[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

163 / LUGLIO 2021 (CXCIV)


antica

SPARTACO

SULLA CELEBRE RIVOLTA DEGLI SCHIAVI

di Luigi De Palo

 

Nel I secolo a.C. scoppiò a Roma una rivolta capace di diventare il simbolo della lotta degli oppressi contro gli oppressori, stiamo parlando della rivolta di Spartaco del 73 a.C. Il mito di Spartaco avrà talmente seguito da diventare in età moderna il simbolo di alcuni movimenti politici perlopiù socialisti. Karl Marx lo definì: «Spartaco è l’uomo più folgorante della storia antica. Un grande generale, un personaggio nobile, veramente rappresentativo del proletariato dell’antichità».

 

La rivolta di Spartaco è la terza delle guerre servili. Le guerre servili furono una serie di ribellioni degli schiavi contro la Repubblica romana, condotte in tempi diversi senza alcun legame tra loro e tutte destinate a risolversi in un insuccesso, ma a differenza delle precedenti – le prime due guerre servili non riguardarono la penisola ma solo la Sicilia –, nella rivolta di Spartaco le bande di schiavi ribelli, rapidamente ingrossatesi, misero effettivamente in pericolo la Repubblica.

 

Spartaco era originario della Tracia, probabilmente ridotto in schiavitù in quanto disertore. La Tracia era una regione dell’Europa orientale che faceva parte del regno di Macedonia, che dal 146 a.C. era diventata una provincia romana (la Tracia venne annessa nel 129). Non erano zone tranquille, anzi spesso i romani erano dovuti intervenire per domare le ribellioni delle molte tribù locali, a cui probabilmente apparteneva anche Spartaco.

 

Nel 73 a.C. era impiegato come gladiatore presso la scuola di Gneo Lentulo Batiato, a Capua. Fu proprio da questa scuola che partì la rivolta; circa 70 gladiatori, tra cui i fedelissimi di Spartaco: Crisso ed Enomao, riuscirono a sterminare i propri carcerieri e ad arroccarsi sulle falde del Vesuvio. La scelta del Vesuvio non fu casuale, le pendici del vulcano erano fertili e ricoperte di vigne, e offrivano una posizione più semplice da difendere rispetto alla pianura. A loro si unirono altri schiavi, la maggior parte contadini e pastori, ma quasi tutti abituati all’uso delle armi e dunque non estranei alle guerre. Progressivamente, oltre agli schiavi, si unì un numero sempre crescente di persone povere e oppresse.

 

Ma in quale periodo storico scoppiò la rivolta di Spartaco?

 

Si era nel momento di maggiore espansione della Roma repubblicana, e ovviamente nella città eterna cominciarono ad affluire enormi ricchezze e masse di schiavi, con il risultato di impoverire ancora di più i piccoli contadini italici, i quali non potevano competere con le produzioni a bassissimo costo delle aziende con gli schiavi, per cui si indebitavano fino a diventare nullatenenti: motivo per cui molti di essi decisero di allearsi con Spartaco.

 

Fu soprattutto a causa di questi nuovi poveri, che tendevano a rifugiarsi nelle grandi città, che Roma cominciò a organizzare spesso i giochi gladiatori, per poter in qualche modo distrarre la popolazione (come dirà Giovenale: panem et circenses). Questi giochi videro fronteggiarsi i gladiatori più forti, che venivano allenati in vere e proprie scuole. Come Spartaco a Capua.

 

Tornando a Spartaco, l’esercito di schiavi e contadini arrivò a contare in breve tempo oltre 40.000 uomini. Inizialmente Roma sottovalutò il problema, anche a causa della terza guerra con Mitridate, non prendendo troppo sul serio la rivolta. A seguito della sconfitta dell’esercito di Gaio Claudio Glabro e alla decisione di Spartaco di lasciare il Vesuvio in cerca di libertà, Roma capì che questa rivolta era diversa dalle altre.

 

Gaio Claudio Glabro fu mandato da Roma a verificare la situazione e a risolvere la questione Spartaco. Arrivato nei pressi del Vesuvio e convinto di aver messo i ribelli in trappola, Glabro tentò l’assedio, bloccando le vie principali verso il Vesuvio per affamare gli schiavi ribelli.

 

Spartaco però non si perse d’animo e, sfruttando le numerose vigne selvatiche, lui e il suo seguito iniziarono a costruire corde con cui scesero dalle pendici della montagna. L’esercito di schiavi circondò quindi l’accampamento romano e sconfisse le milizie.

 

Nel frattempo l’esercito si divise in due tronconi, probabilmente a causa di un contrasto tra Spartaco e Crisso (Enomao non viene più citato dalle fonti, forse cadde in una battaglia precedente). La maggior parte degli uomini si mosse sotto la guida di Spartaco a nord, verso le Alpi, mentre i restanti si diressero a sud, in Puglia, dove vennero sterminati dall’esercito dei consoli L. Gellio e Lentulo Clodiano, i quali però non furono in grado di sconfiggere anche le truppe di Spartaco, che ottenne una grande vittoria.

