N. 72 - Dicembre 2013
(CIII)
I veri stop alla guerra
Storia del divieto dell’uso della forza armata
di Laura Ballerini
Guerra.
L’uso
della
forza
armata
per
risolvere
le
controversie
internazionali
è
sembrato
per
molto
tempo
l’unica
via
possibile.
San
Tommaso
parlava
di
guerra
giusta
per
indicare
quelle
mosse
da
un’autorità
per
dei
buoni
fini;
Hugo
Grozio
(1583-1645),
nel
1625
(De
iurs
bellis
ac
pacis),
la
considerava
un
momento
di
lotta
per
i
diritti,
dove
ristabilire
quelli
violati;
per
Hegel
(1770-1831)
era
una
necessità
storica
che
portava
gli
stati
a
interagire
tra
loro,
evitando
che
si
chiudessero
in
loro
stessi.
Ma
guerra
è
anche,
in
primis,
distruzione
e
morte,
in
particolare
per
quel
che
riguarda
i
conflitti
avvenuti
negli
ultimi
due
secoli.
Si è
cercato
pertanto
di
legiferare
nelle
questioni
belliche.
Durante
il
positivismo,
e
quindi
verso
la
fine
del
diciannovesimo
secolo,
non
viene
vietato
lo
ius
ad
bellum,
ovvero
il
diritto
di
fare
guerra,
ma
si
esige
il
rispetto
dello
ius
in
bellum,
il
diritto
dei
conflitti
armati.
Si
tenne
pertanto
a
Ginevra
una
Convenzione
sulla
condizione
dei
militari
feriti
in
guerra,
il
22
agosto
1864.
Questa
venne
poi
abrogata
dalla
successiva
Convenzione
di
Ginevra
del
6
luglio
1906,
inerente
il
miglioramento
della
sorte
dei
feriti
e
dei
malati
negli
eserciti
di
campagna.
L’anno
dopo,
con
la
Convenzione
dell’Aja,
si
adattarono
questi
principi
anche
alla
guerra
marina.
Nel
1868
a
San
Pietroburgo
si
era
poi
scelto
di
vietare
i
proiettili
esplosivi
di
peso
inferiore
a
400
grammi.
Si
cercava
quindi
di
definire
ciò
che
nella
guerra
non
era
concesso,
e di
porre
dei
limiti
da
rispettare
a
livello
internazionale.
La
successiva
svolta
avvenne
con
la
fine
della
prima
guerra
mondiale
e la
nascita
della
Società
delle
Nazioni.
Durante
la
conferenza
di
Pace
di
Parigi
(1919-1920)
venne
ratificato
il
Trattato
di
Versailles,
che
determinava
la
nascita
della
Società
(o
lega)
delle
Nazioni
allo
scopo
di
prevenire
ulteriori
conflitti
armati.
Con
l’articolo
10,
infatti,
impone
a
ogni
stato
parte
il
rispetto
per
l’integrità
territoriale
e la
sovranità
politica
degli
altri
membri.
Tramite
l’articolo
12,
invece,
invita
gli
stati
membri
a
non
ricorrere
alla
guerra
se
non
dopo
tre
mesi
dalla
decisione
giudiziale,
arbitrale
o
dal
rapporto
del
Consiglio.
La
SDN
non
riuscì
però
nei
suoi
intenti
e
venne
sciolta
a
seguito
del
disastroso
esito
della
seconda
guerra
mondiale.
Nel
1928,
però,
vi
fu
un
altro
tentativo
di
limitare
l’uso
della
guerra,
noto
come
Patto
Briand-Kellogg.
Nella
primavera
del
1927
il
ministro
degli
esteri
francesi,
Aristide
Briand
(1862-1932),
propose
a
Frank
Kellogg
(1856-1937),
segretario
di
stato
americano,
un
patto
di
difesa
bilaterale,
mosso
dalla
paura
di
un’aggressione
tedesca.
Lo
statunitense,
però,
lo
tradusse
in
un
accordo
multilaterale.
Il
primo
articolo
imponeva
alle
parti,
in
nome
dei
rispettivi
popoli,
di
condannare
e di
rinunciare
all’uso
della
guerra
come
strumento
di
risoluzione
delle
“divergenze
internazionali”.
L’articolo
due
impegnava
le
parti
al
solo
uso
di
mezzi
pacifici
per
il
regolamento
di
tutte
le
divergenze
che
possano
sorgere,
di
qualsiasi
nature
esse
siano.
Vi
erano
però
delle
forti
debolezze
in
questo
accordo,
prima
tra
tutte
la
mancanza
di
sanzioni
in
caso
di
violazione
dell’obbligo
di
non
ricorrere
alla
guerra.
