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N. 133 - Gennaio 2019 (CLXIV)

Sparta e il suo ordine assoluto

Il kosmos fondato sul terrore

di Francesco Biscardi

 

Mentre oggi quando si pensa all’antica cultura greca viene in mente Atene come luogo di nascita della civiltà occidentale, nel periodo più splendido della Grecia classica l’ammirazione era quasi tutta per Sparta: il valore dei suoi cittadini, la qualità guerriera e il tenore di vita semplice e genuino sono che gli elementi che consentirono alla città di guadagnarsi rispetto e reverenza.

 

Tuttavia, se da un lato dobbiamo ammettere che la semplicità di vita, l’austerità dei costumi, la ferrea disciplina e l’ordinamento militare hanno reso Sparta (da Sparte, “disseminata”, o anche chiamata Lacedemone) un simbolo ammirevole di efficienza e rigore (gli Spartani parlavano di kosmos, “ordine”), dall’altro lato, è doveroso sottolineare che queste lodevoli e affascinanti caratteristiche sono solo parte delle tante realtà che hanno caratterizzato questa polis. Vigevano, infatti, delle leggi crudeli e delle usanze brutali come pochi altri popoli hanno sperimentato nel corso della storia. Vediamo nel dettaglio.

 

Sparta era divisa in tre classi di persone: gli Spartiati, discendenti dai Dori colonizzatori, che, sebbene ammontassero a poche migliaia (Erodoto ritiene che fossero circa ottomila alla vigilia delle guerre persiane), erano gli unici veri cittadini. Questi si dichiaravano homoioi, “uguali”, in quanto, teoricamente, ognuno di essi possedeva le medesime ricchezze e gli stessi diritti nell’amministrazione della città: lo scopo era quello di creare una società egualitaria a carattere militare dove vigesse una politica organica e unitaria.

 

Al di sotto degli Spartiati c’erano i Perieci (letteralmente “coloro che abitano intorno”), in parte di origine dorica e in parte discendenti dall’antica popolazione autoctona, cui i conquistatori avevano lasciato il possesso delle terre. Erano più numerosi degli Spartiati ma possedevano i soli diritti civili. Tuttavia, nonostante non godessero dei diritti politici, la loro importanza, in una società dove la classe egemone trascorreva quasi interamente la giornata negli esercizi e nell’addestramento militare, erano il vero motore economico della polis in quanto erano loro preposti ad ogni attività industriale.

 

Al gradino più basso di questa piramide sociale c’erano gli Iloti, discendenti dai ceti più umili dell’antica popolazione indigena a cui i conquistatori non avevano lasciato il possesso delle terre. Non avevano alcun diritto ed erano trattati più come cose che non come persone: erano dei “servi della gleba”, obbligati a lavorare le terre degli Spartiati con il compito di dar loro parte dei prodotti del suolo.

 

Oltre a ciò erano soggetti continuamente a violenze, angherie e umiliazioni di ogni sorta perché, dato il loro numero, potevano costituire un pericolo per lo Stato (dice Aristotele, nella Politica, che vivevano “come spiando il momento della disgrazia dei padroni”): erano costretti a portare un cappello di cuoio e una veste di pelle di pecora come tratto distintivo e venivano uccisi per ogni minimo sospetto.

 

Inoltre ne veniva ordinato periodicamente un massacro al fine di ridurne il numero e, una volta l’anno, appena gli efori entravano in carica (gli efori, o “sorveglianti”, erano una delle magistrature più potenti di Sparta, aventi il compito di vigilare sui poteri dello Stato e sul rispetto delle leggi), dichiaravano formalmente guerra agli Iloti, per poi concedere, poco dopo, la pace.

 

Oltre a queste bestialità, gli Iloti subivano anche altre degradanti umiliazioni: ad esempio, racconta Plutarco nella Vita di Licurgo, non infrequentemente, dopo esser stati costretti a bere grandi quantità di vino puro, venivano spinti completamente ebbri nei “pasti in comune”, i sissizzi (su cui poi mi soffermerò), per mostrare ai giovani lo spettacolo degradante di una persona ubriaca.

 

La necessità di mantenere saldo il dominio su questa parte di popolazione diede all’efficienza bellica un ruolo centrale in tutta la storia politica della città. Lo stesso sviluppo della tattica oplitica, portata avanti dagli Spartiati con cura certosina, e l’accuratissimo addestramento militare furono gli strumenti con cui gli Spartani riuscirono ad istaurare e a mantenere immutato il dominio di pochi su molti (come tipico dei regimi oligarchici) e ad imporre la loro supremazia sulle altre poleis del Peloponneso.

