N. 94 - Ottobre 2015
(CXXV)
UN VECCHIO OSTINATO
I NAXALITI E JAN MYRDAL
di Filippo Petrocelli
Stella rossa sull’India di Jan Myrdal edito da Zambon, potrebbe sembrare il racconto ostinato di un reduce. Un tentativo di revival disperato di un grande classico degli anni Sessanta, oppure una rielaborazione tardiva del libro più riuscito di un importante autore, lontano però dai suoi giorni migliori.
E
già
perché
questo
testo
assomiglia
molto
a
Rapporto
da
un
villaggio
cinese,
uscito
nel
1965
per
Nuovo
Politecnico
Einaudi
e
diventato
un
classico
della
letteratura
militante,
che
ha
regalato
una
discreta
notorietà
all’autore
svedese
non
solo
nel
Belpaese.
Una
fama
continuata
con
Un
villaggio
cinese
nella
rivoluzione
culturale,
scritto
a
quattro
mani
con
Gun
Kessle,
sua
moglie,
che
rappresenta
il
seguito
del
primo
fortunato
libro
e
che
descrive
le
evoluzioni,
i
miglioramenti
ma
anche
le
involuzioni
e
gli
errori,
dello
stesso
villaggio
rivisitato
dopo
una
decina
d’anni.
Invece
Stella
rossa
sull’India
è un
saggio-reportage
molto
utile
per
capire
le
criticità
dell’India
contemporanea
tra
motore
economico
dei
“Bric”,
democrazia
formale
e
contraddizioni
interne.
Perché
dell’India
purtroppo
si
ha
un’immagine
distorta,
poco
chiara,
dove
alcuni
aspetti
vengono
enfatizzati
e
altri
dimenticati,
in
nome
di
interessi
non
facilmente
identificabili.
Per
molti
è la
più
grande
democrazia
mondiale,
per
altri
un
paese
barbaro
e
brutale:
in
realtà
è un
paese
sconfinato,
attraversato
da
notevoli
tensioni
sociali,
disuguaglianze
e
povertà.
Uno
stato
che
dietro
il
“formalismo
democratico”,
mantiene
in
vita
l’odioso
sistema
delle
caste,
una
terra
in
cui
le
minoranze
– i
musulmani,
ma
anche
i
gruppi
indigeni
–
subiscono
persecuzioni
inaudite,
in
cui
è
diffuso
il
lavoro
minorile
e la
condizione
femminile
è
tutt’altro
che
moderna.
E se
su
paesi
come
la
Cina
e la
Russia
–
Bric
anch’essi
–
spesso
si
indugia
sulle
deficienze
democratiche,
sulle
violenze
e
sull’uso
spregiudicato
della
forza
statale,
sembra
che
invece
queste
problematiche
siano
avulse
dall’India
contemporanea,
raccontata
spesso
come
un
paese
placido
e
tranquillo,
in
un
tipico
atteggiamento
che
si
potrebbe
definire
“orientalista”.
Questo
libro
fornisce
gli
strumenti
per
decostruire
l’immagine
posticcia
del
paese
e
consente
di
addentrarsi
con
più
onestà
nelle
vicende
indiane
e
nelle
sue
contraddizioni.
Il
testo
scorrevole,
organizzato
in
forma
di
reportage
da
Jan
Myrdal,
si
digerisce
velocemente.
Il
racconto
ha
inizio
quando
Myrdal
viene
invitato
dal
Partito
comunista
indiano
(maoista)
nelle
zone
controllate
dai
naxaliti,
guerriglieri
di
ispirazione
maoista
che
si
battono
contro
le
discriminazione
dei
dalit,
ovvero
gli
“intoccabili”
e
degli
indigeni
adivasi,
un
gruppo
etnico
molto
diffuso
nell’India
profonda.
In
realtà
non
mancano
le
considerazioni
preliminari,
ovvero
un
breve
riassunto
dell’insurrezione
naxalita,
che
comincia
nel
1967
a
Naxalbari,
nel
Bengala
occidentale,
quando
un’armata
di
contadini
straccioni
si
solleva
contro
i
privilegi
dei
latifondisti
e
una
“vita
medievale”
da
servitù
della
gleba.
Qui
il
focus
è
centrato
proprio
sull’estrema
ricchezza
di
questa
terre,
conosciute
con
il
nome
di
“cintura
tribale”,
in
forte
contrasto
con
la
povertà
brutale
dei
suoi
abitanti.
Non
mancano
da
parte
dello
scrittore
svedese
anche
le
descrizioni
dei
maggiori
leader
naxaliti
della
storia
come
Charu
Mazumdar
e
Kanhai
Chatterji,
ma
c’è
anche
un’intervista
a
Muppala
Lakshman
Rao,
l’attuale
leader
del
movimento
e si
affronta
il
tema
del
Janathana
Sarkar
ovvero
“il
governo
del
popolo”,
lo
sviluppo
del
contropotere
naxalita
nelle
zone
controllate
dai
ribelli.
Largo
spazio
è
dedicato
all’operazione
Green
Hunt,
scatenata
dal
governo
indiano
per
riconquistare
le
zone
governate
dai
ribelli
che
nel
2009
(anno
dell’inizio
della
manovra)
erano
praticamente
un
terzo
dei
distretti
delle
federazione
indiana.
Non
è un
caso
che
la
questione
naxalita
sia
predominante
in
India,
tanto
che
l’ex
primo
ministro
Manmohan
Singh
l’ha
definito
come:
“la
più
grave
minaccia
alla
sicurezza
interna
mai
affrontata
dal
paese”
e ha
designato
75000
militari
nella
spietata
offensiva
chiamata
in
maniera
sinistra
Green
Hunt,
ovvero
“battuta
di
caccia”.
Insomma
per
chi
è
interessato
a
conoscere
una
storia
non
molto
raccontata,
il
reportage
di
un
vecchio
con
dolori
continui
alle
ginocchia,
che
non
si
ferma
davanti
alla
giungla,
al
freddo,
alle
notti
all’addiaccio
e
alle
marce
interminabili
nella
foresta
per
restituire
un
po’
di
verità
a
una
rivolta
senza
tempo,
Stella
rossa
sull’India
è il
libro
giusto.
Tanto
più
perché
alla
soglia
dei
90
anni
non
è
proprio
un’impresa
banale
per
Myrdal
trascorre
sedici
giorni
nella
cintura
tribale
con
una
delle
guerriglie
più
longeve
del
subcontinente
indiano.
Tutto
senza
un
lamento
e
con
la
lucidità
di
un
“giovane”
adulto.