N. 6 - Giugno 2008
(XXXVII)
Più duro di un Mondiale
Mezzo secolo di Campionato Europeo di calcio
di Simone Valtieri
Lev Jascin, Luis Suarez, Dino Zoff, Franz
Beckenbauer, Michel Platini, Marco Van Basten,
Zinedine Zidane. Basterebbero da soli questi nomi
per giustificare un titolo tanto azzardato.
Appartengono ad alcuni dei giocatori europei che
hanno avuto il privilegio di vincere con la propria
Nazionale il massimo torneo calcistico per nazioni
del vecchio continente che si assegna da ormai 48
anni.
Il resto della motivazione è presto spiegata: ad una
Coppa del Mondo di calcio partecipano oggi 32
formazioni, quasi la metà dei posti spetta a squadre
europee, mentre gli altri sono divisi tra i quattro
continenti, che, fatta eccezione per Brasile e
Argentina, presentano alcune buone squadre ma con
poche ambizioni di titolo mondiale. A questo si
aggiunge che, per equilibrare tra loro i vari
gruppi, il sorteggio dei gironi di un Mondiale segue
un criterio che assegna un massimo di due formazioni
europee per ogni girone insieme ad altre due
formazioni di due diversi continenti. Per tale
motivo nella composizione dei gironi iniziali è
facile per una Nazionale europea dover affrontare
formazioni con meno blasone e magari più abbordabili
provenienti da Africa, Asia o Nord America, prima di
accedere, con minor spreco di energie, alla fase ad
eliminazione diretta.
In un Europeo questo non può succedere. Le squadre
presenti ad una fase finale sono 16 (e negli anni
passati erano anche di meno), e le aspiranti al
titolo sono in genere almeno la metà. Italia,
Spagna, Francia, Inghilterra, Germania, Olanda,
Portogallo, Repubblica Ceca sono ad esempio
formazioni di eguale livello e tutte le altre
qualificate rientrano a pieno titolo tra le
posizioni a ridosso delle prime nel ranking
mondiale. Rispetto ad una Coppa del Mondo, inoltre,
le partite si giocano in tempi più ravvicinati tra
l’una e l’altra e questo fattore rende insidiose
anche formazioni meno pronosticate, come attestano
le affermazioni della Danimarca nel 1992 e della
Grecia nel 2004. Insomma, sollevare quella pesante
“caraffa” argentata risulta essere un’impresa molto
ardua.
A riuscirci per primo fu Igor Netto, capitano dello
squadrone dell’Armata Rossa nel 1960. In realtà non
fu quella la prima competizione europea per nazioni
che ha assegnato una sorta di titolo della migliore
del continente. In principio fu la Svehla Pokal,
nome tedesco di una competizione conosciuta in
Italia come Coppa Internazionale e che proprio gli
azzurri hanno vinto per ben due volte su tre
edizioni. Tutto nasce nel 1926: le principali scuole
calcistiche presenti in Europa in quegli anni sono
quella anglosassone e quella mitteleuropea e dal
confronto tra queste due scuole nasce la prima
Svehla Pokal a cui prendono parte anche Italia e
Svizzera. Il torneo si perde nell’anonimato poco
dopo la seconda guerra mondiale e il merito di
proseguire nell’idea di un torneo continentale va a
un francese, il segretario della federazione
calcistica europea negli anni ‘50, Henry Delaunay.
All’inizio sono in pochi a credere in un successo di
questa iniziativa, che velava anche l’ottimistica
presunzione di provare a distendere i rapporti tra
le varie nazioni, divise in quegli anni dalla guerra
fredda che imperversava tra i due blocchi, orientale
e occidentale, del vecchio continente. Questa idea
sopravvivrà al suo inventore, sfociando nel 1960 nel
primo Campionato europeo per nazioni. Dal 1958
partono le qualificazioni ad eliminazione diretta
con gare di andata e ritorno con una fase finale di
soli quattro giorni e quattro squadre, nella Francia
del prematuramente scomparso Henry Delaunay. Al
primo torneo però, non partecipano ben sedici
nazionali tra cui alcune formazioni di primo piano:
Germania Ovest, Scozia, Inghilterra, Belgio, Olanda,
Svizzera e persino l’Italia boicottano l’edizione
inaugurale; quest’ultima, secondo le malelingue, per
evitare una nuova figuraccia dopo la mancata
qualificazione ai mondiali di Svezia nel 1958.
