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N. 46 - Ottobre 2011 (LXXVII)

Storia dell’arco
Dal Paleolitico all’invenzione del long-bow

di Marta Franzin

 

L’arco è paragonabile a una molla a due bracci mantenuta in tensione da una corda che ne unisce le estremità; una volta teso, il dorso è sottoposto a uno sforzo di trazione mentre il ventre subisce una forza di compressione. L’energia che viene trasferita alla freccia si trova immagazzinata nei flettenti dello strumento.


Si ritiene che alla base dell’invenzione del sistema arco-freccia vi sia l’osservazione del trapano ad archetto, utilizzato dall’uomo preistorico per accendere il fuoco.

Le tracce più antiche relative all'uso dell'arco risalgono al Paleolitico Superiore (da 120.000 a 20.000 anni fa): famose sono le raffigurazioni pittoriche di cacciatori equipaggiati con arco e frecce nella grotta di Altamira in Spagna.


Il primo ritrovamento materiale inequivocabile risale però al periodo di transizione fra Mesolitico e Neolitico: particolarmente esemplificativi risultano gli archi ritrovati nell'acquitrino di Holmgaard in Danimarca. Costituiti da una singola asta di olmo con impugnatura rigida a separare flettenti larghi e appiattiti, questi archi hanno una lunghezza variabile tra 150 e 180 centimetri, che consente una notevole estensione della corda e pertanto accresce la velocità della freccia e la sua gittata.

A partire dal Paleolitico si possono individuare due filoni distinti nella progettazione degli archi, uno europeo e uno orientale: il primo è legato allo sviluppo dell’arco semplice, realizzato cioè in un unico pezzo utilizzando un solo tipo di materiale, il secondo invece è relativo all’arco “composto”, costruito con materiali diversi a seconda delle singole parti dello strumento.

L’evoluzione in Europa: l’arco semplice

Con il passaggio all’epoca storica in Europa non si registra una grande attenzione per l’arco: presso Greci e Romani è usato soprattutto come arma per la caccia e risulta essere più presente in ambito mitologico che sul campo di battaglia.


Gli arcieri più noti del mondo greco provengono non a caso da isole che potremmo definire “orientali”, ossia Rodi e Creta. Il tipo di arco usato è molto corto, composto da corna di antilope asiatica e di ariete congiunte al centro per mezzo di nervo animale, mentre una fasciatura di vello va a costituire l’impugnatura.


La grandiosa macchina militare romana non utilizza l’arco fino allo scontro con i Parti, iniziato nel I secolo a.C.: dopo averne subito l’abilità, Roma decide di assoldare questi arcieri a cavallo istituendo il corpo dei sagittarii, utilizzati in seguito per difendere i confini dell’impero dagli attacchi dei Germani. L’arco partico è corto e riflesso, composto da legno e tendine animale, e le sue dimensioni ridotte lo rendono estremamente adatto all'uso a cavallo.

In Europa la diffusione dell’arcieria ha inizio nei territori di Danimarca, Svezia e Inghilterra, grazie alle popolazioni di Sassoni, Normanni, Vichinghi e Franchi, anche se a questa altezza viene utilizzato ancora come arma secondaria in caso di assedio o nelle fasi di avvicinamento al nemico.


Non a caso nel primo millennio gli archi europei sono semplici e non particolarmente potenti a causa dello scarso interesse che si registra nel loro impiego bellico.

Il popolo che contribuì enormemente all’evoluzione dell’arco fu quello dei Gallesi, che ne fecero la loro arma principale nelle lotte contro i Sassoni. Il salto di qualità si ha infatti con l’invenzione del long-bow, che i Gallesi mutuarono dall’arco lungo dei Vichinghi. Dopo la conquista normanna del Galles (1282), questa tipologia di arco si diffonde in tutta l’Inghilterra divenendo un’arma di grande importanza tattico-strategica.


