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N. 4 - Aprile 2008 (XXXV)

STORIA  della Costituzione
FINE del fascismo E NASCITA della carta costituzionale

di Michele Strazza

Con la caduta di Mussolini a seguito del deliberato del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943 si apre una fase convulsa della storia nazionale, che, per comodità di studio, divideremo in tre periodi: dal 25 luglio all’8 settembre 1943, contraddistinto dal tentativo monarchico di restaurazione statutaria; fino al giugno 1944 nel quale si espresse forte il conflitto tra monarchia e Comitato di Liberazione Nazionale; fino al giugno 1946 caratterizzato dal governo luogotenenziale.

Caduto, dunque, il fascismo il 25 luglio 1943, sembrò che il Re riprendesse il proprio ruolo di protagonista. Come sappiamo, anche se durante il fascismo era rimasto formalmente in vigore lo Statuto Albertino, in realtà esso era stato sovvertito, erano stati istituzionalizzati i nuovi poteri e le libertà statutarie dei cittadini erano state soppresse. Gli organi costituzionali tradizionali, dal Parlamento al Governo, pur formalmente mantenuti, erano stati o svuotati delle loro funzioni o trasformati del tutto. La stessa Monarchia era stata relegata in un angolo a un ruolo di semplice notaio delle decisioni del Regime.

L’arresto di Mussolini all’indomani della riunione del Gran Consiglio del Fascismo rappresentò, dunque, il tentativo de Re di riprendere in mano le redini della politica nazionale. Ma si trattò anche dello stesso tentativo della monarchia di trasferire tutte le responsabilità della catastrofe su Mussolini. Come ha evidenziato Costantino Mortati (Istituzioni di Diritto Pubblico, Ed. Cedam, Padova 1962, p. 157), il Re volle fare apparire il mutamento di governo come espressione dei poteri a lui conferiti dallo Statuto, nel presupposto che questo fosse da considerare automaticamente tornato in vita, nella sua struttura originaria, dopo l’eliminazione delle leggi fasciste.

A presiedere il nuovo governo venne chiamato Pietro Badoglio il quale si limitò alla abolizione formale di quegli istituti giuridici dell’ordinamento fascista più compromettenti, lasciando in vita l’impalcatura giuridica complessiva, per evitare di aprire la strada a quelle forze antifasciste ritenute sovversive. Badoglio cominciò a sopprimere mediante decreti legge il Partito Fascista e numerose sue appendici. In questo modo – afferma Paolo Barile (Istituzioni di diritto pubblico, Ed. Cedam, Padova 1978, p. 79) – sia pure implicitamente accadde che, vietato l’unico partito ammesso nel precedente regime, venisse “a contrario” a riconoscersi la liceità di una pluralità di partiti. Di qui il ritornare alla luce o il ricostituirsi delle formazioni politiche antifasciste.

Ma traspare subito una netta opposizione tra il gabinetto Badoglio e i partiti democratici che insistono per un governo di unità nazionale e per la rottura immediata ad ogni costo con la Germania. A tale proposito i partiti il 13 agosto approvano un ordine del giorno con il quale si dissociano dalle responsabilità di Badoglio e della monarchia. Ma anche all’interno degli stessi partiti si distinguono varie posizioni: “alcuni, già ora, sostengono la necessità di un programma più decisamente rivoluzionario e dichiaratamente ostile nei riguardi della monarchia che dev’essere abbattuta; altri invece sono disposti ad appoggiarla e persino a favorirla concedendole una possibilità di salvezza per i meriti che si è acquistata di fronte al popolo italiano con il colpo di stato del 25 luglio, infine non bisogna dimenticare i comunisti i quali, pur riservandosi il futuro e piena libertà d’azione a guerra finita, sono disposti a rinviare ogni discussione sulla questione istituzionale al termine delle ostilità, e a collaborare per l’istante con la monarchia, a patto che essa accetti l’alleanza col popolo, cioè la linea di condotta proposta dai partiti” (Federico Chabod, L’Italia contemporanea 1918-1948, Ed. Einaudi, Torino 2006, p. 115).

