.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

ATTUALITà


N. 46 - Ottobre 2011 (LXXVII)

STEVE JOBS
“Siate affamati, Siate Folli”

di Giulia Gabriele

 

Oggi, mentre sto scrivendo queste righe, è il 6 ottobre 2011 e un cancro si è appena portato via Steve Jobs. Ha portato via il suo corpo, ma non ciò che in un 12 giugno 2005 assolato e pieno di speranze, per lui e per i neolaureati dell'Università di Stanford, disse al pubblico rapito e attento con parole semplici e convinte.

 

Non sono un’esperta di informatica, di computer o di tecnologie però ascolto la musica con il mio iPod nano (il settore della musica ha dato nuova linfa alla Apple e un mercato rivoluzionato alla musica stessa), per un periodo ho lavorato con un Mac apprezzando le sue qualità grafiche (e sbuffando quando non riuscivo a cancellare dei documenti, rimpiangendo il tasto CANC del mio PC), mi diverto a scegliere la font migliore per un testo con prove e controprove e sono, in parte, cresciuta con i film animati della Pixar. Sono un prodotto di Steve Jobs. Inconsciamente, lo sono. E ho voluto rendere così omaggio all’uomo che nell’arte della calligrafia (antica e laboriosa) ha trovato la sua musa per creare il futuro.

 

Non è stato un genio dell’informatica, precisano alcuni in queste ore, e di certo io non ho nulla in contrario. Ma è riuscito, cosa che molti informatici proprio non riescono a fare, ad ammaliare tanti da buon “pifferaio magico” quale era. E scusate se è poco.

 

È lo stesso Steve Jobs, poi, a raccontare, nel discorso a Stanford, la sua storia, con tre storie. E qui voglio riassumerle. La prima è sul “connecting the dots, unire i puntini.

Nato a San Francisco il 14 febbraio 1955 da madre americana, Joanne Carole Schieble, e da padre siriano, Abdulfattah “John” Jandali, non fu cresciuto dai suoi genitori biologici. La madre, infatti, lo diede in adozione a Paul e Clara Jobs (in realtà aveva prescelto un’altra coppia, ma quella all’ultimo rifiutò preferendo al piccolo Steve, una bambina) e loro le promisero che avrebbero fatto di tutto affinché il bambino avesse potuto frequentare una buona Università (grande desiderio di Joanne).

 

Nel 1972, dopo il diploma, Steve decise di iscriversi al prestigioso Reed College di Portland (Oregon), ma dopo un solo semestre, si rese conto che non era quella la strada per lui e abbandonò gli studi (che, per altro, stavano costando ai suoi genitori tutti i risparmi di una vita: avevano mantenuto la promessa), fiducioso che “tutto sarebbe andato bene”.

 

Fu in quel periodo che poté, grazie all’aiuto degli amici che lo ospitarono nelle loro stanze (lasciando l’Università aveva anche perso la camera nel dormitorio), frequentare un corso che avrebbe cambiato la vita a lui e a noi (per “noi” leggasi tutti quelli che, almeno una volta nella vita, hanno usato un computer): Calligrafia. Qui imparò la differenza tra le varie font, le giuste distanze e proporzioni (“fu bello in un modo che la scienza non può offrire”) ma i tempi non erano ancora maturi. Lo furono, però, 10 anni dopo, quando progettò il primo Macintosh e vi riversò dentro tutte le sue conoscenze, creando quel database di calligrafie perfette di cui noi tutti (vedi sopra) godiamo oggi (“e dato che Windows ha copiato il Mac è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità [tipografiche]”, afferma con ironia il papà della Apple).

 

Non è possibile unire i puntini guardando avanti, potete unirli solo guardandovi all’indietro”, spiega Jobs concludendo la prima parte del suo discorso. “Così dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa […] qualsiasi cosa. Questo tipo di atteggiamento non mi ha mai lasciato a piedi, ha invece fatto tutta la differenza nella mia vita”.