Nonostante queste assenze l’obiettivo di “aprire ad
est” fu in qualche modo raggiunto. Lo testimonia il
podio finale della manifestazione che vede la
vittoria dell’Unione Sovietica sui cugini della
Jugoslavia e il terzo posto della Cecoslovacchia che
sconfigge 2-0 nella finalina di consolazione i
padroni di casa della Francia. Facendo un passo
indietro: nei quarti di finale, l’Unione Sovietica
dovrebbe affrontare in una partita dagli splendidi
contenuti tecnici la Spagna. Le “furie rosse”
costruite sull’ossatura del grande Real Madrid,
guidate dal naturalizzato fuoriclasse Alfredo Di
Stefano, sfidano il solido squadrone dell’Armata
Rossa protetto dall’insuperabile portiere, il ragno
nero Lev Jascin. Purtroppo questo epico scontro non
avrà luogo in quanto la Spagna “franchista” si
rifiuta di giocare contro i “comunisti” Sovietici,
che avanzano alla fase finale.
La squadra russa si presenta in Francia da campione
olimpica in carica, avendo vinto nel 1956 a
Melbourne la medaglia d’oro già allora sotto la
guida del commissario tecnico Katshalin. Nella prima
partita di semifinale si sbarazza facilmente della
Cecoslovacchia con un secco 3-0 e approda alla
finale contro l’ostica Jugoslavia. In un clima da
manifestazione minore, davanti a 18 mila spettatori,
i sovietici e gli slavi terminano i tempi
regolamentari in parità sull’1-1. A otto minuti
dalla fine del secondo tempo supplementare è un gol
di testa di Ponedelnik a consegnare all’Urss il
primo Campionato Europeo per Nazioni. Il trono di
capocannoniere di questa edizione sarà equamente
diviso tra tre atleti con cinque gol a testa: il
cecoslovacco Bubernik, il francese Vincent e il suo
connazionale Just Fontaine che aveva dominato due
anni prima la classifica dei goleador ai Mondiali
con ben tredici centri, ancora oggi record assoluto
di gol in un mondiale.
Quattro anni più tardi non muta la formula, ma
cresce notevolmente l’interesse della gente e delle
federazioni europee. A partecipare saranno in 28,
tra cui stavolta anche Italia e Inghilterra. Ancora
assente la Germania Ovest. La fase finale si gioca
in Spagna ma i padroni di casa non partono con i
favori del pronostico. Il gruppo è giovane,
costruito attorno alla stella di Luis Suarez e
depurato dai roboanti nomi di Puskas, Santamaria e
Di Stefano, il primo ungherese e gli ultimi due
campioni sudamericani naturalizzati. I favoriti sono
dunque i vincitori uscenti dell’Unione Sovietica e
lo scontro titanico che quattro anni prima non si
era potuto disputare, stavolta si giocherà a Madrid,
nella finalissima del 21 giugno. Quattro giorni
prima nello stesso stadio si disputa la prima
semifinale tra Ungheria e Spagna. I padroni di casa
passano con Pereda alla mezzora, ma tutta la partita
è un assedio al portiere basco Iribar, che para
tutto tranne un tiro di Nagy, che a cinque minuti
dalla fine pareggia. Ai supplementari la musica non
cambia, ungheresi in avanti e spagnoli in difesa ma
Amancio trova l’occasione buona e la sfrutta. La
Spagna è in finale e stavolta Franco non si oppone
all’incontro con i Sovietici, che tra le altre cose
avevano eliminato negli ottavi di finale un’Italia
rifondata dal neo commissario tecnico Edmondo Fabbri
e che annoverava tra le sue file stelle del calibro
di Rivera, Mazzola, Facchetti e Burgnich.
La partita si gioca nello stadio Bernabeu sotto gli
occhi di una folla straripante e subito all’avvio fa
vedere fuochi d’artificio. In otto minuti c’è il
vantaggio spagnolo con Pereda e il pareggio
sovietico con Husainov. Il gol del pareggio
stordisce i padroni di casa che per tutto il match
non esaltano il pubblico di casa. All’84’ però
l’attaccante spagnolo Marcelino si avventa su un
pallone crossato da Pereda e lo scaraventa in rete.
“Ricordo che lo colpii in maniera perfetta e anche
che ebbi subito la sensazione che nemmeno Jascin ce
l’avrebbe fatta a evitare il gol. Fu proprio così”:
queste le parole del centravanti autore di un gol
storico, perché ha consegnato alla Spagna quello che
ancora oggi è l’unico successo conseguito dalle
“furie rosse” in campo internazionale. Nella
finalina per il terzo posto la Danimarca perde 3-1
con l’Ungheria ma si consola con il titolo di
capocannoniere che va a Ole Madsen autore di 11 gol,
molti dei quali, ad onor del vero, realizzati contro
squadre dalla scarsa presenza in campo come Malta,
Albania e Lussemburgo.