Arriviamo così all’8 settembre 1943, giorno dell’annuncio dell’armistizio firmato il 3. Tra le 7 e le 8 di sera, gli italiani apprendono dalla radio l’annuncio dell’armistizio con gli alleati. All’alba del giorno dopo il Re e Badoglio abbandonano Roma e raggiungono Pescara per imbarcarsi per Brindisi dove, per qualche mese, si frasferisce formalmente il governo italiano. L’Italia è in piena confusione, divisa in due dalla guerra ed in ognuna di esse impera la legge di un diverso esercito di occupazione.Gli alleati erano, infatti, sbarcati a Salerno e nel nord, liberato Mussolini il 12 settembre, si era costituitata la Repubblica di Salò che si impegnava a continuare la guerra con i tedeschi. E’ ormai guerra civile.

A Roma, intanto, il 9 settembre 1943, sotto la presidenza di Ivanoe Bonomi, si erano riuniti i rappresentanti dei 6 partiti antifascisti (liberali, democristiani, democratici del lavoro, partito d’azione, socialisti, comunisti) che avevano dato vita al Comitato di Liberazione Nazionale per chiamare gli italiani alla lotta e per conquistare all’Italia il posto che le competeva nel consesso delle libere Nazioni. Di qui il moltiplicarsi di tali organismi nelle varie realtà del territorio nazionale i quali, specialmente nel settentrione, assunsero spesso le funzioni di governi provvisori e comandi militari. Il 16 novembre 1943, su incarico del Re, Badoglio costituisce il suo secondo governo, anch’esso senza la presenza di politici ma con soli tecnici.

Da subito i partiti antifascisti mostrano la propria contrarietà alla prosecuzione del governo Badoglio e ai progetti dello stesso Re di cui chiedono l’abdicazione. Il 28 e il 29 gennaio 1944, infatti, si celebra a Bari un grande congresso delle forze politiche antifasciste dove si chiede, altresì, la convocazione di una assemblea costituente da eleggersi appena finita la guerra.

A questo punto interviene un colpo di scena. Il governo Badoglio, che non era stato ancora formalmente riconosciuto dalle potenze alleate, il 13 marzo viene riconosciuto dall’Unione Sovietica di Stalin che batte d’anticipo le nazioni democratiche. Gli Ango-americani, presi alla sprovvista e tutt’altro che soddisfatti, sono costretti anche loro alla ripresa ufficiale delle relazioni diplomatiche e a cambiare il proprio atteggiamento nei confronti delle forze politiche antifasciste italiane. Fino ad allora, infatti, gli Alleati non avevano voluto accettare le richieste, avanzate dai partiti, di un governo politico italiano, ma ora, con il riconoscimento dell’URSS, si rendono conto dell’impossibilità di proseguire in tale atteggiamento: “comprendono che irrigidendosi e continuando a scoraggiare gli antifascisti dall’occuparsi di politica, tutte le simpatie finirebbero con l’andare ipso facto alla parte sovietica”.

Anche Togliatti, nuovo capo del Partito Comunista, è ormai convinto della necessità di rinviare la “questione monarchica” al dopoguerra e della costituzione di un governo con l’appoggio dei partiti democratici, mostrando la propria disponibilità a collaborare con Badoglio. Fra la Corona e la c.d. “esarchia” la fase di scontro aperto viene così sostituita da una tregua fondata sulla rinuncia, da ambedue le parti, degli aspetti più estremi delle diverse tesi. E’ una vera a propria “tregua istituzionale”, garantita dal “patto di Salerno”, stipulato nella primavera del’44 nella città che è la nuova sede del governo Badoglio. Partiti e monarchia si accordano nel rinviare la questione istituzionale alla fine della guerra quando una consultazione popolare avrebbe deciso il futuro monarchico o repubblicano dell’Italia. Il 21 aprile 1944 il governo Badoglio viene sostituito da un nuovo governo guidato dallo stesso Badoglio, primo governo di politici e non di soli tecnici, con la partecipazione dei sei partiti antifascisti. Il 4 giugno Roma viene liberata.

