N. 48 - Dicembre 2011
(LXXIX)
Lo "Spettro" di Marx
Il rischio di un socialismo senza identità
di Giovanni Piglialarmi & Roberto Rota
Gli uomini possono, dopo aver evocato con angoscia gli spiriti
del
passato,
prenderli
al
loro
servizio;
i
fantasmi
scompariranno
dopo
la
vittoria
della
rivoluzione,
quando
i
morti
seppelliranno
i
loro
morti.
(Karl
Marx,
Lineamenti
fondamentali
per
la
critica
dell’economia
politica)
Le
rivoluzioni
hanno
aperto
la
strada
a
guerre
civili
e a
guerre
tra
Stati,
portando
solo
catastrofi,
anche
se
camuffate,
talvolta,
da
momentanei
trionfi.
E
hanno
assunto
caratteri
sempre
più
antioccidentali.
Questa
tendenza
si è
rafforzata
negli
ultimi
decenni
del
Novecento
e
oggi
la
rivoluzione
è
l’obiettivo
delle
forze
contrarie
all’Occidente,
sia
al
suo
interno
che
all’esterno.
Con
un
sincretismo
di
motivi
ideologici
di
estrema
destra
e di
estrema
sinistra,
esse
combattono
anzitutto
la
globalizzazione.
è
singolare
come
molti,
che
si
proclamano
assoluti
eredi
del
marxismo,
la
demonizzino,
sotto
l’influenza
di
gruppi
“religiosi”,
non
solo
fondamentalisti
o
islamici.
Identificando
l’Occidente
con
Satana,
i
rivoluzionari
cercano
di
scorgere
segnali
che
preannuncino
la
battaglia
finale...
(Aurelio
Lepre,
Che
c’entra
Marx
con
PolPot?)
Il
comunismo
è
statoconsiderato
una
delle
più
grandi
innovazioni
ideologiche
degli
ultimi
secoli
e
allo
stesso
tempo
la
più
grande
questione
storica
dell’età
contemporanea.
Diverse
critiche
di
pensiero
hanno
tentato
di
demonizzarlo,
incolpandolo
di
innumerevoli
crimini;
ci
sono
stati
sognatori
(e
ci
sono)
che
non
hanno
perso
la
fede
in
un
futuro
comunista;
infine,
c’è
chi
si è
limitato
alla
pura
osservazione
del
fenomeno
sociale
nella
storia.
Sarà
questo
il
modo
più
proficuo
per
analizzarlo?
Forse.
Ma
ancora
oggi,
la
domanda
che
si
pongono
i
lettori
di
Marx,
gli
interpreti
della
grammatica
marxiana,
è
semplice
ma
alquanto
lucida:
che
c’entra
Marx
con
PolPot?
Questa
domanda
l’ha
posta
lo
storico
Aurelio
Lepre
(Che
centra
Marx
con
PolPot,
edizioni
Laterza
Roma-Bari
2001).
Intitolando
così
un
suo
autorevole
saggio,
che
ha
ripercorso
le
tappe
di
fenomeni
storici
ricollegati
seppur
da
una
banale
dialettica
storica
al
filosofo
di
Treviri,
lo
storico
napoletano
ha
sottolineato
le
dissonanze
presenti
fin
dai
presupposti
di
quelli
che
la
storiografia
chiama
“comunismi
reali”
e il
pensiero
di
Marx.
Socialismo,
comunismo
sono
ideologie
che
sono
state
frutto,
a
volte,
di
una
pura
speculazione
dialettica.
Altre
volte
ancora
si
sono
macchiate
come
ideologie
mostruose
che
costringevano
l’uomo
non
all’alienazione
dallo
sfruttamento,
bensì
all’inumanità.