Nel 1968 cambia la formula. Si passa dalla
contestata eliminazione diretta con sorteggio libero
(il caso del Lussemburgo arrivato ai quarti di
finale nella passata edizione aveva sollevato molto
clamore) a quella dei gironi di qualificazione
all’italiana. E proprio in Italia si disputerà la
fase finale di quegli europei. L’Italia del dualismo
Mazzola-Rivera, del portierone Dino Zoff, del
potentissimo Gigi Riva, si inchina di fronte al gol
di un dentista coreano ai mondiali inglesi del 1966,
quando lo sconosciuto Pak Doo Ik mandò a casa lo
squadrone azzurro. Quattro mesi più tardi l’Italia
comincia il cammino verso gli Europei in un girone a
quattro con Romania, Cipro e Svizzera. La rinascita
pare avviata. Gli azzurri vincono cinque gare su sei
e si qualificano ai quarti di finale del torneo.
Negli altri gironi i tedeschi occidentali, alla loro
prima partecipazione, vengono eliminati dopo un
umiliante pareggio contro l’Albania, mentre gli
inglesi campioni del mondo riescono a raggiungere la
fase finale. A questa approda anche l’Italia non
senza preoccupazioni, battendo 2-0 nei quarti la
Bulgaria nella gara di ritorno e ribaltando il 3-2
dell’andata.
Alla fase finale arrivano in quattro: Oltre agli
azzurri guidati da Ferruccio Valcareggi, anche i
campioni del mondo inglesi, gli ostici jugoslavi e i
soliti sovietici. A Napoli va di scena Italia-Urss e
San Gennaro, patrono partenopeo, ci mette del suo.
Dopo uno scialbo 0-0 in centoventi minuti di gioco,
negli spogliatoi l’arbitro tedesco Tschenscher tira
fuori, come da regolamento alla presenza dei due
capitani Facchetti e Scesternev, un’antica monetina
austriaca e affida il passaggio del turno alla sorte
che si rivelerà buona per l’Italia e nefasta per
l’Unione Sovietica. Nell’altra semifinale, a
Firenze, l’Inghilterra cede negli ultimi minuti a un
gol di Dzajic che destina la Jugoslavia alla
finalissima di Roma. Caso più unico che raro: dopo
altri 120’ di gioco le due squadre si ritrovano
sull’1-1 e, non esistendo ancora la lotteria dei
rigori, sono costrette a rigiocare solo due giorni
dopo una seconda finale. Stavolta l’Italia, sempre
sospinta dal pubblico amico, si presenta in campo
con cinque cambi e con la coppia Riva-Anastasi in
attacco. Scelta a dir poco azzeccata, visto che a
loro due sono riconducibili i gol che regalano agli
azzurri il loro primo, e finora unico, trofeo
continentale.
Nel 1972 la Germania Ovest si riscatta e vince
nettamente la quarta edizione del campionato europeo
per nazioni. E’ una marcia trionfale: 3-1 e 0-0 con
gli inglesi nei quarti, 2-1 con i padroni di casa
del Belgio nelle semifinali e netto 3-0 con l’ormai
abbonata alla fase finale Unione Sovietica, nella
finalissima. Nelle file dei tedeschi militano fior
di campioni provenienti per la maggior parte dal
fortissimo Bayern Monaco di quegli anni. Il mitico
capitano Franz Beckenbauer, l’infallibile bomber
Gerd Muller, capocannoniere del torneo con cinque
reti, Breitner, Maier, Hoeness, Netzer, tutti
giocatori che saranno ossatura portante della
formazione che solo due anni più tardi si laureerà
campione del mondo. La finale è senza storia, i
tedeschi hanno in mano il pallino del gioco per
tutto l’incontro, passano una prima volta alla
mezzora con il loro bomber Muller, raddoppiano a
inizio ripresa con Wimmer e chiudono cinque minuti
più tardi sempre con Muller. Beckenbauer alza il
trofeo di una delle edizioni più pronosticate della
storia della manifestazione. E l’Italia
vice-campione del mondo? Si fa eliminare nei quarti
di finale dal Belgio, il quale resiste 0-0 in
Italia, e vince 2-1 in casa, andando poi a battere
con lo stesso punteggio l’Ungheria nella finale per
il terzo posto.
Il 1976 è l’anno della prima di tante sorprese di
cui sarà ricca la storia dell’Europeo. Vince una
formazione di buono spessore tecnico, ma non
pronosticata, come la Cecoslovacchia. La sorpresa è
ancor più grande se si pensa che la formazione
guidata dal tecnico Vaclav Jezek fa fuori una dopo
l’altra squadre di enorme spessore. Nel girone
eliminatorio a farne le spese sono Inghilterra e
Portogallo, ai quarti vengono battuti i sempre
ostici sovietici, e nella fase finale nei Balcani i
cecoslovacchi fanno fuori prima gli inventori del
calcio globale, i fortissimi olandesi, che hanno tra
l’altro eliminato l’Italia nelle qualificazioni, e
poi i campioni del mondo in carica della Germania
Ovest. Partiamo dai quarti di finale. La sfida con
l’Unione Sovietica si carica di significati
extrasportivi a soli otto anni dalla Primavera di
Praga. A prevalere già all’andata a Bratislava sono
proprio i padroni di casa che incassano un buon 2-0
e resistono a Kiev sul 2-2. La fase finale è
conquistata. In Jugoslavia arrivano quattro tra le
più quotate squadre del continente e le quattro
sfide finali sono talmente equilibrate da sconfinare
tutte, senza eccezioni, nei tempi supplementari.