 

Anche l’ordinamento politico spartano, così come scaturito, secondo la tradizione, dalla volontà legislativa di Licurgo (personaggio in realtà più mitico che storico), era improntato a mantenere saldo il dominio della classe egemone: ogni magistratura (gherusia, apella ed eforato) era accessibile solo agli Spartiati e la carica di re (Sparta fu una diarchia, un regime retto contemporaneamente da due sovrani) spettava solo ai membri di due famiglie, gli Agiadi e gli Europontidi, che si riteneva discendessero da Eracle.

 

Inoltre, una serie di leggi frenava l’accumulazione di ricchezze, l’effeminatezza e il lusso: ad esempio, era impedito il possesso di oro e argento, venivano messe in circolazione esclusivamente monete in ferro (perché rifiutate da ogni popolo vicino), la presenza di artigiani stranieri fu limitata alle esigenze dei lavori commissionati dalle pubbliche autorità, e ogni atto di viltà era punito con la perdita dei diritti.

 

Questa eguaglianza degli Spartiati non si limitava alla sfera economica: penetrava nella dimensione privata, sottoposta al controllo dello Stato. Questa interferenza, diremo oggi, del pubblico nel privato, iniziava nel campo della formazione dei giovani: ogni fanciullo, appena nato, veniva esaminato dagli anziani della tribù di appartenenza, con due possibili esiti: se giudicato sano, era possibile allevarlo e la polis gli assegnava uno dei novemila lotti di terra disponibili (i kleroi), mentre, se ritenuto debole o deforme, veniva esposto sul monte Taigeto perché fosse raccolto dai Perieci o dagli Iloti o, altrimenti, lasciato morire.

 

A sette anni veniva sottratto alla cura dei genitori e affidato ad un educatore, il paidonomos, che aveva il compito di temprarlo negli esercizi fisici, nelle privazioni e nelle sofferenze. Racconta Plutarco, nella Vita di Licurgo, che i giovani Spartiati imparavano il minimo indispensabile a leggere e a scrivere e che, a partire dai dodici anni, erano obbligati ad indossare un’unica veste per l’estate e l’inverno, a portare il capo scoperto e i piedi nudi, e a dormire su giacigli di canne; oltre a ciò, una volta l’anno, in occasione della festa della dea Artemide, venivano flagellati a sangue. Ricevevano, inoltre, un nutrimento assai scarso con l’autorizzazione, qualora non sazi, di rubare; tuttavia, dovevano stare attenti a non farsi scoprire perché, in tal caso, venivano gravemente puniti (ma non per il furto in sé quanto per non essere stati abbastanza scaltri nel tenerlo celato).

 

Sempre grazie a Plutarco, sappiamo che i ragazzi vivevano questa durissima formazione suddivisi in squadre distinti per età, chiamate aghelai, “greggi”, dove erano sorvegliati e comandati da un capogruppo, un aghele più grande di loro. Intorno ai diciotto anni, i giovani Spartiati concludevano questo percorso di formazione ed iniziavano un’altra pratica: la krypteia.

 

Questa era una sorta di prova iniziatica: i più scaltri, quelli ritenuti pronti, venivano inviati nel territorio circostante la città, recando con sé solo un pugnale, il necessario per cibarsi e nulla più. Di giorno si nascondevano in luoghi isolati, mentre di notte scendevano nelle strade e, se si imbattevano in qualche Ilota, lo uccidevano.

 

Coloro che superavano la krypteia, all’età di vent’anni, entravano a far parte dell’esercito; a trent’anni acquisivano i diritti politici e potevano sposarsi (il celibato era considerato un’infamia), ma, fino ai sessant’anni, si dovevano considerare soldati in permanenza ed erano tenuti, in gruppi di quindici membri, a partecipare ai sissizzi, i “pasti in comune”.

 

Questi sissizzi costituivano dei momenti associativi di centrale importanza nella definizione dell’identità spartana, in quanto, oltre che strumento di coesione, erano un’occasione d’istruzione: venivano rammentate le gesta dei guerrieri e i più giovani potevano apprendere le vicende gloriose della città.

 

Nello stesso tempo imparavano a sopportare i rimproveri e le derisioni dei più anziani e, a volte, erano chiamati ad assistere allo spettacolo impietoso di un Ilota ebbro. I sissizzi erano così “sacri” da causare la perdita dei diritti di cittadinanza a chi non era in grado di sostenere la modesta spesa richiesta per il pasto (non bisogna pensare a grandi tavolate imbandite con gustose pietanze: gli Spartani furono sempre frugali nei cibi).

