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N. 3 -
Marzo 2008
(XXXIV)
STORIA DELLA SPAGNA CONTEMPORANEA
La breve vita della seconda repubblica - Parte III
di Cristiano Zepponi
Il
passaggio
dei
poteri
al
generale
Berenguer,
scelto
dal
re
su
suggerimento
del
dittatore
dimissionario,
avvenne
senza
particolari
difficoltà
il
30
gennaio
1930.
Questi,
tuttavia,
iniziò
da
subito
ad
assumere
atteggiamenti
decisamente
ostili
al
vecchio
governo,
rifiutandosi
di
chiamare
i
membri
dell’ex-Direttorio
nel
nuovo
gabinetto
ed
anzi
aprendo
le
porte
ad
alcuni
dei
loro
più
risoluti
avversari,
nel
tentativo
di
consolidare
la
propria
legittimità
personale
di
“soldato
cittadino”.
Tollerò
con
buon
senso
la
rinascita
di
sindacati
e
partiti,
senza
però
poter
contare
su
una
solida
forza
politica;
anzi,
nel
breve
volgere
di
pochi
mesi
dovette
subire
attacchi
decisi
sia
dall’esercito
(la
cui
proverbiale
tendenza
alla
congiura
sfociò
nel
progetto
di
golpe
previsto
per
il
15
dicembre
1930
e
fallito
per
l’avventatezza
di
alcuni
giovani
ufficiali
come
i
capitani
Galàn
e
Garcìa)
che
da
repubblicani
e
socialisti
(impegnati
a
rimproverare
al
governo
la
lentezza
nei
preparativi
elettorali).
L’impotenza
del
governo
Berenguer,
ultimo
strascico
del
passato,
cominciò
a
manifestarsi
con
sempre
maggior
evidenza
di
fronte
alle
grandi,
e
diffuse,
aspettative
democratiche
degli
spagnoli.
Ed
il
futuro
regime
repubblicano
si
stava
già
organizzando
attraverso
un’intesa
tra
tutti
gli
elementi
dell’opposizione:
questa
fu
formalizzata
il
17
agosto
del
1930,
e
prese
il
nome
di
“Patto
di
S.Sebastiàn”.
Il
ricordo
delle
derive
massimaliste
della
Prima
Repubblica
(datata
1873)
spingeva,
durante
la
splendida
primavera
di
quell’anno,
a
guardare
con
ottimismo
alla
variegata
composizione
dei
repubblicani
uniti
nel
Patto,
come
un
elemento
di
moderazione
indispensabile
al
pacifico
sviluppo
del
giovane
sistema
politico.
Ne
facevano
parte
repubblicani
per
convinzione
(partiti
di
sinistra
e di
centro,
gran
parte
degli
autonomisti
catalani
e
baschi)
e
per
convenienza
(circoli
monarchici
delusi
dalla
dittatura
e
dall’incapacità
reale
di
garantire
l’ordine,
tra
i
quali
Niceto
Alcalà
Zamora
e
Miguel
Maura):
il
loro
vero
collante,
probabilmente,
risiedeva
nella
sfiducia
verso
il
nascente
progetto
repubblicano.
I
nuovi
attori
politici,
infatti,
rimasero
a
lungo
preoccupati
dei
due
più
importanti
fattori
di
instabilità
del
Paese
iberico:
l’esercito
e
gli
anarchici.
In
particolare,
si
rifuggì
in
tutti
modi
il
sostegno
degli
ambienti
libertari
nel
tentativo
di
garantire
a
tutti
i
costi
la
rispettabilità
della
repubblica.
Il
pessimismo,
per
una
volta,
fu
smentito
dai
fatti:
per
rispondere
alle
manifestazioni
ed
agli
scioperi
spontanei
che
divamparono
in
tutto
il
Paese,
il
gabinetto
Berenguer
non
trovò
altra
soluzione
che
negare
l’elezione
di
Cortes
costituenti,
per
poi
crollare
sotto
il
peso
degli
eventi.
Lo
stesso
diniego
oppose
anche
il
successore,
l’ammiraglio
Aznar
(al
governo
dal
18
febb.
1931),
per
non
rinunciare
al
principio
monarchico,
ma
in
compenso
riuscì
a
stilare
un
chiaro
calendario
elettorale,
a
partire
dalle
consultazioni
comunali
del
12
aprile
1931.