Quando
Marx
ed
Engels
scrissero
il
manifesto
del
partito
comunista,
stavano
lavorando
ad
un
progetto
rivoluzionario
che
aveva
una
precisa
locazione
geografica
per
la
sua
attuazione:
il
cuore
pulsante
dell’Occidente,
il
centro
del
mondo,
dove
la
ricchezza
si
manifestava
sotto
qualsiasi
aspetto.
In
Germania
soprattutto
la
rivoluzione
della
classe
operaia
doveva
essere
l’esempio
di
una
grande
innovazione
politica.
Ora,
tenendo
presente
le
società
comuniste
che
si
sono
proclamate
tali
in
questo
secolo,
possiamo
notare
che
l’Occidente
è
rimasto
escluso
dalla
“trasformazione
rivoluzionaria”.
Lenin,
PolPot,
Stalin,
Castro,
Guevara,
i
nazionalcomunismi
africani
sono
l’esempio
di
un
comunismo
che
ha
attecchito
in
luoghi
che
Marx
non
solo
aveva
escluso
ma
che
aveva
ben
raccomandato
di
evitare.
Perché?
Quando
Marx
inizia
la
sua
battaglia
per
l’affermazione
del
comunismo,
non
ha
come
presupposto
quello
di
creare
un
modello
alternativo
al
capitalismo;
anzi,
cerca
di
superare
la
fase
capitalistica
(che
resta,
comunque
fase
essenziale)
per
liberare
l’uomo
dalla
schiavitù
del
lavoro.
Il
mito
della
classe
operaria
nasce
dal
fatto
che
il
filosofo
individua
proprio
in
essa
la
capacità
di
impossessarsi
dei
mezzi
di
produzione.
Dunque
la
società
comunista
sembra
una
proiezione
futura,
un
netto
superamento
della
società
capitalistica
per
una
maggiore
redistribuzione
della
ricchezza
tra
gli
uomini
(diverso
quindi
dal
capitalismo
di
stato).
E
tale
cambiamento
si
sarebbe
potuto
realizzare
solo
dove
la
ricchezza
imperava:
ci
troviamo
in
piena
rivoluzione
industriale
e
l’Europa
ne è
protagonista.
La
periferia
del
mondo,
come
la
definisce
Engels,
deve
essere
l’ultima
tappa
della
rivoluzione,
un
punto
di
arrivo
e
non
di
inizio,
non
la
partenza.
Altrimenti
si
rischierebbe
di
usare
il
comunismo
come
un
mezzo
da
parte
del
popolo
per
debellare
un
semplice
dittatore,
sfociando
inevitabilmente
in
una
guerra
civile.
Successivamente
però
l’inseparabile
amico
di
Marx
muta
la
sua
opinione
per
diversi
avvenimenti:
Marx
era
morto
nel
1883
e
già
due
anni
dopo
si
inizia
a
respirare
aria
di
crisi
all’interno
dei
movimenti
comunisti
europei;
c’era
incertezza,
il
maestro
era
morto
e
ogni
partito
inizia
a
ritagliarsi
la
propria
autonomia
di
pensiero
però
senza
mai
trascurare
la
fede
marxista.
Cosa
accade
in
questo
periodo?
Iniziano
a
sorgere
le
prime
“autonomie
comuniste”
che
in
tutto
o in
parte
sfuggono
al
messaggio
di
Marx.
Le
prime
divergenze
tra
Marx
e i
suoi
“successori”
si
rintracciano
già
nell’idea
di
stato.
La
rivoluzione
comunista
cancella
ogni
forma
di
proprietà
privata,
e lo
strumento
“tecnico”
di
cui
servirsi
per
rendere
possibile
tale
rivoluzione
è la
socializzazione
di
mezzi
di
produzione
e di
scambio.
