N. 112 - Aprile 2017
(CXLIII)
Gibilterra, una questione vecchia come l’Europa
lezioni dimenticate
di Gian Marco Boellisi
Imparare
dai
propri
errori
non
ha
mai
fatto
male
a
nessuno.
Tuttavia,
è
proprio
ciò
che
l’Inghilterra
pare
non
stia
facendo
nei
confronti
delle
sfide
che
si
stanno
aprendo
con
la
Brexit.
Tra
tutte
le
problematiche
che
il
divorzio
dall’Unione
Europea
comporterà
per
il
governo
inglese,
una
tematica
rilevante
è
costituita
da
tutte
le
piccole
porzioni
di
territorio
che
la
Gran
Bretagna
ha
acquisito
durante
la
sua
plurisecolare
storia
imperiale.
Se
già
problemi
simili
si
mostrarono
negli
anni
’80
con
la
crisi
delle
isole Falkland-Malvinas,
sebbene
in
un
contesto
totalmente
diverso,
ora
sono
ritornati
prepotentemente
a
riempire
l’agenda
politica
inglese. E
non
si
tratta
di
una
qualche
isoletta
nel
mezzo
dell’Atlantico.
Si
parla
di
Gibiliterra,
fazzoletto
di
terra
posizionato
all’entrata
del
Mediterraneo
e,
per
la
posizione
geografica,
cruciale
per
il
controllo
del
traffico
marittimo
in
entrata
e
in
uscita
da
tale
specchio
d'acqua.
Nel
tempo
sono
state
paventate
soluzioni
molto
spicciole,
e la
leggerezza
con
cui
si è
usata
o si
è
fatto
riferimento
alla
parola
“guerra”
fa
capire
quanto
in
basso
si è
scesi.
Prima
di
procedere
all’analisi
di
quanto
accaduto
tra
il
governo
spagnolo
e
quello
inglese,
è
peraltro giusto
riassumere
brevemente
la
storia
di
questo
piccolo
ma
importante
territorio.
Ricca
di
storia
e
passaggi
di
mano
in
mano
sin
dall’antichità,
Gibilterra
fu
protagonista
anche
durante
“la
Reconquista”,
dove
cadde
nelle
mani
della
regina
Isabella
di
Castiglia
solo
nel
1492.
Qui
godette
di
un
periodo
di
stabilità
per
oltre
due
secoli
sotto
il
dominio
spagnolo.
Tuttavia
nel
1704,
durante
la
guerra
di
successione
spagnola,
il
destino
della
fortezza
cambiò
ancora
una
volta.
Impegnata
in
un
assedio
da
una
flotta
congiunta
anglo-olandese,
la
rocca
di
Gibilterra
cadde
sotto
l’assalto
inglese
il 4
agosto.
Questa
data
sancì
l’inizio
dell’occupazione
inglese
della
piccola
striscia
di
terra.
Nonostante
l’Impero
Spagnolo
tentò
di
riconquistare
l’insediamento
durante
lo
stesso
conflitto,
esso
non
riuscì
nell’impresa
ed
in
seguito
al
trattato
di
Utrecht
del
1713,
il
quale
pose
fine
alla
guerra
di
successione,
la
rocca
divenne
di
proprietà
formale
dell’Impero
Britannico.
Nonostante
il
trattato
ne
sottolineasse
la
proprietà
inglese,
non
ne
ha
mai
sottolineato
esplicitamente
la
sovranità.
Ed è
questo,
oggi
come
allora,
il
cavillo
attorno
al
quale
i
due
stati
si
scontrano
periodicamente.
Numerose
infatti
sono
state
le
occasioni
in
cui
il
dominio
britannico
è
stato
messo
in
dubbio.
La
popolazione
di
Gibilterra
è
stata
interpellata
più
volte
in
merito
alla
questione,
una
volta
nel
1967
ed
una
nel
2002,
ribadendo
con
una
maggioranza
del
98%
la
volontà
di
rimanere
sotto
la
giurisdizione
di
Sua
Maestà.
Questa
storia
tanto
travagliata
ci
fa
capire
solo
in
parte
quanto
questo
piccolo
porto
che
si
affaccia
sul
Mediterraneo
sia
di
vitale
importanza
per
la
Gran
Bretagna.
Un’ulteriore
prova
della
sua
importanza
ci è
stata
data
nei
giorni
scorsi
da
alcuni
esponenti
del
governo
britannico
e da
alcune
testate
inglesi,
le
quali
hanno
innalzato
in
maniera
non
indifferente
la
tensione.
Infatti
subito
dopo
l’attivazione
dell’articolo
50
del
trattato
di
Lisbona,
il
quale
ha
avviato
de
facto
la
separazione
tra
Regno
Unito
e
Europa,
è
stato
presentato
un
documento
secondo
il
quale
la
Spagna
dovrebbe
dare
il
suo
consenso,
con
annesso
potere
di
veto,
per
la
fuoriuscita
dall’Europa
anche
di
Gibilterra.
Considerando
questo
diritto
di
parola
spagnolo
oltraggioso,
il
leader
conservatore
nonché
ex
ministro
del
governo
Thatcher
Michael
Howard
ha
affermato
che
l’attuale
governo
May,
se
messo
alle
strette,
si
comporterà
nello
stesso
modo
in
cui
la
lady
di
ferro
si
occupò
nella
crisi
delle
Falkland.
