N. 55 - Luglio 2012
(LXXXVI)
A proposito di Spartaco
il sovvertimento di un mondo
di Stefano Todisco
Reso
celebre
presso
il
pubblico
televisivo
nel
1960
da
un
film
di
Kubrick
ricomparso
recentemente
come
protagonista
della
serie
tv
americana
Spartacus
-
Blood
and
sand
(2010),
Spartaco
è
stato
uno
dei
personaggi
più
importanti
della
fase
tardo-repubblicana
della
storia
di
Roma
antica.
Si è
spesso
parlato,
in
ambito
storiografico
e
sociale,
di
“spartachismo”
e di
lotta
di
classe
con
toni
che
hanno
assunto
sempre
più
i
contorni
della
rivoluzione
proletaria
tipica
dell’età
moderna
e
industriale.
Non
sapremo
mai
cosa
spinse
Spartaco
e i
suoi
compagni
gladiatori,
schiavi,
servi,
briganti
e
piccoli
proprietari
terrieri
indebitati
a
muovere
guerra
contro
la
classe
che
deteneva
i
poteri
locali
e
centrali
della
repubblica
romana:
forse
il
progetto
di
un
modello
sociale
diverso
basato
sulla
dignità
umana
emancipata
dalla
schiavitù
a
basso
costo,
forse
l’esigenza
primaria
di
libertà
individuale
o
forse
(per
questa
interpretazione
propende
la
storiografia
antica
ma
meno
quella
moderna)
la
volontà
di
fare
ritorno
in
patria
fuori
dai
confini
dell’impero.
Nell’estate
del
73
a.C.,
nella
scuola
per
gladiatori
del
lanista
Lentulo
Batiato
a
Capua,
un
gruppo
di
circa
settanta
schiavi
combattenti
si
ribella,
uccide
li
proprio
padrone
e
fugge
a
sud,
armato
solo
di
coltelli
e di
attrezzi
da
cucina.
Si
aggiungono
a
loro
un
centinaio
di
servi.
Chi
li
guida
è
Spartaco,
artefice
della
rivolta,
forse
di
origine
trace.
Sulla
strada
per
Nola
i
fuggitivi
intercettano
un
carico
di
armi
e in
breve
vengono
raggiunti
da
un
presidio
militare
romano
che
ha
la
peggio.
Diretti
sul
Vesuvio,
allora
ritenuto
un
monte,
reclutano
molti
schiavi,
ribelli
e
fuggitivi
come
loro.
Compaiono
i
nomi
di
Crisso
e di
Enomao,
due
gladiatori
celti.
Il
resto
del
gruppo
è in
gran
parte
composto
da
germani
e
traci.
Raggiunti
dagli
uomini
del
pretore
Caio
Claudio
Glabro,
i
fuggiaschi
bloccati
sulla
cima
creano
funi
con
i
tralci
delle
viti
locali
e
aggirano
gli
inseguitori.
Ben
presto
la
vasta
eco
dei
successi
di
Spartaco
e
dei
suoi
uomini
fa
il
giro
dell’Italia
e le
fila
dei
ribelli
annoverano
circa
60.000
uomini
secondo
le
fonti,
cifra
enorme,
forse
gonfiata
ma
comunque
indice
dell’esasperazione
dei
ceti
ai
margini
della
società,
nei
confronti
del
potere.
Operazioni
come
la
fusione
delle
catene
per
ricavare
armi,
la
domatura
di
cavalli
selvatici
per
costituire
un
reparto
di
cavalleria
e la
spartizione
equa
dei
bottini
e il
divieto
di
possedere
oro
e
argento
rendono
la
torma
di
gladiatori
un
pericoloso
nemico
per
Roma.
L’ideale
e la
disciplina
fanno
dei
fuorilegge
un
esercito
pronto
a
tutto
e
visceralmente
letale
per
le
città
romane
disseminate
nel
sud
dell’Italia:
dopo
la
presa
di
Metaponto
e
Copia
i
nemici
della
Repubblica
diventano
circa
120.000
per
le
fonti.
I
numeri
sembrano
inverosimili
ma
qualcosa
di
vero
ci
fu
se
gli
eserciti
regolari
del
pretore
Publio
Varinio
e
dei
consoli
Lucio
Gellio
Publicola
e
Cneo
Lentulo
Clodiano
vennero
sconfitti
magistralmente
da
Spartaco.
Tutte
le
sue
mosse
fanno
pensare
che
il
suo
progetto
fosse
quello
di
riaccendere
il
focolaio
di
rivolta
che
già
era
stato
attizzato
con
la
recente
guerra
sociale
(91-88
a.C.)
ma
la
fedeltà
degli
alleati
italici
nei
confronti
di
Roma
non
cedette
alla
tentazione
indipendentista.