La
tendenza
dell’elettorato
delle
grandi
città
(soprattutto
a
Madrid
e
Barcellona)
fu
da
subito
così
netta
che
già
due
giorni
dopo,
il
14
aprile
1931,
fu
proclamata
la
Seconda
Repubblica,
senza
attendere
il
risultato
degli
scrutini
nelle
campagne
peraltro
viziati
da
sospetti
di
brogli.
Lo
stesso
capo
dello
Stato
raccomandò
al
re
di
ritirarsi,
ben
sapendo
che
polizia
e
guardia
civile
non
si
sarebbero
battuti
in
sua
difesa,
mentre
abbandonava
gli
edifici
ministeriali;
lo
stesso
giorno,
accogliendo
il
suggerimento,
re
Alfonso
XIII
dichiarò
senza
abdicare
il
regno
vacante.
Gli
uffici
ministeriali
furono
quindi
occupati
dai
dirigenti
repubblicani.
“Ci
hanno
regalato
il
potere”,
chiosò
in
seguito
lo
sbalordito
ministro
degli
Interni
Maura.
1931-1933:
il
radicalismo
giacobino
delle
sinistre
& la
politica
del
risentimento.
Il
primo
governo
repubblicano,
scaturito
dalle
elezioni
di
aprile,
fu
presieduto
dall’ex-monarchico
Niceto
Alcalà
Zamora,
divenuto
cattolico
conservatore.
Era
sostenuto
dalla
stessa
eterogenea
costellazione
di
soggetti
politici
che
aveva
garantito
il
delicato
passaggio
alla
repubblica:
la
sinistra
in
blocco
(compresa
l’Esquerra
catalana),
la
destra
ex-monarchica
(ad
eccezione
dell’ala
estrema),
dando
per
scontato
il
consueto
distinguo
degli
anarchici
del
Cnt
(Confederacìon
nacional
del
trabajo).
Proprio
la
molteplicità
di
interessi
contrastanti
favorì,
come
previsto,
l’instaurazione
di
un
clima
più
equilibrato,
anche
fra
gli
oppositori:
la
presenza
dei
socialisti,
che
nel
governo
avevano
ottenuto
i
ministeri
del
Lavoro
(Largo
Caballero,
leader
del
partito),
delle
Finanze
(Indalecio
Prieto)
e
della
Giustizia
(Fernando
de
los
Rìos),
moderò
le
giustificate
proteste
dei
lavoratori
riuniti
nell’Ugt
(Uniòn
general
de
trabajadores),
l’esercito
preferì
non
inimicarsi
il
nuovo
regime,
i
cattolici
puntarono
a
riconquistare
una
posizione
influente
legalmente,
visto
anche
l’assenso
di
Pio
XI e
nonostante
isolate
dichiarazioni
andassero
in
senso
contrario
(come
nel
caso
del
cardinale
Segura).
Nonostante
anche
alcuni
fattori
strutturali
favorissero
la
diffusione
di
una
certa
attitudine
al
concetto
stesso
di
repubblica
(la
debolezza
degli
scambi
internazionali
della
Spagna
la
garantì
dagli
effetti
della
crisi
del
’29),
altri
elementi
andavano
in
altra
direzione.
Tra
questi,
la
pressione
anarchica
che
spinse
lentamente,
ma
inesorabilmente,
il
partito
socialista
(e
quindi
il
governo)
su
posizioni
sempre
più
radicali,
favorendo
così
la
creazione
di
un
abisso
ideologico
con
gli
avversari
e
prestando
il
fianco
ad
una
violenta
offensiva
antirepubblicana
dell’estrema
destra.
Il
clima,
insomma,
prese
presto
a
surriscaldarsi.
Lo
stesso
Partito
comunista
(Pce),
diligentemente,
cominciò
a
seguire
le
consegne
della
IIIa
Internazionale,
denunciando
i
“deviazionisti”
di
sinistra
(i
socialisti)
e
tornando
ad
appoggiare
la
“lotta
di
classe”,
gli
scioperi
insurrezionali
e le
manifestazioni
di
protesta.
