[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

182 / FEBBRAIO 2023 (CCXIII)


filosofia & religione

CHE COS’È LA STORIA?
LA DISPUTA DI FINE OTTOCENTO TRA CROCE E VILLARI / Parte II

di Stefano De Stefano

 

Credo di aver riportato i contenuti essenziali dei due saggi e le tesi che ne scaturiscono. La posizione di Croce appare, ed è, ben delineata, costruita con un argomentare fluido e non contraddittorio anzi, direi che il procedere di Croce sia caratterizzato da contrapposizioni nette dalla cui soluzione si deducono, quasi geometricamente, i risultati.

 

Nel caso di Villari, invece, si ha l’impressione che la soluzione al dilemma se la storia sia arte e/o scienza non sia affatto definita una volta per tutte. Seguendo l’insegnamento della scuola storica tedesca, Villari riconosce nella questione del metodo un punto importante per la scienza ma, nell’introdurre la categoria della vitalità, osserva che i contenuti storiografici esprimono una loro peculiarità; a questo punto il compito importante dovrebbe consistere nel salvaguardare questa peculiarità rimanendo nell’alveo della conoscenza scientifica. Compito arduo, peraltro avversato da Croce che mira a scardinare in maniera radicale il possibile collegamento della storia con la scienza che darebbe luogo a una nuova filosofia della storia vista come prerogativa della filosofia positivistica, intesa come un tutto unitario e senza crepe.

 

In un saggio del 1895, Intorno alla filosofia della storia, alla fine Croce pone tre domande che riguardano la possibilità che alla filosofia della storia sia riconosciuta la legittimità di una conoscenza scientifica e la sua risposta è negativa.

 

In quello stesso saggio Croce cita alcuni passi di Villari e polemizza contro l’uso della filosofia della storia, interpretata da Villari anche come scienza della storia. Croce vede riproposto, nel saggio La storia è una scienza?, proprio quel finalismo trascendente che avrebbe privato del tutto la storia dell’uomo di ogni anelito alla libertà, trasformandola in una serie di sequenze meccaniche tutte, appunto, finalisticamente orientate.

 

Ora, i rilievi apportati da Croce al saggio villariano sono espressione di una critica serrata alle impostazioni di stampo deterministico riscontrabili, in generale, nella storiografia positivistica europea, tuttavia bisogna chiedersi se, effettivamente, si possa leggere Villari soltanto entro questo schema interpretativo.

 

Nel Discorso inaugurale tenuto all’Istituto di Studi superiori di Firenze il 16 novembre 1868, Villari afferma: «Oggi, però, la storia non è più un’arte solamente, è divenuta anche una scienza. Non intendo qui parlare di quella che chiamano filosofia della storia, la quale è piuttosto, com’indica il suo nome, un’applicazione della filosofia alla storia, e piglia da questa i fatti, senz’obbligo di verificarli con nuove ricerche». Qui non solo risulta problematica l’assimilazione della storia alla filosofia della storia ma anche le relazioni della storia con l’arte e con la scienza diventano più articolate.

 

Se poi ci atteniamo alla ricostruzione fatta da Eugenio Garin dell’ambiente culturale fiorentino negli anni Sessanta e Settanta del secolo XIX si può definire il ruolo di Pasquale Villari come di un animatore di cultura storica, sempre attento a non rimanere invischiato in schemi precostituiti e forme mentali paralizzanti anche se poi Gentile lo definirà semplicemente un «grande entusiasta» non riconoscendogli, in alcun modo, l’impegno storiografico.

 

Comunque se è indubbio che Villari si avvalga più volte dell’espressione “filosofia della storia”, è altrettanto vero, però, che egli non intende connotarla in senso meccanicista e/o trascendente. Tuttavia Croce, il giovane Croce, sottolinea con insistenza il carattere non rigoroso del saggio del 1891 scritto dall’anziano studioso, napoletano pure lui; è il caso, quindi, di soffermarsi sulla questione.

 

Nel 1854 Villari pubblica Sull’origine e sul progresso della filosofia della storia. Nel ricostruire il percorso che ha caratterizzato l’evoluzione degli studi storici dall’antichità al secolo XIX, e nell’evidenziare come lo sforzo principale sia stato teso a costruire una narrazione storica con un carattere sempre più strutturato così che, nel tempo, questa narrazione potesse acquisire un valore se non altro utile per l’orientamento dell’agire umano, Villari approda al concetto di filosofia della storia.

 

Esaminiamo brevemente alcuni passaggi della ricostruzione di Villari che toccano il libero arbitrio, il ruolo delle scienze naturali e il determinismo filosofico.