La
schiera
di
fuorilegge
si
divide
in
due
tronconi,
uno
formato
da
30.000
celti
guidati
da
Crisso
in
direzione
della
Puglia
e
l’altro
col
restante
esercito
guidato
da
Spartaco
verso
nord.
La
scissione
risulta
fatale
per
Crisso
e i
sui
galli,
sconfitti
e
uccisi
sul
Gargano
dal
propretore
Quinto
Arrio.
Spartaco
raggiunge
i
territori
di
Modena,
sbaraglia
i
10.000
legionari
del
proconsole
della
Cisalpina,
Caio
Cassio
Longino
ma,
appresa
la
notizia
della
morte
dell’amico
Crisso
fa
allestire
giochi
gladiatorii
combattuti
da
uomini
romani
prigionieri,
come
capovolgimento
della
loro
sorte,
e fa
marcia
indietro
sconfiggendo
per
ben
tre
volte
gli
eserciti
romani
del
pretore
Marco
Licinio
Crasso,
confluiti
nel
Piceno
durante
l’autunno
del
72
a.C.
La
rapida
marcia
porta
i
gladiatori
a
Reggio
Calabria
per
accordarsi
con
alcuni
pirati
cilici
sulla
traversata
dello
stretto
di
Messina
ma
la
trattativa
non
va a
buon
fine.
Anche
qui
si
presume
che
Spartaco
volesse
ravvivare
lo
spirito
antiromano
delle
prime
due
guerre
servili
combattute
in
Sicilia
(136-132
e
102-98
a.C.).
L’inverno
del
72
a.C.
provò
il
morale
degli
uomini
in
fuga,
stanziati
sull’Aspromonte
e
bloccati
da
un
vallo,
fatto
realizzare
da
Crasso,
dalla
costa
ionica
a
quella
tirrenica
della
Calabria
meridionale.
Una
notte
di
tempesta
di
neve,
a
cavallo
tra
72 e
71
a.C.,
l’avanguardia
degli
uomini
di
Spartaco
ricolmò
un
tratto
del
vallo
e
attaccò
il
distaccamento
romano
sfondando
la
linea
trincerata.
Crasso
ritirò
gli
uomini
per
evitare
l’accerchiamento
e i
fuggiaschi
poterono
muoversi
verso
nord.
Roma
volle
chiudere
la
partita
mortale
con
Spartaco,
fuggitivo
da
due
anni
per
le
campagne
italiane,
richiamando
i
migliori
generali
coi
propri
eserciti
al
seguito:
la
massa
di
ribelli
si
vede
impossibilitata
a
dirigersi
verso
in
Puglia
a
causa
dell’imminente
arrivo,
nel
porto
di
Brindisi,
del
governatore
della
Macedonia,
Marco
Terenzio
Varrone
Lucullo,
e a
nord
per
l’incedere
di
Pompeo
ritornato
dalla
Spagna.
Nei
pressi
di
Petelia,
durante
la
primavera
del
71
a.C.,
gli
schiavi
vinsero
le
guarnigioni
romane
ma
un
distaccamento
di
rivoltosi,
guidato
da
Gannico
e
Casto,
fu
schiacciato
dai
soldati
di
Crasso
che
obbligò
Spartaco
a
ingaggiare
l’ultimo
scontro
nel
Cilento,
presso
il
fiume
Sele:
mille
romani
contro
60.000
schiavi
rimangono
sul
campo
mentre
5.000
prigionieri
vengono
crocefissi
sulla
via
Appia
da
Capua
a
Roma.
Di
Spartaco
non
si
trovò
mai
il
corpo
ma
gli
storici
sono
concordi
sul
suo
coraggio
indomito
anche
nell’ultimo
attimo
di
vita.
Quale
fu
il
successo
della
rivolta
servile
di
Spartaco
e
dei
suoi
uomini?
E
quale
ripercussione
ebbe
sul
pensiero
romano?
Per
cercare
le
risposte
alle
domande
bisogna
considerare
alcuni
aspetti
della
vita
degli
schiavi
e
dei
gladiatori
del
I
secolo
a.C.:
frutto
di
rapine
belliche
o di
indebitamenti,
essi
erano
venduti
al
mercato
indistintamente
dal
sesso
e
dall’età.
I
domestici
erano
dediti
alle
cure
della
casa
e
dei
padroni,
talvolta
non
scevri
da
obblighi
anche
sessuali.
I
gladiatori
erano
allevati
in
scuole
apposite
per
dilettare
i
romani
negli
anfiteatri
dove
gli
scontri
non
sempre
terminavano
con
la
morte
di
un
contendente.