Il
14
maggio
1931,
in
più,
il
cardinal
Segura
pubblicò,
con
dubbio
opportunismo,
una
lettera
pastorale
nella
quale
esprimeva
attaccamento
alla
figura
del
re.
L’immediata
risposta,
culminata
nell’incendio
di
alcuni
edifici
religiosi
a
Madrid
e
Malaga,
azzerò
in
un
attimo
la
possibilità
di
un
accordo
con
il
mondo
cattolico,
profondamente
colpito
dall’espulsione
del
prelato,
datata
15
giugno.
Nonostante
gli
attacchi
concentrici
di
anarchici,
comunisti
e
dei
vari
circoli
reazionari
le
elezioni
legislative
del
28
giugno
1931
sembrarono
rafforzare
le
convinzioni
dei
dirigenti
repubblicani:
ne
derivò,
infatti,
un
trionfo
quasi
plebiscitario
della
coalizione
di
centro-sinistra
(233
seggi
alle
Cortes
costituenti),
contro
i
126
della
destra
(agraria,
navarrese,
basca,
monarchica)
ed i
93
dei
radicali
autonomi
di
Alejandro
Lerroux.
Al
fine
di
rassicurare
gli
avversari
politici,
le
sinistre
avrebbero
allora
dovuto
assumere
un
atteggiamento
prudente,
come
peraltro
chiesto
dal
presidente
del
governo
provvisorio
Zamora.
Invece,
l’adozione
di
una
principio
costituzionale-simbolo
per
la
coalizione
vincente
(l’articolo
26
della
Costituzione,
che
prevedeva
una
separazione
Chiesa/Stato,
sciogliendo
varie
congregazioni
religiose
come
i
gesuiti
e
sottomettendo
le
varie
associazioni
religiose
ad
una
futura
legge
speciale)
portò
innanzitutto
alle
sue
dimissioni,
unitamente
a
quelle
del
Ministro
degli
Interni
Maura;
e,
più
a
lungo
termine,
fu
considerata
una
provocazione
dagli
ambienti
cattolici.
Nel
dicembre
1931,
nel
quadro
del
riassetto
istituzionale,
Zamora
fu
nominato
presidente
della
repubblica,
lasciando
il
posto
di
presidente
del
consiglio
a
Manuel
Azaňa,
esponente
dell’ala
“borghese”
delle
sinistre
e,
per
questo,
unico
possibile
mediatore
oltre
che
“volto
rassicurante”
da
proporre
al
Paese.
Ma
il
nuovo
capo
del
governo,
pur
animato
da
intenti
edificanti,
non
seppe
interpretare
il
momento
politico,
e
finì
per
infuocare
il
clima
nel
tentativo
di
applicare
alcuni
“principi”
repubblicani
inderogabili,
senza
preoccuparsi
prima
di
tutto
di
consolidare
una
democrazia
“del
possibile”:
drastici
tagli
furono
effettuati
nei
ranghi
degli
ufficiali,
furono
sciolti
i
gesuiti,
fu
vietato
formalmente
l’insegnamento
confessionale,
riformato
il
codice
penale,
approvata
una
legge
sul
divorzio
e,
finalmente,
una
riforma
agraria
che
sarebbe
però
rimasta
sulla
carta.
In
questo
modo,
però,
le
elìte
tradizionali,
escluse
dal
processo,
furono
messe
con
le
spalle
al
muro:
e si
videro
costrette
a
resistere
e
poi
contrattaccare
per
recuperare
spazi,
contando
sulla
componente
conservatrice
della
società,
spesso
localizzata
in
regioni
specifiche
(Navarra).
In
pratica,
ci
si
accontentò
di
“sgretolare”(M.Azaňa)
i
due
più
importanti
pilastri
della
repubblica,
chiesa
ed
esercito,
senza
peraltro
risolvere
i
problemi
economici
delle
masse.
“Anche
se a
quell’epoca
la
repubblica
aveva
parecchi
nemici
determinati,
non
era
certo
indispensabile
che
li
mobilitasse
tutti
allo
stesso
tempo
contro
di
sé”
(Hermet,
op.
cit.
pag.
130).
Purtroppo,
questo
fu
esattamente
ciò
che
accadde.