 

Ragionando sulla posizione di Federico Schlegel in merito alla filosofia della storia, Villari presenta i termini della questione relativa alla possibilità di ricondurre il cammino dell’umanità a costanti, a leggi, accostandosi al metodo della conoscenza naturale. Nella ricostruzione di Villari, Federico Schlegel, che interviene dopo il sensismo settecentesco, pone al centro della storia il libero arbitrio, sia pure in un contesto in cui il cattolicesimo costituisce l’orizzonte valoriale.

 

Soggetto della storia umana, per Schlegel, è l’uomo, essere naturale dotato del libero arbitrio e, conseguentemente,afferma Schlegel, «senza l’idea di libertà, la scienza della storia è impossibile». In questo modo, però, si genera una situazione problematica che rischia di portare a due possibili alternative: o la natura impone all’uomo leggi che ne strutturano e finalizzano le scelte o l’uomo è assolutamente libero di agire secondo il proprio arbitrio. La Filosofia della storia esprime la prima condizione mentre nella seconda non c’è spazio per alcuna scienza della storia.

 

Quanto alla storia, o scienza sociale, chiare e illuminanti appaiono le parole di Villari nei confronti della filosofia di Comte e verso ogni tentativo di applicazione del metodo delle scienze naturali alla scienza sociale. Così come per quello che viene chiamato determinismo delle azioni umane si sostiene, seguendo J.S. Mill, che non si intende affidarsi a qualche forma di fatalismo ma che si vuole solo affermare che, comunque, le azioni umane sono il frutto di condizionamenti e non della assoluta arbitrarietà. Ed è qui che si innesta la riflessione di Villari su come interpretare il libero arbitrio dell’uomo. Villari osserva che «si è da molti travisato il vero concetto di libertà». La libertà non è espressione di una volontà disordinata ma è la possibilità di seguire la ragione presente nell’uomo. «La fisiologia – scrive – è la ragione della vita animale». Ma le leggi che guidano il corpo non sono le stesse che guidano l’anima.

 

«La differenza che passa tra la materia e lo spirito, non è già nell’essere l’una sottoposta a leggi, e l’altro dipendere da una volontà disordinata e cieca: vi sono leggi eterne, irremovibili per l’uno e per l’altra; ma la ragione di quelle della materia è tutta fuori di essa, mentre lo spirito trova in se stesso la ragione delle sue leggi, egli ha coscienza del suo essere».

Ecco dunque che «l’idea di libertà non esclude l’idea di legge» laddove per legge non s’intende una struttura trascendente o meccanicistica ma la capacità di discernimento nei confronti delle occasioni che ci si presentano.

 

Perciò, se la ragionevolezza è il fondamento delle azioni umane e se ragionevolezza vuol dire non affidarsi al caso ma scegliere responsabilmente tra le alternative che, volta per volta, si incontrano, allora la ricostruzione, a posteriori, di queste operazioni guidate dalla ragionevolezza può portare a quella connessione logica dei fatti di cui parlerà Villari nella conferenza La storia è una scienza?, e che è il tratto fondamentale della storia come scienza o di una filosofia della storia, così intesa da Villari, che dovrebbe consentire di conoscere, guidati dall’esperienza, i criteri che orientano le azioni umane, senza annullare il libero arbitrio ma tenendo conto che la ragione costituisce un elemento che tende a orientare il comportamento dei singoli secondo criteri comuni.

 

Facciamo quindi il punto sulle due posizioni. Villari sostiene che non si possa assimilare totalmente la storia all’arte e che, nella disciplina storica, è possibile riscontrare affinità con la scienza. Si tratta della raccolta dei dati, del loro confronto, della loro analisi che si svolge al fine di trovare quei fattori costanti che ci consentano di riferirci a tendenze che potrebbero individuare, a posteriori, una specie di direzione degli eventi. Tutte queste attività non esauriscono il compito della storia ma hanno bisogno di metodi, strumenti analitici e sistematici che rimandano a strutture cognitive ben definite. La scienza garantisce l’ordine dei dati e, per questo, la storia è anche scienza (posizione di Ranke).

 

Croce, invece, riconosce la storia nella narrazione (non negata da Villari) e, riconducendo la narrazione alla retorica e quest’ultima all’arte, inserisce la storia nel “concetto generale dell’arte”. L’arte, per Croce, è conoscenza, attività cognitiva; l’arte è anche applicazione costante volta a rappresentare realtà che vengono osservate in tutte le loro caratteristiche. Ciò che viene osservato, per Croce, è qualcosa di unico e irripetibile, è la manifestazione della realtà nei suoi aspetti più particolari e, appunto, individuali; si tratta della ricchezza della realtà che esprime molteplici peculiarità agli occhi di un osservatore.

