N. 94 - Ottobre 2015
(CXXV)
STEAMPUNK
QUANDO IL VAPORE DIVENTA CULTURA
di Silvia Mangano
Dall’11 al 13 settembre 2015 si è svolta a Roma la seconda edizione italiana dello Steampunk Fest, la fiera dedicata interamente al mondo e alla cultura steampunk: un evento di due giorni e mezzo dove artisti, cosplayer, fan e semplici curiosi si sono immersi nelle atmosfere steampunk.
Ma
andiamo
con
ordine.
Che
cos’è
lo
Steampunk?
«Lo
steampunk
è un
genere
che
si
rifà
alla
fantascienza»
spiega
Costantino
Pompa,
vestito
da
Garibaldi
in
versione
rigorosamente
steampunk,
alla
conferenza
inaugurale
«una
fantascienza,
però,
diversa
da
quella
che
siamo
abituati
a
vedere
perché
anziché
mirare
al
futuro
[es.
Guerre
Stellari,
ndA],
guarda
a
un’epoca
passata
che,
nel
caso
europeo,
è
quella
vittoriana».
Partendo
da
libri
straordinari
come
quelli
di
Jules
Verne,
si
immagina
un
passato
futuristico
in
cui
elettricità
e
vapore
hanno
rivoluzionato
le
tecnologie
(steam:
vapore;
punk:
genere
musicale
rivoluzionario)
e si
ricrea
il
mondo
circostante
secondo
nuovi
criteri
estetici
e
d’efficienza.
In
questo
modo,
per
esempio,
il
Nautilus
del
Capitano
Nemo
sostituisce
il
mezzo
di
trasporto
moderno:
la
grandiosità
vince
sull’utilità;
la
spettacolarità
vince
sul
minimalismo;
lo
stupore
vince
sull’indifferenza.
Anche
il
vestiario
steampunk
si
rifà
all’epoca
vittoriana.
Al
classico
vestito
di
metà
Ottocento
vanno
aggiunti
elementi
punk
per
estremizzarne
il
risultato:
l’utilizzo
del
cuoio
per
i
corsetti
femminili
o
per
i
cilindri
da
uomo
al
posto
del
feltro,
gli
immancabili
goggles
da
saldatore
o da
aviatore
e
tanti
altri
accessori
(parasole,
armi
retrò,
bastoni
da
passeggio,
ecc.)
arricchiscono
l’aspetto
estetizzante
dei
costumi.
La
moda
Steampunk
–
diffusasi
soprattutto
dalla
seconda
metà
del
secolo
scorso
–
riporta
alla
luce
tradizioni
e
costumi
dell’età
felix,
ma
riscopre
anche
molte
attività
rimaste
sepolte
fino
a
oggi.
Una
di
queste
è il
bartitsu,
un’eclettica
arte
marziale
nata
come
fusione
tra
oriente
e
occidente
e
chiamata
così
per
il
suo
fondatore:
Edward
William
Barton-Wright.
Patrizio
Licata
e
Rocco
Maria
Franco,
due
performer
esperti
in
combattimenti
scenici
e
che
si
sono
esibiti
al
festival,
ci
spiegano
di
cosa
si
tratta.
«Nell’Ottocento,
l’ingegnere
Barton-Wright
decise
di
portare
a
Londra
maestri
giapponesi
e di
fondare
un
club
sportivo
in
cui
si
insegnasse
un’arte
marziale
mista
che
comprendesse
il
pugilato,
la
box
francese,
scherma
con
il
bastone
da
passeggio,
lotta
libera
e –
come
arma
segreta
–
quest’arte
importata
dall’oriente,
cioè
il
jujitsu»
racconta
Rocco
«Anche
se
Barton-Wright
aveva
creato
opuscoli
per
pubblicizzare
il
bartitsu,
il
club
ebbe
vita
brevissima,
un
paio
d’anni.
Dopo
tutti
gli
sforzi
iniziali,
sia
i
seguaci
che
i
maestri
abbandonarono
l’arte
e il
club
cadde
nel
dimenticatoio;
finché,
anni
dopo,
Conan
Doyle
non
utilizzò
il
baritsu
[non
sappiamo
per
quale
motivo
sbagliò
il
nome,
ndA]
per
giustificare
la
sopravvivenza
di
Sherlock
Holmes
all’apparente
morte
avvenuta
durante
un
combattimento
contro
il
suo
acerrimo
nemico,
il
dr.
Moriarty.
