[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

163 / LUGLIO 2021 (CXCIV)


moderna

STATUE PARLANTI ROMANE

PASQUINO PRECURSORE DELLA LIBERTÀ DI STAMPA

di Sara Fresi

 

Nel Cinquecento alcuni esponenti del popolo romano diffusero il generale malcontento in un modo anticonvenzionale: in quel periodo storico non esisteva la libertà di stampa, quindi, per evitare di scontare pene e sanzioni, vennero date voci ad alcune antiche statue, al fine di esternare accuse, talvolta anche ciniche, verso l’autorità precostituita.

 

Componimenti anonimi, scritti in latino o talvolta in dialetto romanesco, venivano lasciati di notte vicino a questi statici portavoce, cosicché la mattina seguente il popolo leggeva quanto era stato scritto. Tali messaggi erano diretti al governo, ai poteri forti e ai pontefici che non gradivano affatto dette voci di opposizione.

 

Papa Adriano VI ordinò la distruzione della statua di Pasquino, altri successori tentarono più volte di “imbavagliarlo” facendolo sorvegliare da guardie armate, ma le pasquinate aumentarono in modo vertiginoso. Molto probabilmente gli autori di quegli epigrammi non appartenevano a classi sociali umili, ma a famiglie illustri e sicuramente istruite, perché da quei brevi scritti emergeva la conoscenza anche della lingua latina e l’abilità nella realizzazione di componimenti, talvolta caratterizzati dall’uso di rime.

 

L’unica statua parlante femminile è “Madama Lucrezia”, gigante busto di epoca romana avente altezza di circa tre metri, sita all’angolo tra Palazzo Venezia e la Basilica di San Marco al Campidoglio presso Piazza di San Marco. Il busto celebra la nobile italiana Lucrezia d’Alagno, signora di Caiazzo, Isola d’Ischia, Somma e Venosa, ricordata anche per essere stata l’amante di Alfonso V d’Aragona, il Re di Napoli.

 

Poi c’è l’imponente “Marforio”, colossale statua di divinità fluviale, considerato la spalla di Pasquino per i numerosi dialoghi a due; egli ha una lunga barba, il fisico scultoreo e fattezze di una divinità che ricorda vagamente Oceano, ma da molti decenni è stato collocato nel cortile del Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini.

 

A seguire, c’è il giovane “Facchino” di Via Lata, un acquarolo che tra le mani regge una botticella da cui fuoriesce l’acqua. Un altro che sguazza sempre nell’acqua è il “Babuino”, un sileno il cui volto è talmente rovinato che sovente viene associato a una scimmia; il popolo romano era talmente affezionato allo stesso che gli fu dedicato una strada. Altro membro illustre è “Abate Luigi”, ricorda un magistrato romano perché indossa la tunica senatoria, ma qualcuno gli diede quel nome in ricordo di un sagrestano della vicina Chiesa del Sudario.

 

Per finire c’è “Pasquino”: copia di un originale ellenistico pergameno, risalente al III secolo a.C., che rappresenta presumibilmente il leggendario eroe greco Menelao che sostiene il corpo dell’amico Patroclo. Questa statua era di proprietà del cardinale Oliviero Carafa che la collocò nell’antica piazza di Parione, successivamente denominata Piazza di Pasquino.

 

Esso è considerato il precursore della libertà di stampa che, con voce ironica e tagliente, diffondeva il malumore generale interpretando i fatti che accadevano e le decisioni dei pontefici. Non era considerato un rivoluzionario, ma si limitava a essere una sorta di “stampa d’opposizione” del papato, e non solo; era la mente lucida che emergeva dal “Congresso degli Arguti”. Con le tantissime pasquinate veniva sfidato e deriso chi governava Roma, allora come oggi, facendo trapelare il malcontento del popolo e lo sdegno per fatti di corruzione.

 

Alcune celebri pasquinate: “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini” tradotto in italiano “Quello che non hanno fatto i barbari, hanno fatto i Berberini”, frase dedicata a Papa Urbano VIII Barberini (salito al soglio pontificio nel 1623 fino al 1644) che ordinò di usare le decorazioni in bronzo del Pantheon per fare il Baldacchino di San Pietro in Vaticano.

 

Dedica anonima affissa sulla statua di Pasquino dopo la morte di papa Leone X Medici (divenuto Vescovo di Roma nel 1513 fino al 1520): “Gli ultimi istanti per Leon venuti, egli non poté avere i sacramenti. Perdio, li avea venduti!”. Il pontefice in questione è infatti ricordato per la vendita delle indulgenze, il cui ricavato venne utilizzato per finanziare grandi progetti artistici a Roma e a Firenze.

 

Quando morì il cardinale Oliviero Carafa la statua di Pasquino venne vestita a lutto.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

M. Spagnolo, Pasquino in piazza. Una statua a Roma tra arte e vituperio, Campisano Editore, Roma 2019.

E. Testi, Le Statue parlanti di Roma, Palombi Editore, Roma 2016.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]