 

Queste peculiarità possono essere valorizzate per gli interessi che sollecitano in senso ampio e generale, e si ha l’arte, o per quegli interessi legati al “realmente accaduto” che diviene “storicamente interessante”, e si ha la storia. In entrambi i casi, però, noi ci rappresentiamo l’individualità, e la conoscenza dell’individualità ha a che fare con l’individualità in quanto tale e non con strutture o leggi aventi carattere astratto e generale. L’unica tecnica in grado di esprimere queste attività è la narrazione e tale è la storia come arte.

 

L’argomentazione di Croce è svolta in maniera coerente e rigorosa e le conclusioni che ne scaturiscono sono logicamente congruenti. Tuttavia vale la pena di osservare che a proposito della relazione storia-scienza Croce non assume sempre posizioni drastiche come nella polemica col Villari. Nel 1895 nel saggio Sulla classificazione dello scibile, discutendo di scienze dei concetti e scienze descrittive, non avrà difficoltà ad accettare che la storia sia inserita nell’ambito delle scienze descrittive o improprie e, dunque, possa essere considerata scienza.

 

Con il Villari le cose stanno un po’ diversamente. In effetti la posizione che Villari esprime negli anni Novanta del secolo XIX è frutto di un sapere che si è costituito anche attraverso ripensamenti perfino nei confronti del positivismo, del quale pure è considerato l’alfiere in Italia. Per l’appunto, nel saggio in oggetto (La storia è una scienza?), Villari, nell’affrontare la questione della storia, prende le mosse da Comte, suo maestro, e cerca di presentare la storia come un’espressione fra le più significative del positivismo.

 

La storia rileva l’evoluzione dell’umanità e ci spinge a credere che lo scorrere del tempo inneschi un continuo miglioramento/accrescimento dell’esperienza e prepari, per l’umanità, una serie sempre più ampia di opportunità proficue. Diventa possibile perciò sostenere che il progresso dell’umanità sia direttamente proporzionale alla capacità, che l’umanità esplica, di conoscere e controllare la natura fisica.

 

Dall’antichità a Comte, passando per Galilei, le accresciute conoscenze umane sono state organizzate nella scienza della natura che, nel corso dei secoli, ha acquisito tecniche e metodiche sempre più perfezionate e sempre più in grado di consentire all’umanità di interagire positivamente col mondo fisico. È il modello gnoseologico della scienza della natura.

 

Villari si rende conto della forza di un tale modello ma si rende anche progressivamente consapevole di un fatto importante: la conoscenza di ciò che è fuori di noi non può fungere da modello totale per la conoscenza di noi stessi. Ora, la storia si muove su questo delicato crinale tra il “fuori” e il “dentro”.

 

Il positivismo di Comte, invece, non è sensibile a queste differenze e tende ad appiattire la conoscenza storica sul modello delle scienze naturali. Viceversa Villari coglie due punti: 1) la storia non può rompere con le scienze naturali perché queste rappresentano il fattore positivo dell’umanità, la linea del progresso e del miglioramento; 2) la storia si caratterizza diversamente dalle scienze naturali poiché ha a che fare col fattore “libertà” (vedi il saggio villariano del 1854, precedentemente citato) che richiama la condizione della possibilità, riferita, da Croce, all’arte.

 

Qui, mi pare, si possano riscontrare le principali differenze tra le due posizioni: l’anziano Villari riporta riflessioni sulla storia che tengono conto di dubbi e ripensamenti frutto di esperienze pluridecennali a seguito delle quali sembra capire di non poter più abbracciare, con l’entusiasmo giovanile, la filosofia positivista, almeno nell’accezione comtiana; il giovane esordiente Croce esprime posizioni chiare, rigorose e coerenti e che non conoscono ancora l’influenza del dubbio.

 

La sicurezza che Croce manifesta nel sostenere le posizioni della Memoria del 1893 lo porta anche a usare espressioni molto forti nei confronti di Pasquale Villari dando l’impressione di non ritenerlo degno di produrre contributi storiografici seri. «Una filastrocca senza capo né coda, in cui né il problema è posto bene o almeno chiaramente, né la trattazione è rigorosa, e neanche l’erudizione troppo scelta, ricorrendo il Villari, con singolare predilezione, all’autorità di alcuni meschini articoli filosofici di riviste inglesi», così scrive Croce nel 1895.

 

Villari, sin dall’inizio del saggio del 1891, non elude le difficoltà relative al rapporto storia-scienza-arte. Non cerca però di definire deduttivamente la questione ma cerca di capire quali siano state le risposte che, fino a quel momento, sono emerse. Il riferimento agli storici inglesi, sviluppato nelle prime pagine, svolge il ruolo di presentare alcune risposte operative con le quali, però, Villari mostra di non concordare completamente. Punto di riferimento positivo viene considerato Leopold Ranke la cui posizione ha il pregio di cogliere la complessità del problema evitando conclusioni perentorie. «La storia….. è un’arte e una scienza nello stesso tempo».