Si è
attribuito
a
Marx,
per
un
certo
periodo
di
tempo,
una
sorta
di
“revisionismo”,
che
si
pensava
volesse
rendere
sostanziale
una
democrazia
ancora
formale
dello
Stato,
ma a
questo
proposito
Marx
si
esprime
chiaramente
dicendo
che
il
compito
del
proletariato
non
è
quello
di
“conquistare”
la
macchina
borghese,
manovrandola
al
fine
di
ottenere
sempre
maggiori
profitti,
bensì
quello
di
spezzarne
o
distruggerne
i
meccanismi
istituzionali
di
fondo.
“Lo
Stato
è la
forma
in
cui
gli
individui
di
una
classe
dominante
fanno
valere
i
loro
interessi
comuni”
(L’ideologia
tedesca).
“Il
potere
politico
è il
potere
di
una
classe
organizzata
per
opprimerne
un’altra”(Il
Manifesto).
Come
ha
notato
Norberto
Bobbio,
lo
Stato,
per
Marx,
è,
sì,
una
macchina,
ma
non
è
possibile
per
tutti
utilizzarla
a
proprio
piacimento
per
raggiungere
i
propri
scopi,
in
quanto
ogni
classe
è
portata,
secondo
il
materialismo
storico,
a
forgiare
una
macchina
statale
secondo
le
proprie
esigenze.
Tale
rifiuto
delle
forme
istituzionali
dello
Stato
prende
corpo
nella
dottrina
della
“dittatura
del
proletariato”.
La
miglior
forma
di
governo
è,
infatti,
per
Marx,
quella
che
avvia
il
processo
di
estinzione
di
ogni
possibile
forma
di
governo
e
consente,
cioè,
la
trasformazione
della
società
da
statale
a
non
statale.
Tale
forma
di
governo,
assolutamente
esemplare,
corrisponde
la
fase
di
uno
Stato
denominato
di
“transizione”
(da
Stato
a
non-Stato,
chiaramente)
ed
è,
dal
punto
di
vista
del
dominio
di
classe
invece,
in
vista
di
una
società
concepita
come
“società
fondata
sulla
lotta
di
classe”,
quello
del
periodo
della
“dittatura
del
proletariato”.
Per
dirlo
con
le
stesse
parole
che
Marx
usa:
“Tra
la
società
capitalistica
e la
società
comunistica
vi è
il
periodo
della
trasformazione
rivoluzionaria
dell’una
nell’altra.
Ad
esso
corrisponde
anche
un
periodo
politico
di
transizione,
il
cui
stato
non
può
essere
altro
che
la
dittatura
rivoluzionaria
del
proletariato.”
(Critica
al
programma
di
Gotha).
Marx
propone
dunque
un’idea
di
Stato
che
rappresenta
solo
una
dimensione
storica
di
transizione,
verso
il
superamento
dello
Stato
stesso.
Egli
vuole
arrivare
a
teorizzare
quella
forma
di
comunismo
autentico,
basato
sulla
totale
abolizione
della
proprietà
privata,
distinguendolo
da
quello
“rozzo”
che
invece
estende
la
proprietà
privata
a
tutti.
L’uomo
del
comunismo
non
deve
più
essere
l’homo
oeconomicus,
ossessionato
dall’avere,
ma
l’homo
novus,
capace
di
intrattenere
un
rapporto
poliedrico
con
la
realtà
e
con
gli
altri:
“In
una
fase
più
elevata
della
società
comunista,
dopo
che
è
scomparsa
la
subordinazione
asservitrice
degli
individui
alla
divisione
del
lavoro,
e
quindi
anche
il
contrasto
fra
lavoro
intellettuale
e
fisico;
dopo
che
il
lavoro
non
è
divenuto
soltanto
mezzo
di
vita,
ma
anche
il
primo
bisogno
della
vita;
dopo
che
con
lo
sviluppo
onnilaterale
degli
individui
sono
cresciute
anche
le
forze
produttive
e
tutte
le
sorgenti
della
ricchezza
collettiva
scorrono
in
tutta
la
loro
pienezza,
solo
allora
l’angusto
orizzonte
giuridico
borghese
può
essere
superato,
e la
società
può
scrivere
sulle
sue
bandiere:
Ognuno
secondo
le
sue
capacità;
a
ognuno
secondo
i
suoi
bisogni.”