Con la liberazione della capitale inizia il terzo periodo che stiamo esaminando. Seguiamone brevemente i passaggi: a) 5 giugno 1944, dimissioni di Badoglio, Vittorio Emanuele III nomina il principe Umberto “Luogotenente Generale del Regno”per l’esercizio di tutte le prerogative regie dopo la rinuncia “definitiva e irrevocabile” del Re (R.D. n. 140 del 5 giugno 1944); b) 18 giugno 1944, governo Bonomi, con ministri scelti in pari numero nei sei partiti del CLN; c) 25 giugno 1944, Decreto Legge Luogotenenziale n. 151, il Governo assume l’impegno di promuovere, alla fine delle ostilità, una consultazione popolare che risolva il problema istituzionale mediante “referendum” e insieme elegga i deputati di una “Assemblea Costituente” per redigere la nuova carta costituzionale dello Stato; d) 28 febbraio 1945, il Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia si vede affidati due importanti compiti di rilievo costituzionale: la rappresentanza del governo italiano nella lotta contro i nazi-fascisti e la predisposizione del ritorno delle zone occupate alla vita civile e politica; e) 5 aprile 1945, D.L.L. n. 146 (seguito dal D.L.L. n. 168 del 30 aprile 1945), istituzione della Consulta Nazionale, organismo di espressione delle forze politiche e di collaborazione all’azione di governo; f) 25 aprile 1945, giorno della liberazione, avviene l’insurrezione generale in tutto il nord. Le città vengono liberate dai partigiani prima dell’arrivo delle truppe alleate; g) 10 dicembre 1945, Alcide De Gasperi, leader della Democrazia Cristiana, diventa Presidente del Consiglio dei Ministri; h) 9 maggio 1946, abdicazione di Vittorio Emanuele III in favore del Luogotenente che assume il titolo di Re d’Italia con il nome di Umberto II; i) 2 giugno 1946, il popolo italiano vota per la Repubblica ed elegge i deputati all’Assemblea Costituente.

Il 2 giugno 1946, dunque, gli italiani con almeno 21 anni di età vengono chiamati alle urne per il referendum tra monarchia e repubblica e per l’elezione dei componenti dell’Assemblea Costituente. La partecipazione al voto è consistente: su una popolazione di 45.685.888 abitanti, vota l’89,10 % degli aventi diritto (28.005.449) per un totale di 24.946.878 votanti. Oltre il 54 % degli elettori sceglie la Repubblica, con un margine di appena 2 milioni di voti, decretando la fine della monarchia.

Il 10 giugno il Primo Presidente della Corte di Cassazione, Giuseppe Pagano, preso atto dei voti espressi, sul cui computo non mancano polemiche, proclama ufficialmente il risultato favorevole alla Repubblica. Umberto II, passato alla Storia con l’appellativo di “Re di maggio”, il 13 giugno lascia l’Italia con la propria famiglia, prendendo la strada dell’esilio. Il sistema elettorale prescelto per la consultazione è quello proporzionale, con voto “diretto, libero e segreto a liste di candidati concorrenti”, in 32 collegi plurinominali, per eleggere 573 deputati. In realtà i deputati eletti sono 556 perché le elezioni della provincia di Bolzano e della circoscrizione Trieste-Venezia Giulia-Zara non vengono effettuate. Alla consultazione elettorale per la prima volta prendono parte le donne.