Nella prima semifinale la Germania Ovest piega 4-2
grazie a una strepitosa rimonta e a due gol nei
supplementari di Dieter Muller, poi capocannoniere
del torneo, la formazione slava. Nella seconda il
cecoslovacco Ondrus fa tutto da solo: prima porta in
vantaggio i suoi e poi pareggia con un autogol. La
partita va ai supplementari, l’Olanda di Cruijff,
Neeskens, Krol, Rep e Rensenbrink ha classe e
fantasia, ma non ha in questo caso la tenuta
atletica e la ferrea disciplina imposta ai suoi dal
ct Jezek. Così sul finire del secondo tempo
supplementare prima l’ariete Nehoda e poi Vasely
portano la Cecoslovacchia in finale. Il terzo posto
se lo aggiudica l’Olanda, vincendo 3-2 ai
supplementari. La finalissima è dunque appannaggio
della Cecoslovacchia, vittoriosa per la prima volta
in assoluto nella storia ai calci di rigore. I tempi
regolamentari si chiudono sul 2-2 con la rimonta
della Germania Ovest inizialmente sotto di due gol,
nei supplementari il risultato non cambia. Ai rigori
i primi sette tiri sono tutti dentro, ma Uli Hoeness
tira alle stelle e mette in condizione Antonin
Panenka di siglare il gol che vale l’Europeo. Il
cecoslovacco segna il primo “cucchiaio” che si
ricordi e regala il titolo ai suoi connazionali.
Passano solo quattro anni e la Germania Ovest torna
sul tetto d’Europa. Il torneo si fa più insidioso:
la fase finale passa da quattro a otto squadre con
due gironi all’italiana a stabilire direttamente le
due finaliste. L’Italia organizza la fase finale e
viene, per la prima volta, qualificata di diritto
come Paese ospitante. Tutto perfetto, se non fosse
per l’anno: è il 1980, quello dello scandalo
scommesse. Pochi mesi prima dell’inizio degli
Europei, alcuni tra i più forti calciatori italiani,
anche in odore di maglia azzurra, vengono
squalificati, se non arrestati direttamente allo
stadio, nell’ambito di una inchiesta su un giro di
scommesse clandestine e di conseguenti partite
truccate. L’Italia è un Paese che si sta disamorando
del calcio e la conseguenza sono stadi deserti e
interesse contenuto. Arrivano alla fase finale,
oltre all’Italia, anche Germania Ovest, Olanda,
Inghilterra, Spagna, Cecoslovacchia, Belgio e
Grecia.
Nel girone dell’Italia vince clamorosamente
l’outsider Belgio, che pareggia con gli azzurri e
con l’Inghilterra e beffa la Spagna per 2-1.
L’Italia è seconda a causa della differenza reti,
dopo il pareggio con la Spagna e la vittoria con
l’Inghilterra grazie a un grande Tardelli.
Nell’altro gruppo domina la Germania Ovest che
pareggia solo a qualificazione avvenuta contro la
Grecia. Nella finalina di Napoli l’Italia perde
anche il podio contro la Cecoslovacchia dopo
un’interminabile serie di rigori: 10-9, l’ultimo
errore è di Collovati. La Germania Ovest invece si
laurea, non senza patemi, campione d’Europa grazie a
una doppietta del massiccio Horst Hrubesch, che a un
minuto dai supplementari gela le speranze dei belgi.
Vince la Germania Ovest di Karl-Heinz Rummenigge,
Bernd Schuster e Klaus Allofs, quest’ultimo
capocannoniere grazie a una tripletta messa a segno
contro l’Olanda. Ricapitolando il decennio
teutonico: campioni d’Europa nel 1972, del Mondo nel
1974, secondi dopo i rigori nel 1976, passo falso ai
Mondiali del 1978 eliminati nel girone e ancora
campioni d’Europa nel 1980. E’ facile comprendere
come mai Gary Lineker, forte attaccante inglese anni
‘80, ripeteva sovente: “Il calcio è un gioco molto
semplice: ventidue uomini rincorrono un pallone per
novanta minuti, e alla fine vincono sempre i
tedeschi”
Nel 1984 l’Europeo torna in Francia, a quasi un
quarto di secolo dalla sua nascita. Cambia
leggermente la formula, non si va più direttamente
in finale ma si affrontano prima le due semifinali.
