[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

173 / MAGGIO 2022 (CCIV)


filosofia & religione

LA FILOSOFIA DI SOSSIO GIAMETTA

REALTÀ UMANA E REALTÀ FISICA

di Gaetano Cellura

 

Sossio Giametta (classe 1929) è il più longevo dei filosofi italiani e ha appena mandato in libreria La filosofia di Spinoza e il duello con Schopenhauer e Nietzsche, pubblicato da Bollati Boringhieri.

 

Laureato in giurisprudenza, Giametta ha lavorato in banca e al Consiglio dell’Ue. Si ritiene più un filosofo per vocazione che di professione. «Nelle università prosperano i filosofi di professione, ma il vero filosofo lo è per vocazione»: ne basta uno solo, come diceva Schopenhauer, per fare la fortuna di un secolo. “Dov’è nel Duemila questo vero filosofo?”. Giametta non ne vede ovviamente.

 

L’ultimo grande filosofo italiano è stato Benedetto Croce, che non era un professore universitario. E Heidegger è il “principale” del Novecento. Perché ha colto “la crisi in atto dell’Europa”. Rifugiandosi tuttavia in rimedi, il nazismo e l’esistenzialismo, che “non sono affatto il suo meglio”.

 

Dei tre grandi filosofi di cui si occupa in questo suo ultimo libro, Spinoza è per lui il più sereno, il vero genio filosofico. Un maestro. Alla sua Etica e al suo Trattato teologico politico si deve il rovesciamento dell’ordine teocratico. Quel rovesciamento che aveva avuto i suoi apostoli e martiri in Giordano Bruno e Giulio Cesare Vanini, bruciati vivi dalla Chiesa. Leggi Bruno e senti l’eco di Spinoza. Nietzsche è più un pensatore moralista. Come Schopenhauer, d’altra parte. Secondo la definizione dello stesso Nietzsche. Quest’ultimo è il filosofo su cui Giametta ha lavorato di più.

 

Nietzsche e Schopenhauer sono per il nostro autore gli approdi finali di due processi plurisecolari. Nell’autore dello Zarathustra approda il processo rinascimentale dei filosofi della natura (Bruno e Vanini appunto), e Telesio e Campanella. Questi filosofi italiani fondano il principio di laicità.

 

Con loro, non con i francesi Cartesio o Montaigne, inizia l’età moderna, per Giametta sintesi dei tre evi della nostra storia. Dopo viene Spinoza. Che parifica Dio e la Natura (Deus sive Natura), sistematizza i principi dei filosofi italiani, fa progredire l’ordine liberale e la democrazia.

 

Altro filosofo che rivoluziona l’ordine delle cose è Feuerbach: non l’uomo immagine di Dio, ma Dio immagine dell’uomo. I popoli possono fare a meno dell’economia ma non della religione. Ed è la religione che sempre li scatena. Perché i popoli hanno bisogno di un “tetto protettivo” sopra la testa. Alla fine arriva Nietzsche in cui tutto confluisce.

 

Schopenhauer è stato l’approdo di un processo “collaterale” a quello italiano, ma diverso. Il processo scettico dei francesi, Cartesio e Montaigne, che a differenza degli italiani per Giametta non hanno pagato “alcun dazio”. Nessuno di loro è stato bruciato vivo. Perché hanno seguito la via (appunto) dello scetticismo senza mai mettere in discussione la struttura religiosa, senza mai negarla e neppure contrastarla. Come gli empiristi, più o meno.

 

L’empirismo nega ciò che non è oggetto dell’esperienza. Anche l’Essere. Ma gli empiristi cosa fanno? Rinfrescano lo scetticismo con la concretezza della scienza. Scelgono l’intuizione, per la quale vale l’esperienza, invece della deduzione che vuole la logica. Altro modo, manco a dirlo, per non affrontare il problema sino in fondo.

 

Per non affrontarlo naturalmente prima di Kant, maestro di Schopenhauer, che con la Critica della Ragion Pura distrugge credenze e dimostrazioni negando alla metafisica ogni legittimità di scienza. «Fino a Kant – scrive Giametta – la filosofia aveva creduto che la casualità, che governa i fenomeni, e il principio di ragione che li spiega, fossero aeterna e veritates, cioè verità indipendenti dall’uomo».

 

L’una e l’altra, secondo il filosofo delle tre Critiche, sono “leggi dell’intelletto condizionate dal soggetto”. In altre parole: l’intelletto coglie il fenomeno, cioè la cosa visibile, strutturata, e i suoi rapporti con le altre cose, ma non il noumeno (cioè la cosa in sé, ancora nella nostra coscienza, la cosa in potenza) che ne spiega i presupposti realizzativi. L’intelletto, per Kant, è come l’occhio. Che non vede se stesso: vede le cose realizzate ma senza conoscere i motivi che le rendono possibili.

 

Schopenhauer si contrappone a Hegel la cui filosofia vuole razionalizzare la religione dandole così più forza. Invece per l’autore de Il mondo come volontà e rappresentazione è la religione a schiacciare la ragione. Razionalizzandola, Hegel rende ancora più divino il mondo. E Schopenhauer non l’accetta. Perché vede il mondo pessimisticamente dominato dal male. Dominato dall’immagine della tartaruga sbranata dai cani nell’isola di Giava.

 

Che senso ha avuto la vita, valeva la pena viverla per la tartaruga finita in quel modo? In lui lo scetticismo dei filosofi francesi degenera in pessimismo. Ma Schopenhauer sbaglia, secondo Giametta. Perché vivere, anche male, è sempre meglio di non essere mai nati; meglio del “niente del niente”. E perché la vita ha origine dall’essere o anche dalla divinità. Sono diaboliche le sue condizioni, non le sue origini.

 

Nella sua filosofia Sossio Giametta dà importanza alla realtà. Alla realtà umana più della realtà fisica. La prima ha più qualità; la seconda più quantità. E il filosofo di Frattamaggiore dà più valore alla qualità. Solo lui è riuscito a spiegare Nietzsche come il coronamento di un processo storico, un processo italiano durato quattro secoli e che ha implicato nella sua fase iniziale sfide, sacrifici, rinunce (Campanella trascorre in cattività gran parte della vita) e vittime del pensiero arse sul rogo.

 

Giametta ama ricordare una bellissima frase di Nietzsche: «Questo ideale che ti corre innanzi è più bello di te: dagli il tuo sangue e le tue ossa». La sua forza poetica è potente. Nietzsche dà “importanza divina alla vita caduca”. Fa valere il corpo contro l’anima della religione, la terra contro il cielo. E la caducità contro l’immortalità.

 

Ma non si capisce interamente Nietzsche, decadente guarito in tempo, se non lo si contrappone a Schopenhauer (approdo del processo scettico) e al suo pessimismo romantico e irrimediabilmente decadente. Se non si capisce che Nietzsche ha reagito a questo pessimismo con una filosofia positiva, di affermazione tragica, di cammino nella sofferenza della vita che lui trasforma in bellezza tragica. Collegandola al processo originario dei filosofi italiani.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]