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N. 63 - Marzo 2013 (XCIV)

Verso lo stato moderno
parte I - Il regno di Federico II

di Laura Ballerini

 

Nel 1231, nel suo castello di Melfi, Federico II di Svevia, insieme al suo amico e notaio Pier delle Vigne, redasse una delle più grandi opere della storia del diritto, un insieme di codici legislativi che univano il diritto romano e normanno: le Costitutiones Augustales (note anche come Costituzioni melfitane o Liber Augustalis), prova della brillante cultura dell’imperatore.

 

 Federico II infatti era nato nel 1194 a Jesi, dal matrimonio di una principessa normanna, Costanza d’Altavilla, con l’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico VI (figlio di Federico Barbarossa di Svevia). I due sposandosi avevano annesso ai territori dell’impero anche il Regno di Sicilia, che allora comprendeva la quasi totalità dell’Italia meridionale. Alla morte di Enrico VI, nel 1197, e a quella della madre nel 1198, il regno passava nelle mani del piccolo Federico, che avendo solo 4 anni, crebbe sotto la tutela di Papa Innocenzo III. Il futuro imperatore trascorse gli anni della sua infanzia nello stimolante clima della reggia palermitana, crocevia di scambi commerciali e punto d’incontro delle diverse culture del mediterraneo. L’educazione di Federico, però, fu vittima dei contrasti tra il suo tutore Innocenzo III, e lo zio Filippo di Svevia, il quale incaricò il siniscalco Marcovaldo di Annweiler di impadronirsi della reggenza della Sicilia e della custodia del bambino. Egli dunque venne sballottato tra illustri sapienti, maestri del popolo, un imam mussulmano, coltivando molti studi da autodidatta, fino a quando, nel 1209, Federico compì 14 anni, che per quell’epoca significavano l’emancipazione e quindi l’assunzione del potere.

 

Egli divenne un Re molto colto, che poteva vantare la conoscenza di sei lingue (latino, greco, siciliano, tedesco, francese, arabo), della cultura latina e greca, di quella normanna e tedesca, che gli scorrevano nelle vene, capace di dialogare con popoli di oltre mare.

 

Nel 1214, dopo aver sconfitto nella battaglia di Bouvines il rivale tedesco Ottone IV di Brunswick, Federico II fu incoronato Imperatore nella Cappella palatina di Aquisgrana. Il suo cuore però apparteneva alla Sicilia, e così nel 1220, pur mantenendovi la suprema sovranità, affidò la corona tedesca al figlio Enrico.

 

Nonostante le richieste del nuovo Papa Onorio III, Federico continuò a rimandare la crociata in Terra Santa per concentrarsi sul suo regno, nella volontà di renderlo prosperoso. Tale temporeggiamento gli costò una scomunica, e l’accordo che strinse poi con “l’infedele” sultano d’Egitto – con cui Federico pattuì la cessione di Gerusalemme, di cui venne incoronato Re nel 1229 – portò il Papa a mandargli contro un esercito di crociati.

 

I due riuscirono ad accordarsi contrattando una revoca della scomunica a favore di Federico, per la rinuncia, da parte di quest’ultimo, al diritto alle nomine vescovili nel territorio di Sicilia. Si aprì così un periodo di pace con la curia romana, in cui l’Imperatore poté dedicarsi allo sviluppo dei suoi domini. Questa pace non ebbe lunga durata, il regno di Federico, infatti, fu travagliato da molte guerre contro il papato e per questo motivo vennero costruiti numerosi castelli e fortificazioni, ammirabili ancora oggi.

 

La cultura fu uno dei principali obbiettivi del sovrano, che fondò le Università di Napoli e di Salerno e finanziò diversi giovani per istruirsi, così da formare un ceto di funzionari competenti, in grado di amministrare sapientemente il regno. La sua corte divenne un ricettacolo di letterati, che presero come modello i versi d’amore dei poeti provenzali, formando quella corrente filosofico-letteraria nota come Scuola Siciliana.

 

Fuori dalla corte, il regno si caratterizzava da un agricoltura redditizia, da numerose città portuali sedi di scambi con il mediterraneo, all’interno di una società gerarchica di tipo feudale. Il potere del sovrano era quindi frammentato tra i numerosi baroni e conti, che giuravano fedeltà al re in cambio di terra e potere, per poter poi suddividere nuovamente tali benefici ai loro vassalli sottoposti, in cambio di fedeltà o protezione: il cosiddetto rapporto vassallatico-beneficiario.

 

Questa distribuzione di benefici aveva portato i baroni ad assumere un potere più forte delle aspettative e dei desideri di Federico, che voleva dunque provvedere. Egli intimò la distruzione di alcune fortificazioni che riteneva pericolose per il potere centrale, incontrando l’opposizione di diversi conti tra cui il conte di Bojano, Tommaso da Celano, che organizzò una resistenza presso Ovindoli, Celano e Roccamandolfi.

 

L’esercito del re riuscì tuttavia a portare a termine la distruzione delle fortificazioni senza grandi difficoltà e Federico entrò vittorioso a Melfi, dove decise di ritirarsi nel suo castello, per redigere delle leggi che portassero il Regno di Sicilia verso un nuovo e più moderno assetto.



 

 

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