 

Sempre con l’intento di riferirsi alla storiografia del secolo XIX, Villari riporta la posizione della scuola storica tedesca e di Bernheim proprio in risposta ai tentativi, avanzati dalla storiografia positivista, di applicare alla storia il metodo delle scienze naturali. Rafforza la prudenza verso il positivismo anche l’analisi della posizione di Humboldt dalla quale Villari ricava che il rapporto della storia con la scienza e con l’arte va ponderato e non può essere risolto, dato il carattere complesso della materia, con scelte che intendano porsi su un piano solamente logico. Perciò diventa difficile interpretare il parere di Croce, espresso nella Memoria, secondo il quale, nello scritto del Villari, «le questioni sono trattate per lo più in modo comune».

 

Dalla ricognizione storiografica operata da Villari, enucleiamo la domanda essenziale nell’esame del secolo XVIII: «Ma come mai da una natura immutabile vengono fuori costumi tanto mutabili?». La domanda nasce dalle posizioni illuministiche ed è fondamentale per cogliere le caratteristiche della scienza della storia.

 

L’intento di Villari consiste nel cercare di capire se sia possibile riconoscere delle costanti nell’evoluzione dell’umanità, oggetto della storia, sfuggendo alla morsa deterministica del positivismo comtiano che provoca un appiattimento della storia sulle scienze naturali; successivamente si tratterebbe porre le basi per una scienza della storia che tenga nel debito conto la libertà individuale.

 

Il tema della libertà individuale diventa cruciale per la filosofia della storia, disciplina contestata da Croce perché, sia nella forma hegeliana che in quella positivistica, finisce per annullare proprio la funzione autonoma dell’individualità.

 

Ricordo le tre domande con le quali Croce conclude il saggio del 1895 sulla filosofia della storia e la generale risposta negativa di Croce circa la possibilità che alla filosofia della storia sia riconosciuta la legittimità di una conoscenza scientifica. La posizione di Croce è drastica: ogni accostamento della storia alla scienza riproporrebbe le deformazioni della filosofia della storia facendo venire meno il fattore vitale delle vicende umane: la libertà. Non così Villari, come abbiamo già visto, che tuttavia, va sottolineato, prende le distanze da una subordinazione della storia alle scienze naturali senza con questo rinunciare alla scienza. E, a mio avviso, il nodo è proprio questo: il diverso concetto di scienza al quale Croce e Villari facevano riferimento alla fine del secolo XIX. Ma qui si entrerebbe in un ambito molto più ampio sul quale non è il caso di soffermarsi in queste note.

 

Riprendendo La storia è una scienza?, l’indagine storiografica di Villari si sviluppa per molte pagine cogliendo l’importanza della soggettività dello storico nella ricostruzione narrativa. È come se sostenesse: accanto ai fatti c’è lo spirito, la coscienza dello storico che, evidentemente, opera a partire dalla selezione dei fatti stessi. Selezione che non è casuale ma risponde al criterio della “connessione logica dei fatti”, compito quanto mai difficile e non risolvibile con procedure meccanicistiche perché «quando vogliamo conoscere, in modo sicuro, le relazioni, che pure esistono tra i fatti storici e lo spirito umano, allora cominciano subito i dubbi infiniti, le divergenze e i sistemi» .

 

I dubbi e le divergenze derivano dalla consapevolezza, acquisita a partire dall’illuminismo, che la storia dell’uomo non può essere ricondotta a schemi precostituiti anche perché «L’uomo non appariva più, quale una volta, come un essere immutabile in tutti i tempi, in tutti i luoghi; con facoltà sempre identiche in ogni età, in ogni razza o civiltà diversa; ma d’ora in ora continuamente mutabile, e in questa sua mutabilità, in questo suo continuo divenire doveva essere studiato».

 

In poche parole Villari sostiene che la stessa espressione “scienza della storia” deve tener conto di tutto quanto nell’uomo non sia riconducibile a causalità meccanica. «I moti dell’animo non si traducono in formule». Si può comprendere qui la funzione del punto interrogativo nel titolo del saggio villariano: se ritroviamo nella storia le caratteristiche metodologiche della scienza, dobbiamo, altrettanto, tener conto che confluiscono nella storia esperienze, sentimenti, libertà non suscettibili di classificazione meccanicistica: «Il metodo adatto a ciò che si pesa e che si misura, non sarà mai adatto a ciò che non si pesa, né si misura».

 

In conclusione resta la difficoltà di comprendere le motivazioni delle persistenti valutazioni negative di Benedetto Croce nei confronti di questo impegnativo studio del Villari sulla natura della storia e, a tal proposito, credo che potrebbe risultare interessante riportare la considerazione che a questo stesso studio ha riferito il filosofo Fulvio Tessitore: «un saggio assai bello, forse il suo più bello, del 1891, che problematicamente si domanda, ancora una volta, La storia è una scienza?».

 

 

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