In
breve,
consistenti
fette
della
società
entrarono
in
agitazione:
la
piccola
e
media
borghesia
(allarmata
come
di
consueto
dall’anticlericalismo
di
sinistra),
i
capitalisti,
i
militari
di
professione
(contrari
allo
statuto
di
autonomia
della
Catalogna,
tentarono
l’ennesimo
golpe
il
10
agosto
1932
sotto
la
guida
del
gen.
Sanjurjo),
gli
anarchici
(che
moltiplicano
gli
scioperi
nonostante
gli
ottimi
risultati
della
crescita
industriale).
L’estrema
sinistra
si
rese
protagonista,
inoltre,
di
alcune
azioni
violente
che
surriscaldarono
la
temperatura
del
Paese:
alcune
guardie
civili
furono
uccise
a
Castilblanco
il
1°
gennaio,
vari
incidenti
scoppiarono
nella
valle
del
Llobregat
in
Catalogna
nello
stesso
mese,
poi
ancora
l’anno
successivo
sempre
in
Catalogna
e
poi
a
Casas
Viejas,
mentre
l’estate
seguente
furono
bruciati
i
raccolti
in
Estremadura.
Per
ora,
le
destre
tentarono
di
influenzare
la
nascente
Costituzione
sul
piano
legale:
per
questo,
il
23
dicembre
1932
nacque
la
Ceda
(Confederaciòn
espańola
de
derechas
autònomas),
un
raggruppamento
cattolico,
conservatore
ma
non
programmaticamente
antirepubblicano,
guidato
da
un
capo
carismatico
come
Marìa
Gil
Robles
(proveniente
dall’Azione
Cattolica
e
ammiratore
del
fascismo
italiano);
la
maggior
parte
di
militanti
e
dirigenti
del
nuovo
partito,
comunque,
si
potevano
considerare
reazionari,
monarchici
o
potenziali
fascisti.
Comunque
sia,
l’elettorato
manifestò
una
decisa
volontà
di
cambiamento
attraverso
diverse
elezioni
parziali
e le
amministrative
del
’33.
Per
questo,
Zamora,
preoccupato,
l’8
settembre
di
quell’anno
finse
di
sostituire
il
governo
Azaňa
con
un
gabinetto
centrista
guidato
da
Lerroux:
ma
poiché
questo
non
ottenne
la
fiducia
del
parlamento,
sciolse
le
Cortes
sulla
base
delle
norme
costituzionali
e
fissò
al
19
novembre
1933
la
data
per
le
elezioni
legislative.
1933-1934:
la
reazione
della
destra
conservatrice
La
sconfitta
del
centro-sinistra
assunse,
da
subito,
una
portata
spettacolare,
passando
dai
233
seggi
della
precedente
legislatura
a
soli
98.
Il
centro-destra,
invece,
ottenne
386
deputati
(80
ai
radicali,
113
alla
Ceda,
39
agli
agrari),
favorito
anche
dall’allargamento
del
suffragio
alle
donne
(gli
elettori
passarono
quindi
da
6.200.000
a
13.200.000).
In
questo
modo,
gli
elettori
moderati
ed i
conservatori
manifestarono
un
diffuso
bisogno
di
un
riordinamento
politico,
legale
e
non
violento,
dimenticando
per
il
momento
l’alternativa
dell’estrema
destra
antirepubblicana,
i
monarchici
o i
carlisti,
nonostante
la
creazione
di
un
movimento
esplicitamente
fascista,
nato
dalla
fusione
tra
la
Juntas
de
offensiva
nacional
sindicalista
(Jons)
di
Ramiro
Ledesma
Ramos
e la
Falange
espaňola
di
Josè
Antonio
Primo
de
Rivera,
figlio
del
dittatore.
Al
tempo
stesso,
la
fossa
ideologica
continuò
ad
allargarsi:
il
Psoe
optò
a
questo
punto
per
radicalizzare
la
propria
posizione,
che
mutò
da
riformista
a
marxista,
massimalista,
rivoluzionaria,
riavvicinandosi
ai
comunisti
nonostante
le
resistenze
dell’ala
moderata
(rappresentata
da
Indalecio
Prieto);
e
gli
anarchici
contribuirono
a
consolidare
le
prevenzioni
della
sinistra
nei
confronti
della
destra
cattolica
esibendosi
in
azioni
dichiaratamente
sovversive
(scioperi
politici
violenti,
a
Saragozza,
Valencia
e
Madrid,
attacchi
contro
la
guardia
civile
e
sabotaggi
come
quello
dell’espresso
Barcellona-Siviglia,
che
causò
diciannove
morti.