In base all’esito elettorale l’Assemblea Costituente risulta così formata: DC 35,2%, PSIUP 20,7%, PCI 19%, Unione Democratica Nazionale (liberali, demolaburisti ed indipendenti) 6,8%, Uomo Qualunque 5,3%, PRI 4,3%, Blocco Nazionale delle Libertà 2,5%, Partito d’Azione 1,4%. Questa la divisione dei seggi: DC 207, PSIUP 115, PCI, 104, UDN 41, Uomo Qualunque 30, PRI 23, Blocco Naz. Libertà 16, Partito d’Azione 7, Mov. Indip. Sicilia 4, Partito Sardo d’Azione 2. Concentr. Dem. Repub. 2, altri 5.

L’Assemblea si riunì per la prima volta a Montecitorio il 25 giugno 1946. Presiedette la seduta, in qualità di decano dei deputati, Vittorio Emanuele Orlando che tenne un breve discorso di saluto nel quale sottolineò essere quella la prima assemblea della storia d’Italia che rappresentasse il popolo “nella sua totalità perfetta, senza distinzione né di sesso, né di classi, né di regioni o di genti”. Il compito immane che avevano di fronte i Costituenti era – continuò Orlando – la ricostruzione dello Stato italiano in un momento in cui nella eterna battaglia tra la libertà e la tirannide sembrava che i popoli cercassero un “ubi consistam” fra il tramonto del governo parlamentare e il delinearsi di un ordine nuovo in cui i partiti, da semplici forze politiche, sarebbero venuti assumendo “figura e caratteri di natura giuridica costituzionale, come organizzazioni delle masse sociali rappresentative del lavoro, considerato quest’ultimo come il fattore ormai assolutamente prevalente nella produzione e nella distribuzione della ricchezza” (AA.VV., Storia del Parlamento italiano, vol. XIII, Flaccovio Editore, Palermo 1969, p. 243).

Nel corso della seduta fu eletto (con 401 voti su 468 votanti) Presidente Giuseppe Saragat che dopo si dimise e fu sostituito, l’8 febbraio 1947, da Umberto Terracini. La durata dell’organismo venne prorogata due volte: fino al 24 giugno 1947 con Legge Costituzionale n. 1 del 21 febbraio 1947 e, infine, fino al 31 dicembre 1947 con Legge Costituzionale n. 2 del 17 giugno 1947, entrambe approvate dalla stessa Assemblea. L’Assemblea Costituente rimase tuttavia in attività fino al 31 gennaio 1948, in applicazione della XVII disposizione della Costituzione per approvare la legge elettorale per il Senato e la legge per la stampa.

Ai sensi del D.Lgs. Luogotenenziale n. 98/1946 la Costituente assunse anche le funzioni di organo legislativo, stabilendo nel proprio regolamento interno, che tutti i disegni di legge provenienti dal Governo dovessero, salvo casi di estrema urgenza, esserle trasmessi. L’Assemblea avrebbe, poi, deciso di volta in volta quali di tali disegni dovessero essere deferiti alla propria deliberazione. L’Assemblea discusse, così, le comunicazioni dei vari governi succedutisi nel periodo della sua vigenza, votando, dunque, la fiducia al II, III e IV governo De Gasperi. Approvò anche le leggi elettorali della Camera e del Senato, nel luglio del 1947 si occupò della ratifica del Trattato di pace ed esercitò persino un’attività di controllo sulle azioni del Governo a mezzo di interrogazioni ed interpellanze.

Il 28 giugno la Costituente elesse Enrico De Nicola “Capo provvisorio dello Stato” con il compito di esercitare tali funzioni fino ad elezione del nuovo Capo dello Stato a norma della Costituzione. L’Assemblea deliberò anche la nomina di una commissione ristretta, composta da 75 membri scelti dal Presidente sulla base delle designazioni dei gruppi parlamentari, con il compito di predisporre, senza una preventiva indicazione di criteri e principi direttivi, il progetto di Costituzione da sottoporre all’approvazione dell’intera Assemblea.

