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N. 71 - Novembre 2013 (CII)

stalingrad
SE LA STORIA SI FA KOLOSSAL

di Leila Tavi

 

Tra il luglio del 1942 e il febbraio del 1943 l'Armata Rossa sfidò le forze dell'Asse in una delle battaglie più sanguinose della storia, la battaglia di Stalingrado (in russo сталинградская битва, traslitterato in Stalingradskaja bitva, e in tedesco Schlacht von Stalingrad). Fu combattuta tra la 6. Armata della Wehrmacht, comandata dal generale Friedrich Paulus, contro la 62. Armata sovietica e segnò un’importante tappa della Seconda Guerra Mondiale: per la prima volta dall’inizio del conflitto la Germania nazionalsocialista subì una significativa sconfitta politico-militare.

 

Il generale Paulus era stato incaricato, infatti, da Hitler di conquistare la città con l’intento di sbarrare il Volga e di fare da copertura al raggruppamento tedesco in marcia verso il Caucaso per la conquista dei pozzi petroliferi. Il primo attacco tedesco alla città assediata avvenne il 13 settembre 1942 e fu l’inizio di una lunga e sanguinosa battaglia che durò per più di due mesi, con scontri a distanza ravvicinata, strada per strada e casa per casa.

 

Dopo la terza offensiva il generale Paulus conquistò il Volga in tre differenti punti, riuscendo nell’intento di isolare i soldati sovietici sopravvissuti, che si divisero tra i pochi dislocati dentro la città e quelli di numero superiore confinati a poche centinaia di metri sulla riva occidentale del Volga.

 

Nonostante la vittoriosa offensiva la 6. Armata non riuscì ad annientare completamente la resistenza sovietica; la cieca devozione dei generali tedeschi al Führer e la loro pedissequa esecuzione del megalomane piano di Hitler che, attraverso l’operazione Blau, prevedeva un’ultima decisiva offensiva tedesca di oltre un milione di soldati per conquistare il Don e il Volga e distruggere le strategiche industrie meccaniche di Stalingrado.

 

Hitler era convinto che, a differenza dell’invasione napoleonica del 1812, avendo il suo esercito superato il rigido inverno russo, la vittoria sui Russi era prossima. In realtà il suo piano era farraginoso e pieno di errori strategici, tanto che, paradossalmente, Hitler divenne il peggior nemico di se stesso.

 

Dopo la sconfitta subita dai Tedeschi nella battaglia di Mosca, lo stato delle truppe dei due eserciti era critico: da entrambe le parti il freddo pungente del rigido inverno russo aveva indebolito i combattenti; ci furono gravi perdite di uomini e mezzi; gli approvvigionamenti erano scarsi e le pessime condizioni igieniche furono la causa della diffusione di malattie e di parassiti.

 

Nella primavera del 1942 il generale Paulus si ritrovò a dover combattere una battaglia contro una divisione sovietica determinata al sacrificio estremo per l’onore della patria. Dopo un’iniziale sottovalutazione da parte di Paulus della resistenza russa, il generale si rese ben presto conto di come, giorno dopo giorno, la situazione si facesse sempre più critica per la sua armata, i cui uomini erano scoraggiati ed esasperati dal modo di combattere dei soldati russi che, asserragliati in un punto strategico della città, senza sottili strategie, riuscivano a infierire sui loro nemici con armi e mezzi di fortuna.

 

Lo stesso generale era psichicamente a pezzi; con un vistoso tic sul volto e una gastroenterite di origine nervosa, fu lasciato solo a combattere quella che più che una battaglia può essere considerata una carneficina.

 

Il 19 novembre del 1942 segnò l’inizio dell’offensiva sovietica, soprannominata operazione Urano, bissata, dopo il rifiuto tedesco all’ultimatum di resa da parte dei sovietici nel gennaio 1943, da una successiva operazione del 2 febbraio 1943, con cui fu sferrata la decisiva battaglia che portò alla prima sconfitta tedesca dall’inizio del conflitto mondiale. Dei circa 270.000 uomini della divisione tedesca impegnata nella battaglia di Stalingrado, 90.000 furono catturati dai Sovietici, 6.000 fecero ritorno in patria solo dopo il 1950, mentre quasi i due terzi persero la vita sul campo.

 

La battaglia rappresentò per Stalin non solo una vittoria militare, ma un’opportunità politica, o meglio una svolta psicologico-politica, che convinse gli Anglo-Americani ad aprire un secondo fronte sul territorio europeo, più volte richiesto da Stalin.

 

La battaglia di Stalingrado modificò così l’intero corso del conflitto mondiale in termine di politica della guerra, dimostrando come l’URSS fosse in grado, senza un sostanziale appoggio delle truppe alleate, di resistere all’invasione tedesca.

 

Se fino al quel momento Winston Churchill fu convinto che era necessario insistere sul fronte del Mediterraneo e dell’Africa settentrionale, dove gli errori dell’esercito italiano costituivano, secondo il primo Ministro britannico, il tallone d’Achille di Hitler, con la vittoria sovietica l’attenzione degli Anglo-Americani fu catturata dall’alleato russo, al quale si guardava però con cautela e senza troppi entusiasmi.