Proprio
in
virtù
del
grave
pericolo
antidemocratico,
Zamora
tentò
in
primo
luogo
di
salvare
le
istituzioni,
evitando
quella
che
sarebbe
stata
considerata
una
provocazione
da
una
sinistra
in
agitazione,
ovvero
l’ascesa
della
destra
cattolica,
vittoriosa
sul
piano
elettorale,
al
governo.
Ritenne
quindi
più
prudente
affidare
l’incarico,
ancora
una
volta,
al
radicale
Lerroux.
Questi
divenne
quindi
l’uomo
chiave
del
biennio
seguente:
uomo
di
dubbia
reputazione
(affarismo,
opportunismo
e
corruzione
ne
dominavano
il
curriculum),
caratterizzato
da
un
passato
di
lotte
anticlericali
(che
avrebbero
dovuto
rassicurare
le
sinistre,
con
scarso
successo),
fu
da
subito
appoggiato
da
agrari
e
cedisti.
Lerroux,
quindi,
dovette
piegarsi
a
ricambiare
il
sostegno
ricevuto,
mostrandosi
molto
generoso
nei
confronti
delle
rivendicazioni
avanzate
dagli
alleati:
fu
rinviata
la
chiusura
delle
scuole
confessionali,
i
gesuiti
ripresero
ad
insegnare
in
veste
di
professori
laici,
fu
rimandata
la
soppressione
della
voce
di
bilancio
sui
culti
e
promosso
un
aiuto
pubblico
ai
preti,
la
riforma
agraria,
già
insabbiata,
fu
praticamente
sospesa;
oltre
a
ciò,
fu
avanzata
la
proposta
di
amnistia
dei
congiurati
antirepubblicani
(in
particolare
il
generale
Sanjurjo
e
gli
altri
protagonisti
dell’insurrezione
monarchica
del
1932).
Per
timore
di
gravi
ripercussioni
Zamora
rifiutò
però
di
firmare
la
legge,
senza
apporre
un
veto
definitivo
(come
richiesto
dalla
sinistra)
ma
semplicemente
rinviandola
alle
camere
per
una
seconda
lettura;
questo
bastò
però
per
provocare
la
caduta
del
gabinetto
Lerroux
e la
creazione
di
un
nuovo
governo
presieduto
da
Ricardo
Samper.
Anche
il
nuovo
esecutivo
durò
poco,
specie
dopo
le
gravi
agitazioni
derivate
dall’effettiva
applicazione
dell’amnistia,
nella
primavera
del
1934:
l’agitazione
autonomista
nei
Paesi
Baschi
riprese
vigore,
mentre
la
Generalidad
di
Catalogna
entrò
in
diretto
conflitto
con
il
governo
centrale,
ratificando
una
legge
sugli
affitti
rustici
precedentemente
respinta
dal
Tribunale
delle
garanzie
costituzionali.
La
prospettiva
dell’ingresso
della
Ceda
nel
governo
ebbe
poi
altre,
e
più
drammatiche,
conseguenze.
La
crisi
scoppiò
clamorosamente
il 4
ottobre
1934,
quando
Gil
Robles
ritirò
l’appoggio
al
governo,
costringendolo
alle
dimissioni.
Zamora
tentò
ancora
una
volta
la
carta
Lerroux,
ma
dovette
piegarsi
ad
affidare
tre
ministeri
alla
Ceda,
nonostante
un
veto
formale
socialista.
La
replica
fu
immediata:
a
Madrid
l’Ugt
proclamò
lo
sciopero
generale,
tentando
al
contempo
di
impadronirsi
del
potere
col
diretto
sostegno
comunista,
in
Catalogna
il
presidente
della
Generalidad
Lluis
Companys
proclamò
l’autonomia
della
provincia.
Ma
se
nelle
città
la
protesta
fu
presto
soffocata,
anche
grazie
alla
lealtà
al
governo
di
esercito
e
guardia
civile,
nelle
Asturie,
ed
in
particolare
nella
zona
carbonifera
di
Oviedo,
la
rivolta
assunse
caratteri
particolarmente
drammatici.