(Critica
del
programma
di
Gotha).
Ecco
profilarsi
l’attesa
società
comunista:
senza
divisione
del
lavoro,
senza
proprietà
privata,
senza
classi,
senza
sfruttamento,
senza
miseria,
senza
divisioni
fra
gli
uomini
e
senza
Stato.
Quale
è
differenza
con
il
sanguinario
PolPot?
La
formazione
di
Saloth
Sar
avviene
in
Francia,
presso
una
delle
Università
più
prestigiose
della
Capitale
francese.
Lì
entra
in
contatto
con
circoli
culturali
socialisti
dove
inizia
ad
apprendere
le
prime
nozioni
ed a
rendersi
protagonista
di
non
facili
dibattiti.
La
sua
origine
orientale
e la
sua
cultura
prevalentemente
improntata
su
di
una
società
arcaica
non
permettono
la
piena
adesione
al
mondo
occidentale.
Quando
ritorna
in
madrepatria,
PolPot
non
fa
altro
che
iniziare
un
programma
come
risposta,
come
sfida,
come
alternativa
all’Occidente.
Era
stato
in
Francia
e
sapeva
cos’era
l’Occidente
in
quegli
anni,
1953.
Una
continua
tensione
tra
le
forze
imperialiste,
come
le
definisce
Paul
Sweezy,
e le
forze
anticapitaliste.
La
sua
formazione
culturale
sul
socialismo
oscilla
tra
l’estrema
realtà
e la
ferocia
dei
dittatori
comunisti.
E’
stato
allievo
di
J.P.
Sartre
ed e
stato
per
un
anno
insieme
ai
marxisti
del
Maresciallo
Tito.
Tra
le
prime
“operazioni”
che
il
dittatore
cambogiano
compie,
figurano
la
formazione
di
una
milizia
che
sventola
le
bandiere
del
comunismo
cambogiano:
i
Khmer
rossi;
la
piena
soppressione
di
ogni
logica
di
proprietà
privata;
la
distruzione
dei
centri
urbani
per
preferire
la
campagna;
la
soppressione
della
moneta.
Quale
logica
dietro
tutto
ciò?
PolPot
sosteneva
che
per
abbattere
definitivamente
la
proprietà
privata
bisognava
minare
ogni
sistema
che
permettesse
anche
il
semplice
pensiero
di
essa
(memorabile
è
una
sua
dichiarazione
dove
sosteneva
che
per
abbattere
la
proprietà
bisogna
distruggere
anche
il
modo
di
pensare
dell’uomo,
dunque
i
pensieri,
bisognava
cancellare
dalla
mente
l’espressione
“questo
è
mio”).
La
città
andava
distrutta
perché
favoriva
la
creazione
di
mercati
e
quindi
di
valori
di
scambio.
La
moneta
altrettanto
perché
permetteva
al
singolo
di
espropriare
di
qualsiasi
bene
il
prossimo.
La
campagna
rappresentava
la
forma
di
isolamento
dell’uomo
che,
non
potendo
interagire
a
pieno
con
tutti,
non
favoriva
il
complotto
e
concentrava
le
sue
forze
solo
sul
lavoro:
i
frutti
del
lavoro
dovevano
essere
restituiti
allo
stato
e
trattenere
per
sé
solo
il
minimo
vitale.
Lo
Stato
era
il
punto
di
arrivo
e di
inizio
della
società
cambogiana
istituita
da
PolPot.
Ricollegandoci
alla
concezione
di
stato
di
Marx
esposta
pocanzi,
notiamo
notevoli
dissonanze.
Non
superiamo
lo
Stato,
ma
lo
rafforziamo
fino
a
schiacciare
la
società
stessa.