 

I Traci erano abili cavalieri e addestratori di cavalli, tant’è che Spartaco riuscì addirittura a organizzare un corpo di cavalleria, mossa che sorprese i Romani. Fu proprio grazie alla cavalleria che Spartaco riuscì a sconfiggere Lentulo, ma il modo in cui Spartaco sconfisse i due consoli, cosa fece dopo e quali erano i suoi obiettivi, ci è stato tramandato con sostanziali differenze dagli storici Appiano e Plutarco.

 

Secondo Appiano, dopo la sua vittoria su Crisso, Gellio si mosse verso nord, inseguendo il gruppo principale degli schiavi al comando di Spartaco. L’esercito di Lentulo si dispose in modo tale da sbarrare il passo a Spartaco, e i due consoli contavano così di intrappolare tra i loro eserciti gli schiavi ribelli, ma Spartaco affrontò prima quello di Lentulo, sconfiggendolo; poi annientò anche l’esercito di Gellio, costringendo le legioni romane alla resa. Secondo Appiano, l’obiettivo di Spartaco era inizialmente quello di assediare Roma, anche a seguito di un’ulteriore vittoria nella regione del Picenum, ma ritenendo il suo esercito non ancora pronto, decise di ritornare al sud, conquistando la città di Thurii.

 

Secondo Plutarco invece, Spartaco sconfisse Lentulo vicino al monte Gargano, per poi spingersi direttamente in Italia settentrionale. Plutarco non accenna per nulla allo scontro tra Spartaco e la legione di Gelli e neanche alla battaglia nel Picenum, soffermandosi però su un altro scontro, non descritto da Appiano: l’esercito di Spartaco continuò ad avanzare verso nord nella regione intorno a Mutina (Modena) e lì un esercito romano di 10.000 uomini, guidato dal governatore della Gallia Cisalpina, Gaio Cassio Longino, tentò di sbarrare il passo alla sua avanzata, ma fu sconfitto.

 

Plutarco non menziona altri eventi fino al primo scontro tra Marco Licinio Crasso e Spartaco, nella primavera del 71 a.C., tralasciando la progettata marcia su Roma e la ritirata su Thurii descritta da Appiano.

 

In ogni caso, indipendentemente da quale storico abbia ragione, a seguito di queste incredibili vittorie, Spartaco decise di non proseguire verso nord, ossia verso la libertà, ma di tornare indietro verso sud. Il motivo di tale decisione non è chiaro, forse voleva vendicare la morte di Crisso oppure decise che era meglio continuare con i saccheggi nel sud d’Italia. In ogni caso il seguito continuava ad aumentare, oltre 100.000 uomini lo seguivano e ovunque passava, schiavi e contadini impoveriti si univano a lui.

 

A questo punto Roma cominciò a temere Spartaco e decise di andarci giù pesante: vennero dati poteri eccezionali al pretore Marco Licinio Crasso, al quale fu affidato un esercito di otto legioni. Nel frattempo Spartaco si trovò in difficoltà nel tenere unito un esercito così enorme composto da schiavi e disperati, quindi decise di dividere le sue forze in unità più piccole: una necessità pratica piuttosto che strategica.

 

Crasso e i suoi 40.000 soldati riuscirono a spingere gli schiavi ribelli fino a Reggio, davanti allo Stretto di Messina. A questo punto l’idea di Spartaco fu quella di tentare uno sbarco in Sicilia con 2.000 uomini, in modo da provocare una nuova rivolta di schiavi e ingrossare le proprie fila, ma all’ultimo momento gli mancò il sostegno della flotta di pirati della Cilicia, che si erano offerti di aiutarlo.

 

Spartaco tentò comunque di attraversare lo stretto di Messina, ma naufragò in terra calabrese. Egli riuscì comunque a liberarsi dalla morsa di Crasso, ma il suo gruppo continuò a sfaldarsi. Nel frattempo Crasso non cercò lo scontro frontale, ma costruì un blocco nei pressi dell’istmo di Catanzaro. Un vero e proprio muro protetto da un fossato, con lo scopo di assediare gli uomini di Spartaco e di tagliare loro i viveri.

 

Spartaco decise dunque di sfondare il muro, ma venne sonoramente sconfitto. Per questo motivo iniziarono a nascere i primi contrasti tra gli schiavi ribelli. Con l’inverno un gruppo di dissidenti, in gran parte Celti e Germani, guidati da Casto e Gannico, abbandonarono Spartaco. Nella primavera del 71 furono sconfitti da Crasso.

 

Nel frattempo Roma inviò a Brindisi Terenzio Varro Lucullo, Questa mossa costrinse l’ex gladiatore a tentare il tutto per tutto, attaccando Crasso frontalmente, probabilmente nei pressi delle sorgenti del Silaro (aprile del 71 a.C.).

 

La battaglia fu un vero e proprio massacro, nel corso del quale morì lo stesso Spartaco, anche se non se ne poté identificare il corpo. I 6.000 prigionieri che in quella battaglia furono catturati vennero tutti crocifissi ai bordi della via Appia. Un ultimo gruppo che era sfuggito al massacro venne sterminato in Etruria dalle truppe al comando di Pompeo. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]