Abolita la finalina per il terzo posto. I padroni di
casa sono una formazione emergente guidata
dall’astro nascente del calcio, Michel Platini,
supportato da un’équipe giovane e veloce, guidata
dal vezzoso ct Hidalgo, che sfoggia ad ogni
occasione variopinti foulard. L’Italia si dovrebbe
presentare a questa edizione da campione del mondo,
ma inciampa in un umiliante girone di qualificazione
terminato al penultimo posto davanti solo al modesto
Cipro e dietro a Romania, Svezia e Cecoslovacchia.
Si qualificano anche Belgio, Portogallo, Danimarca,
Jugoslavia, Romania, Germania Ovest e Spagna, oltre
agli azzurri restano fuori Olanda, URSS e
Inghilterra.
La Francia rompe il ghiaccio contro la Danimarca
grazie a un tiro di Platini deviato da Busk, poi si
scatenano contro il Belgio e contro la Jugoslavia
concludendo le due partite con otto gol all’attivo e
solo due al passivo (Platini ne segna da solo
cinque). Nell’altro raggruppamento la Spagna e il
Portogallo arrivano appaiate in prima posizione, ma
la Spagna è prima per differenza reti. Fuori la
Germania Ovest, che si arrende all’ultimo minuto del
match con la Spagna a un gol di Maceda. Così i
padroni di casa danno vita a una splendida partita
col Portogallo, che rimonta il gol iniziale dei
francesi grazie alla pantera Jordao e si porta
addirittura in vantaggio nei supplementari; ma
Domergue prima e Platini poi raddrizzano il
risultato e portano la Francia in finale allo stadio
Parco dei Principi di Parigi. Vola nella capitale
transalpina anche la Spagna, che ha ragione ai
rigori di un’arcigna Danimarca, grazie a un errore
di Elkjaer. La finale è una brutta partita, dove la
Francia gioca contratta e trova solo nel secondo
tempo due guizzi. Platini segna il suo ottavo centro
personale e Bellone sigilla il risultato a un minuto
dalla fine portando i Galletti sul tetto d’Europa.
Nel 1988 tocca agli eredi dei grandi ma incompiuti
Orange degli anni ’70 portare lustro a una Nazionale
che troppo spesso ha sfiorato il colpo grosso senza
raggiungerlo. E’ l’Olanda del trio di tulipani del
Milan, Van Basten-Gullit-Rijkaard, ma anche dei
gemelli Koeman e dell’esperto allenatore Rinus
Michels. Gli olandesi fanno paura, sono una macchina
che sforna gol e bel gioco, una ”Arancia Meccanica”
paragonabile a quella della generazione di fenomeni
di una quindicina di anni prima. Si gioca in
Germania Ovest, e l’Italia di Azeglio Vicini
stavolta si qualifica, capitando proprio nel gruppo
dei padroni di casa, insieme alla Spagna e alla
Danimarca. Nell’altro gruppo Olanda, URSS,
Inghilterra e Irlanda.
L’Italia è tutta nuova, vanta una sfilza di giovani
campioncini promossi direttamente dall’under 21
seconda agli ultimi Europei di categoria, tra cui
Maldini, Zenga, Donadoni, Giannini, Vialli e
Mancini, che vanno ad affiancarsi ai più esperti
Bergomi, Baresi, Ancelotti, Altobelli. Si gettano le
basi per il Mondiale casalingo del ’90 e il gioco
sembra anche produrre risultati. Gli azzurri
pareggiano coi padroni di casa 1-1 nel match
d’esordio. Al gol di Mancini risponde in un minuto
l’interista Brehme. Nelle due successive gare
l’Italia batte la Spagna 1-0 e la Danimarca con due
gol di scarto. Secondi nel girone per differenza
reti, gli azzurri sono costretti ad affrontare la
temibile Urss di Lobanovski nelle semifinali. Unione
Sovietica che aveva battuto l’Olanda nello scontro
diretto per 1-0. Le due squadre passano entrambe, a
farne le spese la bella Irlanda guidata da Jackie
Charlton e la deludente Inghilterra.
L’Italia aveva affrontato in amichevole qualche mese
prima dell’inizio degli Europei proprio lo squadrone
russo, battendolo con un facile 4-1. Purtroppo
quando c’è in palio qualcosa di importante è
probabile che la squadra più esperta risulti
favorita, così l’Italia resiste per circa un’ora e
poi cade sotto i colpi di Litovchenko e Protassov.
L’Olanda intanto ammutolisce una festante Amburgo ed
elimina i tedeschi grazie ad un gol allo scadere
dell’airone di Utrecht, Marco Van Basten, e si avvia
alla finale preparando la rivincita contro la
squadra del colonnello Lobanovski. A Monaco di
Baviera l’Olanda incanta, 2-0 secco, gol di Gullit e
capolavoro di Van Basten, che con una girata al volo
devia una palla, destinata a spegnersi sul fondo,
nell’angolo opposto al portiere con un delizioso
pallonetto tanto difficile da descrivere quanto da
realizzare. Uno dei più bei gol della storia del
calcio è servito, insieme al titolo di Campioni
d’Europa per l’Olanda e al trono dei capocannonieri
per lo stesso Van Basten.
