N. 31 - Dicembre 2007
stammheim
275
Cronaca
di un suicidio
- Parte
II
di
Leila Tavi
Il
ritrovamento dei nastri sul processo del 1975-1976
ai militanti della Rote Armee Fraktion (RAF)
Andreas Baader, Gudrun Ensslin, Jan-Carl Raspe e
Ulrike Meinhof, nelle cantine della prigione di
Stammheim, è frutto delle ricerche dell’equipe
del capo redattore del settimanale tedesco Der
Spiegel, Stefan Aust.
Le
registrazioni in originale possono essere ascoltate
in versione integrale dal sito dello Spiegel
e si riferiscono a tre precisi momenti del processo:
le udienze del 28 ottobre 1975 con le voci di
Andreas Baader e Jan-Carl Raspe in un
discorso che tratta dell’isolamento nelle celle
durante il processo; del 10 marzo 1976 con la voce
di Ulrike Meinhof che commenta il processo e
del 4 maggio 1976 con la voce di Andreas Baader
circa la richiesta della difesa di chiamare come
testimone l’ex presidente statunitense Richard
Nixon, nonché la voce di Gudrun Ensslin e
l’ammissione di responsabilità negli attentati
eseguiti a nome della RAF in alcune basi militari
statunitensi sul territorio tedesco all’inizio degli
anni Settanta.
Quatto giorni dopo questa registrazione di G.
Ensslin, il 9 maggio 1976, Ulrike Meinhof fu trovata
impiccata alle sbarre della finestra della sua
cella.
Il
processo si svolse in un’aula blindata costruita
appositamente per ragioni di sicurezza accanto allo
JVA Stammheim (Justizvollzuganstalten
Stammheim), il carcere più sicuro di tutta la
Germania federale.
Il
costo dell’ampliamento della prigione di Stammheim
fu all’epoca di circa dodici milioni di marchi
tedeschi.
L’area circostante l’aula bunker era
sorvolata da elicotteri della polizia e al suo
ingresso furono posizionati fili elettrici dell’alta
tensione, così da impedire qualsiasi tentativo di
liberazione degli imputati dall’esterno.
Al
settimo piano della prigione erano alloggiati nove
membri della RAF, a cui era permesso di incontrarsi
giornalmente, anche in deroga al regolamento
carcerario, che impediva a prigionieri di sesso
diverso di trascorrere del tempo insieme.
Durante il processo gli imputati e i loro difensori
lamentarono i coercitivi metodi di isolamento con
cui i membri della RAF furono trattati, anzi, la
linea difensiva si basò soprattutto sul rifiuto
dell’Isolationsfolter, come vedremo
nel prossimo numero.
In
realtà gli imputati potevano ascoltare musica,
guardare la televisione e ricevevano regolarmente
giornali e libri da familiari e conoscenti; durante
i loro incontri potevano parlare liberamente di
politica.
Solo durante il Deutscher Herbst
(autunno tedesco) ci fu un divieto ufficiale di
qualsiasi forma di contatto tra i prigionieri della
RAF, il cosiddetto Kontaktsperregesetz,
una conseguenza del sequestro di Hanns Martin
Schleyer.
Militanti della RAF cosiddetta di “seconda
generazione”, nel settembre 1977, sequestrarono
l’imprenditore presidente degli Arbeitgeber,
una sorta di Confindustria nella Germania federale,
nonché ex ufficiale delle SS, allo scopo di
costringere lo Stato federale a rilasciare i membri
della RAF di “prima generazione” detenuti a
Stammheim.
Lo
Stato optò per la “linea dura” e decise di non
scendere a compromessi con la RAF; il 29 settembre
del 1977 il Bundestag approvò, con 371
voti favorevoli e solo 4 contrari, la modifica del
preambolo alla legge dell’ordinamento giudiziario, a
cui fu introdotto appositamente, come provvedimento
eccezionale per la sicurezza nazionale, il comma
quarto dell’art.31, che prescriveva per i detenuti
appartenenti alla RAF l’isolamento.
Il
Presidente della Repubblica emanò la legge il 1.
ottobre 1977, che entrò in vigore il giorno
successivo; lo stesso 2 ottobre il Ministro della
Difesa Hans-Jochen Vogel decretò l’isolamento
per 72 detenuti.
Il
18 ottobre 1977 A. Baader e G. Ensslin furono
trovati alle prime ore del mattino morti suicidi
nella loro cella, il primo con un colpo di pistola
alla nuca, la seconda impiccata a un filo elettrico;
J.-C. Raspe fu trovato agonizzante nella sua cella
per un colpo alla testa e morì il giorno stesso in
ospedale, l’unica che in ospedale riuscirono a
salvare fu Irmgard Möller, un’altra militante
della RAF detenuta nel carcere speciale di Stammheim.
