chiamati Viminale ed Esquilino, ciascuno dei quali ha praticamente le dimensioni di una città”.

 

Tito Livio attribuirà a Servio Tullio (di qui la denominazione di mura serviane) l’inserimento del Quirinale.

 

Al di là dell’attendibilità della fonte, al sesto re è comunque da riconoscere la prima significativa fortificazione di Roma, comprendente tutti e sette i colli.

 

Questa cinta muraria è stata sostituita dalle mura del IV secolo in tufo di Grotta Oscura, proveniente da Veio. Si tratterebbe delle cosiddette mura Repubblicane. Il lavoro di rifacimento è collocato da Livio nel 378 a.C., quando i censori decretarono la costruzione di una nuova cinta muraria che raggiungeva i 10 metri di altezza per uno spessore che sfiorava i 4 metri.

 

Le mura inglobavano anche il Campidoglio, dove si aprivano due porte: la Fontinalis e la Catularia (posta al termine della scalinata dei Centum Gradus). Salivano poi a largo Magnanapoli per raggiungere la Dataria, dove era situata la porta Salutaris. Attualmente, alcuni resti delle mura repubblicane sono visibili nei pressi del Campidoglio e della stazione Termini.

 

Durante l’età augustea, la città di Roma si estese oltre le mura serviane. Il periodo di tregua inaugurato dalla pax Augusta non imponeva particolari difese. Tuttavia, nel corso del III secolo, in seguito alla terza invasione degli Alemanni, il Senato di Roma decise di fortificare ulteriormente l’Urbe.

 

I lavori di costruzione vennero avviati nel 271 dall’imperatore Lucio Domizio Aureliano (270-275) per poi essere condotti a termine sotto Probo. Le mura aureliane vennero realizzate in opera laterizia, erano alte circa 6 metri con uno spessore di 4 e dotate, lungo tutto il perimetro, di un camminamento scoperto protetto da merlature.

 

Erano fornite di torri dalla pianta quadrata, ognuna con una camera con feritoie e un terrazzamento merlato. La cinta muraria seguiva un percorso di circa 19 chilometri.

 

 All’inizio del IV secolo, sotto l’imperatore Massenzio (306–312), vennero eseguiti lavori di consolidamento e restauro. In quest’occasione venne impiegata una differente tecnica muraria, nota come opera listata, costituita da mattoni e blocchetti di tufo.

 

Nel biennio 401-402 l’imperatore Onorio fece raddoppiare l’altezza delle mura aureliane, al fine di difendere la città da eventuali attacchi da parte dei Goti. Il camminamento preesistente fu coperto con una volta, in modo da formare una galleria che venne aperta da numerose feritoie. Fu quindi realizzata un’ulteriore galleria, scoperta e munita di merli.

 

Le torri furono innalzate con una seconda camera coperta da un tetto spiovente e comunicante con la prima camera inferiore, quindi furono dotate di una controporta interna che, per mezzo di due muri, si congiungeva alla porta principale. Anche le porte della città vennero rinforzate, e ulteriori lavori di restauro furono eseguiti nel corso del VI secolo sotto Teodorico e Belisario, durante le guerre gotiche.

 

Le mura aureliane resistettero per tutto il Medioevo; a partire dal XV secolo furono i pontefici a mostrare interesse per la conservazione delle mura; di questa attenzione hanno lasciato spesso memoria in stemmi e iscrizioni apposti direttamente sulle mura o sulle porte.

 

Alle mura Aureliane furono congiunte le cosiddette mura Leonine, fatte erigere nel corso del IX secolo da papa Leone IV a difesa del Vaticano e dell’adiacente quartiere del Borgo dalle incursioni dei Saraceni.

 

Questa cinta muraria, che dapprima costituiva un corpo a sé, comprendeva Castel Sant’Angelo, Borgo Nuovo, Borgo Vecchio e Borgo Santo Spirito, ossia il primo nucleo Vaticano.

 

Lavori di ampliamento e consolidamento delle mura Leonine furono compiuti al ritorno dall’esilio avignonese, durante l’epoca rinascimentale, sotto il pontificato di papa Urbano VIII.

 

Successivamente, negli anni quaranta del XVII secolo, alle Leonine furono annesse le mura Gianicolensi, realizzate su iniziativa di papa Urbano VIII Barberini. L’atto di nascita della cinta si pone il 15 luglio 1641, quando Castelli e Bonazzini, architetti della Camera Apostolica, effettuarono le prime misurazioni. Il progetto, invece, venne realizzato e ultimato dagli architetti Giulio Buratti e Marcantonio Rossi.

 

Le mura, realizzate in tempi molto rapidi, andarono a sostituire il tratto transtiberino delle mura Aureliane, che vennero pertanto abbattute.

 

Il percorso seguito dalle mura Gianicolensi inizia dalla porta Portese, ricostruita da papa Innocenzo X, e si protrae fino a piazza del Sant’Uffizio, nei pressi dell’odierna area vaticana. Di qui le mura salgono rapidamente verso il colle Gianicolo, in cima al quale si apre la Porta San Pancrazio, ricostruita nel 1854.

 

Accanto alla porta le mura racchiudono un’altra linea muraria costruita precedentemente a difesa del quartiere periferico di Trastevere, già Transtiberim. Da qui il muro piega a nord per giungere sino al Colonnato di San Pietro.

 

Hanno così inizio le mura vaticane vere e proprie che, in contrasto con la cinta muraria sulla riva sinistra del Tevere, rivelano uno stile barocco. Le mura gianicolensi, sorte a difesa della città del Vaticano, furono inaugurate solo nel 1849, anno in cui papa Pio IX fuggì a Gaeta a causa del crollo del regime pontificio. Successivamente, l’amministrazione pontificia promosse una serie di lavori di restauro.

 

Ed è proprio con il tracciato delle mura gianicolensi che si conclude il nostro viaggio fra le tante mura di Roma.

 

Un viaggio che, attraverso i secoli, ci ha guidato alla scoperta di luoghi di rara bellezza in cui la Storia ha impresso un sigillo indelebile. Un viaggio alle radici di una città che ha rappresentato un’esperienza unica e irripetibile nel mondo antico.



 

 

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