Agli Europei del 1992 c’è un prologo. La Jugoslavia
è da mesi in preda a una sanguinosa guerra civile,
con cui la nazione balcanica si frantuma. Si
staccano Slovenia e Croazia e la Serbia dichiara
loro guerra, la situazione precipita dopo i
bombardamenti nelle città bosniache di Sarajevo e
Dubrovnik. L’Onu vota l’embargo contro Serbia e
Montenegro e la Jugoslavia calcistica, che intanto
in questo clima di terrore era miracolosamente
riuscita a qualificarsi per il Campionato Europeo,
viene estromessa dalla competizione. Al suo posto
viene ripescata la Danimarca, i cui increduli
giocatori erano ormai tutti in vacanza, a rimuginare
su una mancata qualificazione nonostante un bel
ruolino di marcia nei preliminari con sei vittorie e
una sola sconfitta. Sono anni di grandi cambiamenti
in Europa e nel mondo e dopo la caduta del muro di
Berlino anche l’ex Unione Sovietica si sta
sfaldando. La nazionale russa parteciperà in ogni
caso al torneo sotto il nome di “Comunità di Stati
Indipendenti”.
Si qualificano alla fase finale in Svezia altre
cinque nazionali a far compagnia ai padroni di casa
e alle due formazioni già citate: Francia,
Inghilterra, Scozia, Olanda e Germania. L’Italia
conferma il suo scarso feeling con la competizione
continentale e non si qualifica, dopo il terzo posto
ai Mondiali di due anni prima. Nel gruppo 1 i
padroni di casa della Svezia pareggiano con la nuova
Francia del dopo Platini e battono Danimarca e
Inghilterra. Si qualificano con loro anche i danesi,
che superano a sorpresa la Francia a Malmoe. Il ct
Moller-Nielsen compie una vera e propria impresa,
considerando anche l’assenza polemica da parte del
suo più forte giocatore, il fantasista juventino
Michael Laudrup. Nel gruppo 2 pronostici rispettati,
con Olanda e Germania che passano il turno.
In semifinale la cenerentola Danimarca se la deve
vedere con i campioni in carica. I suoi punti di
forza sono il portiere Petr Schmeichel, Brian
Laudrup (fratello dell’ammutinato Michael) e qualche
altro buon giocatore come Vilfort, Povlsen e Larsen.
E’ proprio quest’ultimo uno dei protagonisti del
match: segna due gol nel primo tempo e azzecca il
suo rigore quando si arriva, dopo i supplementari,
alla solita lotteria. Non lo imita l’eroe degli
ultimi Europei Marco Van Basten, che sbagliando dal
dischetto condanna i suoi all’eliminazione. La
Danimarca è in finale, dove se la dovrà vedere con i
favoritissimi tedeschi, unificati dopo il crollo del
muro e vincenti 3-2 sui padroni di casa svedesi. La
Germania campione del Mondo in carica schiera una
sequela di campioni provenienti quasi tutti dal
campionato italiano: Brehme, Kohler, Sammer, Hassler,
Effenberg, Klinsmann, Riedle. La Danimarca però
sembra non farsi impressionare e dopo 18 minuti
segna con Jensen il gol del vantaggio. Catenaccio e
contropiede, predicano una moltitudine di allenatori
nel Bel Paese, e la Danimarca sembra far sua la
lezione. Partita tutta in difesa e Vilfort, che
durante tutta la competizione era più volte tornato
in patria per assistere la figlia malata di
leucemia, si concede il lusso di segnare il secondo
e decisivo gol ai giganti teutonici. 2-0 e la favola
disneyana si compie.
La Germania non deve però aspettare molto per la
rivincita consumata quattro anni più tardi. Formula
rivoluzionata, con sedici partecipanti e quattro
gironi e qualche nuova regola, come quella del
golden goal: chi segna prima ai supplementari, vince
e la partita finisce lì. Così, con sedici
partecipanti, gli Europei diventano un piccolo
Mondiale. Tutte le big si qualificano alla fase
finale, compresa l’Italia di Arrigo Sacchi,
vice-campione del Mondo, che capita in un durissimo
girone proprio con la Germania, la Repubblica Ceca e
la Russia. Si gioca in Inghilterra e i padroni di
casa sono attesissimi. Schierano una formazione
molto forte, colma di giocatori di qualità e guidata
in attacco dal bomber del Newcastle Alan Shearer.
Dai gironi di qualificazione emergono otto squadre,
che dovranno poi affrontarsi dai quarti di finale ad
eliminazione diretta. Inghilterra e Olanda passano
nel primo girone, Francia e Spagna nel terzo,
Portogallo e Croazia, ai danni della campionessa
uscente Danimarca, nel quarto. Il gruppo dell’Italia
vede gli azzurri perdenti nello scontro diretto
contro l’emergente Repubblica Ceca, guidata dalla
potenza di Pavel Nedved, ed esclusi dall’Europeo
anche a causa di un rigore sbagliato da Gianfranco
Zola nell’ultimo match contro la Germania.