I.
Möller presentava quattro ferite da coltello al
petto; dopo la degenza in ospedale fu trasferita nel
carcere di Lubecca, dove ha trascorso ventitre anni
di reclusione per tornare in libertà solo nel 1995.
Le
misure d’isolamento furono immediatamente revocate
il 21 ottobre 1977, a seguito della morte dei
militanti della RAF e dell’omicidio di H.-M.
Schleyer, i cui sequestratori ritennero che, dopo il
suicidio collettivo di Stammheim, non valesse
più la pena tenere in vita.
Dopo la notizie della morte dei membri della RAF, il
19 ottobre 1977, il corpo senza vita di H.-M-
Schleyer fu trovato a Mülhausen nella regione
di Elsass.
Probabilmente i quattro detenuti furono spinti al
suicidio nella Todesnacht von Stammheim
(la notte della morte di Stammheim) dal fallito
tentativo di sequestro da parte di alcuni militanti
palestinesi della PFLP, solidali con la RAF,
del Landshut, un Boeing 737-200 della
Lufthansa.
I
palestinesi chiedevano la scarcerazione dei detenuti
della RAF in cambio della vita degli ottantasei
passeggeri e dei cinque membri dell’equipaggio a
borda del Landshut, sequestrato il 13 ottobre.
L’aereo avrebbe dovuto effettuare un volo da Palma
de Mallorca (Spagna) a Francoforte sul Meno
(Germania federale), invece fu dirottato prima sui
cieli francesi e poi, dopo una tappa a Roma per il
rifornimento di carburante, sorvolò Larnaka, Barhain,
Dubai per atterrare poi a Mogadiscio.
Lì
entrò in azione un commando della GSG 9 (Grenzschutzgruppe),
ovvero le teste di cuoio tedesche, che con un
blizt uccisero i quattro giovani sequestratori
palestinesi e liberarono i novantuno ostaggi dopo
cinque giorni dal dirottamento.
Il
sequestro del Landshut, il suicidio di Stammheim e
l’omicidio Schleyer sono, come abbiamo potuto
evidenziare, eventi indissolubilmente legati tra
loro e l’uno la conseguenza dell’altro.
Nell’aprile 1977 A. Baader, G. Ensslin e J.-C. Raspe
erano stati condannati all’ergastolo alla
conclusione del processo, ma i legali dei sovversivi
erano ricorsi all’appello immediatamente.
In
seguito fu reso noto che i detenuti della RAF
riuscirono a rimanere in contatto tra loro anche
durante l’isolamento, grazie a un congegno di
ricetrasmittenza che J.-C. Raspe aveva costruito
utilizzando i cavi del vecchio sistema audio del
carcere.
Le
armi in possesso dei detenuti della RAF furono
portate clandestinamente nel carcere già nel 1976
dall’avvocato Arndt Müller, che le aveva
ricevute, a sua volta, da Volker Speitel, un
militante della RAF, impiegato come aiutante nello
suo studio e che aveva acquistato le armi in
Ungheria.
È
proprio attraverso la confessione di V. Speitel che
è stato possibile, in seguito, ricostruire i fatti
riguardo la consegna delle armi clandestine: le armi
senza custodia furono recapitate ai detenuti proprio
durante il processo utilizzando di volta in volta
fascicoli in cui erano stati accuratamente fatti
dei buchi, poi ricuciti una volta inserite le armi,
che l’avvocato portava con sé durante le sedute.
Solo dopo il suicidio furono ritrovati nello studio
di A. Müller tali fascicoli; l’avvocato era riuscito
a eludere i controlli all’ingresso del carcere più
volte, consegnando ai detenuti di nascosto vari
oggetti oltre alle tre pistole: un macchina
fotografica di marca Minox, vari fornelli per
cucinare, una radio a transistor di marca Sanyo,
alcuni pezzi elettrici che J.-C. Raspe utilizzò per
costruire le ricetrasmittenti a cui abbiamo già
accennato sopra, oltre a 650 grammi di esplosivo dei
più pericolosi.
Alla morte dei detenuti furono rinvenuti, nascosti
tra le mura delle celle, materiali esplosivi.
L’avvocato Müller fu arrestato nel 1978 grazie alla
confessione di V. Speitel e fu condannato a quattro
anni e otto mesi di reclusione e al divieto di
esercitare la sua professione per cinque anni dopo
aver scontato la pena.
A
J.-C. Raspe fu consegnata una pistola di marca
Heckler & Koch, tipo HK 4, che nascose dietro un
battiscopa della sua cella; A. Baader invece ne
ricevette una di marca FEG, calibro 7,65 mm, che
nascose anch’egli prima dietro un battiscopa, poi
all’interno del suo giradischi. La terza arma, una
Colt Detective Special, calibro 38, fu
ritrovata solo dopo un mese dal suicidio nella cella
723, dove un altro militante, Helmut Pohl, fu
rinchiuso fino all’agosto 1977.