Oggi
come
allora,
il
bartitsu
è
famoso
come
l’arte
marziale
che
salvò
Holmes».
«Sono
molti
anni
che
facciamo
questo
genere
di
attività
[stage
combat,
ndA]»
continua
Patrizio
«Per
creare
il
pattern
di
questo
combattimento
abbiamo
utilizzato
le
nostre
competenze
come
la
scherma
storica
e le
arti
marziali.
L’insieme
di
queste
nozioni
ci
ha
permesso
di
riprendere
il
bartitsu
a
livello
iconico
– da
manuali,
opuscoli
e
stampe
a
nostra
disposizione
– e
di
adattarlo
anche
a
una
dimensione
scenica
e
rappresentativa
per
il
pubblico
che
non
conosce
ciò
che
portiamo
insieme».
Tuttavia,
non
tutti
coloro
che
si
presentano
come
steampunker
conoscono
il
bartitsu.
Questo
accade,
purtroppo,
in
tutte
le
correnti
culturali
esteticamente
ammalianti:
pochi
ne
conoscono
e ne
apprezzano
la
storia
e le
tradizioni,
mentre
molti
si
limitano
a
sfoggiare
bellissimi
costumi
che
li
rendono
più
affascinanti
di
fronte
al
pubblico.
(Riporto
tra
parentesi
un
commento
che
mi è
capitato
di
udire
durante
lo
Steamfest
e
che
riassume,
nella
sua
grossolanità,
una
triste
verità:
«Quella
si
veste
così
solo
perché
tutta
strizzata
[penso
si
riferisse
al
corsetto,
ndA]
perde
almeno
due
taglie
ed è
più
facile
rimorchiare»).
Così
moda,
musica,
arredamento
corrono
il
rischio
di
perdere
l’originale
fascino
dell’idea
con
cui
furono
creati
per
entrare
a
far
parte
dei
meccanismi
del
mercato
e
dell’industria
di
massa.
Nella
sua
ricchezza
espressiva,
oggi
ridotta
spesso
a
mera
esibizione
estetica,
«lo
Steampunk
non
è
pensato
per
essere
una
moda,
ma
un
vero
e
proprio
movimento
creativo,
un’attività
culturale.
[…]
Appartenere
alla
corrente
steampunk
non
significa
vestirsi
in
un
certo
modo,
non
vuol
dire
fare
ma
essere
il
risultato
armonico
dell’incontro
tra
l’età
vittoriana
e il
sapere
di
oggi.
Significa
vivere
la
vita
con
uno
stile
diverso
da
quello
imperante»
(Costantino
Pompa).
C’è
chi
descrive
il
fantasy
come
una
fuga
dalla
realtà,
chi
come
Salman
Rushdie
lo
definisce
come
l’ultima
alternativa
rimasta
allo
scrittore
per
descrivere
un
reale
che
non
soddisfa
più,
un
quotidiano
saturo
di
mediocrità:
la
necessità
del
magnifico
si
profila
come
unica
via
d’uscita
per
narrare
un’umanità
in
cerca
di
rigenerazione.
Lo
spirito
dello
Steampunk
segue
lo
stesso
filo
rosso
e si
pone
come
obiettivo
il
cercare
un’alternativa
al
nostro
presente
e
futuro.
Il
movimento
ha
in
sé
qualcosa
di
affascinante
e al
tempo
stesso
di
malinconico
che
può
essere
descritto
attraverso
una
delle
storie
più
ricorrenti
della
narrativa
steampunk:
l’orologiaio
che
ricostruisce
la
moglie
morta.
La
ricostruzione
dell’essere
amato
affinché
ritorni
a
vivere,
affinché
funzioni
come
prima
o
meglio
di
prima,
prospetta
di
fronte
all’osservatore
il
desolato
panorama
dei
mulini
a
vento
contro
cui
il
donchisciottesco
steampunker
cerca
di
lottare.
Guardare
alla
realtà
con
stupore
e
non
con
disincanto
e
ricostruire
il
mondo
con
meccanismi
diversi
da
quelli
di
cui
è
composto,
con
tecnologie
altrettanto
funzionali
ma
meno
dannose,
con
una
cultura
che
non
si è
ancora
arresa
all’industria
di
massa,
con
parametri
architettonici
ed
estetici
che
puntano
al
bello
piuttosto
che
all’utile:
è
questo
il
vero
fine
di
chi
sceglie
lo
Steampunk
come
stile
di
vita.
Una
nobile
impresa,
senza
dubbio!