 

Da parte statunitense la vittoria di Stalingrado cambiò la strategia di Roosevelt da politica del “containment” nei confronti di Hitler a quella dell’intervento e della vittoria, con conseguenze dirette sul fronte aperto nel Pacifico.

 

Per i Russi la battaglia di Stalingrado significò poi il definitivo abbandono da parte di Stalin dell’ipotesi di una pace separata con i Tedeschi e la convinzione di poter sconfiggere senza riserve l’esercito nazionalsocialista; tale convinzione fu interpretata da parte degli Anglo-Americani come bona fides di Stalin; fu deciso pertanto di aprire un secondo fronte europeo, a sostegno dell’alleato russo.

 

Le vicende dei tremendi giorni di assedio dei soldati sovietici, asserragliati nella città di Stalingrado, sono state raccontate dal cineasta Fëdor Sergeevič Bondarčuk in uno spettacolare kolossal 3D presentato all’ottava edizione del Festival internazionale del Film di Roma.

 

Il film, basato sul libro di Vasily Grossmann, Годы войны (Gody voiny – edito nel 1999 da L’ancora con il titolo Gli anni di guerra), racconta la storia di un gruppo di persone, tra civili e militari, che nell’orrore della guerra cercano di preservare la loro umanità in condizioni disumane.

 

La scelta del 3D offre la possibilità allo spettatore d’immergersi nell’atmosfera di una città devastata dai bombardamenti, dove polvere, macerie e sporco si possono quasi respirare, dove l’eco di uno sparo rimbomba in sala. Lo spettatore è legato ai destini dei protagonisti della storia, vive le loro emozioni e il loro tragico destino.

 

La scelta del regista non è stata quella di raccontare un importante evento del passato attraverso un film di guerra o di storia patria, Bondarčuk ha voluto narrare la storia della giovane Katja (Maria Smolnikova), che ritorna nella sua casa occupata da alcuni soldati russi che si sono lì rifugiati e arroccati per resistere ai tentativi d’incursione da parte del capitano tedesco Peter Kahn (Thomas Kretschmann).

 

La presenza di Katja dà gli uomini assediati nella sua casa la forte motivazione per poter vincere lo loro disperata battaglia; dal suo canto il capitano Kahn non è dipinto come l’ufficiale tedesco senza scrupoli, s’innamora di Masha (Jana Studilina), una donna che si prostituisce per sopravvivere.

 

Come per i suoi avversari del palazzo “di fronte”, per Kahn la donna russa, che non comprende ma che tanto somiglia alla moglie tragicamente scomparsa, diventa il motivo per andare avanti, nonostante l’assurdità della guerra e della megalomania del Führer, che costringe i suoi soldati ad andare avanti in una battaglia che al capitano sembra già persa.

 

La figura del nobile prussiano ligio alle regole e all’etichetta è contrapposta nel film a quella del capitano Gromov (Pëtr Fijodorov), l’eroe russo, valoroso e intrepido, che ha rischiato la vita in battaglia molte volte e che ha già guardato negli occhi la morte, tanto da non aver paura a guidare un’impresa così disperata come quella di un pugno di uomini che, con munizioni e armi di fortuna, tengono testa a una divisione, che se pur in difficoltà, è meglio equipaggiata.

 

Sia il regista che Kretschmann si sono confrontati in passato con il tema, partecipando a due diverse produzioni sulla battaglia di Stalingrado: l’attore interpretò il ruolo del sottotenente Hans von Witzland nel film del 1993 diretto da Joseph Vilsmaier, qualche anno prima, nel 1989, il regista ebbe una parte nel film di Jurij Nikolaevič Ozerov del 1989, di cui era a quel tempo allievo.

 

Il set del film presentato quest’anno a Roma è stato allestito vicino a San Pietroburgo, nel villaggio di Sapijorny. Sono stati ricostruiti alcuni edifici noti di Stalingrado e la famosa fontana Il girotondo dei bambini, conosciuta anche con il nome di I bambini e i coccodrilli, di cui sono giunte a noi le foto di Emmanuil Noevič Evzerikhin, corrispondente di guerra, prima che la fontana fosse distrutta da un bombardamento. La fontana è diventata nella memoria collettiva russa il simbolo della battaglia di Stalingrado.

 

La casa di Katja, che fa da sfondo all’eroica resistenza dell’esiguo gruppo di militari russi, è stata ricostruita sul modello del Дом Павлова (Dom Pavlova), un edificio fortificato che prese il nome dal sergente Jakov Fedotovič Pavlov, che insieme al tenente Ivan Filippovič Afanas'ev, giunto in un secondo momento con i rinforzi, prese il comando dell’operazione che portò alla conquista, il 22 settembre 1942, dell’edificio, dopo che tutti i superiori di Pavlov furono uccisi nell’operazione.

 

Il sergente Pavlov faceva parte di un plotone del 3° battaglione del 42° Reggimento Fucilieri della Guardia, dipendente dalla 13a Divisione Fucilieri della Guardia sovietica; dei trenta uomini coinvolti nell’operazione solo quattro sopravvissero all’assalto. Successivamente arrivarono a supporto dei quattro sopravvissuti altri ventuno uomini equipaggiati di mitragliatrici, armi anticarro e mortai.

