N°
173
/ MAGGIO 2022 (CCIV)
filosofia & religione
LA FILOSOFIA DI SOSSIO GIAMETTA
REALTÀ UMANA E REALTÀ FISICA
di Gaetano Cellura
Sossio Giametta
(classe 1929) è il più longevo dei filosofi italiani
e ha appena mandato in libreria La filosofia di
Spinoza e il duello con Schopenhauer e Nietzsche,
pubblicato da Bollati Boringhieri.
Laureato in giurisprudenza, Giametta ha lavorato in
banca e al Consiglio dell’Ue. Si ritiene più un
filosofo per vocazione che di professione. «Nelle
università prosperano i filosofi di professione, ma
il vero filosofo lo è per vocazione»: ne basta
uno solo, come diceva Schopenhauer, per fare la
fortuna di un secolo. “Dov’è nel Duemila questo vero
filosofo?”. Giametta non ne vede ovviamente.
L’ultimo grande filosofo italiano è stato Benedetto
Croce, che non era un professore universitario. E
Heidegger è il “principale” del Novecento. Perché ha
colto “la crisi in atto dell’Europa”. Rifugiandosi
tuttavia in rimedi, il nazismo e l’esistenzialismo,
che “non sono affatto il suo meglio”.
Dei tre grandi filosofi di cui si occupa in questo
suo ultimo libro, Spinoza è per lui il più sereno,
il vero genio filosofico. Un maestro. Alla sua
Etica e al suo Trattato teologico politico
si deve il rovesciamento dell’ordine teocratico.
Quel rovesciamento che aveva avuto i suoi apostoli e
martiri in Giordano Bruno e Giulio Cesare Vanini,
bruciati vivi dalla Chiesa. Leggi Bruno e senti
l’eco di Spinoza. Nietzsche è più un pensatore
moralista. Come Schopenhauer, d’altra parte. Secondo
la definizione dello stesso Nietzsche. Quest’ultimo
è il filosofo su cui Giametta ha lavorato di più.
Nietzsche e Schopenhauer sono per il nostro autore
gli approdi finali di due processi
plurisecolari. Nell’autore dello Zarathustra
approda il processo rinascimentale dei filosofi
della natura (Bruno e Vanini appunto), e Telesio e
Campanella. Questi filosofi italiani fondano
il principio di laicità.
Con loro, non con i francesi Cartesio o Montaigne,
inizia l’età moderna, per Giametta sintesi dei tre
evi della nostra storia. Dopo viene Spinoza. Che
parifica Dio e la Natura (Deus sive Natura),
sistematizza i principi dei filosofi italiani, fa
progredire l’ordine liberale e la democrazia.
Altro filosofo che rivoluziona l’ordine delle cose è
Feuerbach: non l’uomo immagine di Dio, ma Dio
immagine dell’uomo. I popoli possono fare a meno
dell’economia ma non della religione. Ed è la
religione che sempre li scatena. Perché i popoli
hanno bisogno di un “tetto protettivo” sopra la
testa. Alla fine arriva Nietzsche in cui tutto
confluisce.
Schopenhauer
è stato l’approdo di un processo “collaterale” a
quello italiano, ma diverso. Il processo scettico
dei francesi, Cartesio e Montaigne, che a differenza
degli italiani per Giametta non hanno pagato “alcun
dazio”. Nessuno di loro è stato bruciato vivo.
Perché hanno seguito la via (appunto) dello
scetticismo senza mai mettere in discussione la
struttura religiosa, senza mai negarla e neppure
contrastarla. Come gli empiristi, più o meno.
L’empirismo nega ciò che non è oggetto
dell’esperienza. Anche l’Essere. Ma gli empiristi
cosa fanno? Rinfrescano lo scetticismo con la
concretezza della scienza. Scelgono l’intuizione,
per la quale vale l’esperienza, invece della
deduzione che vuole la logica. Altro modo, manco a
dirlo, per non affrontare il problema sino in fondo.
Per non affrontarlo naturalmente prima di Kant,
maestro di Schopenhauer, che con la Critica della
Ragion Pura distrugge credenze e dimostrazioni
negando alla metafisica ogni legittimità di scienza.
«Fino a Kant – scrive Giametta – la
filosofia aveva creduto che la casualità, che
governa i fenomeni, e il principio di ragione che li
spiega, fossero aeterna e veritates,
cioè verità indipendenti dall’uomo».
L’una e l’altra, secondo il filosofo delle tre
Critiche, sono “leggi dell’intelletto
condizionate dal soggetto”. In altre parole:
l’intelletto coglie il fenomeno, cioè la cosa
visibile, strutturata, e i suoi rapporti con le
altre cose, ma non il noumeno (cioè la cosa in sé,
ancora nella nostra coscienza, la cosa in potenza)
che ne spiega i presupposti realizzativi.
L’intelletto, per Kant, è come l’occhio. Che non
vede se stesso: vede le cose realizzate ma senza
conoscere i motivi che le rendono possibili.
Schopenhauer si contrappone a Hegel la cui filosofia
vuole razionalizzare la religione dandole così più
forza. Invece per l’autore de Il mondo come
volontà e rappresentazione è la religione a
schiacciare la ragione. Razionalizzandola, Hegel
rende ancora più divino il mondo. E Schopenhauer non
l’accetta. Perché vede il mondo pessimisticamente
dominato dal male. Dominato dall’immagine della
tartaruga sbranata dai cani nell’isola di Giava.
Che senso ha avuto la vita, valeva la pena viverla
per la tartaruga finita in quel modo? In lui lo
scetticismo dei filosofi francesi degenera in
pessimismo. Ma Schopenhauer sbaglia, secondo
Giametta. Perché vivere, anche male, è sempre meglio
di non essere mai nati; meglio del “niente del
niente”. E perché la vita ha origine dall’essere o
anche dalla divinità. Sono diaboliche le sue
condizioni, non le sue origini.
Nella sua filosofia Sossio Giametta dà importanza
alla realtà. Alla realtà umana più della realtà
fisica. La prima ha più qualità; la seconda più
quantità. E il filosofo di Frattamaggiore dà più
valore alla qualità. Solo lui è riuscito a spiegare
Nietzsche come il coronamento di un processo
storico, un processo italiano durato quattro secoli
e che ha implicato nella sua fase iniziale sfide,
sacrifici, rinunce (Campanella trascorre in
cattività gran parte della vita) e vittime del
pensiero arse sul rogo.
Giametta ama ricordare una bellissima frase di
Nietzsche: «Questo ideale che ti corre innanzi è
più bello di te: dagli il tuo sangue e le tue ossa».
La sua forza poetica è potente. Nietzsche dà
“importanza divina alla vita caduca”. Fa valere il
corpo contro l’anima della religione, la terra
contro il cielo. E la caducità contro l’immortalità.
Ma non si capisce interamente Nietzsche, decadente
guarito in tempo, se non lo si contrappone a
Schopenhauer (approdo del processo scettico) e al
suo pessimismo romantico e irrimediabilmente
decadente. Se non si capisce che Nietzsche ha
reagito a questo pessimismo con una filosofia
positiva, di affermazione tragica, di cammino nella
sofferenza della vita che lui trasforma in bellezza
tragica. Collegandola al processo originario dei
filosofi italiani.