N. 136 - Aprile 2019
(CLXVII)
STORIA DELL’AGRICOLTURA ITALIANA
PARTE III - IL ventennio fascista e la seconda guerra mondiale
di
Raffaele
Pisani
Il
periodo
che
va
dal
1922
al
1925,
con
Alberto
De
Stefani
alle
finanze
e
poi
anche
al
tesoro,
viene
perlopiù
definito
dagli
storici
come
la
fase
liberista
della
politica
economica
fascista.
In
quegli
anni
Mussolini,
non
ancora
saldo
al
potere,
aveva
bisogno
dell’appoggio
dei
grandi
proprietari
industriali
ed
agrari.
Da
quando
il
fascismo
divenne
regime
a
tutti
gli
effetti
,
con
le
leggi
fascistissime
del
1925-26,
in
economia
cominciò
ad
attuarsi
un
dirigismo
che,
pur
non
eliminando
l’iniziativa
privata,
ne
regolava
fortemente
i
meccanismi.
Visto
che
il
nostro
discorso
verte
sull’aspetto
agrario,
cerchiamo
di
vedere
quali
furono
le
principali
iniziative
del
governo
in
questo
settore.
Il
fascismo,
nel
suo
procedere
ambivalente
fra
arcaicità
e
modernità,
guardava
all’agricoltura
soprattutto
in
riferimento
alla
tradizione.
La
ruralizzazione
delle
masse
e la
politica
demografica
si
potevano
incrementare
sostenendo
il
settore
primario.
La
battaglia
del
grano
e la
bonifica
integrale
furono
le
due
imprese
strategiche
che
il
governo
promosse
e
che
una
massiccia
propaganda
esaltò
oltremisura.
Il
motivo
contingente
di
questa
politica
agraria,
volta
ad
incrementare
la
produzione
cerealicola
italiana,
era
dato
dal
peso
non
indifferente
delle
importazioni.
Il
miglioramento
quantitativo
e
qualitativo
della
produzione
del
frumento
era
un
obiettivo
che
si
erano
posti
anche
i
governi
precedenti
e
gli
studi
nel
settore
non
mancavano;
si
ricorda
in
particolare
l’agronomo
genetista
Nazzareno
Strampelli
(1866-1942),
che
già
ai
primi
del
Novecento
aveva
prodotto
con
incroci
e
ibridazioni
nuove
varietà
di
grano,
più
produttive
e
resistenti
alle
avversità.
Durante
il
Ventennio
continuerà
il
suo
lavoro
ricoprendo
importanti
incarichi
e
divenendo
anche
senatore
del
Regno.
La
battaglia
del
grano
si
faceva
negli
istituti
di
ricerca
genetica
ma
anche,
a
livello
teorico
e
pratico,
migliorando
le
conoscenze
agronomiche:
dall’ambiente
pedo-climatico,
alle
lavorazioni,
alle
concimazioni.
L’aumento
della
superficie
coltivata,
anche
a
parità
di
altre
condizioni,
fa
aumentare
la
produzione
e la
bonifica
era
funzionale
a
questo
disegno.
Nell’Agro
Pontino,
ma
anche
nel
Veneto
nel
Friuli
e
nell’Emilia-Romagna,
vi
erano
zone
paludose
o
acquitrinose,
spesso
infestate
dalla
malaria,
che
con
opportune
opere
di
canalizzazione
divennero
fertili
terreni
coltivabili:
le
terre
redente,
come
allora
si
diceva.
Il
governo
delle
acque
richiedeva
talvolta
delle
opportune
opere
di
canalizzazione
irrigua
per
il
raggiungimento
di
quel
giusto
equilibrio
idrico
necessario
alle
colture.
Le
regioni
sopra
menzionate
furono
interessate
negli
anni
a
cavallo
tra
i
Venti
e i
Trenta
del
Novecento
; un
po’dopo
la
bonifica
riguardò
anche
la
Campania,
la
Puglia
e la
Sicilia
e
proseguì
per
qualche
tempo
anche
a
guerra
iniziata.
Se
l’aspetto
tecnico
risultò
piuttosto
lineare,
più
complicato
e
contorto
si
rivelò
quello
politico-sociale.