Il long-bow entra a far parte degli strumenti bellici come armamento della classe povera della popolazione, visto il suo basso costo di realizzazione: la maggior parte gli arcieri inglesi proveniva da villaggi e da contesti rurali e molti erano gli ex fuorilegge perdonati dalla Corona.


Il conflitto che consacra la fama degli arcieri inglesi armati di long-bow è la Guerra dei Cent’anni (1337-1453): proprio in questo contesto nasce la leggenda di Robin Hood.

L’evoluzione in Oriente: l’arco composto

In Oriente l’evoluzione dell'arco ha sviluppi diversi rispetto all’Europa: i costruttori sembrano concentrarsi più sui materiali da impiegare che sulla forma dei bracci dello strumento.


In particolare in Asia settentrionale e in Estremo Oriente si costruiscono archi corti, facili da maneggiare cavalcando, rinforzati con tendini animali. Si individuano inoltre materiali più resistenti del legno per realizzare archi a struttura mista: una sottile anima di legno, rinforzata con tendine sul dorso per sopportare lo sforzo di trazione e corno sul ventre per sopportare i carichi di compressione. La flessibilità dei materiali permette di tendere l'arco composto - in relazione alla sua lunghezza totale- molto di più di quanto si possa fare con un arco semplice, consentendo di scagliare una freccia con velocità e gittata maggiori a parità di sforzo di tensione.

Non è possibile individuare un preciso luogo di nascita dell’arco composto: si pensa che diverse culture lo abbiano sviluppato simultaneamente nel corso del III millennio a.C. in Mesopotamia, in Anatolia e nelle steppe dell' Asia settentrionale.


Dal momento che gli esempi più antichi di archi composti provengono da zone ricche di ottimo legname, si deve escludere che sia la mancanza di questo materiale la molla che ne ha innescato la realizzazione; si pensa invece che l’invenzione dell’arco composto sia legata al diffondersi dell'impiego del cavallo in battaglia nel corso del III millennio a.C.


Uno dei più antichi esempi materiali archeologicamente attestai è l’arco triangolare dell'Asia occidentale (III millennio a.C.): la sua caratteristica principale è di formare un triangolo ottusangolo quando è incordato e un semicerchio quando viene teso. Raffigurazioni di questi archi appaiono su sigilli mesopotamici, su pitture murali di tombe egizie e su rilievi monumentali assiri, testimoniando un periodo d’uso che va dal 2400 al 600 a.C.


Questa tipologia di arco viene soppiantata alla fine del VII secolo a.C. dall’arco detto “scita”, dotato di quattro curvature, impugnatura arretrata e flettenti riflessi terminanti in estremità ricurve.

Nel III secolo a.C. la popolazione dei Sarmati, passata alla storia per l’uso della cavalleria pesante corazzata, sviluppa e diffonde nuove tecniche di guerra che rendono necessaria la realizzazione di archi capaci di scagliare con maggior potenza frecce adatte a perforare le corazze.


Saranno Unni ed Avari, popoli nomadi dell’Asia centrale, a sviluppare la tecnologia necessaria a raggiungere lo scopo: irrigidendo le parti terminali dei flettenti con aggiunte in corno e facendo sì che queste puntino in avanti con un’angolazione accentuata, si crea un sistema che consente di tendere con meno sforzo un arco più pesante. Nell’operazione di tensione infatti la parte terminale del braccio si piega all'indietro aumentando la lunghezza della corda, mentre il riposizionarsi in vanti dei flettenti al momento del tiro, accorciando la stessa, imprime al dardo una maggiore velocità.

Nel XVII secolo nuove varianti vengono introdotte dai Turchi Ottomani e dalle tribù turche dell'Iran: le migliorie operate fanno sì che archi lunghi solamente 111-116 centimetri sviluppino una potenza paragonabile a quella dell'arco lungo inglese di dimensioni quasi doppie.

 

è proprio grazie a quest’arma che la cavalleria ottomana nel Medioevo muove alla conquista dell’Europa orientale.



 

 

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