La
seconda,
invece,
è
stata
l’utilizzo
del
termine
“guerra”,
così
ristretto
e
aggirabile
con,
per
esempio,
un’aggressione.
Questo
errore
non
verrà
ripetuto
diciassette
anni
dopo
con
la
Carta
delle
Nazioni
Unite,
dove
si
userà
il
più
ampio
termine
di
“forza
armata”.
Di
fronte
le
macerie
causate
dal
secondo
conflitto
mondiale,
gli
stati
decisero
di
sottoscrivere,
nel
1945
a
San
Francisco,
la
Carta
delle
Nazioni
Unite.
Con
quest’ultima
veniva
creata
un
organizzazione
con
il
fine
di
mantenere
la
pace
e la
sicurezza
internazionale,
assicurare
relazioni
amichevoli
tra
gli
stati
e
farli
cooperare
in
materia
di
sviluppo
e
tutela
dei
diritti
umani.
Per
ciò
che
riguarda
le
questioni
belliche,
l’articolo
due
si
esprime
chiaramente
nel
paragrafi
3 e
4.
L’articolo
2.3
impone
con
effetto
vincolante
la
risoluzione
pacifica
delle
controversie
internazionali:
“i
membri
devono
risolvere
le
loro
controversie
internazionali
con
mezzi
pacifici,
in
maniera
che
la
pace
e la
sicurezza
internazionali,
e la
giustizia,
non
siano
messe
in
pericolo”.
Al
paragrafo
quattro,
invece,
viene
espressamente
vietato
l’uso
o la
minaccia
della
forza:
“i
membri
devono
astenersi
nelle
loro
relazioni
internazionali
dalla
minaccia
o
dall’uso
della
forza
sia
contro
l’integrità
territoriale
e
l’indipendenza
politica
di
qualunque
Stato,
sia
in
qualunque
altra
maniera
incompatibile
con
i
fini
delle
Nazioni
Unite”.
Il
termine
forza
è
qui
usato
in
maniera
lungimirante
perché
rimane
aperto
a
nuove
definizioni.
Negli
anni
`70
infatti
si
parlò
anche
di
forza
economica,
intendendo
l’economic
strangulation
di
stati
su
altri.
Non
ci
si
riferisce
solamente
alla
guerra,
ma
anche
agli
atti
di
aggressione,
considerati
come
l’uso
della
forza
armata
per
ledere
la
sovranità
o
l’integrità
territoriale
di
altri
soggetti
internazionali.
Infine
non
ne
viene
semplicemente
vietato
l’uso,
ma
anche
la
minaccia.
L’unica
eccezione
concessa,
secondo
l’articolo
51,
è la
legittima
difesa,
che
deve
però
essere
proporzionata
e
tempestiva,
può
essere
collettiva,
ma
mai
preventiva.
Nel
1949
si
tennero
le
quattro
convenzioni
di
Ginevra
sui
conflitti
armati,
che
definiscono
ancora
oggi
ciò
che
è
considerato
un
crimine
di
guerra.
Il
testo,
approvato
dall’Assemblea
generale,
venne
proposto
dalla
Croce
Rossa,
e
costituisce
la
base
del
diritto
internazionale
umanitario.
Il
documento
cercava
di
migliorare
il
trattamento
dei
prigionieri
di
guerra,
dei
feriti,
e di
proteggere
i
civili.
Al
testo
vennero
annessi
poi
vari
protocolli
aggiuntivi,
tra
i
quali
uno
nel
2001
sulla
protezione
delle
vittime
dei
conflitti
armati
non
nazionali.
Secondo
l’articolo
3:
“in
caso
in
cui
un
conflitto
armato
privo
di
carattere
internazionale
scoppiasse
sul
territorio
di
una
delle
Alte
Parti
contraenti,
ciascuna
delle
Parti
belligeranti
è
tenuta
ad
applicare
almeno
le
disposizioni
seguenti”;
queste
sono:
trattare
con
umanità
le
parti
escluse
dal
conflitto
(gli
arresi,
i
civili)
e il
divieto
di
ogni
forma
di
assassinio,
tortura,
mutilazione,
la
cattura
di
ostaggi
e le
esecuzioni
attuate
senza
previo
consenso
di
un
tribunale
regolarmente
costituito.
La
violazione
di
queste
convenzioni
è
considerato
un
crimine
di
guerra.
Qui
si
conclude,
per
ora,
questo
excursus
sui
tentativi
di
eliminare
l’uso
della
guerra
per
la
costruzione
della
pace:
un
cammino
ancora
aperto
pieno
di
insidie
e
contraddizioni
da
risolvere,
per
garantire
la
pace
e la
sicurezza
internazionali.