L’Italia è l’unica delle big assente nei quarti di
finale, dove Inghilterra e Francia superano ai
rigori rispettivamente Spagna e Olanda, e dove
Germania e Repubblica Ceca hanno la meglio, non
senza difficoltà, su Croazia e Portogallo. In
semifinale si compie il dramma per i tifosi di casa.
I tedeschi vincono 6-7 ai rigori, grazie all’errore
del difensore inglese Southgate e al successivo gol
di Moller. Nell’1-1 dei tempi regolamentari Alan
Shearer aveva segnato il suo quinto gol, che lo
consolidava al primo posto tra i marcatori.
Nell’altra semifinale 120 minuti si chiudono a reti
inviolate e, sempre ai rigori, la sorprendente
Repubblica Ceca elimina una quotatissima Francia,
guidata dalla sua nuova stella, Zinedine Zidane, e
composta da un gruppo di giocatori fortissimi che
solo due anni più tardi, a Parigi, alzerà la coppa
del Mondo. In finale la Repubblica Ceca si illude
del colpaccio, passando in vantaggio nella ripresa
con un rigore segnato da Berger. Tocca a un
tedescone, entrato dalla panchina al 69’, buttare
dentro il pallone del pareggio e, poco più tardi,
nei supplementari, quello del trionfo: Il suo nome è
Oliver Bierhoff, uno dei più grandi colpitori di
testa della storia, che appena entra insacca alle
spalle del ceco Kouba il primo pallone che si vede
capitare davanti e al 5’ dei supplementare inaugura
la nuova e crudele (per chi perde) regola del golden
goal, con un diagonale beffardo che si insacca. La
sua esultanza coincide con la conquista del terzo
alloro continentale da parte della Germania.
Si entra nel nuovo millennio, la formula è la
stessa. Alla guida dell’Italia nel 2000 c’è Dino
Zoff, già campione europeo nel 1968 da portiere. La
Francia campione del Mondo è guidata da Roger
Lemerre, che sostituisce Aimé Jacquet al timone
della Nazionale. Queste due, insieme alla Spagna di
Raul e all’Olanda padrone di casa (si tratta del
primo Europeo organizzato in tandem: l’altro Paese
ospitante è il Belgio), paiono sulla carta le
formazioni destinate a giocarsi il trofeo. Nel primo
gruppo i pronostici vengono sovvertiti. Le favorite
Inghilterra e Germania, in cui gioca un rispolverato
campione come Lothar Matthaus, ormai trentanovenne,
soccombono alle più giovani forze di Portogallo e
Romania. Nel non proibitivo gruppo 2 vince l’Italia
a punteggio pieno e si qualifica per i quarti anche
la sorprendente Turchia, ai danni del Belgio e della
Svezia. Terzo gruppo appannaggio della Spagna e
della Jugoslavia, su Norvegia e Slovenia. Quarto
gruppo con Olanda a precedere Francia, Repubblica
Ceca e Danimarca. Per l’Italia, che finora gioca
discretamente e convince, sbarazzandosi nei quarti
di finale della Romania con due gol di scarto, sarà
però l’Europeo dei se e dei ma. Tutto è
riconducibile alla “staffetta” di riveriana e
mazzoliana memoria, che vede stavolta interessati i
due campioni azzurri Totti e Del Piero, il primo in
genere preferito come titolare. Negli altri quarti
di finale vincono le favorite, Portogallo, Olanda e
Francia passano così il turno, quest’ultima ai danni
della fortissima Spagna.
In semifinale si gioca una delle partite più
emozionanti della storia della Nazionale italiana.
Allo stadio di Amsterdam, di fronte a un muro di
sostenitori arancioni, l’Italia si trova a dover
affrontare tra mille difficoltà i padroni di casa
olandesi. Prima l’espulsione di Zambrotta, poi due
calci di rigore assegnati all’Olanda, uno parato da
Toldo e l’altro mandato sul palo da Kluivert.
Novanta minuti di assedio arancione con occasioni a
profusione fino ai calci di rigore finali. E’ qui
che Francesco Toldo si erge a eroe della giornata,
parando anche l’impossibile: due rigori respinti a
Frank de Boer e Bosvelt e un altro finito sulla
traversa consegnano all’Italia le chiavi dello
stadio di Rotterdam dove si svolgerà la finale.
Nell’altra semifinale la Francia rischia contro un
giovane Portogallo ricco anch’esso di bravi
giocatori tra cui i due campioni lusitani Figo e Rui
Costa, ma passa grazie a un golden goal di Zidane su
rigore, a tre minuti dai tiri dal dischetto.