Qui,
infatti,
i
minatori,
armati
e
disciplinati,
realizzarono
l’unione
di
tutte
le
correnti
operaie
in
un
contesto
fortemente
anarchico,
occupando
un’area
molto
vasta
(oltre
al
capoluogo
Oviedo
anche
Gijòn,
Mieres
e
Sama
de
Langreo).
Ma
il
fallimento
dell’insurrezione
su
scala
nazionale
li
isolò
in
una
situazione
disperata:
la
loro
repressione
assunse
valore
di
simbolo
per
il
governo,
che
ne
affidò
la
guida
al
generale
Goded
e ad
un
altro
giovane
astro
nascente
nel
firmamento
militare,
il
generale
Francisco
Franco,
che,
impiegando
unità
scelte
provenienti
dal
Marocco
e la
legione
straniera,
impiegarono
due
lunghe
e
cruente
settimane
per
svolgere
l’incarico,
cui
seguì
una
massiccia
ondata
di
arresti
(si
parla
di
30000
persone).
L’unica
condizione
posta
dagli
insorti
fu
l’immediata
partenza
delle
truppe
coloniali.
Da
quel
momento,
le
sinistre
cessarono
di
accettare
le
regole
democratiche,
orientandosi
verso
un
governo
rivoluzionario;
in
alcuni
casi,
naturalmente,
le
forze
di
sinistra
borghesi
lo
fecero
perché
“obbligate”
dall’atteggiamento
di
quelle
operaie
e
perché
i
“cedisti”,
irrigiditesi,
rifiutarono
di
accoglierle
nel
campo
legale
per
rigettarle
in
quello
rivoluzionario.
Se
la
“rivolta
delle
Asturie”
favorì
quindi
l’emergere
di
un
atteggiamento
aggressivo
e
vendicativo
da
una
parte,
dall’altra
la
Ceda,
lungi
dall’agire
con
moderazione,
mise
in
moto
tutti
i
suoi
strumenti
repressivi
e
persecutori;
e,
fingendo
di
non
vedere
che
Oviedo
fosse
stata
una
svolta
nella
storia
della
Seconda
Repubblica,
adottò
un
atteggiamento
ricattatorio
in
Parlamento,
dove
pretendeva
una
revisione
della
Costituzione
(per
creare
un
Senato),
una
riduzione
dell’autonomia
catalana
e la
diminuzione
della
portata
delle
leggi
su
divorzio
e
matrimonio
civile.
L’atteggiamento
intransigente
di
Gil
Robles,
che
arrivò
a
ritirare
l’appoggio
al
governo,
portò
alla
creazione,
il 5
maggio
1935,
di
un
ennesimo
gabinetto
Lerroux,
per
evitare
le
elezioni
anticipate:
stavolta,
però,
vi
facevano
parte
cinque
ministri
cedisti,
tra
i
quali
lo
stesso
Gil
Robles
alla
guerra.
Fu,
questo,
un
passaggio
fondamentale
per
il
successivo
scorrere
degli
eventi:
Gil
Robles
riuscì,
con
l’aiuto
del
gen.
Franco,
ad
espellere
dagli
esercito
gran
parte
dei
deputati
repubblicani.
Ma
pagò
il
successo
con
una
serie
di
scandali
finanziari
in
cui
la
Ceda
rimase
coinvolta;
e
poiché
voci
insistenti
circolavano
sull’operato
dello
stacanovista
Lerroux,
questi
fu
alfine
sostituito
da
Joaquìn
Chapaprieta.
Ma
il
discredito
di
cui
si
coprì
il
campo
conservatore
fu,
se
possibile,
ancora
maggiore
nello
scandalo
dello
straperlo
(dal
nome
di
un
gioco
d’azzardo):
una
dubbia
vicenda
di
corruzione,
in
cui
restarono
direttamente
implicati
i
radicali
di
Lerroux,
legata
alla
concessione
di
un
gioco
d’azzardo.
Gil
Robles
e la
Ceda,
quindi,
persero
l’unico
alleato
politicamente
rilevante:
un
grave
handicap
visto
anche
che
la
legge
elettorale
del
1931
sfavoriva
grandemente
i
partiti
isolati
(accordando
l’80%
dei
seggi
in
ogni
circoscrizione
alla
lista
con
la
maggioranza
assoluta
dei
voti
espressi).
