moderna
STATUE PARLANTI ROMANE
PASQUINO PRECURSORE DELLA LIBERTÀ DI
STAMPA
di Sara Fresi
Nel Cinquecento alcuni esponenti del
popolo romano diffusero il generale
malcontento in un modo
anticonvenzionale: in quel periodo
storico non esisteva la libertà di
stampa, quindi, per evitare di scontare
pene e sanzioni, vennero date voci ad
alcune antiche statue, al fine di
esternare accuse, talvolta anche
ciniche, verso l’autorità precostituita.
Componimenti anonimi, scritti in latino
o talvolta in dialetto romanesco,
venivano lasciati di notte vicino a
questi statici portavoce, cosicché la
mattina seguente il popolo leggeva
quanto era stato scritto. Tali messaggi
erano diretti al governo, ai poteri
forti e ai pontefici che non gradivano
affatto dette voci di opposizione.
Papa Adriano VI ordinò la distruzione
della statua di Pasquino, altri
successori tentarono più volte di
“imbavagliarlo” facendolo sorvegliare da
guardie armate, ma le pasquinate
aumentarono in modo vertiginoso. Molto
probabilmente gli autori di quegli
epigrammi non appartenevano a classi
sociali umili, ma a famiglie illustri e
sicuramente istruite, perché da quei
brevi scritti emergeva la conoscenza
anche della lingua latina e l’abilità
nella realizzazione di componimenti,
talvolta caratterizzati dall’uso di
rime.
L’unica statua parlante femminile è “Madama
Lucrezia”, gigante busto di epoca
romana avente altezza di circa tre
metri, sita all’angolo tra Palazzo
Venezia e la Basilica di San Marco al
Campidoglio presso Piazza di San Marco.
Il busto celebra la nobile italiana
Lucrezia d’Alagno, signora di Caiazzo,
Isola d’Ischia, Somma e Venosa,
ricordata anche per essere stata
l’amante di Alfonso V d’Aragona, il Re
di Napoli.
Poi c’è l’imponente “Marforio”,
colossale statua di divinità fluviale,
considerato la spalla di Pasquino per i
numerosi dialoghi a due; egli ha una
lunga barba, il fisico scultoreo e
fattezze di una divinità che ricorda
vagamente Oceano, ma da molti decenni è
stato collocato nel cortile del Palazzo
Nuovo dei Musei Capitolini.
A seguire, c’è il giovane “Facchino”
di Via Lata, un acquarolo che tra le
mani regge una botticella da cui
fuoriesce l’acqua. Un altro che sguazza
sempre nell’acqua è il “Babuino”,
un sileno il cui volto è talmente
rovinato che sovente viene associato a
una scimmia; il popolo romano era
talmente affezionato allo stesso che gli
fu dedicato una strada. Altro membro
illustre è “Abate Luigi”, ricorda
un magistrato romano perché indossa la
tunica senatoria, ma qualcuno gli diede
quel nome in ricordo di un sagrestano
della vicina Chiesa del Sudario.
Per finire c’è “Pasquino”: copia
di un originale ellenistico pergameno,
risalente al III secolo a.C., che
rappresenta presumibilmente il
leggendario eroe greco Menelao che
sostiene il corpo dell’amico Patroclo.
Questa statua era di proprietà del
cardinale Oliviero Carafa che la collocò
nell’antica piazza di Parione,
successivamente denominata Piazza di
Pasquino.
Esso è considerato il precursore della
libertà di stampa che, con voce ironica
e tagliente, diffondeva il malumore
generale interpretando i fatti che
accadevano e le decisioni dei pontefici.
Non era considerato un rivoluzionario,
ma si limitava a essere una sorta di
“stampa d’opposizione” del papato, e non
solo; era la mente lucida che emergeva
dal “Congresso degli Arguti”. Con le
tantissime pasquinate veniva sfidato e
deriso chi governava Roma, allora come
oggi, facendo trapelare il malcontento
del popolo e lo sdegno per fatti di
corruzione.
Alcune celebri pasquinate: “Quod non
fecerunt barbari, fecerunt Barberini”
tradotto in italiano “Quello che non
hanno fatto i barbari, hanno fatto i
Berberini”, frase dedicata a Papa Urbano
VIII Barberini (salito al soglio
pontificio nel 1623 fino al 1644) che
ordinò di usare le decorazioni in bronzo
del Pantheon per fare il Baldacchino di
San Pietro in Vaticano.
Dedica anonima affissa sulla statua di
Pasquino dopo la morte di papa Leone X
Medici (divenuto Vescovo di Roma nel
1513 fino al 1520): “Gli ultimi istanti
per Leon venuti, egli non poté avere i
sacramenti. Perdio, li avea venduti!”.
Il pontefice in questione è infatti
ricordato per la vendita delle
indulgenze, il cui ricavato venne
utilizzato per finanziare grandi
progetti artistici a Roma e a Firenze.
Quando morì il cardinale Oliviero Carafa
la statua di Pasquino venne vestita a
lutto.
Riferimenti bibliografici:
M. Spagnolo, Pasquino in piazza. Una
statua a Roma tra arte e vituperio,
Campisano Editore, Roma 2019.
E. Testi, Le Statue parlanti di Roma,
Palombi Editore, Roma 2016. |