N. 145 - Gennaio 2020
(CLXXVI)
Nascita, vita e morte della Spania
La
più
remota
provincia
bizantina
–
Parte
I
di
Roberto
Conte
L’imperatore
d’Oriente
Giustiniano
I
(527-565)
dedicò
quasi
tutto
il
suo
regno
al
titanico
sforzo
di
riconquistare
la
parte
occidentale
della
Res
Publica,
con
risultati
notevoli,
ma
che
alla
fine
si
rivelarono
effimeri
e in
definitiva
controproducenti
per
la
sicurezza
dello
stato.
Di
questa
impresa
sono
note
soprattutto
la
blitzkrieg
che
portò
alla
riacquisizione
dell’Africa
vandala
(533-534)
e la
lunga
e
distruttiva
guerra
gotica
(535-553),
che
infine
permise
ai
Bizantini
di
strappare
l’Italia
agli
Ostrogoti;
molto
meno
conosciuti
risultano
gli
eventi
relativi
al
tentativo
di
riaffermare
l’autorità
imperiale
sulla
Spagna
visigota,
che
pure
portarono
alla
costituzione
di
una
provincia
che,
per
quanto
precariamente,
restò
in
vita
per
quasi
tre
quarti
di
secolo.
Il
fatto
che
Procopio
di
Cesarea,
la
principale
fonte
degli
avvenimenti
legati
al
periodo
giustinianeo,
non
parli
per
nulla
delle
vicende
iberiche
(anche
perché
quasi
del
tutto
posteriori
al
periodo
da
lui
preso
in
esame
nelle
sue
opere)
è
senza
dubbio
uno
dei
motivi
principali
di
questa
minore
conoscenza.
A
ciò
bisogna
aggiungere
l’estrema
perifericità
di
questi
territori
riconquistati,
la
cui
sorte
interessava
i
cronisti
bizantini
molto
meno
delle
vicende
drammatiche
e
fondamentali
per
la
sopravvivenza
stessa
dell’Impero
che
si
svolgevano
quasi
alle
porte
di
Costantinopoli,
come
le
devastanti
incursioni
avaro-slave
nei
Balcani
e,
ancora
di
più,
i
continui
conflitti
sul
confine
orientale
con
la
Persia
sassanide,
culminati
nell’apparentemente
inarrestabile
invasione
delle
province
asiatiche
da
parte
dello
shah
Khusraw
II,
a
partire
dal
602.
Quasi
tutte
le
fonti
primarie
sono
quindi
di
origine
occidentale
e
riflettono
prevalentemente
il
punto
di
vista
dei
Visigoti,
per
i
quali,
a
differenza
dei
Bizantini,
tali
avvenimenti
rivestivano
notevole
importanza,
in
quanto
direttamente
connessi
con
l’opera
di
unificazione
della
Penisola
Iberica
da
essi
avviata.
Alla
metà
del
VI
secolo,
in
effetti,
quest’ultima
non
aveva
ancora
raggiunto
una
piena
unità
sotto
il
loro
dominio;
essi
si
erano
ben
impiantati
lungo
le
attuali
province
di
Catalogna
e
Valencia
e
sugli
altipiani
castigliani,
ma
dovevano
ancora
superare
le
resistenze
di
altri
soggetti
presenti
sul
territorio.
Innanzi
tutto,
all’estremità
nord-occidentale
della
penisola,
in
Galizia
e in
Lusitania
settentrionale,
gli
Suebi
avevano
costituito
sin
dal
411
un
regno
indipendente
e di
tanto
in
tanto
provavano
a
estendere
i
loro
confini
verso
sud,
ma
non
erano
solo
loro
a
contrastare
il
tentativo
di
egemonia
goto.
La
popolazione
indigena,
iberica
o
ispano-romana
che
fosse,
continuava
a
sfuggire
al
pieno
controllo
dei
re
di
Toledo,
opponendosi
anche
con
le
armi
agli
invasori:
nel
nord,
Asturi,
Cantabri
e
Vasconi
(gli
antenati
degli
attuali
Baschi)
potevano
confidare
nella
natura
aspra
e
impraticabile
delle
loro
montagne
per
offrire
una
irriducibile
resistenza,
ma
anche
nell’estremo
meridione,
nella
Betica,
i
grandi
latifondisti
ispano-romani
detenevano
il
potere
effettivo
e
non
esitavano
a
opporsi
con
le
armi
a
ogni
tentativo
di
intrusione
visigota.
Fu
proprio
da
quest’angolo
della
penisola
che
si
svilupparono
gli
eventi
che
portarono
all’intervento
bizantino
e
successivamente
alla
creazione
della
provincia
di
Spania.
Nel
550
Agila,
assurto
al
trono
visigoto
da
appena
un
anno,
guidò
l’esercito
proprio
contro
i
Betici,
intendendo
affermare
la
propria
autorità
sulle
loro
ricche
terre,
ma
davanti
a
Cordoba
subì
una
clamorosa
sconfitta,
che
portò
anche
alla
morte
del
suo
unico
figlio
e
alla
perdita
del
tesoro
reale
(Isidoro
di
Siviglia,
Storia
dei
Goti.