Alle 0.40 della notte del 18 ottobre 1977 J.-C.
Raspe ascoltò la notizia alla radio della
liberazione degli ostaggi del Landshut e la comunicò
ai compagni; alle 7.40 il segretario generale di
giustizia Gerhard Stoll ordinò di aprire la
cella di J.-C. Raspe e, insieme a tre guardie
carcerarie, trovò il corpo agonizzante del detenuto
disteso sul letto, con la schiena poggiata sul muro;
sanguinava dal naso, dalla bocca e dalle orecchie a
causa della ferita causata dalla pallottola
penetrata nella tempia destra; la pistola giaceva
sul materasso. L’uomo fu trasportato in ospedale,
dove morì due ore più tardi.
Alle 7.50 una guardia carceraria aprì la cella di A.
Baader, che fu trovato riverso a terra in una pozza
di sangue, con un colpo alla nuca, sparato dalla
pistola trovata accanto al suo corpo.
G.
Ensslin fu trovata immediatamente dopo impiccata con
un cavo elettrico alle sbarre della stessa finestra
nella cella dove, un anno prima, U. Meinhof si era
tolta la vita nello stesso modo.
I.
Möller fu trovata piegata sul suo letto in una pozza
di sangue, con quattro ferite all’altezza del cuore,
ma ancora viva.
Nonostante I. Möller stessa abbia sempre dichiarato
che si è trattato di un omicidio, così come gli
avvocati della RAF Otto Schily,
Hans-Christian Ströbele e Karl-Heinz
Weidenhammer, e non di un suicidio collettivo,
la tesi prevalente è ad oggi quella del
Selbstmorden unter staatlicher Aufsicht
(suicidio sotto la vigilanza statale).
I
politici e gli alti funzionari della Germania
federale erano a conoscenza delle intenzioni dei
detenuti e del fatto che possedessero delle armi;
come è stato dimostrato nell’articolo precedente, i
militanti della RAF erano costantemente controllati
da agenti speciali, che ne ascoltavano ogni
conversazione.
L’implicazione dello Stato federale nel suicidio
collettivo di Stammheim è da considerarsi, quindi,
prova sufficientemente valida per la costituzione di
una Commissione parlamentare d’inchiesta ancora
oggi.
Eppure la notte tra il 17 e il 18 ottobre ci fu un
blackout nel carcere di Stammheim, estranei
sarebbero potuti entrare indisturbati nell’ala
tenuta sotto stretta sorveglianza del settimo piano,
dove si trovavano le celle dei militanti della RAF.
Come è stato possibile, inoltre, che per un anno
intero i detenuti furono in possesso di armi nelle
loro celle e che tali armi furono consegnate loro in
modo indisturbato da un loro legale nel carcere più
sicuro di tutta la Germania federale?
Un
altro punto oscuro rimane il colpo di arma da fuoco
sparato alla nuca di A. Baader, la pistola fu
trovata a 40 centimetri dal suo corpo; secondo una
perizia dell’ufficio giudiziario tracce di polvere
da sparo proverebbero che A. Baader fu ucciso da un
colpo alla nuca sparato da una distanza di 30- 40
centimetri e quindi poco agevole per A. Baader
stesso, accreditando la versione dell’omicidio.
In
seguito lo stesso funzionario che redasse il primo
rapporto dichiarò nei tre rapporti successivi che il
caso andava archiviato come suicidio.
Nel 1978 fu costituita una commissione della
Comunità europea che, a seguito di cinque
dettagliati rapporti, giunse ugualmente alla
conclusione che si trattò di suicidio.
Una successiva autopsia della salma confermò la
versione del suicidio, così come le due inchieste
ordinate dai legali e dai familiari di A. Baader.
Nel 1990 furono resi pubblici i fascicoli relativi
al processo e al suicidio di Stammheim, grazie ai
quali è stato possibile confermare che le
conversazioni dei detenuti erano ascoltate e
registrate e che le autorità incaricate di
supervisionare l’intera operazione di “spionaggio”
erano a conoscenza delle intenzioni dei militanti
della RAF di suicidarsi.
Quello che non è stato ancora possibile provare
attraverso fonti e documenti sono le motivazioni che
hanno spinto lo Stato federale a non impedire il
suicidio collettivo.
Nel prossimo numero analizzeremo alcuni stralci
tratti dalle registrazioni con le voci dei quattro
sovversivi, che ci aiuteranno a capire perché i
detenuti della RAF erano delle personalità scomode e
pericolose per lo Stato federale tedesco e perché le
autorità hanno preferito non interferire nel
suicide action. |