 

L’edificio di quattro piani si trovava nel centro di Stalingrado, in via Penzenskaja 61; la vicinanza al Volga e l’affaccio sulla piazza “9 gennaio” ne facevano un palazzo d’importanza strategica nella logorante guerra d’attesa tra le due contrapposte parti; l’edificio offriva infatti ai soldati russi un chilometro di visuale sulle quattro strade che convergevano sulla piazza dai quattro punti cardinali.

 

Per prepararsi alla battaglia e per eseguire l’ordine di Stalin, che come Hitler aveva incitato i suoi uomini alla vittoria, il sergente Pavlov fece fortificare l’edificio e lo circondò con il filo spinato e campi minati, posizionando una mitragliatrice per ogni finestra che si affacciava su piazza “9 gennaio”.

 

Una fedele ricostruzione è stata fatta anche per le armi e i veicoli da combattimento, i carri armati sovietici T-34 e T-44 e i tedeschi Pz-IV.

 

In passato, oltre ai film già citati sopra, altri registi si sono cimentati con la battaglia di Stalingrado; quello del 1962 diretto da Marija Slavinskaja è naturalmente di parte, con l’esaltazione del sacrificio dei soldati russi, che diedero la vita per non far cadere la città in mano tedesca e arrestare così l’avanzata dell’esercito nazionalsocialista verso Baku. Invece di parlare del piano Urano e dei suoi due ideatori, i generali Aleksandr Michajlovič Vasilevskij e Georgij Konstantinovič Žukov, il protagonista assoluto della pellicola è Nikita Sergeevič Chruščëv, immortalato nelle celebrazioni della vittoriosa battaglia.

 

Già nel 1943 due pellicole furono realizzate per commemorare la battaglia: uno fu il documentario di Leonid Varlamov, che si avvalse della narrazione del noto attore statunitense Brian Donlevy e mise l’accento sui terribili cinque mesi di combattimenti; l’altro fu girato da Frank Capra e commissionato da George Catlett Marshall, che diede il nome al famoso piano economico di ricostruzione dell’Europa nel dopoguerra e che nel 1943 era a capo dello Stato maggiore statunitense.

Il film di Capra The Battle of Russia fu inserito in una serie intitolata Why We Fight, finanziata dallo Stato maggiore statunitense per motivare e supportare i soldati sul fronte.

Del film di Capra si fece un gran parlare negli Stati Uniti alla sua uscita, perché il regista attinse a del materiale fornito dall’Ambasciata russa negli US e acquisito durante visite non autorizzate, tanto da fare temere agli agenti dell’FBI che ci potesse essere dietro a quel materiale un’attività di spionaggio sovietica.

 

Il film ebbe la sua prima a New York nel novembre del 1943 e ottenne un critica favorevole da parte del New York Times, che pubblicò una recensione il 15 novembre con cui si giudicava l’opera come “a brililantly instructive and inspiring film”; molto probabilmente Capra ebbe accesso anche a una copia del documentario di Varlamov.

Nella vera storia di Stalingrado fece la sua comparsa anche una misteriosa figura, una spia conosciuta dai Russi con il nome di “Lucy”, un militare di nazionalità ceca chiamato in realtà Karel Sedlacek, che lavorava come giornalista in Svizzera sotto le mentite spoglie di Thomas Selzinger. Attraverso l’operato in Svizzera di Sedlacek e di altri, tra i quali il comunista britannico Alexander Foote, lo Stavka, il comando supremo delle forze sovietiche, riusciva a ottenere in tempo reale, via radio, resoconti dettagliati sulle operazioni future della Wehrmacht e della Luftwaffe.

 

Sempre nel 1943 fu ordinato a Heinz Schroter dai suoi superiori di scrivere un resoconto della sconfitta di Stalingrado, che fu subito censurato dal gerarca Joseph Goebbels, perché considerato “insopportabile per il popolo tedesco”. Le memorie di Schroter non hanno rappresentato una preziosa testimonianza, pregevole è però la parte in cui si descrive la lotta intestina tra Hitler e i suoi generali, che cercarono di convincerlo a permettere al generale Paulus di ritirarsi.

 

L’insana determinazione del Führer e la patologica cieca sottomissione del generale Paulus alla pazzia di Hitler furono gli elementi portanti dell’assurdo scontro di Stalingrado, che ha portato a una sorta di Armaggedon, ben descritto dagli storici David M. Glantz e Jonathan M. House nella loro recente pubblicazione in tre esaustivi volumi.

 

Un volume che forse Bondarčuk avrebbe potuto prendere in considerazione nella sua ricostruzione storica, invece di limitarsi a utilizzare come fonte principale le memorie di Grossman, che pur essendo un’importante testimonianza soprattutto di come lo Stavka abbia sacrificato la vita di uomini valorosi per la causa, mancano di un vero e proprio fondamento storico basato sui documenti d’archivio.



 

 

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