 

Coerentemente con questi usi, gli Spartiati bandirono il simposio dai loro banchetti e osteggiarono l’arte, la filosofia, la letteratura e la musica. Non è un caso che quello che sappiamo di Sparta ci è stato tramandato da forestieri, soprattutto da scrittori ateniesi (a volte anche affascinati dal kosmos lacedemone). Anche l’architettura e l’edilizia non trovarono terreno favorevole: la città rimase composta da villaggi sparsi, senza monumenti di rilievo né mura (al punto che lo storico Tucidide ha scritto che se un giorno la città sarebbe stata abbandonata, mai nessuno avrebbe potuto avere un’idea della sua passata potenza).

 

In questa società così rude e ferrea, troviamo, tuttavia, una piacevole eccezione rispetto al restante mondo ellenico: a differenza delle altre donne greche, che trascorrevano quasi interamente la vita segregate in casa a badare agli affari domestici, le Spartiate rivestirono un ruolo di rilievo all’interno della comunità perché, in assenza dei fratelli (che vivevano la loro formazione negli aghelai), potevano ereditare un kleros, gestire la dimora e svolgere alcune faccende familiari con ampia autonomia.

 

Controllavano, inoltre, il lavoro degli Iloti ed avevano anche costante influenza sulle decisioni dei mariti (al punto che Aristotele, nella Politica, giunse a dire che a Sparta “gli uomini sono dominati dalle donne”). Inoltre, la polis badò sempre a curare la loro educazione fisico-ginnica, tanto da renderle famose per la loro fortezza d’animo e per il vivo amor di patria.

 

Forse la più grande debolezza di questa città risiede nel fatto che rimase impenetrabile a qualsiasi mutamento, improntata com’era al più rigido conservatorismo. Così, in un mondo greco dilaniato dai conflitti, almeno dal tempo delle guerre persiane in poi, gli Spartiati, continuamente impegnati nelle campagne, perirono in gran numero senza che ci fosse stato il tempo e la possibilità di un adeguato ricambio generazionale.

 

Inoltre, come ha puntualizzato Aristotele nella Politica, anche delle ragioni economico-sociali causarono il crollo demografico degli Spartiati: l’ordinamento della città, che impediva l’accumulo di ricchezze e il possesso di terre che non fossero i lotti equamente assegnati alla nascita, indussero la popolazione a non procreare mai troppi figli perché consci del fatto che, di generazione in generazione, si sarebbero trovati sempre più in difficoltà nel gestire il proprio kleros e nel pagare la quota dei sissizzi.

 

Troppo tardi, e non senza causare dissensi interni, arrivarono i primi provvedimenti di estensione dei diritti politici ai Perieci e di assegnazione di maggiori kleroi agli Spartiati, ma in una situazione completamente diversa, quando Sparta era ormai avviata verso un inesorabile declino (siamo nella seconda metà del III secolo a.c. con i re Agide IV e, poi, Cleomene III).

 

Questa era, per sommi capi, la società spartana: una società verticistica, rigida all’inverosimile, basata su un kosmos assoluto, sul terrore e sulla crudeltà, come si può evincere dal trattamento inumano riservato agli Iloti, dalla spregevole pratica di abbandonare i neonati deboli o deformi, dal rigoroso, ferreo e, in qualche caso, atroce cursus di formazione degli Spartiati, dal completo assoggettamento della sfera privata, piegata alle esigenze dello Stato.

 

Tutte queste peculiarità hanno reso Sparta una lontana antesignana dei regimi totalitari novecenteschi: è qui interessante ricordare che Hitler sarà un fanatico ammiratore di alcune pratiche spartane, come quella dell’infanticidio degli “inferiori”.

 

Ciononostante, nell’immaginario collettivo l’ammirazione e il mito dei gloriosi guerrieri Spartiati ha offuscato questa realtà: oggi il nome di Sparta è sinonimo di società guerriera, aliena dal lusso, affascinante per il valore dei suoi indomiti soldati, sempre pronti a morire per la patria. Di contro pochi conoscono il lato più negativo del kosmos spartano: un ordine e un’efficienza costruiti sul terrore e sull’oppressione.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Senofonte, Costituzione degli Spartani, a cura di D’Alessandro G., Oscar Mondadori, Milano 2009.

Aristotele, Politica, a cura di Viano C.A., BUR, Milano 2002.

Plutarco, Vita di Licurgo, in Vite parallele, vol. I, a cura di Adriani M., Salani, Milano 1931.

Camera A., Fabietti R., Oriente e Grecia, Zanichelli, Bologna 1969, pp. 120-135.



 

 

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