La c.d. Commissione dei 75 venne nominata il 19 luglio 1946 e iniziò i suoi lavori il giorno successivo. Presieduta da Meuccio Ruini, si divise in 3 sottocommissioni: la prima sui diritti e doveri dei cittadini, presieduta dal democristiano Umberto Tupini; la seconda sull’organizzazione costituzionale dello Stato, presieduta dal comunista Umberto Terracini; la terza “Lineamenti economici e sociali”, presieduta dal socialista Gustavo Ghidini. Mentre la prima e la terza erano composte ciascuna di 18 membri, la seconda, a causa dei compiti più ampi e gravosi, era formata da 38 deputati. La seconda sottocommissione venne articolata in due sezioni, una per il potere esecutivo, presieduta da Umberto Terracini, e l’altra per il potere giudiziario, presieduta da Giovanni Conti. Essa, inoltre, affidò ad un comitato di 10 suoi componenti, presieduto da Gaspare Ambrosini, la redazione di un progetto sull’ordinamento regionale.

Come ben ha sottolineato Leopoldo Elia (La Commissione dei 75, il dibattito costituzionale e l’elaborazione dello schema di Costituzione, in “Il Parlamento Italiano”, Vol. XIV, Nuova CEI Ed., Milano 1989, p. 130), le sottocommissioni non furono affatto articolazioni tecniche della Commissione dei 75 ma, come lo stesso Comitato di redazione, “assunsero natura di organismi politici, che riproducevano nel microcosmo le dimensioni delle forze politiche presenti in Assemblea ed in Commissione”.

Si noti che dalla Commissione dei 75 vennero esclusi gli ex Presidenti del Consiglio Bonomi, Nitti e Orlando e lo stesso Benedetto Croce non fu chiamato a farne parte. La scelta voleva rappresentare “un chiaro distacco dalla tradizione politico-istituzionale del liberalismo italiano”, indicando la predominanza dei partiti che si presentavano ormai “come i nuovi protagonisti di una scena politica profondamente trasformata rispetto al passato” (Francesco Barbagallo, La formazione dell’Italia democratica, in AA.VV., “Storia dell’Italia repubblicana”, vol. I, Giulio Einaudi Editore, Torino 1994, p. 110).

Concluso il lavoro delle sottocommissioni, la parola passò ad un Comitato di redazione, composto di 18 membri, vero e proprio organo di raccordo tra le sottocommissioni stesse e la Commissione dei 75. Il Comitato di redazione (presieduto sempre dall’on. Ruini e del quale facevano parte i tre presidenti delle sottocommissioni) approntò il progetto di Costituzione, suddividendolo in “parti”, in “titoli” e in “sezioni”, coordinando i 217 articoli approvati in sede di sottocommissione e di sezione ed esaminando le proposte giunte dal Consiglio di Stato, dalla Corte di Cassazione e dal Ministero per la Costituente.

Il ruolo del Comitato, le cui sedute purtroppo non vennero verbalizzate, fu fondamentale. Non solo definì la struttura della Carta costituzionale, introducendo importanti innovazioni, ma rappresentò anche nel dibattito in aula l’intera Commissione, provvedendo al coordinamento finale ed alla stessa compilazione del testo definitivo dopo il dibattito finale.

La discussione del testo in Assemblea iniziò il 4 marzo e si concluse il 22 dicembre 1947. Ci vollero 170 sedute in 270 giornate di lavoro per approvare il testo definitivo. Vennero presentati ben 1.663 emendamenti sugli argomenti ritenuti più importanti, dalla potestà legislativa delle regioni alle forme di governo, dai rapporti con la Chiesa alle libertà fondamentali. Gli interventi in discussione furono 1.090 da parte di 275 oratori, 40 gli ordini del giorno votati. Fu nella seduta pomeridiana del 22 dicembre 1947 che si giunse, da parte dell’Assemblea Costituente, all’approvazione definitiva della nuova Carta Costituzionale con 453 voti favorevoli e 62 contrari su 515 presenti e votanti. Il momento venne accompagnato dall’intonazione dell’inno di Mameli da parte del pubblico delle tribune, imitato dai padri costituenti che si alzarono in piedi. Era nata “la Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

 

 

 

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