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N. 92 - Agosto 2015 (CXXIII)

Stati Uniti d’Europa
Il sogno infranto dei padri fondatori

di Gaetano Cellura

 

Nel pieno della Seconda guerra mondiale Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, confinati dal fascismo a Ventotene, pensavano alla loro liberazione e sognavano gli Stati Uniti d’Europa. Per impedire al veleno degli Stati-Nazione di generare altre guerre e catastrofi. Non pensavano certo a una moneta senza Stato, a un’Unione di banche e non di popoli.

 

Il loro progetto grande aveva un nome: federazione. Perché la confederazione, per Ernesto Rossi, era fumo senz’arrosto. Erano eredi di Carlo Cattaneo, figli della sua dottrina federalista.

 

“O l’autocrate d’Europa o li Stati Uniti d’Europa” diceva il pensatore milanese. La cui visione, già durante il Risorgimento, superava i confini  nazionali, andava oltre quegli “Stati Uniti d’Italia” avversati da Mazzini, il suo oppositore di allora.

 

I confinati di Ventotene pensavano a un sogno generalmente condiviso, all’Europa unita come ambizione collettiva. Costruita su basi di solidarietà e di uguaglianza e non sottomessa allo strapotere dei mercati. L’Unione di oggi, invisa ai popoli e con la piazza di Atene in ebollizione, li avrebbe fatti inorridire, resi consapevoli dell’inutilità del loro insegnamento e della fragilità del loro sogno. 

 

Altiero Spinelli dedicò più di metà della sua vita (dal 1943 fino alla morte, avvenuta nel 1986) all’impegno federalista ed è giustamente considerato il padre fondatore dell’Europa.

 

L’unità del Vecchio Continente è andata avanti a piccoli passi durante la guerra fredda e nel lungo dopoguerra. Sulla via tracciata da Jean Monnet e da Robert Schuman – la messa in comune del carbone e dell’acciaio, risorse che dividevano Germania e Francia – nacquero la Ceca (Trattato di Parigi del 1951), poi la Cee (Trattati di Roma del 1956) il Parlamento europeo, la Commissione, il Trattato di Maastricht (1992), primo pilastro dell’Ue; e infine la moneta unica, la Costituzione europea e il Trattato di Lisbona del 2009.

 

Questo lungo e non ancora finito processo è stato accompagnato dalla ricostruzione di un continente devastato attraverso il piano Marshall e il Welfare, lo scudo contro povertà e depressioni ideato da William Beveridge e proposto su richiesta di Churchill sin dal 1942.

 

Non un socialdemocratico, non un comunista, dunque; ma un liberale, e per di più conservatore, un militante dell’Europa federale che oggi abbiamo difficoltà a costruire, capisce che senza uno Stato sociale capace di introdurre degli anticorpi agli effetti distruttivi del mercato sulla società, il Vecchio Continente, anche dopo la fine della Seconda guerra mondiale, sarebbe rimasto sull’orlo dell’abisso. Come lo è oggi, nel nostro tempo, che di un ritorno a Beveridge e a politiche keynesiane avrebbe bisogno per dar vita a una federazione vera di Stati e di popoli e non a quest’unione monetaria e bancaria ogni giorno più simile a una lobby, a una setta. Altra cosa è l’Europa federale. Altra cosa è la federazione. Non il fumo senz’arrosto della confederazione.

 

Europa federale vuol dire Stato di diritto, democrazia piena per il governo del commercio, della finanza transnazionale e della moneta. Vuol dire gestione comune dei debiti delle singole sue province e riconoscimento dell’irrilevanza degli Stati Nazione europei oggi nel mondo. L’America, guidata dal ministro del tesoro Alexander Hamilton, cominciò così nel 1790, con la comune gestione dei debiti, prima di mostrarsi severa con gli Stati morosi.

 

Europa federale vuol dire rinuncia alla propria sovranità nazionale in cambio di un’altra più grande, sovrannazionale. Vuol dire intervento pubblico nell’economia, scommessa sul futuro. Questo avvenne dopo la Grande Depressione con il New Deal, il patto contro la paura. E la stessa cosa successe in Europa nel dopoguerra: e cioè l’unità politica ed economica del continente per salvare le Costituzioni e la democrazia degli Stati.

 

A questo ci obbliga la crisi odierna: a riavvolgere la pellicola fino agli anni trenta del secolo scorso; e a pensare a Il popolo degli abissi di Jack London: “Uomini, donne, bambini in stracci e cenci ... facce pallide cui la Società-Vampiro aveva succhiato ogni linfa vitale... un’orda infuriata, urlante, convulsa, diabolica”.

 

Abbiamo visto in questi giorni il popolo greco in fila ai bancomat, i pensionati piangere, gli ospedali senza più medicine. Abbiamo visto e vediamo ancora i movimenti euroscettici e antieuro rafforzarsi di fronte al caso della Grecia e di fronte a un’Unione le cui politiche del rigore hanno prodotto 26 milioni di disoccupati. Il Vulcano è esploso contro i potenti dell’Europa e del mondo.

 

Spinelli e Rossi scrissero nel 1942 quello che sarebbe diventato il Manifesto di Ventotene. E Colorni si occupò della sua immediata diffusione grazie alla moglie ebrea Ursula Hirschmann che lo fece circolare clandestinamente nel continente.

 

Ucciso dai fascisti della Banda Koch durante la guerra partigiana, pochi giorni prima della liberazione di Roma, del Manifesto federalista Colorni scrisse nel 1944 la prefazione. La Hirschmann continuò il proprio impegno politico accanto ad Altiero Spinelli che sposò in seconde nozze.

 

Per questi padri dell’Europa federale valgono le parole di Tunda, il protagonista del romanzo di Joseph Roth, Fuga senza fine. “Voi volete conservare una comunità europea, ma dovreste prima crearla. Questa comunità non esiste, altrimenti già saprebbe conservarsi da sola. Che sia possibile, in genere, creare qualcosa, mi pare già molto discutibile”.

 

Lo scrittore austriaco scrisse queste cose nel 1927, ma suonano sempre attuali.



 

 

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