Italia-Francia una finale con molte stelle,
nell’Italia giocano giocatori del calibro di
Cannavaro, Nesta, Maldini, Del Piero, Totti, nella
Francia campioni come Zidane, Thuram, Desailly,
Djorkaeff, Vieira, Trezeguet e Henry. L’Italia gioca
meglio e ipnotizza i campioni del mondo, passando a
inizio ripresa con il romanista Delvecchio. Zoff
prova stavolta a far giocare insieme i due campioni
Totti e Del Piero, ma quest’ultimo è impreciso sotto
porta in un paio di occasioni buone per consolidare
il risultato. Al quarto minuto di recupero, quando
già i tifosi di tutto lo Stivale erano pronti a
scendere in piazza a festeggiare la vittoria, accade
l’impensabile. Nell’ultima azione disponibile la
Francia va a segno con Wiltord e si guadagna il
diritto di giocare i supplementari. I tifosi
italiani allo stadio sono ammutoliti, quelli
transalpini intonano a gran voce la Marsigliese e
Trezeguet, sospinto dall’inerzia che il match stava
prendendo, segna dopo otto minuti il golden goal che
vale un Europeo.
Per mandar giù questo boccone amaro l’Italia dovrà
aspettare sei anni, con l’affermazione iridata in
Germania, anche perché la spedizione europea del
2004 risulta ancora sfortunata e amara. Siamo in
Portogallo. I padroni di casa si presentano con una
squadra giovane e con nuove ambizioni, sfoggiando la
nuova stella Cristiano Ronaldo. Nel suo gruppo se la
dovrà vedere con Spagna, Russia e Grecia. La Francia
campione uscente ha per rivale Inghilterra, Croazia
e Svizzera. Il gruppo D vede tre squadroni come
Repubblica Ceca, Germania e Olanda e una cenerentola
come la Lettonia. Il gruppo dell’Italia sembra il
più abbordabile, con Svezia, Danimarca e Bulgaria.
Nel calcio però, e soprattutto in un Europeo, può
accadere veramente di tutto. Capita ad esempio che
nella gara d’esordio i semisconosciuti greci
sconfiggano, anche abbastanza nettamente, i padroni
di casa portoghesi; oppure che in un girone, per
un’assurda e molto improbabile combinazione di
risultati, due squadre possano, con un determinato
punteggio, passare entrambe, ai danni di una terza.
E’ quello che accade all’Italia di Giovanni
Trapattoni. Esordio da dimenticare 0-0 con i danesi
e brutto episodio antisportivo che coinvolge la
stella Francesco Totti (sputò all’avversario
Poulsen), quindi pareggio per 1-1 con la Svezia
grazie a un rocambolesco gol di Ibrahimovic. A causa
di uno sfortunato incrocio di risultati, l’Italia
deve vincere con la Bulgaria nell’ultima partita e
sperare che tra Svezia e Danimarca non finisca 2-2.
Con qualsiasi altro risultato agli azzurri
basterebbe vincere, mentre con il 2-2 tra Svezia e
Danimarca sarebbero matematicamente estromessi. Alla
fine il 2-2 si materializza e con tre squadre a pari
punti in testa al girone, passano Svezia e Danimarca
e torna a casa l’Italia per peggior classifica
avulsa. Negli altri gironi dentro Francia,
Inghilterra, Repubblica Ceca e Olanda, fuori ancora
una volta la Germania.
D’ora in poi potrebbe pure dirsi concluso il
resoconto storico sugli Europei di calcio, perché a
questo punto la storia sembra sfumare nella
fantasia, arrivando a narrare la più incredibile
vicenda che il calcio moderno possa raccontare. La
storia di una squadra quotata 1 a 100 dagli
scommettitori all’inizio del campionato, che riesce
nell’impresa di conquistare un trofeo difficile come
l’Europeo. Stiamo parlando della Grecia, guidata dal
tedesco Otto Rehhagel, che ha il merito di impostare
una squadra umile e quadrata, che gioca un calcio
semplice ma di un cinismo micidiale. E’ così che con
tre “1-0” consecutivi una squadra di
semi-sconosciuti scala la vetta più alta.
è
così che Davide batte i vari Golia che incontra.
Prima la Francia, eliminata da un colpo di testa di
Charisteas, poi la Repubblica Ceca, mandata a casa
nei supplementari da un gol del romanista Dellas, e
infine ancora loro, i padroni di casa del
Portogallo, arrivati per la prima volta a un passo
da un titolo internazionale (per giunta in casa) e
che invece vedono ripetersi l’incubo della gara
d’esordio stavolta con conseguenze irrimediabili.
“Carneade” Charisteas segna di testa al 57’ della
finalissima e regala una gioia enorme a una nazione
calcisticamente giovane consegnando agli annali una
storia meravigliosa da raccontare. |