In
ogni
caso,
un
rifiuto
ad
eseguire
gli
ordini
significava
un
severo
castigo
o
peggio
la
cessione
per
lavorare
alle
miniere.
Il
tentativo
di
uccisione
di
un
padrone
implicava
l’uccisione
di
tutti
gli
schiavi
della
casa.
La
vita
di
ogni
schiavo
dipendeva
sempre
da
quella
del
proprietario.
In
questo
clima
di
lusso
e di
lussuria
sfrenati
crebbe
l’odio
antiromano
di
Spartaco.
Il
successo
della
rivolta
servile
è da
cercare
nell’ideale
di
libertà
e di
uguaglianza
della
dignità
umana
che
sembra
trasparire
dall’indole
di
Spartaco.
I
gladiatori
inoltre
tennero
in
scacco
regolari
eserciti
romani
per
l’abilità
strategica
del
proprio
capo
e
per
il
reclutamento
e
l’addestramento
impartito
ai
nuovi
arrivati.
Bisogna
aggiungere
una
buona
conoscenza
del
territorio
italico
da
parte
dei
ribelli.
L’idea
del
ritorno
in
patria
dei
gladiatori
è
stata
propugnata
dagli
storici
romani
ma
nulla
fa
credere
che
questo
fosse
l’intento
reale
di
Spartaco:
da
Modena
avrebbe
potuto
continuare
la
fuga
verso
i
Balcani
ma
l’inversione
di
marcia
dimostrò
l’obiettivo
di
portare
la
guerra
nelle
radici
più
profonde
dello
stato
di
Roma.
Le
armi
e le
insegne
sottratte
ai
romani
venivano
utilizzate
dai
capi
della
rivolta
e
possiamo
credere
che
il
piano
non
fosse
solo
anarchico-insurrezionalista
ma
che
un
disegno
di
rivoluzione
politica
fosse
in
atto,
almeno
nel
pensiero
di
Spartaco
che
con
buona
probabilità
era
discendente
di
una
nobile
famiglia
della
Tracia;
non
manca
un
coinvolgimento
dell’aspetto
divino
(già
presente
nella
prima
guerra
servile)
poiché
Plutarco
parla
di
un
vaticinio
della
compagna
di
Spartaco,
forse
una
sacerdotessa
o
una
veggente,
in
basa
al
quale
mentre
egli
dormiva
una
serpe
gli
avvolse
il
capo
senza
ferirlo.
Il
segno
fu
interpretato
come
indice
di
una
futura
sorte
molto
famosa
e
memorabile.
Rispondendo
al
secondo
quesito
è
bene
ricordare
che
le
fonti
storiche
su
Spartaco
sono
quasi
tutte
di
epoca
successiva,
eccetto
Sallustio
il
cui
scritto
è
lacunoso,
e
ben
radicate
nella
cultura
romana.
tuttavia
da
Plutarco
emerge
un
quadro
di
un
fuorilegge
dagli
ideali
nobili.
Spartaco
è
annoverabile
quindi
tra
i
maggiori
pericoli
per
Roma,
insieme
ad
Annibale
e a
Mitridate
VI,
contemporaneo
del
gladiatore
ribelle.
La
novità
della
rivolta
servile
è
l’approccio
sociale
e
umano
di
affrontare
i
problemi
della
società
romana
della
tarda
Repubblica,
sempre
più
afflitta
da
problemi
interni,
e al
contempo
il
pericolo
di
un
sovvertimento
delle
classi
più
disagiate
e
degli
schiavi,
vero
e
proprio
motore
economico
di
un
pachidermico
e
multisfaccettato
impero.
Riferimenti
bibliografici:
Sallustio,
Historiae,
III,
90 –
IV,
41.
Plutarco,
Vite
di
Nicia
e di
Crasso:
Crasso,
VIII-XI.
Floro,
Epitome,
II,
8.
Appiano
di
Alessandria,
Bellorum
civilium
liber
primus,
116-120.
Eutropio,
Breviarium
ab
Urbe
condita
VI,
7.
Paolo
Orosio,
Historiarum
adversus
paganos,
V,
24.
Schiavone
A.,
Spartaco.
Le
armi
e
l’uomo,
Torino
2011.
Dogliani
M.
(a
cura
di),
1Spartaco.
La
ribellione
degli
schiavi.
Milano
1997.
GUARINO
A.,
Spartaco,
Napoli1979.
Stampacchia
G.,
La
tradizione
della
guerra
di
Spartaco
da
Sallustio
a
Orosio,
Pisa
1976.