 

Poi, prosegue con la sua seconda storia sull’amore e la perdita. Il 1 aprile 1974, insieme a Steve “Woz” Wozniak aveva fondato la Apple Computer. Sede: il garage di casa Jobs. Proprio in quel garage era nato l’Apple I (1976) e poi il primo personal computer (all’epoca microcomputer): l’Apple II (1977), destinato a conoscere una diffusione di massa. Da allora l’ascesa Jobs-Wozniak fu inarrestabile, tanto che nel 1980 la Apple venne quotata in Borsa. Quattro anni più tardi, sul mercato fece la sua trionfale comparsa un PC compatto dotato di un nuovo sistema operativo a interfaccia grafica: l’Apple Macintosh. Ma nel 1985 il sodalizio con Woz si sciolse. E Jobs stesso, a 30 anni, dopo aver creato l’embrione di quell’impero che rappresenta oggi la Apple, venne licenziato. “Come si fa a essere licenziati dalla Compagnia che si ha fondato?”, si chiede Jobs durante il discorso e prosegue: “Ero devastato, per alcuni mesi non seppi davvero cosa fare […] Fui persino tentato di scappare dalla Silicon Valley, […] ma amavo ancora quello che avevo fatto. […] Ero stato respinto [dalla Apple] ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo”.

 

Così, fondò la NeXT Computer e nel 1986 acquistò la Pixar dalla LucasFilms, decidendo di realizzare solo animazioni computerizzate. L’evolversi della Società è ormai noto a tutti, basti dire che, nel 1995, sul grande schermo fece la sua apparizione Toy Story, il primo film d’animazione realizzato completamente in computer grafica 3D (tecnologia che cambierà radicalmente il modo di creare e vedere i film animati).

 

Nel frattempo, nel 1991 si sposò con Laurene Powell, dalla quale ha avuto tre figli. Sembra che il licenziamento dalla Apple sia stata la cosa migliore che gli sia mai capitata (come afferma lui stesso durante il discorso). “In un significativo susseguirsi di eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono tornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è ora nel cuore del rinascimento di Apple. E Laurene e io abbiamo una famiglia meravigliosa”, prosegue Jobs. “Sono sicuro che nulla di tutto ciò sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato da Apple. […] L’unica cosa che mi ha permesso di andare avanti, è stata l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate! […] Non accontentatevi”.

 

Infine, la terza storia: quella sulla Morte. Era, come ricordato all’inizio, il 2005 e Steve Jobs aveva appena sconfitto il cancro. “Ora sto bene”, diceva. Ma lasciamo a lui la parola.

 

Negli ultimi 33 anni della mia vita, guardandomi allo specchio, mi sono chiesto: ’Se oggi fosse l'ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?’. E ogni qual volta la risposta è ’No’ per troppi giorni consecutivi, capisco che c'è qualcosa da cambiare. Ricordasi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della mia vita. Perché tutte le cose [...] semplicemente svaniscono di fronte alla morte, lasciando solo quello che è realmente importante. [...]

 

Più o meno un anno fa [2004] mi è stato diagnosticato un cancro. [...] I dottori mi dissero che si trattava quasi sicuramente di un cancro incurabile e che avrei avuto una aspettativa di vita non più lunga di 3-6 mesi [Venne fuori che il cancro era curabile con un intervento al quale Jobs si sottopose]. Ho fatto l'intervento chirurgico e ora sto bene. Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino e spero che sia anche la più vicina per qualche altra decade. [...] Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in Paradiso non vogliono morire per arrivarci. E nonostante tutto la morte è la condizione che condividiamo, nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così che deve essere perché la Morte, con tutta probabilità, è la più grande invenzione della Vita. È l’agente di cambiamento: spazza via il vecchio per fare posto al nuovo. [...] Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun'altro. [...]

 

Quando ero ragazzo, c’era una incredibile rivista: The Whole Earth Catalog. [...] È stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che Google nascesse: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni. [Negli anni Settanta conclusero l’esperienza] Nell’ultima pagina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina [...] Sotto la foto c’erano le parole: ’Siate affamati. Siate folli’. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita io lo auguro a voi. Siate affamati. Siate folli”.

 

Buon viaggio, Steve.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.