Per
ciò
che
concerne
il
progetto
di
aumento
della
produzione
granaria
bisogna
aggiungere
a
quanto
detto
sopra
che
questa
fu
sostenuta
anche
da
interventi
di
protezione
del
prodotto
nazionale,
applicando
perlopiù
dei
dazi
alle
importazioni.
La
bonifica
integrale
trovava
talvolta
qualche
opposizione
da
parte
dei
proprietari
di
grandi
fondi
che
si
vedevano
espropriati
dei
terreni
improduttivi
e ,
indipendentemente
dalla
bonifica,
anche
di
porzioni
di
latifondi
da
distribuire
ai
coloni.
Il
governo,
che
non
poteva
fare
a
meno
dei
finanziamenti
privati,
cercò
delle
soluzioni
moderate
che
non
scontentassero
gli
agrari
e
permettessero
al
tempo
stesso
una
colonizzazione
su
fondi
a
dimensione
familiare
delle
terre
bonificate.
Anche
per
i
territori
d’oltremare
si
progettarono
interventi
per
la
messa
a
coltura,
che
peraltro
ottennero
risultati
modesti.
In
Italia
nel
breve
periodo,
già
nella
seconda
metà
degli
anni
Venti,
ci
furono
dei
risultati
positivi
che
portarono
l’indice
generale
della
produzione
agraria
da
88 a
100
(cfr.
Castronovo,
Storia
dell’economia
dell’Italia,
già
citato)
con
un
effetto
di
trascinamento
per
le
industrie
dei
fertilizzanti
e
delle
macchine
agricole.
D’altra
parte,
persistere
ostinatamente
sulla
produzione
cerealicola
portò
a
contraccolpi
negativi:
mentre
cresceva
la
produzione
di
cereali
le
altre
colture,
anche
quelle
per
le
quali
c’erano
nella
nostra
penisola
ambienti
pedo-climatici
particolarmente
favorevoli,
non
trovarono
la
giusta
considerazione.
Ne
soffrì
il
settore
zootecnico,
per
la
diminuzione
della
produzione
foraggera,
come
quello
dell’ortofrutta.
Alla
grande
crisi
economica
del
’29,
che
dall’America
si
propagò
ben
presto
in
Europa
coinvolgendo
in
maniera
diversa
le
varie
nazioni,
il
governo
italiano
cercò
di
porre
rimedio
con
una
politica
di
compressione
dei
salari
e
anche
stipulando
accordi
commerciali
con
la
Germania
e
con
alcuni
paesi
dell’Europa
orientale,
che
comunque
non
conseguirono
gli
effetti
desiderati.
Dalla
metà
degli
anni
Trenta
l’Italia
si
avventurò
in
una
politica
imperialistica,
questo
provocò
le
sanzioni
da
parte
della
Società
delle
Nazioni
e
contribuì
ad
un
avvicinamento
alla
Germania.
La
tendenza
all’autosufficienza,
già
presente
nei
disegni
della
politica
economica
italiana,
si
trasformava
così
in
autarchia,
che
il
regime
seppe
sfruttare
per
cementare
lo
spirito
nazionalistico.
L’Italia
si
diede
da
fare
per
produrre
in
proprio
il
più
possibile;
l’ingegnosità
e la
fantasia
portarono
a
realizzare
produzioni
originali
italiane
che
sostituivano
i
prodotti
che
dall’estero
non
arrivavano
o
non
si
volevano
comprare.
La
battaglia
del
grano
ebbe
un
ulteriore
impulso;
si
coltivavano
anche
le
aiuole
di
alcuni
giardini
pubblici
per
una
sorta
di
operazione
simbolica
e
propagandistica.
Dalle
proteine
del
latte
si
imparò
a
ricavare
una
fibra
tessile
e
pure
un
materiale
duro
che
assomigliava
all’avorio:
la
galalite,
o
pietra
di
latte.
Dalla
canna
gentile
(Arundo
donax)
si
poteva
estrarre
la
cellulosa
e su
questo
prodotto
il
governo
impegnò
molte
energie.