Nella
“Discussione
sulla
questione
del
libero
scambio”
del
1848,
Marx
espone
quanto
segue:
“L’abolizione
delle
leggi
sui
cereali
in
Inghilterra
è il
più
grande
trionfo
che
il
libero
scambio
abbia
riportato
nel
XIX
secolo.
In
tutti
i
paesi
quando
i
produttori
parlano
di
libero
scambio
essi
si
riferiscono
principalmente
allo
scambio
di
cereali
e
materie
prime
in
generale.
Colpire
con
dazi
protettivi
i
cereali
stranieri
è
infame
e
significa
speculare
sulla
fame
dei
popoli.
[…]In
generale
però,
ai
nostri
giorni,
il
sistema
protezionista
è
conservatore,
mentre
il
sistema
del
libero
scambio
è
distruttivo.
Esso
distrugge
le
antiche
nazionalità
e
porta
all’estremo
l’antagonismo
tra
borghesia
e
proletariato.
In
una
parola,
il
sistema
della
libertà
di
commercio
accelera
la
rivoluzione
sociale.
Ed è
sotto
questo
profilo
rivoluzionario
che
io
voto
in
favore
del
libero
scambio.”
Da
questo
estratto
possiamo
fare
diverse
annotazioni.
La
prima
è
che
Marx
rispetta
il
suo
pensiero
politico,
ovvero
quello
di
liberare
l’uomo
dalla
schiavitù
dello
stato
e di
liberare
il
suo
lavoro
dall’imposizione.
La
seconda
annotazione
ci
apre
gli
occhi
su
un
aspetto
di
Marx
che
è
stato
spesso
sottovalutato
dai
diversi
pensatori
comunisti:
oltre
all’ideale
dell’Internazionale,
Marx
apre
gli
occhi
sulla
globalizzazione
e
sul
libero
scambio
come
rete
che
colleghi
i
popoli
in
solidarietà.
E
questo
riflette
il
perché
il
filosofo
di
Treviri
inciti
la
rivoluzione
nell’Occidente,
poiché
lì
v’era
allocata
ricchezza
sufficiente
per
“finanziare”
la
svolta
storica.
Marx
è
coerente
soprattutto
con
la X
tesi
su
Feuerbach:
il
punto
di
vista
del
nuovo
materialismo
è la
società
umana,
o
l’umanità
socializzata.
Marx
ha
sempre
compreso,
scrive
l’autorevole
P.
Sweezy,
l’importanza
cruciale
della
struttura
internazionale
del
capitalismo,
ma
lo
schema
del
Capitale
e
forse
ancor
di
più
la
sua
morte
prima
del
completamento
dell’opera,
hanno
dato
origine
alla
diffusa
opinione
che
Marx
abbia
considerato
di
secondaria
importanza
il
carattere
internazionale
del
sistema
capitalistico.
Ha
dato
la
sua
importanza
a
tale
fenomeno
perché
ha
tentato
attraverso
l’internazionalizzazione
del
comunismo
di
dare
una
riposta
a
chi
sosteneva
il
socialismo
di
bandiera.
Il
capitalismo
internazionale
era
l’insieme
dei
capitalismi
nazionali
che
attraverso
una
grande
spesa
civile
e
soprattutto
spesa
militare
difendeva
i
propri
primati
e
possedimenti.
Tale
tesi
vale
per
l’impero
inglese,
spagnolo,
portoghese
e
tutte
le
forze
europee
che
hanno
dominato
la
scena
geopolitica
intercontinentale.
La
logica
che
teneva
insieme
i
capitalismi
nazionali
era
gerarchica
e
permetteva
in
qualche
modo
alle
società
supreme
di
controllare
le
società
intermedie
fino
alle
società
totalmente
sfruttate.
Queste
ultime
o
lasciavano
decorrere
il
processo
di
sfruttamento
o
rispondevano
con
una
rivoluzione
“pseudo
comunista”
mischiando
il
pensiero
volgare
di
un
comunismo
decaduto
al
tribalismo
locale
(i
comunismi
africani
ne
sono
l’esempio.
