N°
172
/ APRILE 2022 (CCIII)
filosofia & religione
SULLA CONDIZIONE NATURALE DELL’UMANITÀ
L’EDUCAZIONE ALLE PASSIONI
di Luisa Tamiro
Cosa si intende per stato di natura?
Gli uomini si ritrovano in una perfetta condicio di
uguaglianza nel cosidetto stato di natura,
all’interno del quale non è possibile costituire una
forma o struttura sociale cioè una società. Da
questo status di parità afferente le attribuzioni
fisiche e mentali, ne consegue che sebbene esistano
differenze alquanto irrisorie tra uomo e uomo,
queste non giustificano o meglio implicano la
formazione del potere decisionale in capo a un
soggetto piuttosto che un altro.
Tutti i soggetti si ritrovano a possedere la stessa
forza fisica con le dovute sfumature, e, la stessa
forza mentale, tali da spingerli a esternare quella
cupidigia nel raggiungimento dei loro fini, nel
perseguimento degli stessi ideali e nella
materializzazione delle loro idee in termini di
potere e di possedimenti. Ecco che subentra in
maniera del tutto assiomatica l’osservanza dello
Ius Omnium in Omnia ovvero il diritto su ogni
cosa, meglio ravvisabile sotto la denominazione di
diritto naturale, in virtù del quale l’uomo possa
fare riferimento e dunque ricorrere a tutto ciò che
necessita per godere del diritto alla vita e di
tutte quelle libertà fondamentali da esso
scaturenti.
Ma come viene visto l’altro, rispetto all’Io che
intende raggiungere il proprio scopo?
Ciascun altro individuo viene percepito come
potenziale e in seguito effettivo nemico, rivale,
ostacolo che va eliminato utilizzando tutti gli
strumenti a disposizione, considerato che all’uomo
all’interno dello stato di natura tutto è concesso,
poiché dotato di libertà e potere secondo una mole
sconfinata.
Si evince così la fragilità dello stato di natura,
legata al fatto che non vi è una regola od una norma
alla quale soggiacere, un potere compartecipato, e,
quindi accettato e condiviso da tutti, un potere
regolatore che ponga ordine e rispetto reciproco.
La risultante è quella situazione atipica ma a oggi
ahimè ancora presente, della lotta di tutti contro
tutti, dacché se due uomini esternano bramosia per
la stessa cosa, non essendo questa fruibile da
entrambi, ad esempio come un bene rivale,
economicamente parlando tanto per intendersi, questo
porta alla dialettica della sopraffazione edella
distruzione, detta in maniera semplicistica a un
vero e proprio stato di guerra.
Non a caso nello stato di natura tre sono le cause
principali di contesa cioè la rivalità di cui è
stato poc’anzi confutato, la diffidenza e
l’orgoglio, le quali rappresentano il motivo di
attuale conflitto all’interno di uno stato di
diritto. Tutte queste cause conducono al medesimo
risultato ovvero l’aggressione, anche se per ragioni
diverse: la prima per trarre vantaggi, la seconda
per questioni legate alla sicurezza e la terza per
mera reputazione.
Da tutto questo discorso, è facilmente desumibile
che l’uomo nella condizione naturale non riesce a
garantire nulla per sé, vivendo in un perenne stato
di incertezza, e, di conseguente lotta con tutti gli
altri, ragion per cui Thomas Hobbes definì tale
condizione come Homo homini lupus significando che
ciascun uomo è il lupo dell’altro, per cui, uccidere
diventa persino un diritto.
A tal proposito, Hobbes ritenne ineluttabile uscire
da questo status, asserendo la propensione dell’uomo
alla pace e all’obbedienza di carattere civile, in
qualità di essere razionale. Di fatto la ragione è
la vera dicotomia tra uomo e animale, l’essere
pensante, il cogito ergo sum di
Cartesio, è una perfetta trasposizione materiale su
questo ambito, dunque la capacità dell’uomo di
riconoscere il fenomeno causa-effetto grazie alla
razionalità.
In realtà secondo Hobbes, l’uomo di per sé stesso è
sottoposto a un comando che deriva dalla ragione e
che si identifica con la manifestazione della voce
di Dio, percepibile appunto solo attraverso la
ratio, quest’ultima rende possibile la costituzione
di un accordo tra uomini che si concretizza nella
formazione con un soggetto terzo di un patto,
mediante il quale si esce dalla condizione di
contesa, sottoscrivendo così un contratto, il quale
prevede e implica la cessione di ogni diritto e
conseguente libertà a un soggetto terzo, sul quale
grava l’obbligo di ristabilire l’ordine.