45).
Questo
rovescio,
abbastanza
inatteso,
portò
al
rinfocolarsi
di
insurrezioni
in
tutto
il
regno,
anche
a
causa
della
politica
anti-cattolica
del
nuovo
sovrano.
In
questo
frangente
il
nobile
Atanagildo
scese
in
rivolta,
e fu
a
quel
punto
che
entrarono
in
scena
i
Bizantini.
Costoro
avevano
già
avuto
a
che
fare
con
i
Visigoti
al
tempo
della
guerra
contro
i
Vandali,
entrando
con
loro
in
contrasto
per
il
possesso
della
città
mauretana
di
Ceuta,
privilegiato
punto
di
accesso
per
la
Spagna.
L’allora
re
goto
Teudi
l’aveva
occupata
nel
533,
appunto
per
prevenire
un
ipotetico
tentativo
di
invasione
della
Penisola
Iberica
da
parte
dei
Bizantini,
ma
Belisario
aveva
inviato
un
certo
Giovanni
a
prenderne
possesso
l’anno
successivo
(Procopio
di
Cesarea,
Guerra
Vandalica,
II,
5,
9).
Tempo
dopo,
verso
il
542,
Teudi
era
tornato
alla
carica
nel
tentativo
di
recuperare
la
città,
ma
il
suo
esercito
era
stato
distrutto
dagli
Imperiali,
che
secondo
Isidoro
(Storia
dei
Goti,
42)
lo
avevano
attaccato
di
domenica,
quando
i
militari
goti
si
sarebbero
devotamente
astenuti
dall’effettuare
operazioni
belliche.
In
ogni
caso,
alla
conquista
di
Ceuta
non
fece
seguito
alcun
tentativo
di
invasione
della
Spagna,
anche
perché
al
tempo
i
Bizantini
erano
del
tutto
presi
dalla
loro
campagna
contro
gli
Ostrogoti
in
Italia.
Quest’ultima,
in
verità,
al
momento
della
rivolta
di
Atanagildo
era
ancora
in
corso,
anche
se
di
lì a
poco
si
sarebbe
conclusa
con
il
trionfo
di
Narsete
a
Tagina
e la
morte
del
re
ostrogoto
Totila.
Tuttavia
la
possibilità
di
intromettersi
nelle
lotte
civili
visigote
per
recuperare
la
Spagna
era
troppo
allettante
per
Giustiniano,
tenendo
anche
conto
che
Agila
sembrava
in
procinto
di
avere
la
meglio
e
che
questa
occasione
rischiava
di
sfumare
in
tempi
brevi.
In
base
a
una
interpretazione
di
un
passo
un
po’
ambiguo
dello
storico
Giordane,
contemporaneo
agli
eventi
(Getica,
303:
Contra
quem
Atanagildus
insurgens,
Romani
regni
concitat
vires)
alcuni
hanno
pensato
che
l’intervento
imperiale
fosse
diretto
contro
il
ribelle,
ma
Isidoro
di
Siviglia
sostiene
che
fu
quest’ultimo
a
entrare
in
coalizione
con
Costantinopoli,
trovandosi
poi
nella
difficoltà
di
liberarsi
di
alleati
troppo
ingombranti
(Storia
dei
Goti,
47).
Certamente,
per
quanto
Giustiniano
fosse
intervenuto
nelle
precedenti
guerre
contro
Vandali
e
Ostrogoti
sempre
con
il
pretesto
di
recare
soccorso
al
sovrano
legittimo
(Ilderico
e
Amalasunta
rispettivamente),
sarebbe
molto
strano
che
i
Bizantini
avessero
deciso
di
prendere
le
parti
di
un
ariano
anti-niceno
come
Agila.
In
effetti,
tutto
appare
nebuloso
in
questa
vicenda,
perché
la
principale
e
pressoché
unica
fonte
primaria
in
nostro
possesso
resta
Isidoro
di
Siviglia
con
le
sue
stringate
attestazioni.
Giordane,
i
cui
Getica
ebbero
termine
proprio
nel
periodo
in
cui
a
Costantinopoli
fu
decisa
la
spedizione
iberica,
fa
in
tempo
solo
a
dare
il
nome
del
comandante
della
stessa,
il
patrizio
Liberio,
ma
anche
questa
notizia
è
fonte
di
discussioni.
Nel
551
Liberio,
un
italico,
forse
originario
della
Liguria,
che
in
gioventù
aveva
servito
Odoacre
e
poi
Teodorico
prima
di
entrare
nell’amministrazione
imperiale,
aveva
circa
ottantasei
anni,
decisamente
un’età
troppo
avanzata
per
poter
condurre
operazioni
militari;
è
pur
vero,
d’altronde,
che
ancora
nel
550
aveva
guidato
le
truppe
imperiali
impegnate
nel
tentativo
di
riconquistare
la
Sicilia,
prima
di
essere
sostituito
da
Artabane
(Procopio
di
Cesarea,
Guerra
Gotica,
III,
39-40).