Non
hanno
mai
superato
la
fase
del
comunismo
primitivo,
del
“mettere
in
comune”).
Invece
come
poteva
il
comunismo
internazionalizzarsi
dopo
la
morte
di
Marx?
In
nessun
modo.
Lenin,
che
dal
canto
suo
si
era
concentrato
solo
sul
superamento
del
capitalismo
e
mai
a
spezzare
definitivamente
la
divisione
del
lavoro
tanto
criticata
da
Marx,
aveva
riposto
il
destino
della
Russia
nelle
mani
di
un
grande
internazionalista
come
Trocky.
Ma
Stalin,
che
spezza
definitivamente
il
sogno
di
un
comunismo
russo
che
si
aprisse
all’Occidente
continuando
il
cammino
della
rivoluzione,
procedeva
verso
l’orientalizzazione
del
comunismo
tanto
da
diventare
realtà
politica
come
esempio,
insieme
alla
Cina,
di
“società
idraulica”.
Wittfogel
le
definì
così
per
spiegare
cosa
accadeva
nelle
società,
e
soprattutto
in
quelle
realtà,
dove
i
corsi
d’acqua
per
l’irrigazione
venivano
gestite
dallo
Stato
in
quanto
il
singolo
era
incapace
alla
gestione
del
proprio
raccolto.
Marx
ha
impegnato
la
sua
vita
a
tentare
di
superare
lo
Stato.
I
comunismi
reali
hanno
impegnato
tutte
le
loro
forze
per
assediare
il
potere
del
controllo
e
sopprimere
il
sogno
liberatorio
di
Marx.
Come
conservare
Marx,
lontano
dai
populismi
volgari
dell’antistato?
La
Critica
del
Programma
di
Gotha
rappresenta
la
vera
essenza
del
marxismo
e la
sua
riflessione
sul
fallimento
di
coordinazione
tra
le
varie
forze
politiche
dell’Internazionale.
E’
un
documento
basato
su
una
lettera
di
Karl
Marx
scritta
nel
maggio
del
1875
alla
fazione
Eisenach
del
movimento
socialdemocratico
della
Germania,
con
cui
Marx
e
Friedrich
Engels
erano
in
stretto
contatto.
Era
in
atto
il
congresso
SAP.
(il
partito
socialdemocratico
tedesco
degli
operai).
In
tale
saggio
Marx
rivolge
una
critica
al
piano
d'azione
proposto
dal
partito
operaio
tedesco
per
il
programma
di
Gotha.
Le
principali
critiche
di
Marx
al
programma
sono
principalmente
rivolte
alle
posizioni
lassalliane
dello
stesso
(Lassalle
non
abbandonò
l’ideale
nazionalista,
che
minava
il
pensiero
filo-internazionalista,
per
aderire
pienamente
al
marxismo
trovano
in
Bismark
la
vera
essenza
del
cambiamento).
Si
tratta
inoltre
dell'unico
testo
in
cui
Marx
cita
la
dittatura
del
proletariato
come
primo
periodo
della
rivoluzione,
dittatorio
per
la
necessità
di
difendere
quest'ultima.
Nello
stesso,
tra
le
altre
cose,
criticava
la
tendenza
a
considerare
i
lavoratori
solamente
come
"tali",
tutti
uguali,
senza
considerare
le
loro
diversità
in
quanto
individui
ed
esseri
umani.
A
questo
proposito
vi è
nel
testo
una
critica
ad
un
articolo
del
programma
che
vorrebbe
retribuire
i
lavoratori
nell'ambito
di
uno
stato
socialista
secondo
ciò
che
essi
producono,
ovvero
secondo
parametri
capitalistici,
mentre
Marx
sostiene
che
a
ognuno
si
debba
dare
"secondo
il
suo
bisogno".