1936:
la
breve
primavera
del
fronte
popolare
In
una
tale
situazione
di
sfacelo
istituzionale
era
ormai
chiaro
a
tutti,
compreso
il
presidente
della
repubblica
Zamora,
che
lo
scrutinio
nazionale
rimaneva
l’unica
possibilità
per
salvare
la
democrazia;
e
poiché
questa
avrebbe
potuto
stabilizzarsi
solo
rifuggendo
gli
estremismi,
nel
1936
fu
creata
una
terza
forza
centrista,
guidata
da
Portela
Valladares.
Che
le
elezioni
del
’36
fossero
decisive
divenne
subito
chiaro
a
tutti:
ed
infatti,
destra
e
sinistra
si
scontrarono
con
una
ricchezza
di
mezzi
di
propaganda
fin’allora
sconosciuta
nel
Paese.
La
sinistra
non
si
fece
cogliere
di
sorpresa
dallo
scioglimento
delle
Cortes,
e
già
il
20
ottobre
1935
fu
costituito
il
Fronte
popolare,
guidato
da
Azaňa,
comprendente
socialisti,
comunisti,
Sinistra
repubblicana,
Unione
repubblicana,
Esquerra
catalana,
partito
regionalista
galiziano
(Orga)
e
formazioni
minori;
caratterizzato
da
un
programma
moderato,
godeva
anche
della
neutralità
degli
anarchici,
che
per
la
prima
volta
non
sostennero
rigidamente
l’obbligo
dell’astensione.
La
destra,
invece,
conobbe
varie
difficoltà
ad
organizzarsi:
la
Ceda,
alfine,
dovette
rassegnarsi
ad
accettare
una
coalizione
con
monarchici
e
falangisti
(data
la
già
citata
legge
elettorale
del
’31),
dopo
aver
a
lungo
accarezzato
l’ambizione
di
correre
da
sola.
Inaspettatamente,
comunque,
il
clima
della
consultazione
del
16
febbraio
1936
apparve
tranquillo,
come
disteso,
tutto
sommato,
era
stato
quello
dei
giorni
precedenti.
I
primi
risultati
chiarirono
subito
il
quadro:
gli
elettori
ignorarono
i
partiti
di
centro,
polarizzandosi
fra
le
due
coalizioni
antagoniste
senza
alcuna
preoccupazione
per
la
stabilità
delle
istituzioni
repubblicane.
Sebbene
i
dati
rimangano
incerti
a
causa
dell’assenza
di
pubblicazioni
ufficiali,
si
stima
che
il
Fronte
delle
sinistre
abbia
ricevuto
tra
il
47,6%
ed
il
48,3%
dei
voti,
ottenendo
il
56%
dei
seggi
alle
Cortes.
Oltre
quattro
milioni
di
spagnoli
diedero
la
vittoria
ai
rossi,
in
modo
abbastanza
netto.
I
peggiori
timori
(e
la
coscienza
sporca)
provocarono
il
panico
negli
ambienti
conservatori
e
moderati:
il
17
febbraio
Gil
Robles
chiese
al
presidente
del
consiglio
di
proclamare
lo
stato
d’assedio,
per
consentire
il
regolare
svolgimento
del
secondo
turno,
e lo
stesso
fece
ancora
per
bocca
di
Franco,
nel
frattempo
divenuto
capo
di
stato
maggiore.
Ma
Valladares,
non
ottenendo
l’autorizzazione
del
presidente
della
repubblica
per
questo
colpo
di
stato
legale,
e
forse
sentendosi
minacciato
dall’entusiasmo
dei
membri
del
Fronte
popolare,
implorò
Azaňa
di
sostituirlo.
Sollecitato
dal
presidente
della
Repubblica,
il
nuovo
gabinetto
prese
forma
già
il
19
febbraio.
In
linea
con
la
moderazione
del
programma,
nell’esecutivo
entrarono
solo
ministri
“borghesi”;
ma
il
peso
dell’appoggio
dei
partiti
operai
si
fece
presto
sentire
con
continue
richieste
a
favore
di
amnistie
politiche
e
riforma
agraria.