Favorì
la
nascita
di
un
grande
complesso
industriale
nel
Friuli,
edificando
intorno
ad
esso
la
città
di
Torviscosa.
Tutto
questo
non
portò
al
raggiungimento
di
un
buon
tenore
di
vita
per
gli
Italiani,
anzi,
l’indice
dei
consumi
della
fine
degli
anni
Trenta
risultava
inferiore
a
quello
di
prima
della
crisi.
Il
peggio
arriverà
con
il
conflitto
mondiale.
Ancora
nel
’39,
con
l’agricoltura
italiana
che
aveva
compiuto
degli
innegabili
progressi
tecnici,
si
pensava
di
poter
reggere
ad
una
situazione
di
economia
di
guerra,
che
oramai
si
percepiva
come
imminente.
Già
prima
dell’entrata
in
conflitto
dell’Italia
lo
Stato
intervenne
sempre
più
pesantemente
nella
produzione
agricola
e
nel
sistema
di
distribuzione
dei
prodotti.
Gli
agricoltori
dovevano
produrre
ciò
che
era
strategicamente
necessario
alla
nazione.
Fu
imposto
l’ammasso
per
i
cereali
(frumento
,
mais
a,
riso)
e
furono
emanate
rigide
norme
sulla
macellazione
degli
animali;
cominciarono
anche
i
razionamenti
di
tanti
prodotti
alimentari.
Le
ricette
di
Petronilla
(Amalia
Moretti
Foggia
1872-1947),
che
da
tempo
apparivano
sulla
Domenica
del
Corriere,
diventarono
ancor
più
interessanti
e
attuali;
si
praticava
l’arte
di
cucinare
con
quello
che
c’è.
C’era
solo
quello
che
la
carta
annonaria
permetteva,
poco
dopo
mancherà
pure
il
gas
per
cucinare.
Tutto
ciò
doveva
servire
per
far
fronte
alla
situazione
alimentare
durante
il
conflitto,
che
in
un
primo
tempo
si
pensava
sarebbe
stato
comunque
di
breve
durata.
Sappiamo
che
gli
eventi
bellici
presero
un
andamento
ben
diverso
da
come
il
regime
prevedeva.
Centinaia
di
migliaia
di
soldati
al
fronte,
i
rifornimenti
sempre
più
difficili
e
ben
presto
anche
i
gli
attacchi
aerei
misero
la
popolazione
italiana
in
una
difficilissima
condizione.
Chi
poteva
si
allontanava
dalle
città
e
trovava
una
sistemazione
in
campagna,
dove
generalmente
non
si
era
coinvolti
nei
bombardamenti
ed
era
più
facile
trovare
da
mangiare.
Dopo
l’armistizio
dell’8
settembre
1943
l’Italia
divisa
in
due
dovette
affrontare
ancora
tanti
drammi.
La
situazione
del
Nord
fu
la
più
difficile
e
gli
Italiani
della
Repubblica
sociale
dovevano
sottostare
ai
Tedeschi
anche
per
quanto
riguardava
la
produzione
agricola.
Gli
agricoltori,
che
dovevano
operare
in
condizioni
di
estrema
penuria
di
mezzi,
erano
costretti
a
subire
requisizioni
dagli
occupanti
tedeschi,
dalle
varie
formazioni
armate
della
R.S.I.
ed
anche
dalle
forze
partigiane
che
operavano
in
varie
zone.
Nelle
città
vi
era
anche
una
forma
di
agricoltura
marginale
costituita
degli
Orti
gi
guerra,
non
mancavano
neppure
i
giardini
familiari,
ancora
nei
primi
mesi
del
1945
il
quotidiano
L’Arena
di
Verona
aveva
una
rubrica
che
forniva
utili
consigli
sulla
coltivazione
delle
piante
bulbose;
era
un
modo
per
rinfrancare
l’animo
e
non
pensare
alla
tragedia
che
si
stava
vivendo.
La
liberazione
dell’aprile
1945
cambiò
certamente
il
clima
politico
e
sociale
ma
la
carenza
di
alimenti
si
protrasse
ancora
per
qualche
tempo.