Probabilmente
il
suo
compito
principale
era
quello
di
perfezionare
gli
accordi
con
Atanagildo,
perché
era
molto
più
un
diplomatico
che
un
militare,
tuttavia
il
suo
arrivo
coincise
con
l’attacco
che
Agila
lanciò
da
Merida
contro
Siviglia,
roccaforte
dei
ribelli,
e in
quell’occasione
la
presenza
delle
truppe
bizantine
fu
determinante
per
assicurare
la
vittoria
a
questi
ultimi
(Isidoro
di
Siviglia,
Storia
dei
Goti,
46).
Forse
fu
in
questa
occasione
che
Atanagildo
siglò
con
Giustiniano
il
trattato
ricordato
nel
599
da
papa
Gregorio
Magno
e
che
stabiliva
quali
parti
della
Spagna
dovessero
andare
all’impero,
ma,
come
si
vedrà
in
seguito,
non
c’è
accordo
sulla
data
esatta
di
questo
patto.
Purtroppo
le
fonti
del
tempo
sono
rare
e
del
tutto
insufficienti
per
tracciare
un
quadro
chiaro
dell’andamento
della
campagna
bizantina:
gli
unici
eventi
che
è
possibile
desumere
con
certezza
da
esse
sono
la
summenzionata
vittoria
di
Siviglia,
l’occupazione
violenta
di
Cartagena
da
parte
degli
Imperiali
(Leandro
di
Siviglia,
Regula,
21)
e,
indirettamente,
anche
la
conquista
da
parte
loro
delle
città
di
Medina
Asidonia,
Malaga,
Gigonza
e
Baza.
Per
tutto
il
resto,
e
per
stabilire
un
ordine
cronologico
per
tutti
questi
avvenimenti,
ci
si
deve
basare
solo
su
ipotesi,
e
quella
che
ai
più
appare
preferibile
è
quella
formulata
dallo
storico
Edward
Thompson.
Secondo
questa,
nel
552
Liberio,
al
comando
di
un
contingente
piuttosto
modesto,
si
limitò
a
sostenere
Atanagildo
nella
sua
vittoria
su
Agila
a
Siviglia
e a
prendere
possesso
dei
porti
della
Betica.
Il
grosso
dell’esercito
bizantino
era
ancora
fortemente
impegnato
in
Italia,
prima
nella
decisiva
campagna
di
Narsete
contro
gli
Ostrogoti,
culminata
nelle
vittorie
di
Tagina
(giugno
552)
e
dei
Monti
Lattari
(ottobre
552),
poi
nel
respingere
la
micidiale
invasione
dei
Franco-alamanni
di
Leutari
e
Butilino,
che
vide
il
suo
epilogo
solo
nell’ottobre
del
554,
con
la
battaglia
del
Volturno.
In
questo
frangente,
le
due
fazioni
visigote
continuarono
a
fronteggiarsi,
con
Agila
che
manteneva
il
suo
quartier
generale
a
Merida
e
Atanagildo
a
Siviglia,
senza
che
nessuna
delle
due
sembrasse
ottenere
decisamente
la
meglio.
La
fine
della
situazione
di
guerra
in
Italia
permise
finalmente
a
Giustiniano
di
dirottare
forze
molto
più
cospicue
in
Spagna
e di
dare
attuazione
al
suo
reale
intendimento,
e
cioè
alla
conquista
della
stessa,
contravvenendo
alle
clausole
stabilite
con
i
ribelli
goti,
ammesso
che
il
trattato
ricordato
nel
599
risalisse
al
551.
È
difficile
che
Atanagildo
non
avesse
compreso
le
reali
intenzioni
del
suo
alleato
sin
dal
principio,
ma
probabilmente
al
momento
del
suo
appello
si
era
trovato
in
una
condizione
disperata,
e
sino
a
allora
aveva
fatto
affidamento
proprio
sulla
situazione
italiana
per
sperare
che
i
Bizantini
non
forzassero
troppo
la
mano.
È
dopo
questo
radicale
cambio
di
scenari
che
Thompson
pone
la
conquista
bizantina
di
Cartagena,
conquista
vista
di
malocchio,
si
noti
bene,
anche
dalla
comunità
ispano-romana,
che
avrebbe
comunque
dovuto
considerarla
favorevolmente
sulla
base
di
una
comune
fede
nicena.
Il
nuovo
sbarco,
secondo
lo
storico,
avvenne
nel
marzo
del
555,
e
mise
definitivamente
i
Visigoti
di
fronte
all’imminente
pericolo
di
fare
la
fine
dei
loro
consanguinei
Ostrogoti.
Pur
di
scongiurare
una
tale
eventualità
i
partigiani
di
Agila
preferirono
assassinare
il
loro
capo
e
associarsi
con
Atanagildo,
che
ora
rigettò
la
deleteria
alleanza
con
Costantinopoli
e si
adoperò
per
mettere
un
argine
alla
sua
avanzata
nella
Spagna
meridionale.