Attento
all’ordine
pubblico,
Azaňa
tentò
la
carta
dell’appello
alla
calma
e
dello
stato
di
emergenza,
senza
esito:
il
secondo
turno
delle
elezioni
fu
caratterizzato
da
disordini
e,
in
alcune
regioni,
occupazione
di
terre
(ad
opera
di
Ugt
e
Cnt).
Nei
giorni,
e
nei
mesi
successivi
il
clima
di
guerriglia,
provocazione,
terrorismo
divenne
costante,
come
costante
fu
il
declino
dell’autorità
governativa.
I
governatori
civili
non
poterono,
o
non
vollero,
fermare
le
violenze
reciproche,
così
come
insufficiente
fu
l’intervento
delle
forze
di
polizia,
divise
tra
la
guardia
civile
(34000
uomini,
conservatrice)
e la
guardia
d’assalto
(17000
uomini,
repubblicana
e di
sinistra).
Le
morti
violente
per
motivi
politici
nei
primi
sei
mesi
del
1936
arrivarono
a
269,
dalle
45
dello
stesso
periodo
dell’anno
precedente
(J.J.Linz
e
A.Stepan,
“The
brakdown
of
Democratic
Regimes.Europe”,
1981)
I
socialisti,
travolti
da
entusiasmi
rivoluzionari,
ignorarono
la
proposta
di
Prieto
di
allearsi
con
i
repubblicani
moderati
per
creare
un
governo
di
unità
nazionale
e
salvare
le
istituzioni:
e
Caballero,
il
“Lenin
spagnolo”
di
quei
giorni,
correva
su e
giù
per
il
Paese
nonostante
l’età,
per
sollevare
le
folle.
Gli
anarchici
non
attesero
un
secondo
per
cavalcare
l’ondata
di
disordini,
mentre
i
comunisti
erano
impegnati
nel
periodo
a
fondare
la
“Juventud
socialista
unificada”
(Jsu),
dopo
aver
strappato
al
Psoe
l’organizzazione
giovanile
“Gioventù
socialista”.
In
aula,
poi,
la
sinistra
procedette
ad
un
vero
e
proprio
regolamento
di
conti:
le
Cortes
appena
insediate
invalidarono
i
risultati
in
molte
località
conquistate
dalla
Ceda.
Insieme,
poi,
le
due
coalizioni
si
rivolsero
contro
il
presidente
Zamora,
destituendolo
il 7
aprile
1936
e
sostituendolo
con
Azaňa,
a
sua
volta
rimpiazzato
alla
guida
del
governo
da
Santiago
Casares
Quiroga.
La
Ceda,
con
grande
soddisfazione
di
falangisti
e
carlisti,
si
smembrò
subito
dopo
le
elezioni:
e
mentre
molti
elettori
cattolici
rinnegavano
le
precedenti
“illusioni”
legalitarie
le
bande
armate
falangiste,
forti
e
combattive,
entrarono
in
azione,
nonostante
la
chiusura
da
parte
delle
autorità
della
sede
della
Falange
e
l’arresto
del
leader,
Josè
Antonio
Primo
de
Rivera.
Come
sempre,
i
monarchici
e le
forze
armate
agirono
nell’ombra:
nell’aprile
del
’36,
mentre
anche
all’interno
dell’esercito
era
ormai
scomparsa
ogni
credibilità
nell’operato
di
un
governo
ormai
“degenerato”
e
delegittimato,
prese
corpo
l’idea
di
un
golpe
organizzato
del
gen.
Mola.
I
preparativi
proseguirono
fino
a
giugno,
nel
tentativo
di
convincere
i
più
reticenti,
tra
i
quali
il
gen.
Franco,
comandante
della
regione
militare
delle
Canarie.
Il
clima
di
attesa
per
l’avvenimento
decisivo,
nel
quadro
di
una
sanguinosa
resa
dei
conti
tra
i
due
schieramenti,
terminò
il
13
luglio
1936,
con
l’assassinio
per
rappresaglia
del
leader
monarchico
Josè
Calvo
Stelo
da
parte
delle
forze
di
sicurezza
repubblicana.
Allora,
il
rancore
e la
tensione
accumulate
nei
cinque
anni
precedenti
si
scatenarono,
senza
freni,
e
senza
tregua.
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