Immediatamente
accusato
di
soffrire
di
“ossessioni
imperialiste”,
lo
stesso
leader
liberal-democratico
Tim
Farron
ha
affermato
che
è
irresponsabile
e
immaturo
usare
il
termine
guerra
per
quanto
concerne
i
propri
vicini
europei.
Queste
affermazioni
non
hanno
certo
alleggerito
la
situazione,
che
già
solo
giuridicamente
rappresenta
un
pantano
di
rare
dimensioni.
Il
governo
ha
cercato
di
distanziarsi
il
più
possibile
dalle
affermazioni
di
Howard,
tuttavia
cercando
di
rassicurare
gli
abitanti
del
piccolo
porto,
affermando
che
Downing
Street
rimane
“graniticamente
impegnata”
nella
difesa
di
tutti
i
sudditi
di
Sua
Maestà,
ovunque
essi
si
trovino.
Ciò
non
toglie
che
il
governo
di
Londra
potrebbe
condividere
in
parte
quanto
detto
dal
leader
conservatore.
Infatti
il
popolo
inglese
ha
sempre
provato
una
certa
nostalgia
verso
i
vecchi
fasti
imperiali
della
regina
Vittoria.
Questa
linea
di
pensiero
è
sicuramente
anche
una
concausa
del
processo
Brexit,
dato
che
gli
inglesi
oggi
più
che
mai
rivendicano
la
loro
forza
e la
loro
capacità
di
andare
avanti
nel
mondo
da
soli
senza
alcun
aiuto
esterno.
E
proprio
questo
patriottismo
d’altri
tempi
potrebbe
portare
ad
avere
una
mente
poco
lucida
su
questioni
che
invece
la
richiederebbero
a
gran
voce.
Un’ulteriore
complicazione,
per
quanto
apparentemente
distante,
è
costituita
dagli
ultimi
sviluppi
riguardanti
la
Scozia.
Infatti
il
ministro
degli
Esteri
spagnolo,
Alfonso
Dastis,
ha
dichiarato
che
Madrid
non
porrebbe
il
veto
qualora
la
Scozia
chiedesse
di
rimanere
nell’Unione
Europea,
una
volta
ottenuta
l’indipendenza
da
Londra
con
un
altro
referendum.
Fino
a
qualche
tempo
fa
un’ipotesi
simile
sarebbe
risultata
impensabile
per
lo
stesso
governo
di
Madrid,
essendo
un’arma
a
doppio
taglio
per
via
dei
movimenti
indipendentisti
della
Catalogna,
i
quali
potrebbero
un
giorno
usare
questo
episodio
come
un
procedente.
Tuttavia
ora
le
carte
sono
cambiate,
sia
per
il
fatto
che
lo
status
giuridico
di
Scozia
e
Catalogna
all’interno
dei
rispettivi
stati
sia
diverso
sia
per
la
posta
in
gioco
nella
partita
attuale.
La
Spagna
infatti
si è
scoperta
molto
prendendo
questa
posizione,
ma
questo
ci
fa
capire
quanto
sia
alto
il
premio
che
costituisce
Gibilterra.
In
conclusione,
possiamo
senza
dubbio
considerare
queste
affermazioni
da
parte
del
partito
conservatore
inglese
più
che
mai
fuori
luogo
e
inappropriate.
Rievocare
con
tanta
leggerezza
sortite
militari
come
il
conflitto
delle
Falkland
di
certo
non
facilita
una
transizione
pacifica
e
indolore,
ma
aumenta
solo
la
tensione
di
quello
che
sarà
uno
dei
processi
politici
più
importanti
dei
nostri
tempi.
Non
solo
la
Gran
Bretagna
tuttavia,
ma
anche
la
Spagna
dovrà
rivedere
la
sua
politica
estera
sulla
questione,
poiché
paventare
il
potere
di
veto
o un
aiuto
implicito
all’indipendenza
della
Scozia
non
aiuta
ad
appianare
le
divergenze
tra
le
due
nazioni.
La
soluzione
migliore,
e
attualmente
quella
più
lontana,
sarebbe
quella
di
chiedere
agli
stessi
abitanti
di
Gibilterra
quale
vogliano
sia
il
loro
destino,
ed
in
che
modo
essi
vogliano
forgiarlo.
Questo
tipo
di
approccio,
per
quanto
particolare
ma
comunque
applicabile
in
questo
specifico
caso,
è
già
stato
adottato
nei
loro
confronti
con
i
vari
referendum
e
sarebbe
il
modo
più
semplice
per
dissipare
i
dubbi
su
questioni
politiche
che
sempre
più
riguardano
logiche
di
potere
interstatali
e
sempre
meno
l’interesse
dei
popoli
coinvolti.
In
questo
particolare
caso
però
un
segnale
c’è
stato,
ovvero
il
referendum
sulla
Brexit.
Qui
gli
abitanti
di
Gibilterra
hanno
votato
con
una
maggioranza
del
99,6%
a
favore
della
permanenza
nell’Unione
Europea.
Un
segnale
importante,
direbbero
alcuni.