Questo soggetto si identifica con il famigerato
Leviatano, cioè l’essere dotato di
capacità amministrative e gestionali, senza un
legame particolare, e questo è fondamentale, in
virtù delle quali i membri della società non entrano
in conflitto e non arrivino a uccidere. Si fonda
così la società politica comunemente nota come
Stato, il quale per poter funzionare richiede la
figura di quel soggetto terzo ossia del Sovrano.
John Locke invece diversamente da Hobbes ritenne che
lo stato di natura non fosse ex ante contaminato da
guerre e disordini di carattere sociale, in virtù
dell’esistenza innata della legge di natura
all’interno di ciascun individuo e posta a presidio
della libertà, della salute e della proprietà. Il
cosidetto pactum diviene ineluttabile al fine
di limitare il potere del sovrano, che in quanto
tale, è soggetto all’osservanza di tale patto, al
contrario di quanto teorizzò Hobbes, instaurando
così quella forma di potere limitato dal diritto
naturale stesso.
A distaccarsi dalla teorizzazione Hobbesiana fu il
filosofo illuminista francese Jean- Jacque Rousseau,
il quale prese le mosse all’insegna di una
diversificata concezione antropologica, perché
ritenne che l’uomo all’interno dello stato di natura
fosse innocente e che solamente con l’introduzione
della proprietà privata si diede luogo al conflitto,
tendenzialmente intercorrente tra ricchi e poveri,
cui si poté porre fine attraverso quel potere
dirimente da ascrivere allo Stato. Non a caso in una
delle sue opere più importanti quali Il
Contratto sociale, il filosofo pose le basi
per l’istituzione di un ordinamento repubblicano
attento alla cura degli interessi dei molti, quindi
della società nella sua integrità, colmando o meglio
riducendo l’amplia pletora di disuguaglianze.
Andando un po' oltre questo discorso politico, e,
quindi soffermandosi sull’aspetto per così dire
morale, è opportuno sottolineare come l’agire
dell’uomo sia stato sempre mosso dalle passioni. Nel
caso della formazione dello stato civile in
sostituzione di quello naturale, le passioni che
indussero gli uomini alla pace furono la paura di
morire e, la spasmodica brama, quindi il desiderio
di tutto ciò che inerisce la piacevolezza della
vita.
Ricollegandosi infatti alla concezione prettamente
sensistica di Locke e all’articolazione della sua
tesi vista come uno sviluppo delle questioni
enucleate da Tommaso D’Aquino secondo le quali
“nulla c’è nell’intelletto che non è prima passato
dai sensi”, è importante denotare la dicotomia
tra sensi esterni e sensi interni, dove per questi
ultimi si intende la capacità di percepire il bene e
il giusto i quali sottendono alla regolazione del
comportamento umano.
Sulla stessa lunghezza d’onda si mantenne un altro
filosofo settecentesco, Claude Adrien Helvetius, il
quale si annovera tra coloro i quali sostennero che
l’uomo fosse mosso da passioni ma non solo.
Helvetius sostenne che l’educazione alle passioni
fosse prioritaria per la società, implicando al
contempo l’interdipendenza tra una passione e
l’altra, e ammettendo dunque l’esistenza di una vero
e proprio fenomeno di genealogia delle passioni.
Sulla base di tali assunti, le passioni possono
essere viste come risorse sociali, grazie alle quali
diventa possibile affrontare la modernità e curare
le patologie sociali a essa connesse. L’essere
empatici cioè riuscire a mettersi nei panni
dell’altro, ammettere la propria vulnerabilità,
provare ancora vergogna. Tutto ciò dovrebbe stare a
fondamento della società, del buon senso, della
conduzione di uno stile di vita sano e produttivo,
in cui si ha cura dell’altro e di tutto ciò che si
ha intorno.
Analizzando il discorso da un punto di vista
squisitamente sociologico si può affermare che
tutt’ora viviamo la fase dell’interregno gramsciano
in cui il vecchio ordine ûrappresentato dalla fase
più dinamica della globalizzazione cioè la modernità
liquida – muore e il nuovo non riesce a nascere.
Pertanto diviene spontaneo chiedersi se siamo
davvero usciti dallo stato di natura, o, viviamo in
uno stato civile in cui la legge di natura è negata?
Riferimenti bibliografici:
T. Hobbes, Leviatano, A. Pacchi, A. Lupoli (a
cura di), Roma-Bari, Laterza, 2008.